Studi Sociali - anno II - n. 9 - 16 gennaio 1931

opponevo la m 1 ia -convinzione, la quale é ormai quella di qua.si tu/tti i nostri compagni, che le istituzioni borghesi, costrette dalla resistenza e <!alla minaccia popolare, possono ancora molto con– ce·dere prima di giungere al punto in cui dovran– r..~ neco.::,sariamente cadere, di morte piL. o meno ,11,1enta; che é interesse dei riV'Oluz!onarti lo strap– pare al governo ed ai padroni .tutte lei possibili con<:essioni, sia per diminuire le sofferenze 11>ttua– li Idei popolo, sia per arrivare p!il presto a1 confJ.it– to finale; e che il popolo é tan~o piil atto alla ri– voluzione quanto miglior!' sono le sue condizioni materiali e morali e quanto piil ha acquista,to, nel– la resistenza e nelle lotte continue per il migliora– mento di condizioni, la coscienza della propria for– za e l'abitudine e la capacità di lottare. Quindi conchiudevo incoraggiando alla re<1isten1,a contro la legge sul domicilio coatto, che sarà un primo saggio, speriamo vittorioso, di quello che il popo· Io pu6 fin da ora, anche pacificamente e legalmen– te, contro la prepotenza governativa, se appena s-a mostrare la sua volontà. in tutto questo non fe<:i cenno 'del partito so– cialista democratico, per la semplice ragione che nel periodo di storia italiana a. cui mi riferivo, es– so non esisteva. Esso nacque in Italia appunto co– me conseguen~a degli errori nostri e della deca– denza dello spirito rivoluzionario del popolo; e ca– drà, o si ridurrà a,d un ,partito idi semplici poli– ticanti, il giorno in cui noi, ammaestrati dall'espe– rienza dei nostri passati ioouccessi, potremo spie– gare in mezzo alle masse la nostra attività, e nel popolo italiano si risveglierà lo addormentato spi– rito rivoluzionario. Del resto i socialisti democratici avrebbero tor– to se volessero menar vanto di queste ,confessio– ni di un anarchico", poiché gli errori nostri, co– muni a tutte le vecchie scuole rivoluzionarie, li dob– biamo in gran parte alle teorie marxiste, delle qua– li tutti gli anarchici siamo stati un temlpo parti– giani piil logici se non piii ortodossi di coloro che si professavano marxisti e forse di Miairx stesso, o ce ne siamo andati sbarazzando .a misuTa che ri siam liberati !degli errori del marxismo. Di questo in altra occasione. Vostro compagno GIUSEPPF. RINALDI (Errico Malatesta) (Dal J>eriodico "L'Ag-:it.-'1..zfone" <li Ancona. - No. 28 de-I 23 settembre 1807. --o-- La lettera sopra riportata era firmata Giuseppe Rinalldi - pur essendone autore Malatesta - per– ché qu.esti si trovava allora in Ancona di nascosto a redigere "L'Agitazione'', e cercava di non far– si scoprire dalla polizia. che lo cercava attivamen– te da parecchi mesi. e lo scoprf infatti un paio di mesi dopa. Malatesta era stato, con lo stesso no– me <li Rinaldi, a tenere una conferenza a lesi; co– me altre ne tenne, sem'pre in incognito, a Fabria– n~. Folig,no. Porto S. Giorgio e qualche altro pic– colo centro delle Marche. - A proposito della ti– ne della lettera, che promette d'occu,parsi "in al– tra occasione" dell'essersi gli anar-chiei sbarazzati .de gli errori del marxismo, leggere gli articoli succes– sivi o~e sotto il titolo generale "L'Evo'1l1zione del– l'Anarchris-mo" furono ripubblicati ne "La Lotta U· mana" di Parigi (dal No. 9 al No. 13, dal 9 febbra– io al 12 aprile 1928). - E giacché ci siamo, cre– diar.o bene ricordaTe a qualche probabile lettere disattento, a proposito di alcune affermazioni con– tingenti e di fatto di Malatesta, che da trentatre anni in qua, in cui quest'articolo fu scritto i tem· pi e le circosta.nze sono cambiati, e di molto! Lutti nostri Ancora un nostro amico, uno ilei piu fe– deli sostenitori e <liffonditori di •:stu11i So– ciali" in S,•izzera, é scomparso. Il compa– g·no GIUSEPPE IlONARIA, di Ilellinzona, di cui tutti i profug·hi italiani Jmssati J)el Canton 'l'icino conobhero la benefica e at– tiva bontii, non é piu. E' morto in un os1ie– d11le di Zurigo il 3 dicemhre ·u. -s. Salutilt– mo la sua cura memoria e inviamo a.Ile sue donne 1lesolnte e ai cornpag·ni svizzeri, piomba.ti nel piii g·r111ule<lolore da questa perdifa irreparabile, l'espression6 della nostra piu profonda conllog·linnzn. Biblioteca Gino Bianco STUDI SOCIALI 3 IL RISVEGLIO DELL'INDIA Precursori e il Movimento della passiva e della Resistenza Non - cooperazione (Cont.tnua.zione e fine; vedi nmn. precedente) I primi precursori del risveglio indiano, Ro– main Rolland li battezza col nome "Gli edificato. ri dell'UniM.", - unità religiosa e unita sociale. Costoro sono: Ram Mohun Roy, Devendrath Ta– gore, Keshalb Chunder Sen, Dayanan1da. A,pparte– nevano costoro alle caste o classi superiori. La loro vita fu una continua lotta contro tutte le superstizioni e contro tutti i dissidi e rancori re– ligiosi, contro il culto degli idoli e contro i oo. stumi barbari come il notissimo sa,crificio delle Vi!dCYf, I I I 11 ·•I I Ram Mollun Roy fond6 nel 1828, insieme col Tngore ed altri, una "associaz,ione unita.ria" co• nosciuta sotto il nome di A<li Brahmosamai (la Casa di Dio), che fu una casa universale di pre– ghiera aperta a tutti gli uomini, senza. distinzio– ne di casta, di colore, di nazione o di religione. La ''Casa di Dio" ruppe il cerchio di ferro delle antiche tradizioni indiane, ed aperse la via a nuo. ve forme di religione e anche di convivenza so• cia•le. \,/ui non é il momento né il luogo per en– trare in particolari sulla loro fede religiosa; di– ciamo solo che, sul terreno sociale, la "Casa di Dio" fece Ja prima breccia nelle antiche ed inu. mane traidizioni indiane. L'India, finché era l'ar· ca santa delle tradizioni degli antenati e gelosa custode delle sue mummie e de' suoi idoli, rima– neva chiusa al progresso scientifico occidentale come fortezza inespugnabile. I primi precursori della rivoluzione ne schiusero alquanto le porte, e vi fecero entrare cosi il ;primo soffio vivifica– tore dhe cominci6 a intaccare il greve masso tra. dizionale. Quasi contempora.neamente ad essi apparve sul– la scena religiosa indiana Ramakrishna, il qua– le riunendo in sintesi tutte le religioni - bra– mina, buddista, confuciana, cristiana, moametta. ua, ecc. - fond6 il ''monismo aasoluto'': la reli• gione della Natura e dell'Uomo-Dio. Contraria– mente a tuitti i forudatori di religioni, egli si nego' sempre a definire il suo Dio. A chi gli fa_ ceva pressione perché ne desse la def!niz>lone, ri– spose: "Se io vi dessi una definizione di Dio che cosa ne fareste? forse un articolo di fede, per fondare una nuova religione in mio nome? ... Io non sono venuto sulla terr~ per lanciare un nuo– vo culto! .... Ah, no! ... " Ed aggiungeva: "Non cereate una religione! Siate religiosi!" Sarebbe troppo lungo seguire Ramakrishna a.t– traverso il labirinto delle sue concezioni religio. se, e surperf!uo farn,i la critica. Qui ci limitiamo ad annotare le cose più s»lienti. Fra queste va ricordato l'idea religiosa del "servizio". Siccome egli in tutto ci6 che esiste vedeva l'opilra di Dio, o meglio Dio stesso, insegn6 ai suoi discepoli che il princ~pale dovere dell'uomo é quello di servire coloro che ha,nno bisogno di aiuto. I suoi disce– poli. dooo la sua morte, fondarono la ''Ramakri– shna Mission" che disimpegn6 e disimpegna a,t– tualmente una missione fi!a,ntropica, non della filantropia europea sem,plice insulto a chi soEfre, ma di una filantropia veramente umana e disin. teressata., che sping" Io spirito di sacrificio agli estremi. Per esemll)io, i suol membri in occasio– ne di pestilenze si introducevano nei pi(t perico– losi focolari d'infezione ,per aiutare i colpiti, col massimo pericolo per la propria vita. Fra i discepoli di Ramakrishna uno si distinse fra gli altri, che era il discepolo amato su cui il maestro riponeva, ogni sua speranza per l'avveni– re. Si chiamava Narendranath Dutt, più conosciu. to col nome di Vivekananda. Questo fu un genio straordinario, una di quelle vaste intelligenze, ca– paci di rubbracciare tutte le culture, uno spirito capace dei pill grandi voli. Di lui diceva Ramakri– shna: "Egli é come quei grossi t>rondhi d'alberi che portano sul Gange uomini e bestie". E Ro– main Rollane] aggiunge: "Egli avilva sulla fron. te di gigante il segno di ''Cristoforo_" Il portato– re di uomini". Morto Ramakrishna (agosto 1886) venne fon:da– ta la nuova "Comunione degli Apostoli" per tra– durre nell'azione pratica e vivente il pensiero di ouegli. Vivekananda ne fu lo spirito animatore. Egli nel 1888 abbandona Calcutta per un lungo e penoso pellegrinaggio attraverso l'India. La piii triste delle realtà gli si mostr6 nuda Ida.vanti a– gli occhi: conobbe tutte le miserie e tutti i dolori di quell1immenso popolo, ed un unico pensiero fi– nf col dominarlo: accorrere in suo aiuto. Quanldo nel 1893 ehbe luogo a Chicago il con– gresso chiama,to "Parlamento delle Religioni•'. Vi– vekanarnda vi accorse con lo scopo di attirare l'atten– zione dei fratelli d'Occidente sulle miserie e sui dolori deB'In<lia. A dura pena gli fu dato di parte– cipare ai lavori del Far!!Lmento, poiché egli non rappresentava nes3tma religir>ne ufficialmente rico– nosciuta. n parlamento <!elle religioni, come tutti i parlamenti, si svol~e freddo e calcolatore; e cia– scPno dei rappresentanti vi parl6 ciel suo Dio e <!el– la sua setta. Solo Vivekananda. fedele al pensiero cli Ramakrishna, abbracci6 in sintesi tutte le reli– gioni, fonclenJdole in una specie di Vangelo Univar– sale. Affascin6 con la sua arlden,te oratoria congres– sisti e pubb-lico, che spesso co•I suo accento convin– cente trascin6 ad applausi fragorosi. Per6 €.gli non raggiunse lo scopo che aveva spe– rato! II suo viaggio non aveva avuto il successo ch'egli ,desi>derava. i giornali non facevano che lo– darlo; la gente aceoneva a sentirlo, ed il solo mo– do per trattenere i! pubb.Jico fino alla fine nelle conferenze era di annunziare che Vivekananda par– lerebbe per ultimo. In pochi giorni acquist6 negli Stati Uniti una flarna straordinaria, - fama che per6 perdé non appena si scagli6 contro la pseu,do– civiltà del do,llaro. Affascinato al suo giungere !dal– l'organizzazione speciale degli Stati Uniti, sedotto d.9, quella vita movimilntata e fP.bbrile, ben presto pe– r6 si accorse che dietro quel mon.do di meccaniche aipparenze la miseria e il dolore regnavano come in India. Ebbe l'impressione altres! che la maggior par– te degli ame1·icani hanno per <·uore un dollaro e il "pragmatismo" é la loro filosofia. Vivekananda non era un uomo paziente. non sa– peva nascon!dere un sol pensiero o sentimento. A Boston, un giorno. dovendo parlare di Ramakrish– na, alla vista del pubblico, gente d'affari e di mon– do in rni egli scorgeva n·eut'altro rhe dilettanti– smo. crudeltà e assenza di scrupoli, prov6 un sen– so ,cli repulsione che gli fece crumbiar di soggetto. Si scag!i6 contro quella pseudo-civiltà di cui il suo rnditorio era il piU genuino rappresentante. Lo scan– dalo fn enorme. La maggior parte clegli ascoltato– ri abbandon6 la sala. Ma egli fu implacabile con– tro il falso cristia.nismo ed i falsi .cristiani. - "Fi– nitela con le vostre millanterie! - escle.m6. - Che cosa fec~ mai il vostro cristianismo senza la spa– da?" Ed ancora: "Cristo non troverebbe nelle vo– tsre c-1se una pietra su cui appoggiare la testa. Ri– torna te a Cristo! . 11 I/effetto dello 8Candalo fu terribile. Una esplosio– ne di collera rispose a quella dura lezione e tutto l'entusiasmo pel filosofo indiano svanf. anzi si tra– sform6 in Oidio. Malgrad01 ci6, la vasta sua cul– tura e l'a,ttrattiva esercitata !dalla sua religione di bontà gli fecero acquistare non pochi proseliti fra il pubblico scelto dei sinceri. Ino1tre il suo suc– cesso al '',Parlamento delle Religioni". conosciuto nell'India, vi provoc6 un'esplosione di gioia e di or– goglio nazionale. Si avverava la predizio11e di Ra– makrishna, che aveva <letto ''Naren (Vive.kananda) scuoterà il mondo fin dalle fonJdamenta". Tutta l'lndia. senza distinzione di caste. festeggi6 i! suo trionfo; e al ritorno in Tndia Vivekananda fu accol– to con onoranze straordinarie. Vi turano perfino dei partiti nolitici. come spesso succede in circostanze simili. che non mancarono d'inter-pretare a proprio profitto l'azione cli Vivekananda; ma egli scongiu– r6 imltnEldiatamente ogni ,deviazione e ogni !alsa in– terpretazione: ''Nessun significato po-litico de,·e es– sere attribuito a quello che io dico e scrivo". Vivekanamda, di ritorno in India. non fu coi suoi compagni ed amici men duro di quel ch'era stato coi nord-americani. Frust6 a sangue i suoi discepo– li che vivevano inerti nella pura contemplazione, mentre dovunque si sentiva la necessitA dell'azio– ne, di agire sempre: ''Ignavia est jacere". Il piu vii ,delitto é quello di non agire. S'accorse che al– l'India mancava la fede in se stessa e Iavor6 con ardore e costanza per Tilde-starla in lei. Persuaso che l'ora di agire era giunta e che bisognava ab– bandonare le vecchie posizioni per conquistare le nuove, pena }'!annientamento del popolo indiano, in– segnava: "Per noi questo non é il momento di pian– gere. sia pur cli gioia. ché abbiamo pianto anche troppo. Non é questo il momento d'intenerirsi. Ci siamo inteneriti per tanto tempo, fino a diventare delle balle di cotone. La nostra patria ha bisogno di m•uscoli idi ferro e di nervi di acciaio, ha b!sogno di giganterSche voto11t:\ cui nulla oossa reshtere, le quali per raggiungere lo sco110 discendano, se v•é bisogno, f'no nel fondo de.I mare ed affrontino fac– cia a faccia la morte". (Questo pensiero Gandhi lo ha fatto suo; i pensieri dei due gr,a.nfdi s'incon– trano.) Ed ancora: "La Cede, la f€1je, la fede in noi stes– si!. Anche •se av€ste fede in tutti i trecento vo– stri Dei mi,tologici e in tutti gli altri che gli stra– nieri hanno introdotto in casa vostra, ma senza a– verla in voi stessi, non vi farebbe salute. Abbi.ate fede in voi. e sia questa fede il vostro cavaHo di baittaglia! Perché noi, popolo di trecento trenta mN,ioni, da pit1 idi mille anni siamo governati !da un pugno di stranieri qualunque? Perché essi ave– vano fede im sé, mentre noi non l'abbiamo in noi stes si ..." Egli cerca i responsabili di tanto a'bhandono. e conclude: "Siamo noi i responsabili della nostra degra,dazione. I nostri antenati, gli aristocratici, han cal•pestate coi loro piedi le masse del nostro paese."

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