Lo Stato Moderno - anno V - n.5-6 - 5-20 marzo 1948

LO STATO MODERNO 119 una riunione dUJ·ata Ire giorni >. La discussione dimostrò eh< Varga aveva i torti di cui si disse. L'autore ha ricono– ~ciuto alcune obbiezioni, altre no. Che cosa sarebbe accaduto negli altri Paesi? Il giudizio sarebbe stato lasciato individualmente a pochi competenti, soprattutto ai <falsificatori>. /,a critica, dunque, ripete la sua validità dalla collegiali– tà del giudizio, dal gioco della maggiorama e della mino– ranza; abbiamo detto critica? Vedete la conf11sio11edel vo– tllbolario a che cosa può condurre: quella che « Rinasci– la, chiama critica, e si potrebbe girare l'ostacolo dicen– do, secondo l'uso moderno, critica interna, non è che ese- 11esi,interpretazione delle Tavole, discussione che ha per ammessa una Verità i11lorno alla quale si potrà dissertare ma sulla quale non si potrà dubitare. I problemi aggirali sono sempre di facile discussione; e ce l'hanno insegnato i cattolici della Co11troriforma. Co– sì dubitiamo che la grossa questione messa all'ordine del giorno del/' Accademia sovietica sia stata veramente una grossa questione quando em. accettata da lutti a priori la identità di economia e di politica, il concetto dello Staio capitalista come Stato a struttura economica anarchica, ecc. Mi ricordo d'una lunga antica dissertazione d'un oscuro frate sull'esistema- dell'inferno, dopo che si era affermalo fin nella prefazione che l'esistenza dell'inferno per chi aveva peccalo non poteva essere messa in dubbio se non si voleva mettersi fuori della Verità e del Giusto. Ora, a noi non imporla la polemica dei comu11isti co11- lro i gior11ali borghesi che spec11la11do sul caso Varga han– no voluto parlare di ep11razio11e,di sanzio11i polemiche, di pene siberiane; non ci imporla sapere se Varga è sull'al– l'allare tuttora o sulla polm!re dell'espazione. Ci interessa il problema di questa cultura chiusa e quindi reazionaria, di questa « critica > che la pubblicità (lo stenogramma della discussione ve1me pubblicalo ili 35 mila copie) non porta su una piano di serietà, allo stesso modo che 110n è su 1111 piano di serietà la « critica> ai comandamenti fatta dai catechismi e pubblicata in milioni di esemplari. Quindi ha ragione il corsivista di «Rinascita> quando dice che non esiste un <caso> Varga; sì, ma c'è un « ca– so > molto più importante e precisa, il casa di un modo di cultura, e quindi di un modo di civiltà. F. c. CONSIGLI DI GESTIONE V - Orientamenti costruttivi La polemica sui Consigli di gestione ha raggiunto ora 1111 punto m-orto. [ marxisti hanno finito col mostrare il loro gioco: han– no messo le carte in tavola confermando apertamente il proprio intendimento di voler ridurre i Consigli di ge– stione a strumenti della loro politica classista. Già al convegno della Bocconi, nell'ottobre '46, il dep,utato co– munista Gian Carlo Pajetta, con l'impazienza dei fanatici che sono insofferenti della problematica dei tecnici, di– chiarò senza ritegno che i comunisti vogliono i Consigli di gestione perchè li considerano un mezzo necessario per poter attuare la democrazia popolare: « tocca poi ai tec– nici - aggiunse con rude franchezza il segretario della Federzione comunista milanese - affidare a questi con– sigli compiti che ne giustifichino l'utilità specifica nella \'ila aziendale> (vedi la lettera dell'ing. Guido Vanzetti sul Popolo del 15 novembre 1946). La storia' - meglio, la cronaca - dei Consigli di ge– stione in questi tre anni dalla fine della guerra, per chi ,i soffermi a riconsiderare l'incerta esperienza delle fab– briche, le polemiche giornalistiche, le discussioni nei convegni. nei con1rc~5i, aJl'Assemblea Costituente, le tante ,noz'oni approvate neile diverse riunioni, i numero~i pro– getti di legge elaborati dai partiti, da organismi econo– mici, da uffici ministeriali: questa storia insomma - questa cronaca - si riduce, in definitiva, alle vicende di un ricorrente tentativo dei socialcomunisti di far accet– tare una giustificazione tecnica qualsiasi, la più adatta alle circostanze del momento, per la costituzione nelle. fabbri– <"hedei Consigli di gestione. Valga il vero. In un primo momento, il P.C.I. aveva reclamato per le maestranze l'onore di essere direttamen· te im1,egnaic nei compiti della ricostruzione; ed aveva ri– chiesto che fosse ad esse riconosciuto il diritto di inter– venire nelia elaborazione dei programmi di produzione e negli accertamenti sulla loro esecuzione senza uscire dall'ambito dell'azienda. Nell'atmosfera insurrezionale del 25 aprile appariva legittimo esigere un diritto quasi do– minicale dei lavoratori sugli impianti industriali che era– no stati ri~parmiati dalle distruzioni della guerra e della lotta civile. • (.iuesta prima presa di posizione del P.C.I. :1on riusci a dnr vii~ ad un largo moYimento d'interessi e di idee capace di rassodare e sviluppare nella pratica aziendale una riform~ spontanea e progressiva. Con il venir meno dell'impulso politico :niz'ule, molti consigli di gestione, che si erano frattanto costituiti, finirono per rinunziare via via a quei compili di maggiore impegno che si erano inizialmente attribuiti. Verso la fine del 1946 l'iniziativa passò ai compagni so– cialisti, che avevano a disposizione in quel momento il portafoglio dell'Industria nel secondo gabinetto De Ga– speri. Nacque cosi il progetto l\forandi col proposito di por mano, quasi inavvertitamente, ad una vera, e propria riforma industriale di tipo socialistico, attraverso un complesso progetto di pianificazione delJ'economia na– zionale da imperniare su dei Consigli di gestione chiama– ti ad assolvere funzioni di controllo come organi indiret– ti dell'amministrazione statale. Le vicende del governo di De Gasperi non consentirono al disegno di legge Mo– randi neppure di essere preso in esame dal Consiglio dei ministri: e questo macchinoso progetto ba poi finito per essere· ripudiato anche dagli stessi socialcomunisti nono– stante che, ad un certo momento, essi lo avessero assunto come bandiera della loro battaglia per i Consigli di ge– stione. . Gli è che, do;>o l'adesione del P.C.I. al Cominform bel– gradese, sono stati nuovamente i comunisti a riprendere l'iniziativa con l'ormai manifesto intento di fare dei Con– sigli di gestione dei comitati di agitazione permanente nell'interno dell'organizzazione aziendale. Al Congresso nazionale milanese, alla fine del novembre 1947, i ruoli principali sono affidati agli onorevoli Longo e Sereni. Non mancano patetici richiami al progetto Morandi, an– zi lo stesso ex-ministro dell'Industria è chiamato a svol– gece un suo ruolo di caratterista: ma son richiami non impe~nativi, che servono più che altro ad appuntire k critiche contro il governo di De Gasperi. I motivi domi– mmli del Congresso prendono pretesto dai grossi pro– blemi del momento: lo sblocco dei licenziamenti ed il finanziamento delle industrie. Si sostiene che i Consigli di gestione debbono essere costituiti per impedire quello sblocco e per controllare i finanziamenti. E' 5l'lla cosi operata una totale inversione del vecchio programma co– munista, secondo il quale l Consigli di gestione avrebbe-

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