Studi Sociali - anno III - n. 21 - 30 settembre 1932

STUDI SOCIALI Scrivo a Sani illan perché provi a mandarini il Suplemento. Forse passerà come passa l'En- eyclopedie anarehiste. Io ho sempre viva la speranza di abbracciarti in carne e ossa. Intanto ti abbraccio spiritual- mente, come pure Bianca e Luce, Tuo ERRICO. Roma, 11 luglio. Mio carissimo Gigi, Ricevo la tua del 16 giugno. Altra tua re- cente é quella del 31 maggio a cui risposi il 30 giugno. Dalla tua mi sembra capire che tu sei, se non completamente guarito, almeno sulla via della guarigione: e 'naturalmente ne sono felicissimo. Ma vorrei sapere di più e perciò* ti prego ar- dentemente di darmi tutti i particolari possi- bile, riguardanti la tua malattia e il suo de- corso e le cure che ti fanno fare. 'In quanto alla salute - mia sono invero poco contenta. Neanche questa volta morró, ció mi pare certo; ma stenteró molto a riacquistare le forze per servire a qualche cosa. Ora mangio e digerisco discretamente; ma mi manca sempre il respiro e senza il soccorso dell'ossigeno non so come farei. Fra l'altro non potrei uscire di casa senza farmi trascinar dietro una bombola di ossigeno: cosa come comprendi per me assolutamente im- possibile. Poco a poco (La lettera si arresta qui e non fu più termi- nata.) Per una migliore comprensione dello stato d'animo di Malatesta durante i suoi ultimi giorni, crediamo bene riprodurre da "Il Risveglio Anarchico" di Gi- nevra (n. 854 del 30 luglio 1932) due brani di let- tere molto significative a Luigi Bertoni, da cui si rivela tutta l'anima di Malatesta. Egli si rendeva conto della sua prossima fine. Evidentemente l'ot- timismo che si sforzava di mostrare al Fabbri, nelle lettere riprodotte più sopra, era determinato dal de- siderio di non affliggere troppo l'amico piú lontano che sapeva essere anch'esso ammalato. Ecco la prima lettera, di cui non é detta la data, ma che dev'essere più o meno del maggio scorso: Elena non ti ha scritto perché l'ho trattenuta io dicendole che volevo scriverti a lungo io stesso. Ma le forze mi sono mancate finora ed é a stento che ci provo adesso. lo sono stato molto gravemente ammalato: cre- devo sul serio che fosse la fine. MI hanno quasi pianto per morto e per parecchi giorni mi han te- nuto in vita somministrandomi ossigeno a migliaia di litri. Poi le cose volsero al meglio ed ora dicono che sono fuori pericolo, anzi che sono addirittura in convalescenza. Sara poi vero? lo ci credo perché si crede sempre facilmente a quello che si desi- dera. Ma in verità sto ancora molto male e senza ossigeno non credo che potrei andare avanti. Passo una parte del giorno mezzo dormendo, come abbru- tito (la notte generalmente non posso dormire), e nell'altra parte vivo la tragedia intima dell'animo mio, cioé son commosso per il grande affetto che i compagni hanno per me e nello stesso tempo mi tormento per il pensiero di averlo tanto poco me- ritato e, quel che é molto peggio, per la crescente coscienza di non potere forse far più nulla nell'av- venire. Francamente, quando si é tanto sognato e tanto sperato, é doloroso morire nelle condizioni in cui forse morrò io, alla vigilia forse di aspettati avve- nimenti. Ma che vuoi farci? Forse non mi resta più che aspettare la fine tenendo innanzi agli occhi della mente l'immagine di coloro che mi hanno tanto amato e che io ho tanto riamato. Mi viene il dubbio che questo te l'ho già detto l'ultima volta. Ho la testa tanto confusa. Fatti interprete, ti prego, presso i compagni del mio affetto e della mia gratitudine, e ricevi tanti abbracci. Con tutto l'animo mio Tuo ERRICO. Quest'altra lettera era in data del 30 giugno: Ricevo la tua, di cui ringrazio te e gli amici. Mio buon Luigi, possa tu conservare per lungo, lungo tempo la tua vigoria e la tua capacità di la- voro. In quanto alla mia salute, qui si sforzano per farmi credere che sto meglio, ed io per non afflig- gerli troppo fingo di Crederci. Ma so che non é vero. E' vero però che Il bel tempo ed il caldo, su cui io spero tanto qui non é ancora cominciato: vi ha dunque ancora luogo a speranza. Se mi mandi la traduzione di Brupbacher della Confessione di Bakunin, mi farai piacere. M'interesserebbe di più il vedere, almeno di tanto In tanto, qualche numero del Réveil Risveglio. Cid servirebbe a non tenermi tanto lontano dal movi- mento; ma pare che non sia cosa possibile. Ti abbraccio forte forte, anche da parte di Elena e Gemma. — Tuo ERRICO. In passato sono state scritte delle biografie di Malatesta, prima fra tutte e più estesa quella di Max Nettlau. Ma quasi tutte si arrestano al 1920, meno l'edizione spagnuola di quella di Nettlan che va innanzi per altri due o tre anni; me.ntre l'edi- zione italiana, che non abbiamo presente, anch'essa finiva (se ben ricordiamo) poée dopo l'arrivo di Errico Malatesta in Italia da Londra, sulla fine del 1919. Crediamo bene aggiungere qui poi nostri lettori, come una specie di completamento provvisorio di quelle biografie, questi altri cenni sulla vita poste- riore di Malatesta fino alla morte. Sono cenni af- frettati e brevissimi (come ci sono consentiti dalla brevità dello spazio) che ci riserbiamo di correggere e ampliare in seguito, — contando anche sulle cor- rezioni e aggiunte che possono esserci suggerite dagli amici lettori — per utilizzarli per un lavoro di più vaste proporzioni sulla vita ed il pensiero del nostro amato e grande scomparso. * * Anche prima che la guerra mondiale stesse per terminare, nel 1918, Errico Malatesta chiese più volte al consolato italiano in Londra, — dove era tornato alla fine di giugno del 1914, dopo la "setti- mana rossa" di Romagna e delle Marche, — il pas- saporto per l'Italia; ma lo poté ottenere, sotto la pressione di una agitazione popolare che andò cre- scendo nella penisola, solo nel 1919. Anche col pas- saporto, su istigazione del governo italiano, i governi inglese e francese tentarono d'impedirgli il viaggio, e per rientrare in Italia, dovette venirci di nascosto, sopra una nave mercantile greca che lo sbarcò a Taranto verso la fine di dicembre. Giunto in incognito da Taranto a Genova, qui fu accolto trionfalmente dalla folla operaia. Nel primo giro che fece subito, per propaganda e ricognizione, in tutta l'Italia settentrionale e centrale, le stesse folle entusiaste e acclamanti si addensavano al suo passaggio e correvano ad udirlo nei comizi indetti in ogni città. Egli ebbe subito la impresiione che la rivoluzione in Italia era possibile, anzi gite in atto, e che era necessario cogliere subito il momento fa- vorevole; "altrimenti — come disse in un comizio di quei giorni nel teatro massimo di Bologna — dovremo scontare a lacrime di sangue la paura che non c'erano industrie. Purtroppo non fu ascoltato abbastanza e quel magnifico movimento terminò con l'abbandono delle fabbriche da parte degli ope- rai, ingannati dalle stupide promesse fatte ai depu- tati socialisti dal governo di allora. Cominciò subito dopo l'offensiva reazionaria capi- talistica e statale. Contemporaneamente agli anar- chici di varie città d'Italia, Malatesta fu arrestato in Milano il 17 ottobre, appena tornato da Bolo- gna dove aveva soggiornato 15 giorni in casa mia (completandovi il suo libro di dialoghi "Al caffé"), e dove aveva partecipato 3 giorni prima ad un gran comizio pro vittime politiche terminata con un grave conflitto tra la folla e la polizia. Si imbusti contro di lui e i compagni Borghi, Quaglino e Baldini un processo interminabile, per far decidere il quale gli imputati iniziarono il 18 marzo-Io sciopero della fame, che presto fece temere per la vita di Mala- testa. Ciò eccitò enormemente gli animi. La notte del 23 marzo si ebbe un tragico attentato con una bomba che fece molte vittime al teatro Diana di Milano. In seguito a ciò gli imputati, per l'insistenza degli avvocati di difesa, riluttante Malatesta, cessa- rono lo sciopero. Il processo contro Malatesta e com- pagni fu fatto il 27, 28 e 29 luglio (1921), e fini con un'assoluzione generale. Intanto Umanità Nova, che dopo l'attentato del Diana era stata distrutta in Milano dai fascisti, ave- va il 1? Maggio riprese le pubblicazioni a Roma. Malatesta, liberato, andò di nuovo a dirigerla, inten- aificandovi subito una strenua lotta contro il fasci- smo, che durante la sua prigionia era diventato una forza sempre più minacciosa. Si interessò in Ro- ma ai tentativi di formazione armata antifascista degli "arditi del popolo"; fiancheggiò col consiglio personale, la penna e la parola in pubblico gli sforzi dell"Alleanza del lavoro" (concordata fra le varie organizzazioni sindacali), influendo non poco sulla deliberazione dell'ultimo sciopero generale nel luglio di quell'anno, ecc, senza can ciò trascurare le iniziative del movimento anarchico. Nel maggio fu con altri compagni ad un convegno a Spezia con l'anarco-bolscevico II. Sandomirsky della delegazione ufficiale russa, per tentare qualcosa in favore degli anarchici perseguitati in Russia; e nel settembre riusci a recarsi inosservato in Svizzera, a Bienne e Saint-Imier, ad una riunione internazionale in l'Italia con la "marcia su Roma". Già dall'agosto, a causa dell'impedimento che dovunque, fuori di Ro- ma, il fascismo opponeva alla diffusione di tutta la stampa libera, Umanità Nova aveva dovuto mu- tarsi da quotidiano in settimanale. Il 30 ottobre la tipografia e la redazione furono una seconda volta invase e devastate dagli squadristi, nei loro locali nel quartiere di Santa Croce in Gerusalemme. Ma. latesta riuset a pubblicare ancora due numeri del giornale in altre tipografie (l'ultimo usci il 2 di- cembre 1922); ma alfine venne la soppressione uf- ficiale, d'ordine del governo, l'arresto dell'ammini- stratore, il sequestro del danaro in cassa e l'inizio di un processo contro Malatesta e parecchi redattori e collaboratori. Questo processo non ebbe alcun seguito; ma Uma- nità Nova era morta, questa volta definitivamente. Malatesta, spezzatagli in mano la penna, apri di li a poco una piccola bottega-officina di elettri- cista meccanico in via San Giovanni in Laterano in Roma, e riprese senza scoraggiarsi il suo vecchio mestiere londinese. Lavoro non gli mancava; ed era chiamato in uffici, case private e stabilimenti per riparazioni e installazioni di apparecchi a gaz ed elettricità, in cui egli era assai esperto. Però gli amici si accorsero presto che quel lavoro era troppo gravoso per la sua età; ed inoltre il lavoro gli era reso difficile e ostacolato dalla polizia, che distur- bava coloro presso cui andava a lavorare, giungendo fino ad invadere e perquisire le abitazioni dei suoi clienti occasionali. Dopo un anno circa, in occasione che Malatesta compiva, alla fine del 1923, il suo 709 anno, si pensò di dargli modo di tornare ad un lavoro intellettuale, profittando del fatto che il re- gime fascista lasciava ancora, in quel tempo, una larva di libertà di stampa. Messo insieme il danaro necessario, Malatesta poté iniziare il 1? gennaio 1924 la sua rivista Pensiero e Volontà, l'ultima pubbli- cazione regolare da lui curata. Questa rivista lin vissuto per quasi tre anni una vita che si fece presto assai travagliata. Raggiunse subito una grande diffusione; ma la prepotenza fa- scista non la lasciò tranquilla. Ristabilita la censura nel giugno 1924 dopo l'assassinio di Matteotti, Pen- siero e Volontà veniva colpita ad ogni momento e con frequenza sempre maggiore. Solo il primo anno ne poterono uscire tutti i 24 numeri. Nel secondo anno ne uscirono, oltre le edizioni purgate, soltanto 16 numeri e altrettanti nel terzo. L'ultimo usci il 10 ottobre 1926. Nel settembre, dopo l'attentato di Gino Lucetti contro la vita di Mussolini, Malatesta era stato arrestato e tenuto 12 giorni in carcere. Dopo l'altro attentato di Anteo Zamboni a Bologna, della fine d'ottobre, egli sfuggi all'arresto nascondendosi; ma quando, passato Il pericolo, tentò far uscire di nuovo Pensiero e Volontà, non fu più possibile. Il mediato del popolo sceso in piazza in tutta la re- gione ne impose la liberazione immediata. In occa- sione di comizi pubblici in cui egli parlava, più volte si tentò di assassinarlo; i poliziotti provocavano di- sordini ed eccidi, e poi sparavano verso i punti in cui egli si trovava, come fu fatto a Milano, Piacenza e Firenze. Ma egli non si impressionava di ciò, e non mancò mai di recarsi tra le masse ad ogni chiamata e in tutte le occasioni propizie. Sulla fine di febbraio andò a stabilirsi a Milano. per redigervi il quotidiano Umanità Nova, di cui aveva scritto il programma fin da Londra. Il gior- nale usci il 28 febbraio 1920. Fu quello un ardente giornale di battaglia e di. idee, che presto arrivò ad una tiratura di 50 mila copie. Malatesta vi pro- fuse insegnamenti e consigli d'indole pratica pel trionfo e la vita della rivoluzione; ed insieme scritti di carattere teorico e polemico, specie sull'indirizzo libertario (antidittatoriale) da dare alla rivoluzione stessa. Discusse con le varie correnti socialiste e rivoluzionarie, sempre in torma cortese, sostenendo la necessità d'una superiore armonia nella lotta co- mune, non escludente la più intransigente fedeltà alle proprie idee. Il governo italiano era furioso contro Umanità Nova, e tentò tutti i modi di ostacolarne la vita. Una volta ci Volle la minaccia di uno sciopero nelle mi- niere di lignite nel Valdarno per imporre al governo (che allora teneva il controllo della carta da stam- pa) che lasciasse consegnare al giornale la carta oc- corrente e già pagata. Al lavoro di pubblicista Malatesta univa quello di organizzatore. Appena giunto in Italia si associò ai compagni della "Unione Anarchica Italiana" fonda- tasi a Firenze l'anno prima, avente l'indirizzo teo- rico e tattico da lui propugnato da più di 30 anni. Partecipò a tutti i suoi congressi posteriori, la di- fese nelle polemiche, la rappresentò nei convegni inter-proletari e ne scrisse il programma di principii. Però, lungi da ogni settarismo, egli propugnò sempre il buon accordo e la cooperazione fraterna anche con gli anarchici di tutte le altre tendenze. Umanità Nova restò sempre, fino all'ultimo, l'organo comune di tutti gli anarchici. Contemporaneamente sviluppava un'intensa opera di agitatore, come oratore, chiamato nei vari punti d'Italia per ogni occasione importante. Durante l'oc- cupazione delle fabbriche (agosto- settembre 1920) spiegò un'attività febbrile, non solo con gli scritti nel giornale, ma intervenendo di persona a una infinità di riunioni pubbliche e private e andando nelle fabbriche occupate, in Milano, per incitare alla resistenza e all'estensione del movimento. Era, secondo lui, l'occasione migliore, quella, per una ri- voluzione fortunata, senza spargimento di sangue. Bisognava occupare le officine di tutte le altre in- dustrie, le terre, ecc, e scendere in piazza dove Gli ultimi bi edici anni di vita dì L. Malatesta ora facciamo i alla borghesia". memorazione del cinquantenario del 1? congresso L'odio dei capitalisti e reazionari si scatenò subito anarchico di Saint-Imier del 15 e 16 settembre 1872. furioso contro di lui. I giornali Io coprivano di Poco più di un mese dopo il ritorno di Malatesta contumelie e inventavano le più stupide frottole e dalla Svizzera a Roma, agli ultimi di ottobre, le anunie contro di lui. La polizia tentò nel. febbraio (1920) di arrestarlo in Toscana, ma lo scatto im-----b"4"—"*"?f•agetalÀ*-0**I0letavalla l'occuna~ del-

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