Studi Sociali - anno III - n. 21 - 30 settembre 1932

STUDI SOCIALI n. 17, già dato in tipografia, non poté uscire. Una misura draconiana del governo sopprimeva la rivista anarchica insieme a tutta la stampa italiana di op- posizione o semplicemente indipendente. Costretto al silenzio più assoluto in Italia, Mala- testa non rinunciò lostesso a vivere la vita del pen- siero anarchico. Anche dopo il 1926 ha continuato a scrivere collaborando nella stampa delle sue idee all'estero. La maggior parte dei suoi scritti sono ap- parsi, da allora, nel Risveglio Anarchico di Ginevra e negli ultimi tempi nell'Adunata del Refrattari di New York, senza contare la collaborazione saltua- ria in altri periodici: Lotta Umana e Libertaire di Parigi, Vogliamo di Biasca, Almanacco Libertario di Ginevra, Probuzhdenie di Detroit, Studi Sociali di Montevideo. Fra gli ultimi scritti di Malatesta vanno menzionati, per speciale importanza, unkeste- sa prefazione al recente libro di Max Nettlau "Ba- kounin e l'Internazionale in Italia" (Ginevra 1928) e la critica ad un progetto di "Piattaforma anar- chica" di un gruppo di compagni russi (1927). L'ul- timo suo scritto fu un articolo polemico sul "revi- sioniamo anarchico" pubblicato nell'Adunata dei Re- frattari del 12 marzo di quest'anno (1932). Con l'averlo costretto a sospendere ogni attività pubblica in Italia, il fascismo 110T1 smise le sue per- secuzioni contro Malatesta. Non si osò, data la sua tarda età, imprigionarlo o confinarlo, ma si riuscì nella forma più subdola e ipocrita a isolarlo com- pletamente, come un carcerato o un appostato, con- tinuando a tormentarlo con ripetuti soprusi. I poli- ziotti, forniti d'automobile e motocicletta, stettero in permanenza, giorno e notte, dal principio del 1927 in poi, nel portone del suo caseggiato nel quartiere dì Porta Trionfale, come in un corpo di guardia. E uno di essi, come sentinella cui si dava il cambio ogni tante ore, restava sempre davanti all'uscio dell'appartamento, sul pianerottolo al terzo piano. Se Malatesta usciva, era seguito da una scorta; e cosi pure la sua compagna Elena Molli e la figlia di questa, Gemma. Se egli andava in qual- che casa, la polizia pretendeva entrare anche lei. Chiunque si recava a visitare Malatesta, o lo fermasse per via o salutasse, veniva fermato, perquisito, por- tata in polizia, e più d'uno, soltanto per ciò, ha dovuto subire il carcere o il confino. Due volte, nel 1926 e nel 1920, Per ordine dei medici, tentò la cura dell'aria marina, recandosi in piccoli paesi in riva al mare — a Elena e a Terra- cina — ma dovette ripartire dopo due o tre giorni, e tornare a Roma, tanti erano i soprusi commessi da fascisti e poliziotti, in odio a lui, contro i suoi ospiti e chiunque lo avvicinasse per i più semplici motivi. La sua corrispondenza era tutta controllata dalla censura, e sp_esso non g11.venivc consegnata affatto. Le stampe estere gli erano tutte sequestra- te. Si tentò perfino, senza però riuscirvi, di impe- dire che le banche gli trasmettessero danaro invia- togli dall'estero da qualche amico. Una volta un professore dell'Università di Roma, del tutto apoli- tico, fu attaccato dalla stampa fascista, sospeso dalle lezioni e messo sotto inchiesta, solo perché Mala- testa ad insaputa di lui era andato ad ascoltarlo! Ogni tanto la polizia faceva perquisizioni in casa di Malatesta, si sequestrava qualche libro o giornale, qualche lettera, qualche articolo in preparazione, ecc, Per lo più si andava da lui, coi pretesti più stupidi, per accertarsi della sua presenza, quando per ragioni di salute non usciva di casa. Né manca- . rono fastidi anche più gravi. Nel 1928, dopo l'esplo- sione della bomba del piazzale Giulio Cesare a Mi- lano, si arrestò la sua compagna, la Melli, solo perché milanese; e la si tenne in carcere per circa due mesi, rilasciandola alfine senza neppure averla interrogata. Altra volta la figlia Gemma, studentessa, fu aggredita, vicino a casa all'angolo di un caffé, a colpi di seggiola al capo e ferita, da un poliziotto per vendetta di un rimprovero dei suoi superiori, dopo un 'incidente cui aveva dato luogo la sorve- glianza cui era sottoposta la ragazza. Non v'é da meravigliarsi, dopo detto ciò, che data l'età di Malatesta che si avvicinava ormai agli 80 anni, la salute di lui si facesse sempre più ca- gionevole. Forti emorragie bronchiali l'avevano già nel 1926 messo in pericolo di vita. Poi si ristabilì, pur passando ogni inverno attraverso qualche crisi. Ma dopo una grave ricaduta in primavera dell'anno scorso (1931) non si rimisi, più bene. Contro il so- lito, il caldo dell'estate successiva ne prostrò le forze; e appena venne l'Inverno cominciò a sentirsi più male, e a doversi ogni tanto aiutare con l'os- sigeno per respirare. Il suo cuore s'indeboliva fisica- mente sempre più, benché moralmente resistesse ' con la più grande energia. Continuava a scrivere lettere agli amici e qualche articolo con la consueta „fiducia nell'avvenire. Ma il 26 del marzo scorso (1932) un attacco di — bronco-polmonite, innestatasi sulla sua bronchite cronica lo abbatté e ridusse di nuovo in fin di vita. Si rimise ancora un pó, in maggio, tanto da lasciare il letto, girar per le stanze, dormire un pó meglio, riprendere le relazioni epistolari coi compagni. Ma per poco! In giugno gli rivennero forti febbri; e, dopo un altro intervallo di brevi speranze per un piccolo miglioramento, — 1'11 di luglio tentava di scrivere ancora qualche lettera, — quasi improvvisa- mente, venne la fine. Ebbe due o tre giorni di ago- nia; ed il 22 luglio, alle ore 12 e venti minuti, spirò. r Errico Malatesta, il nostro caro compagno, il com- battente instancabile per tutte le libertà, l'amico fedele del proletariato, l'apostolo della rivoluzione e dell'anarchia, ha finito coal la sua lunga, faticosa ed eroica giornata. Oggi egli appartiene alla storia, insieme ai grandi del pensiero e dell'azione che ono- rarono l'umanità, dopo aver tanto sofferto e combat- tuto per lei. FOSSA COMUNE La salma di Errico Malatesta é stata sep- pellita segretamente la mattina del 23 lu- glio u. s. a Campo Varano nella fossa comune dei poveri dì Roma. (Dai giornali.) Nel solco é morto il buon seminatore. E avea la mano piena di semente. Nelle sue vene, che battevan l'ore dell'attesa impaziente, s'é fatto il gran silenzio e sopra gli occhi, che vedevan lontano, l'ombra infinita preme la sua mano rigida. Quella voce che muove ancor l'esercito dei paria non muove or nello spazio un soffio d'aria. * * E' caduto nel solco. Sui nemici nero-vestiti é scesa la paura. Han cancellato la sua sepoltura, perché dal marmo non possa parlare; l'hanno affondato nella terra oscura perché nessun lo possa ritrovare. L'hanno nascosto, il buon seminatore, nella fossa di tutti. E' la sua fossa quella, perché di tutti era il suo cuore. La carne sua si fa terra fra l'osga (Da una lettera personale da Roma) Roma, 30 luglio 1932. ...Il povero Errico ha sofferto atrocemente. Fin da principio di quest'ultima malattia fu sempre pes- simista; e diceva sempre che questa volta non se la sarebbe cavata. Però, superato il primo perico- losissimo attacco, superate altre due ricadute che eb- be in seguito, in fine non si credeva più che succe- desse quello che é successo, anche perché si andava verso la buona stagione e si credeva fermamente che egli potesse arrivare almeno fino alla ventura primavera. E' stata, l'ultima ricaduta che l'ha ucciso, una cosa repentina, ormai davvero inaspettata. Nemmeno lui se lo credeva più, come puoi capire dalla sua ultima a te dell'Il luglio, rimasta incompiuta. Si era ridotto ad un tale stato di debolezza, che faceva venire le lacrime agli occhi a chi andava a trovarlo. Il suo povero cuore, quel cuore coal grande che sapeva tanto amore, non ne poteva più. Avrebbe dovuto mangiar molto per riacquistare il perduto e invece mangiava pochissimo; si sforzava tanto, ma non poteva. Quello che più lo tormentava era l'affanno: non respirava più; non trovava un Minuto di pace,. non poteva dormire un quarto d'ora consecutivo. Eppure sopportava queste strazianti sofferenze con rasse- gnazione, quasi volentieri, pur di vivere. Diceva al dottore: "Dottore, non mi faccia morire. Soffrireb- bero troppo queste due donne mie e tutti i miei amici che ho sparsi per il mondo. Eppoi é tanto duro morire ora, morire proprio alla vigilia di gran- di' avvenimenti, dopo averli aspettati Per tutti la vita!» Non voleva allontanarsi dal suo scrittoio: notte e giorno stava sempre li a sedere su quella sua sedia, al suo tavolo, e non lo voleva abbandonare a nessun costo. Se ne allontanava colo qualche momento per buttarsi sul letto o sulla poltrona. Anche quando era in agonia e non si moveva più, un piccolo movimento che faceva, lo faceva colle gambe: l'atto di scendere dal letto per portarsi a, tavolo. Perché il tavolo per lui ormai rappresentava la vita, dove si occupava delle sue idee predilette, dove s'intratteneva con i compagni lontani, leggendo e rileggendo le loro lettere e scrivendo ad essi. Si dei senza nome, esperte d'ogni affanno. (I senza nome lo ricorderanno il nome suo nel di della riscossa.) • * * Han disperso il suo corpo affaticato; hanno avuto paura del dolore; ma non han visto il solco seminato dell'odio suo fecondo e del suo amore. Da quel solco in un prossimo dimane germogliera l'amore in tanto pane. (Pane per tutti, vincitori e vinti, ché di tutti é la fame.) E l'odio santo svegliera nel cuore della terra profonda i forti istinti della rivolta e il fuoco distruttore. Le mille braccia della piovra infame a tutti i frutti della terra avvinte, cadranno nella gran luce stroncate, morte. Sulla gran tomba non piú sola ripeteremo allor la sua parola: "Come fratelli il vostro pan mangiate! Non ubbidite mai! Non comandate!" 111ontevideo, 7 agosto 1932. LUCE FABI3R1. (Dal volumetto di recentissima pubblicazione "I Canti dell'Attesa". — Edit. O. M. Bertani, Montavi- deo. — $ 0.50.) Da lettere giunte in questi ultimi giorni dall'Eu- ropa sembrerebbe che il nostro Malatesta sia stato sepolto nel "campo comune" e non nella fossa co- mune, come pubblicò qualche giornale di qui: il che nulla toglie, però, al sentimento ispiratore di questi versi, scritti sotto la penosa impressione della prima notizia. aggravo irreparabilmente il 18 luglio; e da allora non si alzò più. Tutto il tempo della sua malattia ha pensato sempre ai compagni, al gran dolore che stava per dar loro. Si commoveva fino alle lacrime quando il suo pensiero andava ai più cari amici e li vedeva ricevere l'annunzio della iruzt morte. Parlava della sua compagna, della figlia, e si torturava a pen- sare come avrebbero fatto a vivere dopo morte lui. E si preoccupava di Gemma che ancora non ha finito gli studi. Due notti prima della catastrofe Gemma lo vegliava. Verso le due Errico si svegliò: aveva tutta la sua intelligenza, vide la ragazza chi- na su di lui, la guardò fisso, l'abbracciò forte, la chiamò a nome e sorrise. Fu il suo ultimo addio. Nei due giorni seguenti, gli ultimi, non parve •piú sentir nulla e non guardò più. Egli spirò velar& 22 luglio, alle ore 12 e 20 minuti. Erano attorno al suo letto, in quell'estremo mo- mento, Elena e Gemma, il nipote Edoardo, un gio- vane che abita al piano inferiore ed_ una donna di gran cuore che da quattro mesi .aiutava a vegliarlo. La polizia, appena seppe che Errico era spirato prese tutte le misure per impedire che i comPagni andassero a vederlo e per evitare ana possibile in- tesa fra loro pei funerali. Furono, mandati per le scale del caseggiato del piazzale degli Eroi, n. 8, dove al III* piano Malatesta. abitava in un piccolo appartamento di due camere e cucina, una decina di poliziotti e un commissario, oltre quelli che- c'e- rano già in servizio regolare. Essi prendevano le generalità a tutti quanti si avvicinassero alla Poha del morto. Altri poliziotti in bicicletta giravano intorno al caseggiato, a un raggio più largo, per scioglie;e i gruppi che si formavano, impedire che i coma- gni si dirigessero verso la casa ed evitare in ogni moda che la notizia della morte si spargesse. Con tutto ciò una quindicina di compagni, fra uomini e donne vi si recarono lostesso. I funerali furono fissati per il sabato 23, alle ore 15. L'itinerario fu fissato dalla polizia. La stam- pa tenne un silenzio assoluto: neppure una riga! Degli avvisi rnortuarii dei parenti, mandati a paga- mento ai giornali, non furono pubblicati. Saputasi la notizia all'estero, i giornali stranieri telegrafa. LA MORTE DI MALATESTA E I FUNERALI

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