Studi Sociali - anno IV - n. 28 - 4 dicembre 1933

Non é qui il caso di discutere chi meglio «iova alla causa della li berta, e c hi piu ef– ficacemente combatte la tlrann.ia dello Sta– to, fra gli uni e gli altri. Noi s,iamo anar– chici e la nostra opinione é conosciuta. Quelio che ci turba, pero, é che anche su queste forze restate sinceramente p_ropu– gnatrici di liberta si va da qual~h~ tempo esercitando una influenza deleteria m senso antilibertario. Le te_ndenze autoritarie s'in– sinuano tra loro subdolamente, spingendole a transazioni a concessioni, ad ammissioni dell'errore n~mico in apparenza cli poco ri– lievo ma che sono come il primo strappo I quasi invisibile, che deterruinera poi la la- · cerazione di tutta la propria bandiera. Al– cune sono ammissioni vagamente dottrina– rie che si credono imparziali e al di sopra deÙa mischia; ma sono in realta ver~ e proprie concessioni ingiustifica,te, cbe ne la dottrina né l'esperienza avvalorano affatto. Non si tratta, intendiamoci. "'una paura puerile di ammettere una verita ~mlese q~al– siasi, solo perché ancbc il nemico la rico– nosce Se questi dice che due e due fan quatt;o, sarebbe ridicolo sos~ener~ i~ c~n– trario solo perché lo dice lui. Qui c1 rife– riamo a certe ammissioni sulla funzione "utile" dello Stato, che vediamo fare non solo nel campo democratico e socia– lista, ma perfino in qualche ambiente sin– dacalista e libertario, in cui fa:mo l'effetto di una vera e propria stonatura. E sono ammissioni, si badi, completamente erro– n•ee, cozzanti non sol-tanto con una qual– siasi dottrina, sempre un p6 aprioristica per se stessa, ma con la piu nota espe1:ienza storica e con la piu evidente realta con– temporanea. La cosa non si spiega se non col fatto che anche quando si odia un ne-1 mico e lo si combatte con passione, si é por– tati sempre un p6,-se non si sta in guardia contro la propria debolezza, - a subirne 1•·11.nuenzac_0 -r ttrice e osarne senza vo– l•erlo i peggiori errori. Qualche volta si aniva, per tale feno– meno a dimenticare le verita di fatto piu sempÙci, il passato meno remoto, le stesse proprie idee mille volt-e affermate; ~i .ar~ riva perfino_ a cedere al nemico la propneta di queste idee, naturalmente [alsific~te ~ rovesciate, - cosi ,come, per esemp10, c1 pare stia facendo Arturo Labriola nei suoi articoli in un giornale sud-americano, do".e in certo modo cede il socialismo al fasci– smo, al bolscevismo ed ali:> statalismo ac– centratore. Per suo conto sembra che la cosa non gli piaccia, poiché la trova "brutta", e ~i protesta antifascista e difensore della li– berta contro le invadenze de!J.o Stato. Ma intanto fa al nemico la concessione piu dannosa alla li-berta ,e più utile alla tiran– nia statale, ammettendo un Focialismo, senza liberta, anzi identificando il socialismo col più feroce statalismo dittatoriale, e vcden~o una realizzazione di quello nella economm org·nnizzata "alla quale si riduce (secondo Labrio1a) il corporativismo fascista, la au– tarchia nazional-socialista, la industria con– trollata di Roosevelt". Tutto questo, per l'antico sindacalista e odierno alfiere anti– fascista, é socialismo. Alla larga! Naturalmente, se Labriola a·:esse ragio– ne, noi combatteremmo il ~ocia!ismo come un'altra peste dell'umanita, allo stesso mo– do del fascismo, del capitalismo, ccc. Ma egli scambia per socialismo il suo piu vol– gare surrogato della speculazione borghes~i, la più imbecille sofisticazione che ne abbia fatta il dottrinarismo professorale salariato <lai lempi di Bismark in poi. Il socialismo non é non é stato mai altro che l'emanci– pazio~e delle classi operaie dalla servitù del salariato, l'abolizione dello ~fruttamen– to dell'uomo sull'uomo, la Jiberta resa ef– fettiva per tutti con la soppressione d'ogni differenza e soggezione di classe, che ha il suo cor onam ento nell'eiiminazione del "padrone" s.ia nel campo economico che in quello politico. Labriola é liberissimo di credere utopistico questo socialismo, ma · S'l'UDI SOCI.ALI non ha il diritto di presentare . 1 n sua vece, con Io stesso nome, - come fanno i pap– pagalli stucchevoli di Mussolini e di Hi– tler, -- lo statalismo brutale del fascismo d'ogni paese, che non vuole, non sa e non pu6 "socializzare" (cioé render generale) altro che la miseria, la fame, la schiavitù ed il peggiore avvilimento della dignita e deJJa pers-0nalita umana. Pur se tale non sia l'intenzione personale di La•briola, - che in altre sedi, con altri scritti, ha spezzata piu d'una lancia, anche recentissimamente, contro il feticismo dello Stato, - egli con coteste sue arbitrarie ed erronee ammissioni facilita all'estero le tnrlupinature rlel fascismo e nel m"desimo lernpo contrihuisee a riabilitare il feticismo statale fra q11egli stessi ,elementi di liberta e di progresso che, meno avveduti, si la– sciano facilmente fuovviare dalle apparenze del successo e da certo ling11aggio seclicen te sci,entifico. Ché non son pochi, purtroppo, ·coloro i quali, - pur essendo antifascisti, socialisti, rivoluzionari e magarl ''libertari", - cercano di sfuggire alla ferrea logica autista-tale della rivoluzione pei' la tangente del minimo sforzo governativo, allettati dall'illusione sempre rinascente di poter risolvere ogni difficolta con qualche inter– vento dello Stato. I nomi, le formule, non si contano; e variano e si ,succedono con la volubilita della moda: razionalizzazione, Stato sin– •dacale, tecnocrazia, corporazionismo. autar– chia nazionale, industria controllata, ecc. Il piano quinquennale di Stalin e la rico– struzione economica di Roosevelt sembrano aprir loro una via d'uscita, suggerire una nuova scappatoia. Sfatata o sfumata l'una, s'aggrappano all'altra; studiano e si lam– biccano il cervello su tutte le forme possi– bili d'intervento statale, - int3rvento, na– turalmente, provvisorio, ecoezionale, limi– tato, controllato, ecc. di cui ciascuno terne ff.dato---ad tri- da--a-ltr-1-assu-nt per forza, ma che ciascuno, individuo o partito o classe, sarebbe sicuro di utilizzare, senza danno, per il bene del genere umano. L'unico studio ch',essi ignorano, da cui anzi rifug,gono come da cosa superiore alle loro forze od alla loro intelligenza, é quelJo che pur ci sembra il pi(1 meritevole d'essere affrontato: lo studio di raggiungere il bene voluto attraverso la libera e diretta coope– razione degli interessati, senza bisogno deL l'intervento sempre usurario e prepotente dello Stato. Non gli occhi chiusi innanzi alle molteplici -difficolta del1a crisi e della ricostruzion-e sociale, ma la loro esatta vi– sione e lo sforzo intelligente di 7incerle con mezzi di liberta e non con mez-zi d'autorita. Ma da quest'orecchio essi non ci sentono. Il feticcio dello Stato esercita rn loro una tal suggestione, anch·e se talora inconscia e inavvertita, che il prescinderne totalmen– te é per essi troppo difficile, anzi impos– sibile. Si trovan tracce di tale suggestione morbosa perfino in alcuni che sono d'ac– cordo con noi nel I'espingere qualsiasi in– tervento dello Stato, ma che non resislono alla tentazione di "riconoscere obiettiva– mente", per esempio, che il capita!ismo di Stato sarebbe, dal punto di ·;ista economico, superi01·e al capitalismo privato, pur es– sendo per conto loro negatori dello Stato e avversi all'uno e all'altro cap:talismo con la stessa intransigente ostilita. Eppure, anche dal punto di vista piu fred– damente obiettivo, anzi addirittura borghe– se, il solo possibile in base allè esperienze già fatt<', dove sono le prove di tale supe– riorita'! Il capitalismo privato ha raggiunto risnltati cli progresso economico e mate– riale, di sviluppo deJJa produzione, tali r·he un secolo fa nessuno avrebbe potuto imn1a– ginarn. Lo Stato, invece, dovunque per ra– gioni sue proprie ha invaso i1 campo del– l'economia, si é dimostrato sempre il peg– giore e piu costoso degli amministrntori, il J,iu torpido e fannullone dei prnduttori, il Jiiu scialacquatore e distruttore di ricchezze. Le sue aziencl-e, quasi sempre in stato J'al- limentare, non si sono mai salvate e non si. reggono che grazie ai mezzi d'imperio spogliatori e violenti della sua forza poli– tica. Se si oonfrontano due niende <;imilar:, l'una privata e l'altra statale, si trova sem– pre che la seconda costa di piu e produce– di meno della prima. Ogni slancio produt– tivo si é dovuto sempre all'iniziativa pri– vata. Affidare tutta l'economia -di un paese allo Stato equivarrebbe condannare alla ro– vina economica quel paese; ed in ogni caso metterlo in una condizione d'inferiorita di fronte agli altri paesi. Oggi il successo di alcuni Stati dittato– riali e fascisti fa veder luccio'le ,er lanterne a molti incauti e ingenui osserva.tori, che si piccano d'imparziali e d'obi·et.tivi. Costo– ro non s'accorgono che confondono il suc– cesso materiale e 110litico, - pr-ggi6, poli– ziesco -emi_litare, -- col successo economico. Non si rendon conto che i loro l!rclesi "stu– di" mancan di base e di og1;i elemento scrio di giudizio, poiché dove (come sotto i regimi assolutisti) manca ogu i liberta di contrasto, di discussione, di opinione, di controllo, anche la statistica diventa una ruota dell'ingranaggio statale, una menzo– gna di Stato. Nessuno studio é possibile su dati falsi e bugiardi. In ogni mode-. anche se presi per oro colato, cotesti -equivoci e– lementi di giudizio non proverebbero nulla a favore del capitalismo di Stato che in realta esiste parzialmente solo in Russia, mentre negli altri paesi non v•,·i che la pre– poderanza di una cricca di cai;italisti pri– vati piu potenti, -che si servono dello Stato per spogliare i capitalisti piu .leboli e ta– glieggiare e opprimere, a profitto proprio e dei complici governanti, tutta la grande massa del popolo lavoratore e consumatore. Inoltre bisogna tener presente che, sotto tutti i regimi dittatoriali senza eccezione al– cuna, le condizioni di vita economica della g_eneralita della popolazione s'Jno sempre in enon, 1-01.aIn mlsma e-nor-m . He-e-0n,----– dizioni dei paesi relativamente pi(, liberi. E basta eh-e in un qualsiasi pae se, - l'e– sperimento lo rubbiam visto qu.< J .si tutti, - un regime di forza succeda a un regime di diritto (prendere col solito granellin di sale queste espressioni del giure borghese) per- ché il tenore medio della vita economica si abbassi -sensibilmente. Per qual miracolo mai uno Stato, reso incomparabilmente piu tirannico ancora col farne il direttore 0 padrone economico dell'esistenza c!i tutti, - il Capitalismo di Stato insomma. - do- vrebbe risultare migliore, o meno pessimo, agli effetti concreti del pane di tut•i? E in quanto alla liberta, coloro che pur respin- . gendo i regimi assolutisti e totalitari, so- gnano qualche g-overno "democratico" che sia pure il gestore supremo dell'economia, come non capiscon,o che il poteril economico aggiunto a quello politico, ne d:minuirebbe ancor piu la "democrazia" e ne renderebbe di fatto piu potente, più arbitro della vita dei sudrliti, e quindi più assoluto il governo?' Mentre stiamo per terminare queste brevi considerazioni, ci capita sott'occhio un nu– mero de "La Prensa" (il mag;i;ior organo conservatore e borghese del Sud-America) del l9 novembre, dove un lelegramma da– gli Stati Uniti annunciava. a proposito del– la N. R. A. - il noto colossale progetto ,cli Roosevelt sulla ricostruzione economica americana, - che dessa "ha ottennto sol– tanto di far cr,escere la somma degli sti– pen-di e il numero degli impieg:1ti pubblici, contribuendo a ri1lurre la. media. ilei snlari, contrariamente 4 1 suo proposito originale di diminuire le ore di lavoro senza toccare le mercedi individuali". E questa s,webbe quel– la "economia organizzata", che pare socia– lismo a Labriola ed é semplkemente un tentativo, mal riuscito del resto, di salvare dalle conseguenze della crisi, cnn lo Stato, i soli capitalisti, - e quelli soltanto degli Stati Uniti, e non tutti, - con la più com– pleta noncuranza dei lavoratO!'i, contro i quali si sferra la violé1w;a repressiva della polizia, anche se elessi, illùsi! scioperanp

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