Lo Stato Moderno - anno V - n.5-6 - 5-20 marzo 1948

100 LO STATO MODERNO chezzu del nostro pensiero politico ha potuto far scrivere (sia pure a ,scopo propagandistico) che la - iniziativa per Trieste avesse il fine esclusivo di influenzare le nostre elezioni. Questo è un tipico esempio di infantile egocentrismo, questo di cre– dere che la politica estera anglo-franco-americana (chè di tanto si tratta) possa in quakhe modo de– terminarsi in funzione della nostra politica interna. Ci sembra meno ,presuntuoso e forse più vicino al vero pensare che si tratta di un'altra delle tappe della evidente controffensiva diplomatica america, na, che è stata come sollecitata e frustata dagli avvenimenti di Cecoslovacchia. Si tratta dunque di una mossa che tè assai più in relazione. ,per esem. pio, col ,problema tedesco che non colle elezioni italiane, anche se lo spiritello maligno della storia ha voluto aggiungere pepe a una pietanza già ab- bastanza piccante_ MARIO PAGGI Nel quadro del conflitto mondiale La « guerra fredda » è terminata, ma quella «,calda» può non scoppiare. E' un fatto che gli avvenimenti succedutisi a rotta di collo in questo mese di marzo richiamano irresisti– bilmente alla memoria un altro marzo tumultuoso, quel– lo del 1939, quando alla marcia di Hitler su Praga do– po il tenebroso colloquio .berlinese con Hacha, la Gran Bretagna ritenne di rispondere con le famose « garan– zie» unilaterali alla Romania e alla Grecia e l'introdu– zione della coscrizione obbligatoria· in tempo di pace. Era anche quello di Chamberlain un tentativo d'inau– gurare una politica di arresto, una « stop poli,cy » nei confronti dell'espansionisino nazista; che quel tentativo non sia riuscito e che a pochi mesi di distanza dal nuo– vo « corso » della politica britannica sia scoppiato il secondo conflitto mondiale, dal quale siano appena usci– t,i - tutti, qual più, qual meno, con le ossa peste - è certo di sinistro augurio per il prossimo avvenire. Già i nevrastenici di casa nostra ed altrove, i sofferenti di quella impressionabilità nervosa che sembra essere un poco il' « male del secolo »,, vanno dicendo, tra so– spiri e melanconiche scrollate di capo, che « il terzo con– flitto mondiale è inevitabile»; da questo all'abbando– narsi speranzosi alla visione millenaristica, o bimille– naristica per esser più precisi, di un mondo senza pro– blemi e senza grattacapi, novello Bengodi di pace e di benessere, che si trova subito al di là della sconfitta della Russia sovieti,ca e del comunismo, il passo è bre– vissimo. A renderlo più breve contribuiscono poi certi « crociati della bontà» che vanno di questi giorni rac– cogliendo larga messe d'applausi sulle piazze d'Italia con i loro quaresimali imperniati principalmente su due temi, quello della lotta religiosa (ma di riflesso pratica, cioè politica) contro il comunismo, ateo e materialista, e quello dell'avvento di una nuova età non ben definita, in cui il « regno di Gesù» si attuerà -finalmente in que– sta « valle di lacrime»_ Ma da questi ,che potremmo chiamare come i « rasse– gnati», per debolezza o per malinteso misticismo, all'i– nevitabilità della terza guerra mondiale, dobbiamo te– nere ben distinti coloro che di un nuovo conflitto sono sempre stati accaniti fautori: i nazionalisti inguaribili, ,i fascisti « malgré tout», quelli che fanno a Mussolini un- solo torto, quello di aver perso la guerra o, meglio ancara, d'essersi lasciato « tradire » da « camerati » incompetenti posti dalla « sua generosità» alla direzio– ne delle principali leve di comando del Paese (l'econo– mia, l'esercito e le altre forze armate, le industrie bel– liche, ecc.). Nè vanno poi ·passati sotto silenzio, tra co– storo, quelli che della sconfitta attribuiscono la colpa esclusivamente agli antifascisti di dentro « in combut- ta » con quelli di fuori: gli Sforza, i Nitti, i Pacciardi, i Rosselli, ecc. Questi ultimi, i sostenitori della « revi– sione :rnche unilaterale del dettato di pace imposto al– l'Italia», che non sono poi nè tanto pochi nè tanto ti– midi ,come sarebbe pensabile ed augurabile, hanno avu– to proprio in questi giorni, con la proposta anglo-franco. americana di restituzione di Trieste all'Italia, la loro grande beneficiata; forse per la prima volta dal 25, aprile 1945 essi hanno potuto sema pericolo abbando– narsi a dimostrazioni di piazza, mescolandosi impune– mente a gruppi di colore politico assai diverso. Que– sta infiltrazione nazionalfascista, per dirla col Salvato– relli, nelle file dei democratici, è per questi ultimi non meno pericolosa cli quella comunista del tempo dei Co– mitati cli Liberazione; gioverà pertanto fare un quadro della situazione internazionale e dei suoi riflessi sulla situazione interna, e veder se questa consenta di sfug– gire senza troppe preoccupazioni a tale non gradita ,col laborazione. Per conto nostro, anticipando tutto il ra– gionamento che segue, rispondiamo senz'altro di « sl ,, ••• Chi scrive, come in genere con poche sfuruature per– sonali tutti coloro che scrivono su questa rivista, non è ottimista per temperamento. Già nel 1944, quando la guerra volgeva chiaramente verso la vittoria degli Al– leati, un gruppo di collaboratori di « Stato ~foderno, si raccolse per scambiarsi le proprie impressioni sui pro– blemi della politica internazionale. Eravamo a Mila– no in tempi di dura vita clandestina e con pochissime fonti d'informazione che non fossero quelle ufficiali del– la propaganda tedesca e repubblichina; molti dei no– stri amici del partito d'azione erano federalisti « utopi– sti», come noi li chiamavamo, perchè ritenevano inge– nuamente che gli Stati Uniti d'Europa, di tutta l'Euro– pa dall'Atlantico agli Urali, dall'Irlanda agli Stretti, potessero nascere così, per un convincimento razionale degli uomini responsabili o per una fiammata sentimen– tale dei popoli ansiosi di pace perpetua; eppure, nono– stante l'opposto pericolo. di uno scetticismo conserva– tore e di un misticismo federalistico, ci si trovò su per giù tutti d'accordo nel ritenere che, nell'inevitabile scio– glimento postbellico della eoalizione tra russi ed an– glosassoni, l'Europa dovesse ricreare il proprio equili– brio opponendo al blocco slaYo od orientale, già allo– ra facilmente pronosticabile, un blocco occidentale, fon– dato essenzialmente sull'unione italo-francese con la be• nevola simpatia delle Potenze anglosassoni. Il punto più oscuro della nostra concezione era la Germania, per la quale ritenevamo che gli Alleati avessero già in men– te un progetto qualsiasi di sistemazione; noi, per par• te nostra, ritenevamo che fosse interesse vitale, sia per

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