Lo Stato Moderno - anno IV - n.17 - 5 settembre 1947

392 LO STATO MODERNO Il fallimento del Partito d'Azione segnò lo scacco dell'esi– genza di rinnovamento della topografia politica italiana con l'avvento di uno schieramento deliberatamente ed autentica– mente democratioo, senza aggettivi. Ma non mi sembra nè obbiettivo nè generoso addossare tutta la responsabilità di que– sto fallimento alla errata politica del P. d. A. o della sua mag– gioranza. De! resto, non riuscito ad affermarsi, il P.d.A. a:– l'epoca della sua scissione (febbraio 1946) già versava in una crisi con ogni verosimig!ianza irreparabile, che in ogni caso lo avrebbe confinato in un ambito del tutto modesto e non sostan– zia!mente diverso da quel!o che gli attribu1n poi la consul– tazione elettorale de: 2 giugno. Errori a parte, molti e sva– riati fattori concorsero a determinare questo fallimento: !'-essersi prodigati nella lotta di resistenza e poi nella politica dei C. L. N. (a torto intesa com-e rivoluzionaria) sino a tal punto da far sorgere il pregiudizio che la funzione del partito, altamente meritoria, si fosse ormai esaurita; il basso livello delle masse politiche italiane, ancora più facilmente mobilitahili in forza di 'miti, di paure, di avversioni e di wlogans che di una visione critica e razionale; l'incapacità del P. d. A. a far presa su masse, aggregati, ceti o raggruppamenti di qualsiasi specie, anzichè su singole, selezionate ma isolate, individualità; la fra– gilità e la mancanza di mordente, ove non sussista un alveo tradizionale ideologico o di costume, che hanno i partiti d' opi– nione nel!'epoca dei massicci e conformisti partiti di massa po– derosamente organizzati e penetranti capillarmente; l'equivoco e fascinatore mito della « democrazia progressiva» del P. C. I., largamente permeante anche i ceti medi; il mal contrastato predominio comunista, soggiogatore e paralizzatore d"ogni ini– ziativa di sinistra; e, all'opposto, l'equivoco «centrista» de:Ia D. C. e la sua predicazione di moderantismo, d'interclassismo, di !egalitarismo, con la suggestione (per certi strati) di sem– pre più esplicite puntate anticomuniste; l'altro grosso equivoco della mancanza di un'autonoma ed effettiva azione socialista, dibattuto il P.S.1.U.P. tra un'apparente autonomia ed un so– stanziale accodamento (con velleità fusioniste) al P.C.; ecc. ecc. Il fallimento di questa iniziativa ha avuto ed ha certamen– te conseguenze nella realtà politica italiana. Mentre gli schiera– menti estremi s'allontanano, s'irrigidiscono e acuiscono il con– trasto (anche per ripercussioni internazionali), nel settore inter– medio s'è con ciò determinata una mobilità, una fluttuazione ed un frazionamento che vanno a detrimento non solo della chiarezza del panorama politico ma della stessa vita democra– tica. Che vi siano rammarico e nostalgie per l'occasione man– cata è chiaro. Ma col rammarico e la nostalgia non si costruisce nulla: e men che mai in politica. Il precedente negativo ch'era appoggiato da condizioni ben altrimenti favorevoli - diventa anzi contro-operante. Ma il problema, si può obbiettare, è diverso. E' attual– mente possibi:e riafferrare e concretare l'iniziativa sfuggita? Ha presa sul Paese, e non su taluni (pochi o molti) critici della po:itica, l'esigenza di un vasto e coerente schieramento poli– tico tra i partiti di sinistra e la D. C.? E' possibi:e nella pre– sente situazione, con !e forze esistenti e con le prospettive in atto (prescindendo dal problema se non sia troppo tardi, già in vista di una consu:tazione elettorale, dar vita ad un par– tito), veder sorgere ciuel • grande partito democratico »; pre– dilettà mira di Stmo Moderno (e che naturalmente è tutt'altra cosa da contingenti alleanze o da particolari accordi par:a– mentari, e:ettorali o di governo)? La mia opinione è francamente negativa. E sotto tutti g: i aspetti. Sul terreno concreto, anzitutto. Paggi ha voluto circon– scrivere topograficamente il situs di questo partito. nel qua- dri:atero P. S. L. I. - P. R. I. - P. d. A. - P. d. L. Ma proprio qui non c'è da farsi illusioni. Orientati diversamente i super– stiti azionisti e le forze demolaburiste ancora omogenee. si tratterebbe in sostanza di unificazione tra P.S.L.1. e P.R.I. Ma si tratta di due partiti che, prescindendo pure dal con– servatoristico attaccamento repubblicano aI:e proprie tradi– zioni ed al proprio partito, sono profondamente diversi per mentalità, per tempra, per aspirazioni. c·è troppa eteroi(e– neità. A voler fundere le tlue compagini (e posto che l"awe. nuta unificazione potesse esercitare una maggiore ois atrac– tiva) sarebbe raccozzare assieme gente che ha diverso modo di pensare, d'intendere e di opèrare. Nè si pensi che ad osta– co:are un processo di unificazione siano le pur indiscutibili divergenze tra gli esponenti politici e par!amentari dei due partiti. E' proprio alla « base » dei due partiti che manca il minimo accenno ad un·esigenza unitaria. La quale non è sentita - nel senso di esercitare una effettiva (e non intel– lettualistica) pressione sul:e due compagini - nemmeno dal– !' opinione pubblica. Ma, anche prescindendo dalla concreta topografia po:i. tica, quale dovrebbe e potrebbe essere l'amalgama del sup– posto nuovo partito? Una c:asse politica omogenea? Ma nem– meno il P.d.A. - con il suo vivace·impulso critico e la pres– sione esteriore d'un avversario da abbattere - era riuscito a crearla, in senso sufficientemente unitario; e queI:a certa élite ch'esso aveva pazientemente costituito (tutt'altro che esente da contrasti e da vere e proprie faziosità: sì da portare all'imperativo di una scissione) è orma; andata dispersa. Un aggregato sociale uniforme, come i ceti medi? Vana fantasia. In primo luogo i ceti medi politicizzati sono già mobilitati un po' in tutti i partiti {comunista compreso); e quando si ripudi (com'è mia ferma convinzione) la illusione del « partito dei ceti medi » - che sarebbe la più i~signe buffonata e il peg– ~ior guaio a cui potremmo assistere -, è -evidentemente fa!sa l'asserzione che i ceti medi non abbiano un'adeguata rappre– sentanza po:itica. In secondo luogo è ben lungi dall'essere vero che i partiti de!la « piccola intesa • siano esclusivameote o prevalentemente di ceti medi (è singolare, a questo riguardo. come da mo:ti osservatori si sia abboccato, a proposito de: P.S.L.I., ag:i slogans contropropagandistici che miravano a rap– presentarlo come sistematicamente disertato da operai e da lavoratori). Un programma comune? Ma in una situazione a rime obbligate come la nostra (e posto che i programmi esercitino ancora qualche attrattiva sul Paese) nulla è più faci:e che elaborare dei programmi capaci di trovare un con· senso generale (compresi certamente i comunisti e non esc:usi forse i democristiani): dei programmi inetti quindi a configu· rare in modo evidente e suggestivo que:la differentia specifica necessaria a sorreggere l'esistenza - che è sempre po:emicJ - di un partito. Possono essere, infine, il concetto e la praxiJ del:a democrazia (sia pure con le debite garanzie di uno s\"Ì· luppo sociale progressista)? Ahimè. In un paese dove tutti i partiti si professano democratici e sino ad un certo punto ef– fettivamente sostengono il metodo democratico, quella della democrazia non è parola d'ordine sufficientemente chiara e suscitatrice, atta a mobilitare e ad attrarre nell'orbita politica forze in margine ed in attesa. O richiederebbe (di fronte a ri– serve mentali, a compromessi, a ipocrisie, a segrete manovri') una troppo sotti:e e non facilmente accessibi:e polemica po:i– tica. E lascio da parte il dubbio che que::o della democrazia sia, nella sua indeterminatezza, un concetto già sottoposto ad usura, rimasti insoluti prob:emi essenzia:; e data la non troppo bri]ante prova della nuova classe dirigente. Ma soprattutto bisogna tenere conto che dalla libera· zione a questa parte si è •corroso quel fulcro di democrazia pura, di democrazia senz'aggettivi, a cui sembrava dovesse impostarsi la rinascente vita politica italiana. Sotto l'egida for-

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