Studi Sociali - anno III - n. 22 - 16 novembre 1932

abitanti raccolgono quella piovana in cisterne te– nute tutte senz'alcun criterio che renda difficile l'inquinamento. Il comune provvede al rifornimen· to a mezzo di navi che immettono in altre cisterne l'acqua potabile di Messina. Nessun controllo sa– nitario esiste. Fu solo recentemente che al Castello si é potuto avere un servizio di rifornimento d'acqua quasi continua e quasi pulita, il che ha giovato un p6 a salvare molti confinati dalle febbri tifoidi che quasi sempre d'estate colpiscono i forestieri. Il clima d'inverno é mite, ma il vento spira sem– pre forte per oltre meta dell'anno. In estate la tem– peratura non é molto alta, ma quando soffia lo sci– rocco sembra di respirare in un forno caldo, tanto l'aria é afosa. In Lipari mancnn le fognature, non vi sono latri· ne pubbliche, difetta il servizio sanitario. La po· polazione é per natura indolente, Il lavoro umiliato, scarsi e poco abili gli artigiani. In compenso v'é una sede vescovile, una caterva di chiese, istituti religiosi, preti, suore, piccoli proprietari, ed un nu– mero grande di botteguccie, dove i generi di prima necessita si rivendono quasi il doppio del prezzo di costo. 11 latte, per esem1>io, si vende a lire 2,40 al litro, rubando sulla misura. Frutta e verdure sono a pre21a~iproibitivi. Al confinato nuovo giunto, a meno che non sia un Gualino od un Terzaghi (gia entrambi condo– nati), viene ingiunto di dormire al Castello nei dormitori comuni Sono questi ampii fabbricati, ma in essi si cl orme· ammui;chiati come in carcere. La branda é a tipo m1litare; li pagliericcio, lenzuc la e coperte come quelle carcerarie. Alla sera, dop, un appello minuzioso fatto da un ufficiale della mi lizia, presenti graduati e 'militi sempre armati, lé camerate vengono chiuse a chiave, e alla porta é posta una sentinella. E' nel Castello che son le camere di sicurezza e il carcere giudiziario. Quivi vengon commessi I pe9-– giori atti cli violenza, le coercizioni e i sopprusi su– gli iner•1i e sui vinti. Contro tanto odio e sopraf· fazione, che sf sfogano con tutto un metodo squa– drista, a poco varrebbe la disperata ribellione di un singolo o di pochi! Privi di comunicare col Con– tinente se non previa rii~orosa censura, impossibi– litati ad esigere il rispetto delle stesse norme pro– mulgate dal governo fascista, i confinati non pos– sono che trovare in se stessi la forza d'animo per resistere a tanto tormento, a OOnte umiliazioni. La fuga da Lipari é pressoché impossibile! Quella di Rosselli e compagni apportò un forte aggravio di disciplina, una maggior restrinzione della linea di confino, un aumento delle forze preposte alla sor– veglianza. Il confinato deve oggi recarsi al Castello ad uno o due appelli giornalieri; e se usufruisce di un'abitazione propria e convive con la famiglia, deve rispondere a tre, quattro e anch0 cinque chia– mate notturne. Deve allora aftacciarsl ,alla fù:l.è&tra per ventre riconosciuto, oppure lasciare la porta aperta alle ronde che entrano a controllarne la pre– senza. E cosi per 5 anni, che per taluni rinviati una ,se– conda volta son divenuti dieci; cosi per sodisfare il capriccio d'un funzionario che vi addebita "deduzio– ni a carico" senza obbligo di comprovarle; cosi per strappare validi sostegni ai sacri affetti clelia fa– miglia e farli abbandonare impotenti e bisognosi al:. la legge del più forte. A taluni non si concesse di venire accompagnati presso la famiglia per la morte di un congiunto. Evidentemente il confino serve anche per man– tenere una 110sizione cli privilegio a ufficiali e fun– zionari, per mobilitare nella sorveglianza e quindi pagare maggior numero di militi, per tener in eser– cizio il naviglio sottile. della Marina da Guerra, per far credere con tutto un apparato di forza al volgo che paga che esiste un pericolo che solo il con– fino pu6 scongiurare. • •• I· vinti dalla reazione rispondono oggi "presente" e tendono a pena la mano all'elemosina delle 5 lire giornaliere, consegnate loro dinanzi a un picchetto armato. Pure nella fronte altera, nello sguardo ,se– reno, nel timbro della voce s'intuisce la loro ri– sposta all'appello muto della solidarieta sociale. "Presente!" significa nel loro cuore: sempre col po– polo, che attraverso il dol ore del proprio martirio sapra 'tlprendere l'ascesa , de.ll' aspro cammino delle rivendicazioni umane; sempre con la causa della giu ·tizia e della libertà, col medesimo proposito sacro di riscossa, con la volonta sempre più decisa. Si ripete qui spesso dai nostri persecutori, come rinnovato verdetto di condanna, il grido barbaro di guerra e cli morte; ma da queste isole ove ci hanno inchiodati, dalla più grande prigione di tutto un po· pòlo soffocato da una reazione sistematica e bru– tale, ogni vinto in silenzio fissa Io sguardo lonLano, come in cerca di una meta. Sempre, sempre, ripe– tono gli animi; sempre, risponde lo schianto della tempesta che flagelle. lo scoglio. Sempre per la Liberta. A. B. Agosto 1932. N. B. - Questo articolo che ha potuto uscire dal– l'isola per un caso straordinario, ci é stato mandato da un amico personale che lo rìcevette in Europa; e si pubblica con molto ritardo per li lungo giro che esso ha dovuto fare prima di arrivare nelle no– stre mani. s·rum SOCIALI 7 Responsabilita personale e r sponsabilita collettiua (Continuazione e fine; vedi n4.m. 20) Non facciamo il processo alle intenzioni. Probabil– mente gli assertori della "responsabilità collettiva", molti di loro per lo meno, non pensavano a queste conseguenze del proprio errore di principio. Vero é che in una polemica successiva arrivavano a mette– re fuori dell'anarchismo tutti quelli di noi che non interpretano l'anarchia soltanto come un'id'ea di classe, ma la vedono come un ideale individuale, umanitario e classista insieme; ma queste sono e– sagerazioni dommatiche forse piU personali, di qual– che loro scrittore, che generali. Del resto non crediamo che, dato lo spirito d'in– sofferenza e cli libera iniziativa della generalità degli anarchici, si riuscirebbe facilmente a mette– re in pratica certi disegni architettati sulla carta. Ma lo scopo nostro é di additare un pericolo; di mostrare quale grave errore sia insito in questo principio della "responsabilità collettiva", che pra– ticamente, o non arebbe applicato, oppure condur– rebbe allo strangolamento della libertà in seno al– l'organizzazione: a spingere il movimento anarchi– co verso risultati pratici cosi autoritari da esaere tutto il contrario del line che ci proponiamo. Non vogliamo con ci6 rinchiuderci in una specie di pm itanismo libertario intransigente, che sareb– be fucri della vita. Non escludiamo affatto che errori ct·ogni ,specie, non esclusi errori di autoritari• smo, possano esservene sempre, sia nelle vaste co· me nelle piccole collettivita, anche le meglio orga– nizzate, e cosi pure in tutte le forme di attività de– gli stessi disorganizzati e delle individualitA isola– te più coscienti. Ci saremo caduti e ci cadremo forse infinite volte noi stessi. Errare, in ogni senso, é nella natura umana; e bisogna quindi sforzarsi ad una tolleranza 1·eciproca continua, condizione indispensabile alla libertà di tutti e di ciascuno, elle implica anche la libertà di sbagliare. Quindi la condizione Indispensabile per essere anarchici, non é quella di non commettere mai er· rori in -senso autoritario, bensi quello di voler evi– tare tali errori per quanto é umanamente possibile. Ci6 che pone fuori dell'anarchismo non é 11 cadervi involontariamente, a causa dell'imperfezione della propria natura, ben.si l'accettare consapevolmente l'errore autoritario c ome verita, il farsene wi prin– cipio ed una norma di condotta, il proporsi delib&– ratamente di praticarlo. Ed un errore autoritario ci sembra il principio della "responsabilità collet– tiva", quando intenzionalrnente lo si voglia porre a bas e gujda del movimento e dell'organizzazione anarchica. • •• E' ,strano come gli uomini sono proclivi a inna– morarsi o spaventarsi delle parole, specie di quelle meno comprese o che più si prestano a equivoci! Ognuno allora chi alla parola, entro di sé, il !enso che più gli piace, - ed ecco bella e creata un'altra ragione di malintesi e discordie fra coloro che adot– tano o ripudiano quella data parola per motivi com– pletamente diversi l'uno dall'altro ... Avviene allora che si credano d'accordo quelli che in realta più dissentono, e viceversa si allontanino reciprocamen– te altri che il loro pensiero genuino più avvicine– rebbe. Quante volte non ci é successo, con la stessa pa– rola "anarchia" di trovare de-gli anarchici dai quali ci ,sentivamo lontani le mille miglia per convinzioni e sentìmenti, e viceversa degli avversari che si chiamavano nei modi più diversi ma et apparhano in realtA, nella loro essenza intima, non meno anar– chici di noi! Gli stessi equivoci abbiamo dovuto no– tare più volte, ,quando fra noi si é discusso di orga– nizzazione, d'individualismo, di violenza, di morale, di religione, ecc. ecc. Nulla di strano che sia avve– nuto lo etesso ultimamente in questa discussione sulla "responsabilità". Di qui il bisogno di •Piei:arsi chiaramente. • • • Si chiama "responsabilità" il !atto del risponder,i e render ragione, - sia moralmente, sia material– mente o giuridicamente, sia nei due modi insieme, - del proprio operato. Nel senso giuridico e legale, la responsabilitèl implica l'obbligo di riparare a pro– prie spese (risarcimento di danni, pene sancite dal codici, ecc.) le perdite, danni e pregiudizi cau,ati ad altri, siano semplici privati, sia la collettivitA o, •emplicemente la sua opinione interpetrata, - arbi– trariamente, secondo noi, - dallo Stato. Ma é inu– tile dire che noi anarchici, negatori dello Stato e di ogni forma di coercizione violenta dell'uomo sul l'uomo, prendiamo la responsabilità nel suo sen110 ,esclusivamente morale, e non teniamo alcun conto del suo senso giuridico e legale. Possiamo anche ammettere una responsablliti materiale, oltre che morale, uei rapporti recipr~ ci tra gli uomini, in quanto ne derivi un diritto o un dovere, nostro od altrui, di carattere materiale: sia il diritto a rqualche vantaggio, sia (più comune– mente) il dovere di riparare materialmente, per quanto é possibile, i danni arrecati ad altri. Ma ea– sa, anche in tal caso, ha sempre un carattere origi– nariamente morale, e tale resta in quanto non viene pretesa o imposta per forza, ma emana dalla co– scienza stessa degli interessati o responsabili, o anche dalla coscienza collettiva (opinione pubblica) da essi liberatnente e senza coercizioni intuita e riconosciula. Molta confusione di apprezzamenti e cli giudizi, nella discussione su questo argomento, dipende dal fatto che non tutti tengono costantemente presente la distinzione tra responsabilità morale e responsa– bilitA giuridica; non pochi, pur come anarchici ri• ferendosi soltanto alla prima, si lasciano influenza– re dalle abitudini usuali del linguaggio giuridico e legale. E questo li trascina insensibilmente ad ac– cettare il suo proprio significato autoritario, e quin– di ad ammettere metodi e idee autoritarie, com'é avvenuto a più cli un "piattaformista" che aveva Incautamente accettato il principio della "responsa– bilitA collettiva". Il quale, come vedremo, ha un senso prevalentemente giuridico, di un giure fra i più retro– gradi e reazionari. Poiché, come abbiamo notato all'inizio di questo scritto, al concetto cli responsabilit:i si annette sem– pre un concetto morale di merito o demerito, é evi– dente che essa é per sua natura di carattere esseh– zialmente individuale. E' responsabile di un fatto chi lo fa, e nessun altro. Se ne pu6 derivare b3ns( una "responsabilitA collettiva", ma solo quando tut· ti i componenti di questa partecipano individualmente e con consapevolezza al fatto. Chi non vi partecipa, o vi partecipa involontariamente o senza saperlo, non é responsabile, anche se appartiene alla stes– sa associazione dei partecipanti. Meno ancora lo é, naturalmente, chi non approva il fatto, qualunque sia Il legame che abbia con gli autori del fatto. La "respons~IJilitA collettivil" ~: ;:::;; éslendere an– che a coloro che abbiano prima desiderato o consi– gliato un fatto, o che dopo lo abbiano approvato, sempre s'intende dal punto di vista morale; ben– ché anche cosi la responsabilità vera non investa il !~tto in sé, _ma solo Il suo desiderio o la sua approva– zione. Parhamo sempre di responsabilita morale si badi bene, senza curarci di vedere doTe essa c~in• cida e dove no con la respousabilita giuridica e le– gale, la quale del resto varia a seconda dei t,impi e dei luoghi. Fuori di questi casi concreti e limitatissimi, é a~surdo parlare di "responsabiJitA collettiva'\ spe– cialmente trattandosi di movimenti collettivi politici e sociali un po' vasti, e non limitati a piccoli grup– petti locali od occasionali. Tanto più é assurdo par- 1arne fra rivoluzionarii ed anarchici, la cui attivi– ta-p1•atica, pur essendo determinata da principii g,e. nerali comuni e da omogenee norme di condotta PU6 :-ariare all'infinito a seconda delle vedute parti~ cola:'• ciel variare dei momenti e delle località, del– la d~vers1t~ dei temperamenti e mentalitd 1 delle ne– cessita e mteressi contingenti, ecc. ecc. Fissato un progi:amma di linalita e di metodo, ogni individuo e, relativamente, ogni gruppo di individui resta re,. •~on_sabile di ci6 che fa, e non é responsabile elle d_1c16. che fa esso stesso o di cui volontariamente rtv~n_d1ca, se fatto ùa altri, volta per volta la respon– •ab1llta morale. Non si potrebbe parlare di "responsabilità collet– tiva_"_neppur~ nel caso di fatti augurabili o appro– vab11I da tutti i consociati, poiché anche in tal caso all'atto pratico potrebbe esservi dissenso di carat– ~ere_ contingente sulla loro opportunitA, sui metodi 1mpiegati, sul risultato ottenuto, ecc. Il dissenso po– trebbe naturalmente essere erroneo, ma non per questo deve meno restare libero per tutti. La riven– dicazione, da parte di un partilo, della responsabilità di un !atto qualsiasi ritenuto utile e buono, non po– trebbe che venire sempre "clopo" il fatto; non avreb– be punto carattere di obbligatorietà per tutti, ed in realta assumerebbe l'aspetto non di responsabilità ~era e pro~ria, ma soltanto di solidarietà più o ~eno genenca. La stessa cosa si dica per fatti de– liberati da una associazione attraverso i suoi con– g;e~si, o su i_nvito della maggior parte degli asso– c1at1, oppure 1n caso d'urgenza grave dal suo comi– tato esecut~v?. La associazione risulterebbe, e non a t?rto, _umc,almente responsabile di fronte ai •uoi soc,_ e eh fronte al pubblico di quai dati fatti; ma é ov,,10 che moralmente tale responsabilità investi– rebbe soltanto quelli che lf vollero e -vi parteciparo– no .. b non gli altri anche se restano soci de11'organiz– z~z~.one. Non ~i. potrebbe dunque parlare neppure qui d~ . resvonsabihtA collettiva" nel senso di responsa– bihta di tutti e cli ciascuno degli associati datole dalla "Piattaforma". Qualcuno ha parlato perfino di una "responsabi– lita colletttiva" d'indole ideologica. Qualcosa di si– mile si pu6 dedurre anche dalla più volte menzio– nata "Piattaforma". Ma parlare di responsabilitU a proposito di idee, principii, programmi, ecc. ci sembra ridicolo: sarebbe un estendere il significato di una parola oltre I limiti che essa consente. Certo tutti coloro che accettano una idea, rispondono del ratto di propagarla di fronte a coloro fra cui la propagano. Ma in realta la loro responsabilità si restringe al fatto della propaganda; e poiché ogni idea, compresa l'idea anarchica, anzi questa più d'ogni altra, si pu6 propagare con argomenti intel– lettuali, scientifici, filosofici, ecc. diversi e facendo valere diversissimi punti di vista e sentimenti, an- •

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