Studi Sociali - anno III - n. 21 - 30 settembre 1932

STUDI SOCIALI Articoli di Malatesta contro la Guerra rono all'Associazione della Stampa di Roma per avere conferma. Fu risposto confermandola; ma in Italia non si fece saper nulla. Seguivano il feretro tre carrozze con la famiglia egli amici. Poi v'era l'automobile della polizia, quel- la ,che era adibita alla sdrveglianza di Malatesta, piena di poliziotti; altri poliziotti seguivano in un furgone, altri ancora in bicicletta. Unici fiori permessi, quelli di una corona della famiglia e parenti. Quelli portati da bimbi del vici- nato furono fatti lasciare nella stanza vuota. Dei . garofani rossi portati da compagni furono soltanto lasciati chiudere dentro la cassa. La povera Gemine voleva seguire il suo papà con un mazzo di fiori rossi, per poi deporli sulla cassa. La polizia le fece dire che se fosse uscita portandoli, glieli avrebbe strappati via, non potendo permettere quella osten- tazione. Gemma, allora, straziata e disperata buttò i fiori che aveva in braccio dalla finestra. Allora si permise la partenza. La legge permette ai cortei funebri di fare 509 metri di strada a piedi; ma questa volta fu pro,..b:10 anche di fare un passo. Si fecero salire parenti :,(1 amici nelle carrozze appena fuori del portone, ' e via di gran corsa. Lungo tutta la strada, a tutti. gH sbocchi della vie che si traversavano col feretro, vi erano carabinieri e poliziotti per impedire ai com- pagni di attraversare o di percorrere "per caso" la strada stessa del rapido e breve corteo. E ciò dep. pertutto, fino al cimitero. Al cimitero erano ad aspettare molti altri poli- ziotti e personalità della Questura Centrale. Furono las-ciati dei poliziotti a guardia della cassa tutta la notte. La domenica mattina alle 6 la salma 'fu calata nella fossa, nel campo comune dei poveri, in mezzo ai morti del popolo,' di (pie popolo per cui Malatesta aveva lottato tutta la vita. Da allora due poliziotti per turno si danno il cambio al cimitero, per prendere le generalità a tutti quelli che osano avvicinarsi alla fossa. Un compagno, che non sapeva nulla, di ciò, vi andò, e $i fermò un momento. Fu .avvieinato dai poliziotti, che gli presero le generalità, poi lo accompagnarono in questura; e li fu messo in camera di sicurezza, dove lo lasciarono per 14 ore. Malatesta, essendo morto come era vissuto fuori d'ogni religione, fu portato al cimitero senza croce; i parentf avevano date disposizioni 'perché. croci non fossero poste sulla fossa. Ma gli ordini del governatorato di Roma sono precisi e non transi- gono: anche sulla fossa dell'anarchico ateo fu mes- sa la croce. La mattina' d'oPo, 'd'uande la compagna di lui, Elena Melli, recatasi sul posto, vide la croce, la fece subito togliere; ma dovette andare in uf- , fido a fare una dichiarazione scritta e firmata, che la croce l'aveva fatta togliere lei, conee moglie. Più tardi l'Elena fu per ciò chiamata-, in Polizia, benché poi non si sia avuto il coraggio di offendere il "geo dolore con inutili rimproveri. Ma speriamo non sia lontano il giorno' in cui po- tremo rivederci. Ci ritroveremo anche a Campo t'e- rano, sulla tomba di lui; e non saremó in Pochi.'.. MALATESTA DESCRITTO DA K ROPOTK IN Tra gli italiani che lavorarono con noi in Svizzera si trovavano due uomini i cui nomi erano sempre uniti, che saranno ricordati in Italia da più di una generazione, due grandi amici personali di Baku- nin, Cafiero e Malate'sta... ... Malatesta cera uno studente di medicina, che aveva abbandonato la professione ed anche i suoi beni per la causa della rivoluzione; un uomo pieno ai fuoco e d'intelligenza, un idealista puro, che du- rante tutta la vita — ed ha ormai cinquant'anni (1900) — non si é mai dato pensiero per sapere se avrebbe un pezzo di pane per la sua cena o un letto per riposare la notte. Senza neppure una ca- mera che potesse dire sua, vendeva sorbetti per le strade di Londra, per guadagnare la vita, e la sera scriveva articoli pieni d'intelletto per i giornali ita- liani. Imprigionato in Francia, rimesso in libertà, espulso; condannato di nuovo in Italia, relegata in un'isola, fuggito, e di nuovo in Italia travestito; sempre là dove é più aspra la lotta, sia in Italia o altrove; egli ha continuato a fare questa vita per trent'anni di seguito. E quando M incontriamo di ,nuovo, uscito dalla prigione, o fuggito da un'isola, lo ritroviamo sempre tale quale lo avevamo lascia- to; sempre ricominciando la lotta, animato dallo stesso amore degli uomini, senza livore per i suoi avversari e carcerieri, col medesimo sorriso affet- tuoso per l'amico, la medesima carezza per un bimbo. PIETRO KROPOTKIN. (Da "Le Memorie di un Rivoluzionario". — Edit. L'Università Popolare, Milano. 1905. — Pag. 242-243.) LA GUERRA E' scoppiata la guerra. Le potenze europee, che, pare, volevano scongiurarla e per iscongiurarla ave- vano calpestato ogni senso di umanità, là, permet- tendo che 200 mila armeni fossero impunemente sgozzati, qua mitragliando a vantaggio del "grande assassino" di Costantinopoli gl'insorti cretesi, sono state impotenti ad evitare il conflitto — come sa- ranno impotenti a ripararvi ed a trovare alla que- stione d'Oriente una soluzione che accontenti i po- poli ed assicuri la pace. Forse questi grandi pacificatori non sapranno far di meglio che azzuffarsi tra loro, riempendo l'Eu- ropa di stragi e di lutto. E' il fallimento politico cime segue il fallimento economico del sistema borghese. E dopo questo i borghesi pretenderanno ancora di essere la classe illuminata e di avere il diritto di dirigere la società! Hanno organizzato un grandioso sistema di produzione e di commercio ed han messo capo ad uno stato di cose in cui la fame é diven- tata cronica, e la macchina, lo strumento di produ- zione, asservisce ed uccide il produttore! Hanno organizzato un complicato sistema politico, che do- veva assicurare, la pace se non la libertà, e son co- stretti, per paura d'ella guerra', a sperperare il meglio delle ricchezze nazionali in armamenti, per poi finire lo stesso con una guerra disastrosa, che lascerà, dopo lo stesso stato d'incertezze e di pericoli di prima! Ma continueranno lo stesso, con tranquilla inco- scienza, a gavazzare nei sudori e nel sangue del popolo.., fino a che il popolo non vi porrà rimedio. Ed intanto in Tessaglia e nell'Epiro si sparge sangue umano in una lótta feroce in cui al cieco fanatismo religioso e politico degli uni risponde il non meno cieco fanatismo patriotico degli altri. Quali sono i risultati probabili della contesa? In quel che resta dell'Impero turco le soluzioni calcate sul sistema politico europeo sono meno che altrove accettabili. Il principio di nazionalità, non può servire di base alla costituzione di Stati terri- toriali, poiché ivi le nazionalità, più diverse sono frammiste sugli stessi territorii. La sola soluzione che non lascerebbe un stato di violenza e di op- pressione permanente sarebbe quella fondata sulla più ampia libertà di tutti i gruppi etnici e religiosi. Là l'organizzazione anarchica, vale a dire l'organizza- zione dal basso all'alto mediante la libera federa. zione, non sarebbe solo un'ideale di vita sociale superiore, ma una necessità, urgente imposta dalla circostanze. Ma é certo che quella é la soluzione che nessuno dei potenti, da cui dipende il corse delle cose, .vorrebbe neppure mettere in discussione. . E poiché di libertà, vera non può esser questione, noi, francamente, non sappiamo neppure che cosa augurarci. Dalla pace o dalla guerra europea, dalla prolungata vita dell'Impero turco o dalla sua dia- soluzione, dall'ingrandimento dell'Impero russo o dal suo fiaccaxnente, possono sorgere circostanze ed av- venimenti utili o dannasi men la ausa del prole- tariato, che noi non possiamo né prevedere né diri- gere. Il. fatto é che, oggi tutta la politina é dominata dal- l'egoismo di dinastia e di classe, e quindi tutto ' é volto a.. danno del proletariato: il bene non viene che e dall'incontro involontario e fortuito di circo- spanze, o dalla resistenza cosciente del proletariato stesso. •Tutto quello che noi possiam fare, tutto quello che noi dobbiam fare é di risvegliare la coscienza del proletariato e concorrere a che si tenga Pronto per profittare degli eventi quali che saranno. (Dal numero unico "L'Agitatore" — sostituente, per l'arresto del „gerente e di qualche redattore, il n. 7 de "L'Agitazione" — di Ancona, del 25 'apri- le 1897.) LA GUERRA EUROPEA e l'organizzazione internazionale del lavoratori L'Europa é nuovamente minacciata da una guerra generale. Mentre la diplomazia si vantava di esser riuscita a localizzare il conflitto turco-greco, ecco che, ora che si dovrebbe far la pace, le pretese naturali e prevedibili della Turchia vittoriosa susci- tano ancora le mal celate rivalità delle potenze eu- ropee e creano forse il più grave pericolo di guerra che vi sia stato in questi ultimi tempi. La guerra fra i popoli civili d'Europa sarebbe un immenso disastro: disastro non solo per le vite spente e le rovine accumulate, ma più ancora per le cattive passioni che cucita, per gli orgogli patriot- tici che alimenta, per il lungo strascico di odii e di rancori che lascia dietro di sé. E' vero che là guerra, scuotendo la compagine dello Stato e distruggendo, nel paese vinto, il pre- stigio dell'esercito e del governo, può in certe cir- costanze essere occasione propizia per radicali tra- sformazioni politiche e sociali — e, se quelle circo- stanze si presenteranno, speriamo che il proletariato ed i partiti avanzati dei diversi paesi sapranno profittarne. Ma é purtroppo vero che il sentimento patriot- tico, nel senso peggiore della parola, e gl'istinfki sanguinarli sono tutt'altro che spenti, e ripiglian vigore inaspettato ogni volta che tuona il cannone ed il sangue corre. In Italia, dopo Abba Carima, abbiamo ben avuto - un'esplosione di sdegno popolare ed un grido gene- ralo in favore della pace; ma é stato perché i soldati italiani furono vergognosamente battuti, e d'altra parte il nemico vittorioso stava lontano e. non- poteva in nessun modo minacciare il suolo della patria. Se invece la vittoria avesse arriso alle armi italiane, tutta Italia sarebbe stata cbmmossa dalla gioia e dall'entusiasmo guerriero. Ricordiamoci del: 'lirismo di tutti i partiti, meno i socialisti, quando l'Africa sembrava loro promettitrice' di gloria e di ricchezza; e ricordiamoci degli entusiasmi popolari quando, prima della sconfitta finale irrimediabile, si annunziava come una vittoria gloriosa ogni più insi- gnificante scaramuccia. Crispi, violento, incapace, immorale com'é, ha potuto spadroneggiare per tanto tempo in Italia, e forse senza gli Abissini vi spadro- • neggerebbe ancora, semplicemente perché colla sua "grande politica" aveva saputo lusingare l'orgoglio degli italiani. E l'Italia é, nelle sue masse profonde, forse il popolo meno patriota del mondo! Perciò una rivoluzione sociale fatta in tempo di guerra o in presenza dell'invasore straniero é sem- pre molto difficile, ed anche avvenendo, facilmente degenera in puro movimento politico e nazionalista. guerra é una minaccia sempre sospesa sul capo. del proletariato europeo, una minaccia contro il pro- gresso, una minaccia contro le nostre migliori spe- ranze. Scoppierà ora per la questione d'Oriente, o più tardi per un'altra questione qualsiasi, essa é il termine fatale verso il quale camminano gli Stati europei, e nel quale cercheranno la soluzione delle ine-stricabili difficoltà politiche e finanziarie in cui 'si vanno sempre più impigliando. Certo i governi stessi la temono per gl'imprevidibili risultati e so- pratutto per le conseguenze interne che potrebbe. avere nei valli Stati; ma essi vi sono spinti dalla. necessità; e, d'altra parte la guerra é pur sempre l'ultimo, il supreme mezzo di cui i governi dispon- gono, per deviare l'attenzione del popolo dai pro- blemi sociali ed arrestare in tempo l'organizzarsi minaccioso del proletariato. Solo la ferma decisione dei proletarii a non volere scannarsi tra di loro per, la maggior gloria dei loro padroni può, e deve, impedire la guerra e relegare per sempre quest'avanzo, di barbarie fra le triste memorie del passato. E' quasi una banalità il dire che la guerra non 11 si può fare se il popolo non la vuole; ma tutta la nostra propaganda é fatta di una simile banalità: persuadere il popolo che egli può quel che vuole, se solamente sa volerlo con coscienza e fermezza. E' il popolo che fa la guerra perché é esso che fornisce i soldati, é esso che fa il servizio di tra- spoRo e di approvvigionamento. Se ad ogni voce di guerra i soldati si rifiutassero di marciare, o gli operai degli arsenali e fabbriche d'armi si mettes- sero in isciopero, o gl'impiegati ferroviarii si rifiu- tassero di concorrere al trasporto di soldati, mate- riali e provvigioni da bocca sul teatro della guerra, o i minatori cessassero dell'estrarre ed i facchini dal trasportare il carbone che serve per le ferrovie, per la flotta e per le officine militari, già non vi sareb- bero più guerre possibili. Anni Or sono la propaganda antimilitare fra il popolo era più attiva di oggi; ed il 1870 si ebbero

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