Lo Stato Moderno - anno V - n.5-6 - 5-20 marzo 1948

120 LO STATO MODERNO ro dovuto favorire la riconversione delle industrie per la rico~trurione (non ci può essere -una vera e propria ri– conYùrsione finchè dura il blocco dei licenzinme!lli) cli nvrehbero dovuto restare in ogni caso estranei ai proble– mi del finanziamento delle imprese (riconosciur~ c:omc compilo esclusivo della parte padronale). In aàesione alle direttive affermate al Congresso nazio– nale, anche la Confederazione Italiana del Lavoro ha messo allo studio un suo progetto per il riconoscimento giuridico dei Consigli di gestione. Il vicesegretario socia– list11 on. Santi ha steso l',11111essarelazione, dalla quale risulta che, nonostante la premessa di voler assumere co– me base il progetto Morandi, le modifiche suggerile sonù tali da rinnegare questo vecchio disegno di legge in tut– ta la sua parte sostanziale, perchè si propone di aholire proprio quegli articoli e commi che miravano a dare ai Consigli di gestione un carattere pubblicistico, con i rela– tivi imbrigliamenti burocratici. Di conseguenza si torna a richiedere l'attribuzione di specifiche funzioni delibe– rative. La relazione c·onclude affermando che il Consiglio di gestione ha da essere considerato come un « organo rivoluzionario che deve condurre ad una sostanziale ri– forma nei rapporti sodali ed in quelli di proprietà>; ri– petendo testualmente quello che !'on. Santi aveva dichia– ralo al Congresso milanese, dopo aver precisalo che il consiglio di gestione « è lo strumento più moderno della lolla di classe in questa fase del capitalismo che è carat– terizzata da un intrecciarsi di rapporti eco,nomici complicali >. Di fronte a questa posizione, ormai apertamente soste– nuta dai marxisti, sta l'irrigidimento semp1·e più riso– luto dei conservatori. Per il prof. Lanzillo (il Tempo di Milano, 22 febbraio 1946) è ormai certo che « nessun uomo, di qualsiasi ceto, se in buona fede (il corsivo è nel lesto), t>llÒ dichiararsi farnrevole ai Consigli di gestio– ne>; mentre il presidente della Confindustria tiene ad av– vertire i suoi avversari, con un chiaro accenno alla ma– nifestazione partigiana che si è svolla ai margini del Con– gresso nazionale dei consigli di geslionc, che « le sfii– late garibaldine> non hanno il potere nè d'impressiona– narlo nè di convincerlo, ma solo di confermarlo nel suo parere che questi consigli non potrebbero essere che ele– menti di disordine. Del resto anche un economista di si– nistra, uno della vecchia guardia rosselliana di G. L., il prof. Ernesto Rossi, è pienamente convinto che « nell'at– tuale clima politico italiano la maggior parte dei Consigli di gestione è composta da agitatori professionali, agli or– dini delle segreterie dei partiti politici, con le conseguen– ze sulla dsciplina e, in genere, sul rendimento delle fab– briche che tutti possono facilmente immaginare > (Italia Socialista, 14 gennaio '48). Perchè la conclusione è questa: l'aver ridotto i Consigli di gestione a dei comitati di agitazione, l'averli .posti sullo stesso piano di quegli altri organi di agitazione contadina che sono i comitali della terra, l'averli impegnati come strumenti della politica di un partilo, ha precluso l'ulte– riore discussione sui presupposti teorici e sulle possi– bilità pratiche, dal punto di vista tecnico, dei consigli di gestione come nuovi organi della struttura dell'azienda, come istituti per la valorizzazione di quella funzione di im– presa che permea di sè tutta la complessa organizzazio– ne aziendale. Questa discussione può apparire vuota· di– vagazione accademica di fronte alla minaccia dell'on. Sereni di voler rimellcre il fucile sulle spalle degli ope– rai per imporre la costituzione dei Consigli di gestione, e· di fronte alla sorpresa di Praga, che ha visto trasfor– marsi questi' comitati di agitazione di fabbrica in una polizia armata popolare per sostenere il colpo di stato comunista. A questo punto la discussione può anche considerarsi conclusa con una constatazione che può sembrare para– dossale, ma che invece è largamente suffragata da quanto si è venuti dimostrando nel corso di questo esame sulla esperienza dei Consigli di gestione nel nostro dopoguer- ra (' ). E la constatazione è questa: i marxisti, i socialcomu– nisti, nonostante lutto il gran da fare che si son dati per pro'?uover~ la CO'Slituzione nelle fabbriche dei Consigli di gesllo?e, s, sono alla fine rivelati i loro peggiori nemici, perche hanno preteso far di questi gli strumenti della lotta di classe ai fini della politica del loro partilo, li hanno concepiti soltanto come organi rivoluzionari di rottura del sistema capitalistico, come dei comitati di agitazione preparatori della azione diretta. Nulla a che fare con il problema vero e proprio del controllo operaio nell'azienda. Ma questa conclusione, per quanto fondata e legittima, non risolve il problema. La discussione può essere sospe– sa perchè non più proficua; anzi perchè può favorire l'equivoco, che è ricercalo da coloro a cui non interessa dar vita a nuovi islituti per una vera, duratura democra– tizzazione dell'attività produttiva. Ma il problema rimane ugualmente aperto. Ed è un grosso problema, che non è nato nell'aria soffocante delle centrali politiche dei partili di estrema sinistra, ma che è sorto spontanea– mente nella vita stessa delle fabbriche, nell'esperienza di ogni giorno dell'attività delle aziende. Se risaliamo indietro negli anni, ancor prima dell'altra guerra, i\lax \Veber aveva posto al centro di una sua memo– ria sul lavoro industriale (Zur Psychophysik der Industriel– len Arbeit, pubblicata nel 1924 in Gesammelte Aufséilze zur Sozio/ogie und Sozialpolitik, pp. 61-255) il problema delle relazioni dell'operaio con la direzione dell'impresa. L'esigenza di tale problema si era falla poi sempre più vi– va negli anni fra le due guerre, sopratutto in riferimento allo sviluppo dei metodi di razionalizzazione della pro– duzione industriale, ed in special modo come reazione al diffondersi di quei sistemi di lavoro nelle fabbriche, di derivazione taylorista, intesi ad assicurare « il mas– simo rendimento per un tempo minimo di lavoro>. In seguito ad una lunga inchiesta, durata dodici anni (1927-1939) a quotidiano contatto con gli operai degli flawlhorne Works della Western Eletric C., sui metodi di razionalizzazione dell'attività industriale, una commis– sione di esperti è giunta alla conclusione che in un'im– presa industriale si debbono distinguere due principali funzioni: l'organizzazione tecnica e l'organizzazione uma– na; quest'ultima con il compilo di curare la cooperazione fra coloro che son partecipi della stessa attività d'im– presa (i risultati di questa minuziosa ed interessante in– chiesta sono stati pubblicali da Roethlisberger e da Dick– son in Management and the Worker nel 1939). Il problema della razionalizzazione della produzione industriale è stato infine impostato dal Friedmann in un suo recente studio (Georges Friedmann, Problèmes humaines du machinisme industrie/, 1946), conciliando i due diversi punti di vista: quello dell'imprenditore, che mira ad ottenere il massimo rendimento dalle mac– chine e dagli uomini; e quello dell'operaio, per il quale la ricerca del rendimento è bilanciata dalla ·preoccupa– zione della sua resistenza fisica e psichica. Il Friedmann è giunto cosi (p. 350) ad indicare l'ottimo compromesso da stabilirsi fra i due fattori: massimo di produzione corrispondente ad un minimo di usura corporale e men– tale del lavoratore. Perchè l'operaio possa rendersi conto del valore sociale del suo lavoro; ed abbia quindi a ri– sentire meno nelle sue reazioni psicologiche di tale usu– ra, deve poter arrivare a sentirsi «integrato> in una realtà collettiva d'impresa; e un mezzo d'integrazione dell'operaio nell'azienda è offerto, (p. 326), dai Comités ouuriers d'usine, che son qualcosa di molto prossimo ai nostri Consigli di gestione. E' inutile indugiare in queste citazioni, riprendere tut– ta la polemica contro il taylorismo in genere, perdersi dietro le sottili indagini della psicosociologia dell'impre– sa per mettere in valore, come ha fatto il Friedmann, il (•) Vedi: Stato Modtrno. l91i, ra,c. i, 1t, 15-16, 20-21; 22-23.

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