Lo Stato Moderno - anno IV - n.11 - 5 giugno 1947

LO STATO MODERNO 251 conente d'esportazione di lavoro. Molti però s'accorsero, e 1ut11 se ne rendono conto ora, quali pericoli si nascondevano ne::a soluzione escogitata. Sarebbe bastato, infatti, che l'emi– ~razione e le esportazioni di merci si fossero arrestate per veder crollare d'un tratto l'artificio industriale. Ovvero sa– rebbe bastata che la speranza della conquista imperia:e fosse naufragata perchè venissero in evidenza le ingiustizie sociali dele pretese dell'artificio industriale nazionale. Tutte e due g:i eventi sfavorevo:i oggi sono, purt-roppo, rea:tà: :e esportazioni del Mezzogiorno tentennano perchè i-I mondo oggi produce molto zolfo, molti agrumi, molto vino, molto asfalto, ecc. e perchè i costi di produzione delle merci un tempo esportate sono assai elevati; l'impero agognato, inoltre, è caduto sotto gli erroti delrultimo araldo della guerra di conquista. Cosicchè in atto ci troviamo privi d'una orga– nizzazione economica capace di dare lavoro a tutti glri ita– liani e, tnvece, fermi e sperduti ne: labirinto dell'artificio industriale. Ma non solo: ci troviamo al cospetto di una situazione .,ociale assai grave che non sa trovare una via d'uscita. Ne: passato l'artificio industria'.e aveva superato '.e :otte di classe fra capitale e lavoro mettendo d'accordo industriali e operai dc'.le attività protette. I contadini, non partecipanti alle at– tività protette, ne avevano subito :e conseguenze, ma essi avevano in certo qual modo rimediato sia accontentandosi di un basso tenore di vita, sia emigrando. Ma oggi che le esporta– zioni di lavoro più non avvengono e che quel:e di merci tro– vano serio ostacolo ne:-l'alto costo dei beni capitali (macchine, concimi, automezzi, ecc.), prodotti all'interno in regime di monopo!io legale, la situazione è grave, assai grave. I- con– !adini pretendono lavorare in casa e per giunta e giustamente non si accontentano più di v.ivere in miseria come prima. Il prob:ema sociale odierno non è più di lotta generica fra • capita:e • e « lavoro », è invece di lotta specifica fm • partecipanti alle attività protette» e « partecipanti alle at– tività non protette »• insomma fra « operai » e « contadini •· è si dica che ai contadini è riservata la proprietà deJla terra; non è questione di distribuzione della proprietà il pro– blema soctale, è problema di rendimento unitario del:a terra e dell'impresa. LE CAUSE POLITICHE Finalmente veniamo alle oause politiche. L'Europa, abbiamo detto, non seppe valutare esattamente gli effetti della « rivoluzione industriale », si illuse di poter do– mare la forza d'espansione del capitale, epperciò rimase nella sua vecchia struttura medioevale, divisa e ,suddivisa in tanti Stati contrastanti. Solo fece un piécolo passo avanti elimiRan– do, sotto le insegne del liberalismo, molti staterelli-e creando Stati più grandi, meglio adatti alla funzione di mercato nazio– nale per le nuove industrie. In ogni caso, ripetiamo, l'Europa rimase quella d'un tempo, tutta presa dai nazionalismi. Magari avesse creato delle strutture politiche elastiche, agili, pronte al divenire economico del mondo. Tutt'altro: essa creò organismi troppo rigidi, d'accentramento burocratico, di dominio di parte; insomma Stati dittatoriali infatuati della guerra di predominio. Anche dove si preferì la forma federa– tiva, come nel caso della Germania, la dittatura prevalse e con essa la guerra. Oggi forse tutti s'accorgono dell'errore commesso dall'Eu– ropa. La crisi dell'Europa dell'ottocento, le necessità della ri– costruzione continentale, gli eventi della rinascita mediterranea sono un monitQ per gli europei; tutlli sanno ormai che non v'è altra via di scampo che la via della libertà e dell'eguaglianza di tutti i popoli. Jvla·non basta sapere, bisogna anche e soprattutto agire. Noi del Mezzogiorno d'Italia sappiamo la •verità e vogliamo pure agire; auguriamoci ohe anche i nostri fratelli del resto d'Italia lo vogliano nell'interesse nazionale e quindi anche in– teresse europeo, nell'interesse dell'umanità. li problema del Mezzogiorno, ripetiamo, è l'aspetto fondamentale del pro– blema nazionale. GIUSEPPE FRJSELLA VELLA Progressismo dei conservatori in .lnghilterra Dal 26 luglio 1945 (data delle elezioni generali e della vittoria laburista) l'attenzione di chi segue le cose d'Inghil– terra è concentrata sulla politica del Governo e sulla silent revolution che, attraverso le misure di nazionalizzazione pro– mosse dai laburisti, è venuta via via prendendo corpo. Dei conservatori si parla poco, e solo a intervalli, in occa– sione di qualche loro particolare manifestazione· (quale il con– gressodi Blackpool dello scorso autunno), delle ricorrenti voci ùi tentativi di unione con i liberali, di talune elezioni locali, o di talune « tirate » oratorie del non domo - nè per volger d'anni nè per volger di fortune elettorali - Winston Churchill. Tuttavia il • caso • conservatore, per dirla all'inglese, me– rita la massima attenzione. Sia per la forza numerica che, nonostante la schiacciante vittoria elettorale laburista, i con– servatori tuttora possono, e forse potranno alle prossime ele– zioni, possedere nel paese (come è noto in Inghilterra, grazie al .'\istema dei collegi uninominali, la maggioranza parlamen– tare ottenuta dal partito vincitore è sempre più vistosa della effettiva maggioranza di voti). Sia perchè il moto pendolare che spesso caratterizza l'evoluzione dell'opinione pubblica po– trebbe, al prossimo turno elettorale (o a uno dei prossimi), dopo una pesante esperienza di vita regolata laburista, indurre a cercare un alleggerimento in senso liberale, offrendo nuo– vamente una chance di governo ai conservatori. Sia, infine, perchè, nonostante tutte le programmazioni e velleità progres- siste coltivate ovunque durante la guerra ed esplose, spesso superficialmente, dop.o la liberazione, una posizione ed' uno stato d'animo conservatori tuttora esistono: e ciò non solo in quanto gretta difesa di taluni vested interests (per dirla sem– pre all'inglese, 7J)asi tratta di una esperienza -generale, della quale sappiamo ben qualcosa anche in Italia), .ma anche in quanto posizione di pura, e necessaria, politica: insopprimi– bile posta nel dialettico gioco fra « progressisti » e « moderati•· E' d'uopo quindi, specie in questo momento in cui gli entusiasmi sorretti dall'onda portante della politique d'abord sono entrati, o paiono in procinto di entrare, in fase decrescen– te, badare ai conservatori. Ed è interessante analizzare soprat– tutto l'atteggiamento dei conservatori inglesi, eredi di una delle più ricche tradizioni politiche, e partecipi di uno dei più vivi e consapevoli ambienti politico-sociali di questa scom– binatissima Europa postbellica. Ora, la cosa più· inte~essante che questa indagine ri~ela è che nella « vecchia Inghilterra • i toriès non sono affatto vecchi. In seno al partito conservatore vi è una vivace frazione di « giovani tories », o « tories riformisti », largamente aperti alle esperienze ed esigenze della società moderna, in quanto società di masse, di produzione tecnica altamente specializzata, uscita da due guerre e da una prolungata situazione di mala distribuzione di materie prime e di mano d'opera: fattoti tutti che hanno ovunque reso in sempre crescente misura necesSllri

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