Lo Stato Moderno - anno V - n.5-6 - 5-20 marzo 1948

LO STATO MODERNO 121 < fattore umpno > nei problemi del macchinismo indu– striale. Ciò <!he qui conta sottolineare è un aspetto della economia capitalistica, nelle sue più racenti fasi di svi– luppo, che è in genere negletto dai marxisti perchè sfug– gì a Marx: tutto preso, com'era, per una sua esigenza moralistica, nella critica della proprietà, del capitale. Ciò che qui preme mettere in luce è la posizione sempre più 1 ,reminente che rispetto al capitale - rispetto a questo come agli altri fattori della produzione - è venuta as– sumendo la funzione d'impresa. Che è la funzione di combinazione dei diversi fattori produttivi, la quale - come si è già osservato altra volta - ha il suo centro motore nella figura dell'imprenditore, ma innerva di sè tulta l'attività produttiva dell'azienda. Ognuno che colla– bori nell'azienda ne è partecipe, in modo più o meno influente, a seconda delle proprie capacità tecniche. Dal riconoscimento della posizione che ogni produtto– re ha nell'impresa, nasce viva l'esigenza della democra– lizzazione dell'azienda: l'esigenza di dare una costituzio– ne all'azienda, come scriveva di recente il compianto Filippo Burzio. Il principio fondamentale dello Stato mo– derno, che i dirilli del cittadino siano garantiti da una coslituzione politica, tende fatalmente ad estendersi an– che alla vita economica, anche all'attività produttiva, per dare una veste giuridica, con istituii appropriali, pure ai diritti del produltore in quegli organismi sociali dove egli presta la sua attività, dov'egli fa valere la sua com– petenza, dove la sua persona si afferma con una speci– fica capacità tecnica di produzione che è semp1·e una capacità d'impresa: e cioè di combinazione dei fattori produttivi. Da questa esigenza di democrntizza·re la vita dell'azienda nasce il problema del consiglio di gestione. Perciò, quando si afferma che il consiglio di gestione assicura la dignità del lavoratore nell'interno dell'azienda, occorre sempre tener presente che questa dignità non va intesa astrattamente come un generico attributo ori– ginario dell'uomo-lavoratore - tale per biblica condanna -; bensì assumendola nel suo concreto valore sociale, cosi com'essa si realizza per ciascun produttore, nella relazione con gli altri, in ragione della sua capacità tec– nica di applicarsi al proprio lavoro. A ben considerarla, la dignità che il primo Malraux voleva rivendicare nella "e o n d i t i o n h u m a i n e " e che del resto è eomune ad ogni concezione di derivazione marxista, nasconde un e– quivoco di origine giusnaturalistica: quello che vi sia una nstratta dignità umana da riscattare una volta per sem– pre e per tutti in una finale età dell'oro. L'uomo avrebbe alienato la sua dignità - ecco la biblica condanna - nell'umiliazione di un lavoro che è soggetto a sfrutta– mento: un giorno, emancipandosi in un generale riscat– lo, egli potrà riacquistare quella sua originaria dignità. E' facile cogliere in questa dignità d'uomo libero d'im– postazione marxista un'eco ancor viva della ingenuità russoiana. In Rousseau l'uomo libero era all'origine, in Marx alla fine. La verità è che i marxisti in tutta la loro polemica sociale rimangono ancorati ad una fondamen– lale posizione giusnaturalistica, sia _pure - secondo le lo– ro intenzioni - in un atteggiamento dialettico di anti– tesi: a cui manca, però, la possibilità di elevarsi con un colpo d'ala fino alla sintesi. Ed in vero l'impostaziÒne del problema dei Consigli di gestione, nei termini che sono stati qui sopra indicati, è estraneo ai marxisti. Essi rimangono fissati nella loro polemica contro la proprietà e pensano ai Consigli di ge– slione come ad un mezzo adatto per arrivare all'espro– priazione della proprietà industriale. Invece il problema dei Consigli di gestione riguarda la funzione d'impresa·, e cioè il riconoscimento del concorso di tutti i produt- . lori nell'attività qualificala (da una competenza tecni– ca) di combinazione dei fattori produttivi, e prescinde Perciò dal problema ·della· •titolar.ietà di questi fattori. Inoltre i marxisti hanno una gran fretta di poter disporre di organi rivoluzionari per la rottura dell'attuale sistema capitalistico e non vogliono sentirsi dire che il problema del consiglio di gestione non può pretendere una solu– zione a breve scadenza perchè è sopratutto un problema di costume. Quel processo d'« integrazione• del produt– tore nella azienda, di cui pal'la il Fricdmann e che se– condo il Gurvitch (Georges Gurvitch, La déclaralio,i des droils sociaux, 1946) costituisce uno degli aspetti fonda– mentali del < diritto sociale> (inteso appunto come di– ritto d'integrazione) che trova una sempre più chiara af– fermazione nelle costituzioni moderne, è necessariamente un proc.esso lento perchè è un processo di maturità poli– tica, che deve portare il produttore ad una sicura con– sapevolezza dei suoi diritti e dei suoi doveri. Tanlo è vero che il Gurvitch stesso osserva, a com– mento di questa sua dichiarazione dei diritti sociali, che « tutti gli organi della democrazia industriale senza una economia pianificata sono soltanto delle ombre senza real– tà. E l'economia pianificala senza la democrazia indu– striale non è che un rafforzamento della tirannide e del– l'oppressione> (p. 136) per il nuovo gravissimo pericolo cqe la tecnocrazia rappresen la per la libertà umana. Ma la democrazia, politica o industriale che sia, prima che negli isli tuti vive nelle coscienze. E quale sia in realtà la coscienza dei nostri produttori di fronte a questi problemi è chiaramente dimostrato dal loro atteggiamento, in quesli ultimi tre anni, verso i Con– sigli di gestione; nei tecnici prevale la diffidenza, negli operai domina l'indifferenza. Il nostro operaio non sente i problemi del suo lavoro che in termini di salario; tutte le altre questioni sfuggono ad una sua valutazione. Gli organizzatori sindacali della C.G.I.L. hanno non poca re– sponsabilità per aver coltivato questa ottusità del nostro operaio, allo slesso modo di certi cattivi pastori di anime che preferiscono coltivare l'ignoranza dei loro parocchia– ni. E non poteva certo la politica dei partiti dell'estrema sinistra rassicurare tecnici nelle loro giustificate preoc– cupazioni. Se, comunque, per i· motivi suddetti, è da riconoscere erronea e pregiudizievole l'impostazione marxista del con– trollo operaio, altrettanto fuori via sono i democristiani ed i repubblicani «storici>. Anche costoro rimangono fissati sull'istituto della proprietà: non per espropriare i titoli dei beni industriali, naturalmente, ma per far p·artecipare tutti i produttori ai benefici della proprietà. Essi si attardono ancora sulla vecchia cònceziohe che la proprietà ha da essere la migliore garanzia dei diritti della persona (la e persona > ed i « beni ,, di cui scri– veva Rousseau quando formulava il problema fondamen– tale del contratto sociale). Essi non intendono come il problema delle relazioni d'impresa, delle relazioni fra la maestranza e la direzione entro l'azienda, sia del tutto estraneo all'istituto della proprietà. Il problema dei consigli di gestione è un problema eminentemente politico, perchè comporta l'estensione dei principi costituzionalistici dello Stato moderno dalla vita politica alla vita economica; ed è un problema specifica– tamente tecnico, per la dosatura degli interessi nella tu– tela dei diritti dei produttori, nelle relazioni d'impresa. Con tutto ciò non ha nulla a che fare il diritto di pro– prietà dei fattori che l'impresa o~ganizza nelle sue fina– Ìità produttivistiche. In un bilancio consuntivo delle esperienze e dei dibattiti sui Consigli di gestione in questi tre anni, se da un lato si deve riconoscere che l'attenzione dell'opinione pub– blica è stata attirata su questo problema, ma in modo piuttosto confuso, d'altro lato è da stabilire che non 'si è progredito gran che sulla via di una, sia pur progressiva, attuazione di un diritto costituzionale dell'azienda indu– striale.· ERNESTO · BASSANELLI

RkJQdWJsaXNoZXIy