Lo Stato Moderno - anno IV - n.11 - 5 giugno 1947

240 LO STATU MODERNO lanciavano, facendo sapere a desta e manca ohe attraverso Nitti si sarebbero riconciliati con i « produttori », con la Borsa, in– fine col grande Capitale, indusse De Gasperi a considerare il veoohio uomo di Stato liberale come un perico'.osissimo e in· sieme inutile rivale. Se butto ,si riduceva alla necessità di ispi– rare fiducia in certi strati della bor.ghesia, il capo de}:a demo– crazia cristiana poteva farlo 11:pari e =i (avendo al1e spalle 207 deputati) assai meglio di Nitti. Gli bastava estromettere i socia.!comunisti dal governo. Nenni non mançò di accusare Saragat di aver cavato dal fuoco le cai;tagne per conto di De Gasperi. Indubbiamente, il P.S.L.I. fu poco abile ne: dare tanto ri:ievo, proprio nei con– fronti di Nitti, alla questione del cosidetto gabinetto economico, ohe era stata invece coniata al solo e giustificato scopo di mi– gliorare il funzionamento de: governo De Gasperi, che si sup– poneva dovesse essere allargato. Ma come non bastò aJ.:'estre– ma sinistra, per vincere, l'abilità, così non fu per mera man– canza di abilità che la Picco:a Intesa non potè avere u_nafun– zione decisiva. Con tutti i suoi errori tattici, essa avrebbe po– tuto conquistare in qua:siasi momento della crisi la presidenza del Consiglio per il suo candidato (e varare attraverso di ìui anche la sostanzia ,dell'idea del!a diirezione economica), purchè ne avesse av.uto uno. Ma non l'aveva; e, del rnsto, la Picco:a Intesa non esisteva neppure, salvo che suKa carta dei giornali, che ne auspicavano o ne temevano l'entr1lta in azione. Ne:-:a grigia, opaca realtà dei fatti, la Piccola Intesa si riunì due sole volte, ambo le volte prima deJ:e dimissioni di De Gasperi, e non andò o'.tre la constatazione dell'esistenza di divergenze (forse scio di sfumatum, ma comunque non precisate) tra il P.S.L.I. e il P.R.I. Di :firontea:,:'eccesso di iscaltrezza dei socialcomunisti ~a– sparente come ogni ecce.sso) e alla carenza deJ.:aPiccola Intesa, De Gasperi non aveva n~puce· bisogno di manovrare molto per avere il terreno propizio per sè. Al govemo di centro– sinistro del tipo Ramadier, egli aveva pensato prima di aprire ufficia:mente :a crisi. Dopo aver accertato che la PiccoCa In– tesa non disponeva di un candidato del ca!iibro e del prestigio di Ramadier (per non par:are di Léon B:uml), dopo aver con– statato che i socialcomunisti erano imprudenti e impazienti ablpastanza (caratteristiche queste ohe non sono de]a vera forza) nel coltivare l'illusione di un loro accordo con i « pro– duttori», De Gasperi poteva esaudire il voto profondo de1a Azione Cattolica e de:l'autentica « destra economica », for– mando il suo governo di colore. Le ultime trattative cqn i « tecnici» della Piccola Intesa non furono più che una finta per il capo democristiano. Che in questa, che indubbiamente è un'avventura, il pre– sidente del Consiglio si sia imburcato a cuor leggero, non cor– ri~nde a verità. Ma è diventato un luogo comune in Ital<ia (di cui resta perattro da dimostrare 1a verità) che potremo sal– varci solo grazie ad un grosso prestito americano; e in questo momento sembra (e anche questo resta da dimostrare) che gli americani i prestiti li concedano molto più facilmente a governi <li cui non facciano parte i comunisti e neppure i so– cialisti di sin:istra. L' esperomento di 5ondare le vere intenzioni e possibfità deg;i americani era per così dne nell'aria. Poteva impadronirsene la Piccola Intesa e darg'.i un co'.ore rosa; se ne impadronì De Gru\l)eri e gl,i diede il co!ore nero. Il non mescolare poi il rosa al nero, il rifiuto di \lare un ministro o - due al governo democristiano ormai or.ientato a destra, fu un atto <li saggezza (e anche di onestà) da parte della Picco!a Intesa. Non tutti i mali vengono per nuocere so:tanto; e :a v,it– toria -democristiana potrebbe ancor7"tramutarsi in una vittoria di Pirro e servire da ohiarifioazione politica generale. Pur es– sendo tra gli sconfitti, la Piocd.a Intesa potrebbe sentirsi sti- mol11ta dal pericolo della creazione di uno Stato autentica– mente clericale, per prendere a'.fine corpo, consistenza e pos·. zi~?e, per forgiarsi que:la volontà comune e costiante, senz~ d_e.,aquale non si esiste. Anche per festrema sinistra, e prin. C\Palmente iper il P.S.I., la le71ionepotrebbe non essere vana. Basterebbe che Nenni si rpersuadesse (in accordo col più pro– fondo Marx e in disaccordo con gli interpreti massimalisti del marxismo) che il vero potere, cioè :o Stato degno del nome non si conquista nè con le elezioll'i nè con le barricate, ma si costruisoe e si amministra. LEO VALIANI I SILICONI Qualche giorno fa, alla colazione mensile della sezione mila. nese della Camera di Commercio Americana in Italia, uno dei partecipanti, fresco tornato dagli Stati Uniti, nel raccontare il suo viaggio, estrasse di tasca una scatoletta, ne vuotò in mano il contenuto facendone una pallina, che gettata a terra rim-· ba1zò come.di gomma; .e ci spiegò che, rimessa la pallina nella scatoletta quadrangolare...Ja materia che la componeva, si sa– rebbe ridistesa fino ad aderire alle parti dell'involucro. Era un «silicone», cioè un campione di quelle resine sintetiche tratte dalle sabbie, che danno origine a prodotti adatti a sostituire la gomma, a isolanti elettrici, ecc. E il nostro interlocutore con– cluse: « Cari signori, andate in America, e avrete molto da imparare». L'invito viene a buon punto. Safoo rarissime eccezioni, anche i « grandi capitani d'industria » defunti o fuori gioco, nacquero e si formarono alla scuola tedesca (ciò che spiega perchè credessero, per Jo più, volontieri nel fÒscismo e nella scienza germanica) e conobbero pocg e male, talora anzi af– fatto, il mondo anglosas~one. La generazione successiva, poi, crebbe e prosperò in clima autarchico, e il nazionalismo pae– sano non le consentì che di scimiottare i tedeschi, e sparlare dei francesi. Le conseguenze, le abbiamo vedute. Convinti che l'industria tedesca fosse il •non plus u'.tm, e l'italiana SUll buona seconda, ci avviammo con allegra incoscienza alla cata. strofe. Solo qualche economista non ortodosso, un banchiere o due che non aveva, con gran pericolo, tagliato i fili con Londra, pochi studi.ooi riottosi, bizzarri, e .spr<egiatiquanto sospetti, prevedettero ciò che doveva accadere. La cacciata degli israeliti accelerò i tempi, giacchè lo spirito internazionali– stico, la curiosità e la passione scientifica della- razza, li sal– vavano dal poltrire nella gabbia autarchica. Gli altri, vi stettero a meraviglia, e molti tengono a perpetuarla e a non uscirne. Dire e scrivere che oggi buona parte della nostra indu– stria, e proprio i settori più turbolenti, vociferanti nazionaliz– zazioni e statizzazioni, sono, teo11wamente parlando, ali' età • della pietra in confronto degli americani, è eresia grave, e da condurre al linciaggio, almeno su certi organetti polemici. Ma è, almeno per chi non voglia acciecarsi da sè, la pura verità. Ci vuo.le ilo. faocia rtosta di quegli ignoranti (l'ignoranza è l'unica merce che abbondi in Italia) i quali « metton conm· zioni • al capitale americane disposto a interessarsi alle nostre industrie, per non accorgersene. Da quando in qua si è visto l'aspirante debitore, con l'acqua alla gola, sogguardare dal· l'alto in basso colui al quale chiede quattrini? Ma noi può darsi che trooianw qualche faroeur che sostenga che dobbiamo « insegnar qualcosa • agli statunitensi! Non vi ricordate quella specie di girarrosto che ammirammo ,nel « giornale Luce » fa· scisto, da cui, macinando sabbia, uscioa ferro? Altro che « sili· coni »I Il genio italico e autarchico, li b~tteva. Peccato che, con tanto lavoro e tanta réclame, non si sia in tutto e per tutto prodotto neppure il ferro sufficiente per fare una chiave, da fischiare l'inventore, e chi l'aveva lanciato. CANDIDO

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