Studi Sociali - anno III - n. 17 - 21 febbraio 1932

gusta ed arbitrarie. Il cattolicesimo é nato quando sono cessate le persecuzioni ed Il cristianesimo é uscito dalle catacombe per conquistare, attraverso il potere delle legion·i romane, il mondo. Al pri– mo contatto non ostile fra gli uomini del cristia– nesimo e il potere politico e statale, lo spirito cri– stiano é morto ed é sorta la Chiesa. Sono cose vec– chie, per6 é bene ripeterle. Cristo aveva ignorato lo Stato, l'autorità ufficiale. Mettendo la coscienza, sia pure religiosa,· dell'individuo in una posizione d'assoluta indipendem,a rispetto a<l essa, l'aveva in sostanza quasi negata. La Chiesa cattolica, di– ventando ella stessa un'istituzione ufficiale, é entra– ta con armi e bagagli in quel campo prettamente terreno da cui Cristo s'era deliberatamente tenuto lontano. E il distacco s'é accentuato sempre più attraverso •i secoli; la forma ha soffocato sempre più la sostanza, la politica ha assor6ifo sempre più l'apostolato. Di tanto in tanto grandi figure sono sorte, piene cl'ardore e di spirito cli sacrificio. Ma quasi tutte han votato la loro vita non direttamente a un fine d'apostolato morale e religioso, ma alla grandezza d'un istituzione che si era ,sovraposta e quasi sostituita agli antichi ideali, di cui aveva con– servata la parola e perduto lo spirito. Ci sono delle eccezioni, come Francesco d'Assi– si e qualche altro, ma non bisogna dimenticare che i veri seguaci di S. Francesco, quelli che veramente avevano ereditato la sua gran fiamma d'amore, fi– nirono, agli occhi della Chiesa, neU'eresia. Com'é perfettamente naturale, ci6 che costituisce l'essen– ,a della morale cristiana si ritrova, nel corso del– la storia, assai pili nelle varie eresie che nelle chie-– se ufficiali. E quando é successo che un'eresia s'é fatta tanto potente da assumere un carattere uffi– ciale, a poco a poco il suo principio vitale s'é per– duto ed é rimasta solo l'etichetta a cui si sono som– mati i vari attributi che da il potere, che sono pres– s' a poco uguali per tutti. Sarebbe questa una pro– va di più - se ce ne fosse bisogno - della tre– menda forza corruttrice del potere. Vari fattori storici han fatto assumere fin dal principio alla Chiesa quella veste prettamente autoritaria che s'é andata sempre più accentuando e che l'ha staccata completamente dalle sue origi– ni. Prima di tutto la rivalità con le altre chiese che sorgevano o minacciavano di sorgere sullo stesso suo ceppo. Il pullulare delle eresie nei primi secoli fece comprendere alla Chiesa di Roma la necessità d'una rlg,ida disciplina interna, Ja necessità di sta– bilire il dogma e d'abolire la discussione, la neces– sità di trasformare Il clero in esercito e d'abolire l'iniziativa particolare. Bisogna riconoscere che qu&– sta rigida organizzazione é un fattore di vittoria; ma a che prezzo, questa vittoria! Per arrivare al trionfo la Chiesa é giunta a soffocare in sé e Intor– no a sé tutti i principi per la cui <lifesa era sorta. Al tempo poi delle invasioni barbari- che, In mezzo allo sfacelo dell'Impero Ro– mano, la Chiesa assunse un'importanza politica straordinaria. Fu l'elemento centralizzatore in un mondo ridotto a frammenti caotici; fu l'erede del– l'imperialismo universalistico di Roma antica nella confusa nebulosa dell'Europa medioevale In cui si gestavano i vari mondi nazionali. Lo spirito autorii• tarlo di Roma, che il cristianesimo aveva cercato di rompere contrapponendo ali'•imperialismo armato un sentimento universale d'amore e di solidarietà fra gli umili, la Chiesa l'ha ereditato mascherando– lo appena colla forma esteriore del nuovi valori venuti dall'Oriente. E a questo spirito di imperialismo politico, ba– sato, più che sulle armi, sulla diplomazia in alto e sullo sfruttamento della superstizione popolare in basso, la Chiesa é sempre rimasta fedele, attra– verso i suoi periodi di decadenza come nelle epoche del suo splendore. A questo fine essa ha subordina– to tutto il resto. Per questo noi abbiam visto ieri la maggioranza dei sacerdoti cattolici esaltare la guer– ra, per questo vediamo oggi la Chiesa alleata del fa– scismo che nega continuamente dal primo all'ultimo tutti i valori cristiani. Mi sono soffermata un po' in questa contrappo– sizione fra il cristianesimo, che fu una rivoluzione, e la Chiesa, elemento conservatore ed autoritario per eccellenza, per dimostrare che il nemico che noi dobbiamo combattere é il cattolicesimo e che in que sta lotta lo spirito cristiano, senza Identificarsi con noi a causa del suo contenuto religioso, pu6 bene stare al nostro fianco. Ci sarebbero molte altre cose da dire su questo argomento; ma forse ho già speso troppe parole J)er dimostrare una verità che non ha bisogno d'es- STUDI SOCIALI sere dimostrata: che cloé tr11. gli anarchici, tra il pensiero libero In genere, e la Chiesa l'irreducibili– ta é completa. Come lo Stato é Il nostro nemico materiale, cosi la Chiesa é la nostra nemica spirituale, nemica ti– pica, giacché somma in sé e Il difenderà colle unghie e coi denti fino alla morte, tutti i principi che noi siamo sorti a combattere. Noi siamo i suoi avversllri naturali, assai più degli Stati che vedono in lei una rivale, assai pili dei comunisti (stavo per scrivere giacobini) che vogliono contrap– porre alla sua un'altra autorità e un'altra disciplina. Noi non neghiamo solo la qualité., n1a l'essenza stessa della sua dottrina e del suo metodo. Sia– mo di fronte a lei come un mondo di fronte a un altro mondo con cui le Interferenze sono impossi– bili e inevitabile il cozzo. Le due concezioni della vita fondamentali nella nostra civiltà, cioé da una parte la libertà, l'individuo, la decentralizzazione, il rinnovamento continuo, dall'altra la gerarchia, la disciplina, l'autorité. centrale, la tradizione, si tro· vano di fronte e sono tipicamente rappresentate cla noi e clal cattolicesimo. La Chiesa si pu6 considerare la cristallizzazione tipica del principio d'autorità anche più del fasci– :-;710 in quanto ne é l'espressione sub specie aeterni– tatis, mentre il fascismo e lo stesso Stato com'é attualmente, sono fenomeni contingenti. ( La fine al prossimo numero.) LUCIA FERRAR!. Anche questo numero esce con ritardo, dopo essere stato ultimato cla.parecchi gior– ni, a. ca.usa clella malattia. clel compilatore <!ella rivista, capitatag'li fra capo e collo du– rante il lavoro cli correzione e prolung·atasi oltre il preveclihile. Il mio credo sociale (Continuazione e fine; vedi numero precedente) Non vale la pena intrattenersi a mostrare le bel– lezze e attrattive di una vita libera. Ognuno pu6 im– maginarsela a modo suo, foggiarsi la sua piccola utopia e sforzarsi di metterla in pratica con coloro che pensano come lui. Di qui la relativa resistenza che abbiamo sempre opposto alla elaborazione di programmi anticipati della organizzazione della vi– ta futura e sopratutto l'orrore che ci incutono le soluzioni uniche che si vorrebbero far adottare dalle nostre organizzazioni. '1 problemi sociali, ebbe a dir-e qualche volta Mala– testa, non hanno una ma mille soluzioni, specialmen– te, si capi.soe,, dal punto di vista anarchico. Per questo, più ancora che proporre le nostre preferen– ze, ci interessa di stimolare in tutti gli amici no– stri e in tutti i gruppi Il desiderio ed il bisogno di realizzare una utopia propria, su cui essi siano d'ac– cordo, da essi sentita in rapporto al loro grado di coltura, alle loro aspirazioni, al loro ambiente. Non é per spirito di contradizioné che rifuggiamo dal– l'accettare una Ipotesi ricostruttiva determinata, bensl per principio, perché ci sembra di scoprire an– cora un fondo di autorità in ogni pretesa di organiz– zazione esclusiva e uniforme e perché per noi la migliore garanzia di vitalità per le prossime forme economiche e sociali consistera nella varieta, nella multiformità. D'altra parte noi non crediamo nelle rivoluzioni giacobine, con cui, a mezzo d'un colpo di mano o {l'una lunga guerra civile, i mezzi importan poco, si vorrebbe passare da uno stato politico ad un altro, da una economia all'altra. Una rivoluzione del gen&– re non sarebbe la nostra, perché noi gié. fin d'ora, in conseguenza con le nostre idee, 1·inunciamo al totalitaTismo incarnato dal giacobinismo rivoluzio– nario, forzatamente dittatoriale, autoritario, poli– ziesco, repressivo. Non crediamo nelle rivoluzioni per decreti e non vogliamo neppure applicare alla rivoluzione una mentalitA cla governanti, né in nome dei lavoratori né in nome dell'anarchia. Nou pretendiamo reggere i destini del- la nuova società, come si vuol fare da tutti i partiti politici ed anco dai sindacalismo e l'anarco-sinda– calismo. Siamo disposti a fomentare qualunque cam– biamento sociale ed economico progressivo, anche se non corrisponda completamente ai nostri desideri; per6 vogliamo riservarci, anche di fronte a un ordine sociale sindacalista, il diritto di continuare a riven· clicare ci6 che oggi rivendichiamo di fronte ai mono– polizzatori della ricchezza e dei mezzi di produ– zione: la liberta di esperimentazione in economia e la libertà cli organizzazione delle forme di convi– venza. Siamo con vin ti che la nostra anarchia non pu6 cominciare a edi[icarsi dal tetto, da tutto l'insieme della società, bensi in piccolo, da coloro che voglio– no viverla e sono disposti a sostenere tale loro a– spirazione contro ogni conato di usurpazione e di misconoscimento dei nostri diritti. Vogliamo diven– tar forti, far proseliti sempre più numerosi, non per imporre alla societa intera, pur essendo minoranza, le nostre predilezioni, ma. ver imporre agli usufrut- 5 tuari del dominio e dello sfruttamento dell'uomo sul– l'uomo Il dovuto rispetto alle nostre forme di lavo– ro e di convivenza. Siamo convinti che per il trionfo di questa riven– dicazione, come dobbiamo cozzare oggi col capitali– smo, domani lo dovremo eventualmente col bolse&– vismo o con la social-democrazla. Dobbiamo quindi affrontare un problema di forza; e noi non rifuggiamo dalle conseguenze e necessità imposte da tale lotta. Per6 una cosa é impiegare la forza per distruggere gli ostacoli che si oppongono alla nostra libertà, ed altra cosa é impiegarla per costringere i;li altri es– seri umani a pensare come noi, che é ci6 che han fat– to fin qui tutte le rivoluzioni politiche ed é cl6 che .si propongono di fare, in nome del marxismo mo– scovita o in nome del sindacalismo, forze conside– revoli che lavorano per il cambiamento sociale. Ab– biamo fatto dei progressi sociali lungo il percorso della storia, non vogliamo porlo in dubbio; il capi– talismo stesso é stato un progresso di fronte all'ari– stocrazia. come lo fu la monarchia costituzionale di fronte alla monarchia di diritto divino, o la repub– blica di fronte alla monarchia. Per6 siamo passati sempre da un sistema completo di dominazione a un altro, più o meno blando, pili o meno liberale, se si vuole, ma dentro del quale ogni pensiero dissidente, anche se più avanzato e superiore, si é tentato sem– pre di sterminarìo a sangue e fuoco. Noi, come anarchici che non vogliamo governare né essere governati, intendiamo spezzare questa li– nea fin qui fatale, e cominciare da oggi col ricono– scere a tutte le tendenze sociali il diritto cli cittadi– nanza per coesistere e utilizzare autonomamente la ricchezza sociale. Come si giunse alla tolleranza sul terreno religioso, idea inconcepibile poco pili di un secolo fa, si pu6 giungere alla tolleranza anche sul terreno economico ed in quello ~olitico. E rifletten– do bene su questo argomento, personalmente siamo arrivati alla conclusione che, più importante della stessa superazione assoluta del capitalismo, é lo strappargli con la nostra forza il riconoscimento del rliritto dei dissidenti a organizzare la loro prnpria vita con una parte corrispondente del patrimonio comune. Oggi stesso, se fosse possibile un accordo dei par– titi sociali e della forze rivoluzionarie, si potrebbe cominciare lo smembramento dell'impero ciel capi– tale finché, prosperando gli inizi della vita nuova, questo immenso apparato di dominazione e di sfrut– tamento crollerebbe come un castello di carte. Ma ogni corrente sociale pretende all'esclusività, e la realtà é oggi piuttosto una guerra lntersocialista che non una guerra contro il nemico comune, il quale si rafforza cosi a spese della nostra incomprensione e della nostra stupidità. Solamente Ja paura d'essere sconfitti sul terreno dei fatti pu6 far respingere la varietà di forme di vita e di lavoro nella ricostruzione sociale, verso la quale ci crediamo spinti dalla crisi del sistema capi– talistico; ma chi é convinto della superiorità pratica del suo modo di ved-ere e di oprare, non ha bisogno di nessun apparato governativo per impedire espe– rienze inefficienti: gli basterà l'esempio proprlQ_,per persuadere coloro che sono in errore e per insegnare 1 ad essi il buon cammino. Propaghiamo, quindi, con tutti i mezzi a nostra portata questa idea della tolleranza fra i partiti del– la rivoluzione, questa idea della possibilità di coe– sistenza e libero accordo in casi di necessità fra tutte le correnti economiche e sociali; il che impli– ca, naturalmente in seno allo stesso anarchismo il riconoscimento della più completa varietà di appli– cazioni e di tentativi. li @cialismo non é In generale legato ad alcuna interpetrazione economica determi– •nata; é possibile in tutte le forme di economia, ad esclusione di quella che, qualunque essa sia, asserva l'individuo e gli sottragga parassitariamente una par– te del prodotto del suo lavoro. Vale a clire cho ogni forma economica con cui non sia possibile il sociali– smo, é una forma del capitalismo. E neppure il so– cialismo é legato ad un grado speciale clelio svilup– po della tecnica produttiva; esso pu6 essere instau– rato a qualunque stadio dell'evoluzione della tecnica, anche la pili primitiva, a patto che vi siano uomini che vogliono viverlo e praticarlo. Ci6 generalmente viene dimenticato, e si forgiano cosi involontariamente nuovi ostacoli al progresso sociale. Alcune scuole socialiste suppongono che il socialismo é possibile soltanto quando il capitalismo sia giunto al culmine del suo sviluppo tecnico, co– me se l'apparato produttivo del capitalismo fosse il fondamento primordiale del socialismo. E questa erronea idea pili o meno trasformata si é infiltrata anche nella mentalità anarchica, che é quella più veramente socialista. • • Si ammette più generalmente la trasformazione dell'apparato politico della borghesia che non quella del suo apparato economico. Si pensa che il moderno industrialismo, una volta soppressi i guadagni che da esso estrae il capitalista o l'azionista, sarebbe il massimo della perfezione. Noi dissentiamo. L'industria moderna, questa nuova divinita in no– me della quale ci si vorrebbe legare, dopo la scom– parsa dei capitalismo, a un ingranaggio in cui il no– stro lavoro sara soltanto un movimento meccanico, e per cui dovremo spogliarci della nostra personalità all'entrare nella fabbrica, é un frutto ciel capitalismo, come le sue mostruose citté.. Esaminata da vicino, la maggior paTte della struttura industriale non trova una ragion d'essere che col capitalismo e con lo Sta– to capitalista. O si tratta di industrie di lusso, super-

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