Lo Stato Moderno - anno IV - n.11 - 5 giugno 1947

LO STATO MUUERNU 243 La difesa di questo diritto dell'imprenditore a mantenere intatta l'unicità del comando dell'azienda è in fondo il nu– cleo centrale della posizione assunta dalla Cònfindustria, « di netta ragionata opposizione». Gli argomenti di cui si vale la parte padronale non sono nuovi: già il Pantaleoni li aveva svolti con caustica eloquenza; ma ciò che è caratteristico in quell'atteggiamento; è la ferma risolutezza a non scendere ad alcun compromesso, a non fare la minima concessione formale. I ca,pitalisti, g)i induS'f:riali in genere; sanno di essere in possesso di una carta che ha ancora un valore decisivo e sono decisi a servirsene con fermezza. La grande carta, di cui di– spongono, è l'impossibilità per i lavoratori di sostituirsi ai proi,ri dirigenti nelle loro funzioni direttive tecniche e nelle loro ,possibilità finanziarie. Lasciate un mese· la fabbrica in mano ai capi-popo'.o e questi ne saranno cacciati a furia di popolo. Quando i marxisti hanno sollecitato il ritorno alle fab– briche dei padroni e dei dirigenti, avevano tutta l'aria di fare una generosa concessione consentendo di spartire con essi il governo. della fabbtica che si erano accaparrato nei giorni della insurrezione. In rea;ltà erano g'.i altri che imponevano delle condizioni per il loro ritorno. Valga per tutti l'esempio della Fiat. I C.L.N. aziendali del grande complesso industriale tori– nese figliarono nel settembre 1945 ii C.d.g.; e l'Avanti! ne colse l'occasione per auspicare che « le progressive conquiste dei C.d.g. stabiliscano uno stato di fatto dal quale uscirà sicu– ramente lo stato di diritto». Ma le difficoltà furon tali che nel gennaio successivo, alla Consulta, il socialista Cavinato, com– missario a:\la Fia•t, provocava lo soanda!o nel suo grlllJ)poInvo– cando con appassionati accenti un ritorno alla no~malità per salvare le fabbriche « soprattutto nell'interesse stesso degli operai ». Pochi giorni dopo, sul democdstiano Il Popolo veniva pubblicato ùn servizio sulla Fiat, di cui merita riportare l'ini– zio: « Si dice qui (a Torino) che operai invece di fare automo– bili fabbricano per conto foro, in officina, piccoli accendisi– gari, e vadano a venderli a Porta Palazzo, il mercato di Torino. Si dice che altri operai trafficano in borsa nera e interrompono il lavoro se qua'.ouno vuol comperare un pacchetto di ,sigarette. Si dice che altri ancora sono cos; assorbiti dalle mille gerarchie politiche e sindacali d'officina da non dedicare al lavoro che i ritagli del loro tempo. Ailcuni di questi fatti sono veri, alcw1i sono inevitabili, ma tutti sono spesso ingigantiti ». II 15 febbraio 1946 il C.L.N. aziendale della Fiat abdicò di fronte al prof. Valletta e venne stabilito un nuovo modus vivendi che ha ridotto a meramente consultive le funzioni del C.d.g., da ricostituire senza a-lcuna rappresentanza del capitale. Vennero così rinunziati due dei « punti fermi» del programma marxista· ma i comunisti incassarono egregiamente il duro col– po sub~ e si dichiararono ugualmente convinti ohe si trattasse di una « vittoria dei lavoratori torinesi ». Quanto ai due punti fermi perduti; sarebbero sroti soltanto dei « particoi:ari, sep– pure importanti, dei quali l'esperienza pratica e la lotta che continua, assicureranno la rettifica ». (E. Sereni, i'Unità, 27 febbraio 1946). .' E' di queste «vittorie», naturalmente, che si nutre l'a– perta intransigenza .della parte .padronale. Sono stati proprio gli errori dei marxisti, l'infantile massimalismo, a favorire l'irrigi– dimento degli assai più abili avversari. Né è poi bastato avv.iare più realisticamente la politica de~ C.d.g., su di un indirizzo ,1lmenoa.pparentemente più moderato. In conclusione, si può dire che questa esperienza com– plessivamente negativà dei C.d.g. sia stata più di danno che di vantaggio per i marxisti: almeno per il momento. Certo, oggi la questione si ritrova riproposta con -un'istanza che difficil– mente potrà andare perduta. Ma, per poter assicurare ad essa più concreti sviluppi, occorre riprendere il problema vera– mente dall'inizio per r-icondurlo sul terreno tecnico, ,accettando di scontare gli errori commessi sul piano politico: tanto più perchè aggravati da una recidiva che si potrebbe anche defi- nire abituale. ERNESTO BASSANELLI Einaudi al la~oro Sul quaderno della scorsa quindicina di questa nostra Ri– vista mi ero domandato se la crisi aveva aspetto « economico » u « politico ». Lo svolgimento della crisi stessa e, poi, soprat– tutto, la soluzione, lascia aperto qualche dubbio sulla prima o seconcla ipotesi. Naturalmente io propendo per la prima ipo- · tesi: e son qui pronto a fornire elementi per questa tesi: il prinw incarico a Nitti, quale acerrimo oppositore della finanza allegra dei tre gabinetti tripartitici guidati da De Gasperi; il meno adatto incarico a Orlando che di problemi economici, credo, sia piuttosto digiuno; il disperato tentativo di De Ca– speri di assicurarsi la collaborazione di Tremelloni; l'incarico, infine, ad Einaudi di coòrdinare l'azione dei ministeri econo– mici con una posizione di vice-presidente del Consiglio. Può darsi, tuttavia, che la mia tesi sia frutto· della solita deforma– zione professionale alla quale, e11identemente, anche gli eco– nomisti non sfuggono. Ma si accetti una tesi o l'altra, si può ragionare lo stesso. Nel momento in cui scrivo il nuovo governo non ha ancora esposto quale sarà la sua politica economica. Mi vien voglia quasi di dire che ciò non ha importonza. Da due anni a que– sta parte ormai di programmi se ne son fatti e ce ne hanno scodellati molti. Ogni ministro appena insediato si sentiva de– positario di un « suo ?' progrnmma, troppo spesso contrastante con quello ciel collega di fianco. Con quale risultato? Intanto mancava, come ho già detto altre volte, il maestro concerta– tore della banda. E, poi, difettava nei ministri preposti ai dica– steri economici la stoffa di sagaci interpreti dei fatti economici che cadevano sotto l<1 loro giurisdizione. Cosicchè i programmi nascevano morti. Meglio, allora, cambiar strada. Fare pro– grammi modesti, senza squillar di fanfare, ma puntare diritto .al fatto produttivistico ed al fatto monetario. Solo cosi si salva la lira. In questi ultimi mesi l'inflazione ha galoppato. La fidu– cia nella nu:meta è andata via via sgretolandosi. La fiducia è un fatto psicologico di assai difficile governo. Corbino ha ten– tato la cura della fiducia a grandi dosi; ma era una cura pu– ramente esterna, senza sostanziale rispondenza nei fatti. Ei– naudi pure la tenterà: ma, con la sua « caparbietà,» tutta pie– montese, cercherà di sqrreggerla con azioni concrete. Egli è, adesso, ministro del Bilancio: cioè ha il compito di sollecitare le entrate e di comprimere le spese, compito tutt'altro che fa– cile. Sollecitare le entrate non vuol dire soltanto moltiplicare le aliquote come ha fatto Campi/li con l'imposta ordinaria sul patrimonio. In questo modo si colpiscono i soliti poss~ssori di terreni e fabbricati, senza reddito, ma si lascian fuori dalla rete fiscale i possessori di nuovi patrimoni accumulati durante e dopo la guerra. Occorre, dunque, allargare il più possiblle tale rete. Il che vuol dire, fuor di metafora, rimettere in sesto la macchina tributaria. E, poi, comprimere le spese. Non fac– ciamoci delle illusioni. Una spesa complessiva di 900 miliardi di lire all'anno non è esagerata, tenerdo 'conto delle variazioni del potere di acquisto della ·moneta, rispetto a quella prebel– lica. Bisogna, invece, spendere meglio. Le Università agoniz– zano. Ma i ministeri militar-i continuano a pagar fior di sti– pendi anche a coloro che aderirono e combatterono per la Repubblica di Salò. Non solo: ma si parla di riprendere le manovre navali. Non c'è proprio moda dì tagliare coraggiosa- mente? L. L.

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