Lo Stato Moderno - anno IV - n.14 - 20 luglio 1947

LO STATO MODERNO 311 pt'' Pochi giorni prima che si riunisse a Parigi la Conferenza la cooperazione economica eur~pea, l'a~basciatore Qua- roni invitò i giornalisti italiani a<l una conferenza-stampa ne! suo ufficio' del:a villetta di rue de Varenne. Due cose sostan• zia:mente disse l'ambasciatore Qm1roni: raccomandò di non • montare » la conferenza, e di mettere in guardia di fronte alle attese miracolistiche; e sottolineò con forte insistenza la necessità, l'urgenza della ratifica del trattato di pace7 Diplo– matico di carriera, e uno dei nostri più valorosi, il Quaroni ,deva nella "ratifica un· atto dip:omaticamente indispensabile non solo per poter trattare con :e altre potenze su un piede di parità, e qui la sua osservazione sembra incontestabile; ma addirittura per poter rimanere al tavolo· della conferenza, e qui forse il formalismo e la ,serietà cancellieresca gli nascon– devano la f.essibilità dei movimenti di politica internazionale in un'epoca che ha singolarmente rinunziato a più <l'una delle classiche modalità del diritto delle genti. La ratifica è imminente, crediamo, ed è il primo atto di una politica estera. E' un • atto » nel senso volontario del tem1ine. Giacchè esso si produce in una situazione non facile, data la sospensione della ratifica da parte di una delle po-· tenze vincitrici, l'U.R.S.S. Un primo dubbio è che, secondo la :ettera del Trattato, non la nostra ratifica conti, perchè il trattato diventi esecutivo, ma• quella dei vincitori. Su questo punto l'ambasciato·re QuarÒni indicò ai rappresentanti della stampa italiana un'interpretazione che ora il Governo sembra aver fatto propria: e cioè che ia lettera del..trattato non si- . gnifica affatto che la nostra ratifica sià inutile, e che essa debba dipendere dalla ratifica dei vincitori: che quella clau– so!a ciÒè non è diretta affatto a condizionare persino la nostra sottomissione al diktat al beneplaci~ del!~ potenze ~he l'im– pongono. Questo dal punto di vista diplQmatico. Ma dal punto di vista politico, la faccenda è · diversa. La sospensione della iatifica da parte dell'U.R.S.S. mette l'Italia nelle condizioni di una 'scelta <li carattere 0 politiro,' magari contro le nostre· stesse intenzioni o almeno contro i nostri desideri. Abbiamo mille volte ripetuto, sulla stampa di ogni tendenza, che ci ri– fiutavamo di scegliere tra l'Oriente e l'Occidente; ed ecco che, presi dalle improrogabili necessità economiche, abbiamo accettato anzitutto di partecipare ad una Conferenza che è nata polemicamente, individuata dall'U.R.S.S. come una Con– ferenza di parte. La ratifica diviene allora una conseguenza inevitabile:· non ratifieare sarebbe,· come già troppo spesso, volere e no~ volere nello stesso tempo un determi1;13tofine._ Essere a Parigi come potenza non ratificante significherebbe volere ad un tempo partecipare alla· sistemazione economica dell'Europa occidentale, e voler mantenerci nello stesso tempo in una condizione. d'inferiorità rispetto agli altri contraenti. Ma, dicevamo, la ratifica può apparire un atto ostile al!'U.R.S.S.: orbene non è colpa nostra se ,l'U.R.S.S. ,ha dato deHa CÒnferenza dr Parigi 1;1n'interpretazione politica; non sarà colpa nostra, se qualche Stato ivi presente volesse darvi una precipitata interpretazione po:itica che non condividiamo, . e che dobbiamo batterci per respingere. Ma ancora una volta, per poter contare qualche cosa, per non sentirci dire, magari A PARJ(;-/. con più garbo, che siamo dei ·vinti e' che a noi conviene il silenzio, la ratifica diviene necessaria. Diviene necessaria pct poter tenere il linguaggio che, mi sembra, non senza· lunu;i– !'1irante nobi:tà il conte Sforza ha tenuto dal primo gior~o: per affermare la necessità di dominare e spegnere i partico· larismi nazionalistici, e per associarci alla tesi che Blum più ancora di Bidault ha ripetutamente affermato in questi giorni in Francia, de'.la riduzione del principio -di sovranità tra gli Stati d'Europa. Ora questa politica non si può fare senza rischi é il primo rischio è quello di dispiacere all'U.R.S.S.: che farci? Bisogna metterci assolutamente in mente che, dato il momento internazionale, qualsiasi atto ,positivo, o qualsiasi astensione da atti positivi, sono fatalmente interpretabili come atti di parte. In queste condizioni ~on c'è, che da scegliere una linea politica coerente sia coi nostri interessi (e su questo p:ano sembra innegabile che solo il piano Marshall possa co– stituire un· aiuto positivo) sia con la nostra concezione della libertà nei rapporti internaziona:i (e su· questo piano, a tut– t'oggi, è più facile mantenere da occidente la porta aperta ad oriente, che non da oriente verso occidente: come devono lea!mente riconoseere i partiti c·omunisti occidentali, che sanno benissimo di godere di maggiori diritti praticamente concre· tabili, che non i partiti non comunisti nei paesi satelliti de!- l'U.R.S.S.). - · La nostra· presentazione a Parigi è stata molto buona.'. Sarebbe stata migliore se la ratifica fosse già avvenuta. Tut– tavia al conte Sforza è stata in certo modo ,riservata una parte onorevole rispetto ad altri Stati invitati. E' toccato a lui.pren– dere la -parola, la mattina del 12 luglio, subito dopo Bidault e Bevin. L'Ita:ia è stata non solo ammessa a, parità di tutti gli altri Stati nel Comitato coordinatore, ma .fa parte di due sottocommissioni. Non è stato dato invece il desiderato rilievo alla proposta Sforza di una apposita sottocommissione per la emigrazione: il problema <lella mano d'opera è stato rinviato alle singole sottocommissioni. Purchè esso non venga lasciato cadere (ed è certo che non lo sarà), è forse cosa migliore e persino più decorosa. La pro.posta Sforza lo avrebbe messo in maggiore evidenza; ma la soluzione accettata, in quanto com· porta una considerazione specializzata della mano d'opera, tende e distinguerla da un punto di vista che rischiava di 'abbassare il problema dell'emigrazione al problema dell'espor– .tazione di un merce, quella di cui l'Italia è più ,ricca. ." La prima impressione de:la presenza dell'Italia a Parigi è che il nostro Paese, proprio perchè.Paese vinto e meno im– pegnato nella protezione di beni saldamente acquisiti, possa tenere un linguaggio più schietto di altre potenze. Non ci nascondiamo che l'Europa va ~erso un principio· di sintesi, ·non già sotto l'imperio militare, come pensava Hitler, ma sotto quello di una terribile pressione economica. li linguaggio di Sforza sembra di buon augurio, nel senso che l'Europa deve pur guardarsi dal lasciarsi sottomettere come schiava da que– sta pressione. Questa visione ha un senso, s'intende, in una politica di pace. Ma. in realtà non si può e non si fa mai se non una politica di pace, o una politica che vuo!e impedire la guerra, finchè sia umanamente possibile. Poi, non Si fa più .politica. UMBERTO SEGRE

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