Lo Stato Moderno - anno V - n.7 - 5-15 aprile 1948

LO STATO MODERN·O 161 marsi il « demanio economico dello Stato> di fronte al stttore che è e resterà affidato all'impresa privata ed all'iniziativa concorren– ziale dei singoli·; ii problema ciçè delle imprese nelle quali lo Stato, direttamente o a mezzo I.R.I. e similari, ha partecipazioni e per le quali si tratta di passare da un piano finanziario ad un piano produttivistico nell'interesse della collettività. Sarà vano cian– ciare di nazionalizzazioni su vasta o men vasta scala, sinchè lo Stato non saprà efficacemente perseguire una politica economica collettiva valendosi dell'ormai vasto settore di imprese, di cui ha la disponibilità. 8) Il problem\l agrario, sia nel suo aspetto di riforma fondia– ria - trasformazione del latifondo, sviluppo delle cooperative agri– cole ecc. - sia nel suo aspetto di riforma agraria per migliorare la produttività e l'assistenza tecnica agli agricoltori. 9) Il problema scolastico, sia sotto "l'aspetto di redenzione dall'analfabetismo, sia sotto quello di difesa della scuola laica - oggi così, insidiata e snaturata - sia infine sotto quello di tutela e sviluppo della scuola di Stato, a cui solo spetta di rilasciare validi titoli legali di studio. · Ma qui consentitemi di far punto. Quest'arida, questa mutila, questa elementare elencazione fa sentire tormentosamente il nume– ro e l'importanza dei problemi trascurati e nemmeno menzionati. Fa senttre soprattutto che i problemi più che mai oggi sono inter– dipendenti fra loro e traggono le loro premesse da un'infinità di condizioni, sì che il trascurarle lascia i problemi campati in aria. E tuttavia fondamentali condizioni sono quella di avere la con– sapevolezza di porli per potere e volere risolverli e quella di avere la forza di risolverli. Appunto per meglio consolidare questa forza siamo qui con– venuti. E' un dovere da assolvere verso la nostra coscienza, verso i par– titi in cui combattiamo, soprattutto verso il Paese che attende. GIULIANO PISCHEL PIANJFICAZJONEE PJANIFJCAZJONE li primo volume del libro da cui più io ho imparato nei miei studi d, politica economica - il primo volume del « The Common sense of Politica/ Economy > del Wicksteed - concludé con un brano che credo opportuno di leggere perchè mi sembra dia la migliore impostazione al problema sul quale ·sono chiamato a bre: remente riferire: « Finchè si credeva scrive il Wicksteed - che le forze eco- nomiche, lasciate a sè stesse, dal caos degli · impulsi individuali avrebbero necessariamente condotto ad un cosmo <li ordine sociale, così che ne risultasse il migliore dei mondi possibili, sembrava non restasse nient'altro. da {are che indurire i nostri cuori a1la presen– za dei maggiori malanni della vita sociale. Anch'essi sembra– vano necessari e rispondenti ad un fine. Se il nostro è, e vogliamo che sia, il migliore dei mondi possibili, era assurdo pensare di riformarlo. Ma ora che la nostra maggior conoscenza ci mette in grado di ca~re che le forze economiche non sono ,mai st~te, non possono, ne mai debbono essere abbandonate a se stesse, e consapevolmente ci sforziamo di subordinare l'azione individuale agli scopi collettivi per armonizzarla con questi scopi, quanto più chiaramente individuiamo i mali connessi alla organizzazione spon– tanea, con tanta maggiore efficacia possiamo sperare di ridurli. Una più intima comprensione delle forze economiche e del- loro modo <li agire può permettere di controllarle e di meglio illumi– narle. Ciò non sarebbe stato possibile nè all'ottimismo di una cie– ca idolatria, nè al pessimismo di t(na disperante acquiescenza. Se le leggi ed istituzioni non sono onnipotenti; neppure sono del tut~tenti:-TI7i'l3ero giuoco degli appetiti individuali porta an– che a rispltati che offendono la comune coscienza morale: ma co– me siamo riusciti a controllare il fulmine non appena ne abbiamo compresa la natura, così approfondendo la nostra conoscenza delle forze economiche possiamo sperare di migliorare illimitatamente il nostro controll~ fino al punto da rendere subordinata ai pub– blici scopi la sempre vigilante presenza del desiderio che ognuno ha di conseguire i fini suoi propri: aggiogheremo così l'indivi– dualismo al carro del collettivismo, avvalendoci delle sue prodigiose tapacità economiche, salvo a dirgli, quando infurii nella distru– zione: Fin qui andrai, ma non oltre! >. i • Aggiogare l'individualismo al carro del collettivismo », questa felice espressione del Wicksteed indica, secondo me, l'obbiettivn della politica ec:"onomicache possono e devono proporsi tutti g-li uomini di tendenza progressiva. .,...,,,...,,.. , Essi possono raggiungerlo con due sistemi i o aflidaqdo allo stato ' il compito di soddisfare direttamente i bisogni della collettività. o tostruendo dei nuovi argini giuridici eutro i quali veng_ano con– vogliate le forze economiche scaturenti dallo stimolo del torna– conto individuale . in modo da sémpre meglio indirizzarle verso gli obbiettivi di .lnteresse collettivo. Un terzo sistema non esiste, in quanto la soluzione sindacalista - cioè la gestione degli stru– menti produttivi da parte delle particolari categorie che li impie– gano nella produzione - si rivela all'analisi economica assoluta– ment• incapace ,di soddisfare la esigenza dell'interesse collettivo sopra indicata. Il primo sistema possiamo chiamarlo di gestione statale o di ca– pitalismo di stato: lo stato diventa proprietario degli strumenti di produzione (ferrovie, telegrafi, scuole, banche ecc.) e li gestisce con propri impiegati, secondo i criteri generali che il governo detta. ,Nel secondo sistema invece - che possiamo chiamare di economia di mercato - lo 'Stato interviene per stabilire · i Jimiti del lecito e per· gar;mtire il risl)etto dei contratti liberamente con– clusi, e indirizza le iniziative individuali nella direzione l)iù rispon– -dente· all'interesse collettivo, creando - con sussidi, !)remi, garan– zie al credito, _co:iè:essionidi monopoli, forniture, allegerimento di imposte ecc. condizioni più favorevoli a certi investimenti che a certi altri. * •• tJ:.,•. Per mettere in rilievo la differenza fra questi due sistemi basta pensare al modo in cui può essere attuata una razionale politica urbanistica. In base a statistiche sulla popolazione e -sulle risorse dispònibili ed in base ad informazioni sulla maniera in cui in pas– sato si è soddis,fatto il bisogno di alloggi, le pubbliche autorità sta– biliscono . quanti\ edifici vanno costruiti, dove e come devono es– sere costmiti ~er uso di abitazion~, di com11:1erdo,di \'ulto, di uf~ -fic1,ecc., s1cche ogm c1ttadmo abbia una ab1taz1one di tanti metri cubi e per ogni mille abitanti ci siano tanti negozi, tante chiese, tanti locali per uffici ecc.; fanno poi costruire questi edifici cari– candone il costo su tutta la collettività e danno a gestire questo patrimonio edilizio i pubblici impiegati. Oppure le autorità fanno quel che si chiama un « piano regolatore>, determinando i limiti entro i quali gli imprenditori possono costruire secondo la loro convenienza, in raÌ,porto alle' mutevoli condizioni della domanda, delle conoscenze tecniche, e dei prezzi dei diversi fattori di pro– duzione. Stabilito così dove va lasciato libero lo spazio per le piazze, il tracciato delle strade e i requisiti minimi di igiene e di stabilità che gli edifici devono avere per corrispondere alle esi– genze di carattere collettivo, le pubbliche autorità lasciano che i privati si arrangino per loro conto. Se vogliono combattere l'ec– cessivo sovraffollamento nel centro, danno il servizio dei tra– sporti tramviari e automobilistici sotto costo per le zone della pe-. riferia, ed assicurano in tali zone la fornitura del gas, dell'illu-• minazione, la \:ostruzione delle -fognature, di scuole, di ospedali, ecc., ancor prima che vi risieda una popolazione sufficiente a giu– stificare la spesa. Se vogliono favorire le costn1zioni con certi materiali o di un certo tipo (ad esempio. le costruzioni di case po– polari), le esentano dalle imposte per un certo numero di anni, o cedono delle aree ad un prezzo rii favore, o danno dei contributi diretti o indiretti in una forma o in un'altra. E' evidente che tanto col primo che col secondo sistema il go– verno {a d~i piani, ed è pure evidente che non ci sono ragioni teo– riche che, in via assoluta, facçiano l)referire in tutti i casi la pia– nificazione del capitalism9 di stato alla_pianificazione dell'economia di mercato, o viceversa.] Se non intervenissero motivi sentimenta1!

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