Lo Stato Moderno - anno V - n.3-4 - 5-20 febbraio 1948

LO STATO MODERNO 79' tare solo quattro volte superiore a quello dato aJ.la cliente:a . del Meridione, cioè 15,5 mi:iardi contro 4. Cioè ancora, ne:le tre regioni industria:izzate del Settentrione :·eccedenza dei depositi sugli impieghi ammontava a 13 miliardi, pari al .t5,6% dei depositi; nel Meridione invece venivano distribuiti a:Ia c:iente:a 85 milioni in più di quanto questa affidasse alle banche. L'eccedenza dei depositi raccolti nelle regioni indu– strializzate serviva anche a. finanziare l'eccedenza di impieghi bancari ne:J'Ita:ia meridionale! · La situazione non si ripeteva per la Sicilia, dove di fronte a 2,2 miliardi di depositi ~lavano 1,5 miliardi di impieghi; ma anche in questo caso il rapporto d'impiego era più « teso » che nel'.e regioni industrializzate: 68,2% contro 54,4 %, Si può dire quindi che la Sici:ia si autofinanziava. La tesi dei meri– dionalisti dunque, per lo meno alla soglia .del-:aseconda guerra mondiale, era precisamente iì contrario della realtà. Non è inutile notare che è falsa anche :a tesi più generale che le banche « pompavano » ;; denaro nel:e campagne per riversarlo nelle città. Non ci possiamo dilungare su questo punto. Osserviamo solo che anche per le regioni agricole del Settentrione, il Veneto e l'Emilia, si ripete, sia pure in grado inferiore, quanto visto per il Meridione. Nelle due regioni il rapporto deg:i impieghi ai depositi era pari al 77%, eccedente cioè le possibilità date dal'.e disponibilità locali. Era dunque il denaro racco) to nei grandi centri industriali che contribuiva a sostenere gli impieghi de:le banche nelle regioni agricole. Questa situazione era solo leggermente modificata a:la fine dell'anno seguente. Tuttociò in c:ima di autarchia e di preparazione bellica, « c:ima » che determinava una intensi– ficazione dei bisogni di finanziamento per l'industria in genere e per l'industria pesante in specie. Nel dopoguerra, :a liquidità del sistema bancario è stata, fino agli u:timi mesi, maggiore che nell'anteguerra. Alla fine del 1946 tuttavia la situazione si avviava ormai alla norma:iz– zazione: in quel momento gli impieghi rappresentavano il 55% dei depositi. Le statistiche dettagliate attualmente fornite dalla Banca d'Italia consentono di trarre considerazioni .ancor più signi– ficative dal comportamento delle singole categor-ie di banche. e in particolare da.J raffronto del comportamento delle banchP. di interesse nazionale con quello delle banche di diritto pub– blico. E' noto che le prime sono .Je tre maggior,i: Banca Com– merciale Ita:iana, Credito Italiano e Banco di Roma; le secon– de sono il Banco di Napoli, il ·Banco di Sici'.ia, la Banca del Lavoro, oltre al Monte dei Paschi di Siena e all'Istituto San Paolo di Torino. Qua11do si' parla di banche più o meno asservite all'in– dustria, si parla sopratutto delìe banche di interesse nazionale; nel nostro caso, e cioè di travasamento al Nord di denaro rac– co'.to al Sud, si parla pressochè esclusivamente di queste, che " pomperebbero » nel Sud il denaro ohe ,poi Tiverserebbero alle filiali del Nord, secondo quanto abbiamo letto ancor pochi me– si fa, con grossa sorpresa, in un giornale del Meridione ad opera di un pur distinto economista. Le piccole banche non hanno questa possibilità, o potrebbero averla solo per via di parti– colari collegamenti personali, in qua:che caso del tutto ecce– zionale e di scarso interesse pratico. Dovremmo pertanto riscontrare presso le grandi banche almeno fa tendenza al « travasamento ». Ben al contrario, le banche di interesse nazionale impiegano nel Meridione .una percentuale, dei depositi raccolti localmente, maggiore che non nel Nord. Si può constatare anche un a:tro fenomeno che si impone alla nostra attenzione. el Sud, •le banche di diritto pubblico ivi operanti sono le tre prime sopra nom:nate, con grande prevalenza dei Banchi di apoli e di Sicilia, che hanno per– precipuo scopo i; « potenziamento » del Meridione. Sarebbe– paradossale considerarli come i prototipi delle banche asservite– all'industria del Nord: non si vedrebbe mfatti perchè do– vrebbero esser:o essi, quando non dimostrano di esser:o le– grandi banche di interesse nazionale che hanno sede e precipui interessi nel Nord. Ebbene, sono proprio i banchi « potenzia– tori » del Mezzogiorno quelli che in1piegano nel Mezzogiorno– la quota più bassa dei depositi ivi raccolti; inferiore non solo– alla quota impiegata dalle banche di interesse nazionale, ma. anche a que:Ja impiegata dalle banche di credito ordinario. La spiegazione di questa rea:tà, apparentemente paradossale, non è ardua. Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, per la. vasta rete capi'.lare che hanno in tutto il Mezzogiorno (le ban– che di interesse nazionale operano solo nei maggiori centri, e– non tutte in tutti), vi raccolgono una massa di depositi supe~ riore a quella raccolta daL:e banche di interesse ·nazionale. A:Ia fine del 1946 detenevano 45,4 miliardi di depositi, contro- 27,8 delle banche di interesse nazionale. Ma le possibilità dì proficuo co:Iocamento di capitali nel Mezzogiorno sono limi– tate: ecco perchè le banche di' diritto pubblico vi impiegano solo, 19,3 mi:iardi. Questo « sottoimpiegò » contribuisce a far– sì che il complesso di tali banche (inc'.usi i'. Monte dei Pascbi e.l'Istituto di San Paolo) possano impiegare 28 miliardi nelle– tre regioni industrializzate del Settentrione, dove raccolgono– soli 32,4 mGiardi di depositi: il basso rapporto di impiego nel Mezzogiorno consente loro un rapporto mo!to « teso » ne:Je· tre regioni industrializzate, dove è pari all'86%. Per le banche di interesse nazionale invece sì 'riscontra che nelle tre regioni industrializzate esse raccolgono un am– montare di depositi pari a oltre 4 volte que:le da esse racco:to, ·nel Meridione, ma impiegano un ammontare inferiore a 4 volte que:Io impiegato ne: Meridione: con un rapporto quindi meno teso che nel Meridione. Nel 1938, la questione meridionale aveva già una lunga baroa bianca; e poteva essere che, invecchiando, i suoi termini si fossero precisati e chiar.iti. Ma non pare, giudicando dal!'opi– nione di molti conclamati meridiona:isti, di cui alcuni notis-• simi, alla tesi dei quali dubitiamo fortemente che possano, giovare l'elaborazione e disamina di altri dati di fatto, attual– mente non disponibili. La questione meridionale esiste: è scritta neHa storia. nella geografia, nella realtà di fatto economica e socia:e. · Ma per risolverla occorre in primis-simo luogo - a nostro avviso - che i meridionali facciano tabu:a rasa di preconcetti e prevenzioni; che « ar,rischino » i loro capitali nell'industria e– nei miglioramenti fondiari, perdendovi il sonno e spesso il capitale, così come hanno fatto e fanno tutti i giorni g:i uomini del Nord; e che comprendano che, finchè se la prendono con fo Stato, essi sono ancora almeno un passo al di qua della . forma mentis che ha dato origine al mondo industria:e mo– derno. E in secondo luogo - e qui non ci rivolgiamo solo ai meridionalisti - occorre fuggire da:la · impostazione sempli– cista della « industrializzazione del Mezzogiorno ». Nessun paese delle zone calde è un paese industrializzato sulla falsa– riga dei paesi nordici. Vi sono dunque precisi dati di fatto ambientali che vanno ben oltre le nostre locali motivazioni stori– che. Non -sitratta per il Sud di scinlmiottare il Nord. Si tratta di dare adeguata consistenza alle proprie fone economiche, pro– letarie e capita:istiche, in contrapposizione - e in collabora– zione - con le fone già da tempo organtizzate dall'A:ta Italia. ALDO DE TOMA

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