Lo Stato Moderno - anno VI - n.4-5 - 20 febbraio 1949

LO STATO MODERNO . 101 Considerazioni politiche sulle nazionalizzazioni ( Esperienze d' lnghilterra e di Francia) 1. - Chi abbia avuto la pazienza di seguire gli at– teggiamenti dell'opinione pubblica nei Paesi dell'Occiden– te europeo in questi ultimi tempi, ha potuto constatare, con una certa facilità, lo scardinamento di una delle pm raccomandate ricette di politica economico-sociale del primo dopoguerra, quella delle pazionalizzazioni. E' inutile riandare ai motivi logici, o pseudo-logici, dei quali ci si serviva per raccomandare quella ricetta; l'importante è constatare che essa non è più di moda. Era ritenuta la nazionalizzazione uno dei mezzi, se non il più efficiente, per realizzare, accanto alla pace sociale, l'au– mento della produzione. I Parlamenti e i Governi furono in più di un Paese solleciti ad accogliere il consiglio e a metterlo in pratica. Abbiamo avuto nazionalizzazioni per ~ettori importanti in Francia e in Inghilterra, per tacere di esperienze minori, e tralasciando, s'intende, l'accenno a quanto è avvenuto al di là della cosiddetta cortina di ferro. Ma portale le nazionalizzazioni dal comodo regno dei sogni sull'aspro terreno della realtà; sono subito di– minuiti gli entusiasmi; agevole è stato constatare che esse non rappresentavano affatto l'« abracadabra> per un'epo– ca di felicità e di fioritura economica. Gli aumenti della produzione, che avrebbero dovuto essere l'immediata conseguenza dei mutalo regime della proprietà e della direzione, sono rimasti al puro stato di previsione; ed invece di quel risultato, si sono avuti in– convenienti economici e finanziari nella condotta delle varie aziende nazionalizzate, e i programmi di nuovi in– vestimenti, quando non si sono dimostrali delle avven– ture finanziarie, hanno richiamato quasi ovunque la facile e poco peregrina immagine dell'abisso. Tuttavia, da un cerio punto di vista, queste in.conse– guenze nel settore economico e nel settore finanziario po– trebbero anche essere considerate di secondario valore se, a'ttraverso le nazionalizzazioni, fosse stato realizzato l'altro obiettivo che figurava in cima ai programmi dei loro fautori: quello della pace sociale. Anche qui naturalme'l– te occorre intendersi, e valutare le obiezioni nel loro li– mitato raggio di riferimento; con il che si vuol dire che la constatazione di questo mancato raggiungimento della pace sociale va inquadralo in un preciso clima politico– sociale, quello dei Paesi dell'Europa occidentale, non an– cora teatro di esperimenti collettivistici integrali, con ,tut– ti i problemi e con tutte le limitazioni che impediscono una involuzione feudale, per usare un termine espressivo adoperato da un critico delle nazionalizzazioni francesi nel settore del gas e dell'elettricità (1). Chiariamo l'ac– cenno dicendo che questa limitazione va intesa nel senso che non è staio possibile, per forza di circostanze e un po' anche per effetto di direttive politiche, fare ai lavo– ratori dei settori nazionalizzati un trattamento molto più favorevole delle condizioni generali dei lavoratori dello stesso paese, In sostanza, al di là del facile mito, ad esem– pio, delle miniere ai minatori, si è nella pratica visto che con le nazionalizzazioni non si è determinata la possibi– lità di retribuire al di sopra di certi limiti i lavoratori occll'Pali, anche se si sono create ,o cristallizzate posizio– ni che possono essere considerale di relativo privilegio Cda cui il sopra richiamato accenno alla feudalità). 2. - Non è stata instaurata, come si diceva, la pace ;;ociale, nel senso che nei settori nazionalizzati non sono scomparse le lamentele del personale occupato, anche se (t) Ecrit1 de Pari.I, marzo 1947. al posto dell'odiato proprietario di un tempo figura ora la grande azienda nazionalizzata. I sintomi della delusione sono assai diffusi e assai vari, e non è necessario analiz– zarli e meditarli tutti. Basti dire che se i minatori inglesi del carbone, ora dipendenti dal famoso Coal Board, non sono per nulla entusiasti del nuovo stato di cose, tanto che hanno più volte lamentato di non aver più il vec– chio proprietario con cui dibattere e discutere le varie questioni' di lavoro per finir •poi coll'andar d'accordo, i minatori del carbone francesi, con il famoso sciopero dello scorso autunno, hanno praticamente dimostrato la persistenza di una posizione di lotta che essi credevano di aver per sempre superata. Vi è naturalmente differenza tra l'esperienza inglese • e quella francese, come vi è una fondamentale differenza tra le condizioni generali dei lavoratori dell'industria in Inghilterra e in. Francia. Nel caso specifico della nazio– nalizzazione inglese, proprio in questi primi giorni del 1949 sono affiorati contrasti di un certo rilievo tra i mi– natori e la loro organizzazione sindacale nei riguardi del- la politica di direzione e di organizzazione del Coal Board. In linea generale, l'organizzazione dei minatori, agen– do su linee per essa tradizionali, si è fatta interprete di una certa tendenza sezionale, che rivela la persistenza nella mente dei dirigenti della preoccupazione di strap– pare il miglior contratto di lavoro o il maggior salario. Orbene, al tempo in cui l'industria del carbone era nelle mani dei privati, questo gioco d'iniziativa dei dirigenti sindacali poteva anche avere concrete possibilità di sfogo, ed azienda per azienda, o zona per zona, potevano rea– lizzarsi « conquiste > di maggiori salari o di migliori ora– ri di lavoro. Adesso, in regime di nazionalizzazioni, le condizioni di lavoro nòn variano da zona a zona, e non vi è la possibilità da parte dei dirigenti sindacali di farsi valere sia nei confronti dei propri organizzati sia nei confronti degli altri dirigenti delle unioni sindacali. Il compito è diventato più difficile, e dovrebbe estrinsecar– si nel lavoro di consultazione tecnica con i nuovi organi amministrativi regionali e nazionali del Coal Board. Ed ecco verificarsi un paradosso che non si può fare a meno di considerare gustoso: il fallo cioè che per le varie mi– niere e per le varie zone sono i minatori direttamente,, al di fuori delle maglie dell'organizzazione, che adempio– no a questi compiti di collaborazione, mentre i dirigenti sindacali recalcitrano, e si dimostrano inadatti alle nuove circostanze. A questa perdita di faccia, le unioni sindacali tentano ora <li reagire con la decisione che a far parte dei comitati consultivi debbono essere soltanto elementi nominati dalle sezioni locali dell'unione dei minatori. Ma ognuno comprende che in questo modo la que– stione non è affatto risolta; e che attraverso la nazion• lizzazione continuano ad esistere sempre due parti con– trapposte, quella dell'industria come tale, rappresentata prima dai proprietari, adesso dall'apposita burocrazia st• tale; mentre le difficoltà di trasformare le unioni sinda– cali in organi di collaborazione della direzione naziona– lizzata dimostrano chiaramente che le condizioni reali di vita nella miniera sono rimaste quelle che erano pri– ma, con l'anzidetta limitazione della impossibilità di cri– tiche e di discussioni dirette con i singoli proprietari • con le direzioni locali di impresa. 3. - Tullo ciò ci fa rammentare, per attribuirgliene anche il merito, quanto hanno scritto anche da noi taluni avversatori delle nazionalizzazioni. Essi andarono, infat-

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