Lo Stato Moderno - anno IV - n.9 - 5 maggio 1947

204 LO STATO MODERNO che farà così? Non è anche possibile che lo trattenga in cassa per aumentare i suoi mezzi liquidi? Questa è la questione de– cisiva. Se il fabbricante stesso, oppure la banca alla quale ha affidato il suo maggior profitto - che senza l'invenzione della macchina sarebbe stato àl salario degli operai licenziati - non investono in denaro che lo rappresenta ma jnvece l'accantona– no, allora avviene un turbamento nell'equi:ibrio econorruco. Questo esempio deJ:'effetto prodotto da:I'introduzione di nuove macchine è stato scelto per i]ustrare le possibi:ità di tali « turbamenti ». Tutti i disturbi di questo genere, causati da oambiamenti nel!e consueturuni dei consumatori, nel rispar– mio, ne::a fiducia circa la situazione generale economica, ecc. saranno a. lungo andare compensati in qualche modo. Ma nel frattempo - e ciò può -durare anche parecchi anni - può determinarsi una crisi e qwnru una disoccupazione in gran– de sti!e. Ripetiamo: quando i classici (per esempio Ricardo, J. S. Mlll, Say) dicevano che ogni offerta crea una propria domanda, avevano ragione in quanto si riferivano alle tendenze generali. Però ci vuole tempo per realizzare queste tendenze, ed il tempo che passa finchè l'equilibrio venga ristabilito determina una crisi. Certamente i classici non negavano la possibilità di una disoccupazione come conseguenza di certi dis~urbi dell' equili– brio economico. Però minimizzavano il pericolo senza appro– fondire il problema. Una lotta sistematica contro la disoccu– pazione o persino una politica attiva del pieno impiego, era fuon discussione. Ci si lirrùtava a consigliare certe misure di emergenza per i periodi di crisi, senza nemmeno menzionare I& possibilità di colpire il male alla radice, cioè di evitare que– ste crisi. Non pare esagerata la constatazione di Lord Beveridge {allora Sir William Beveridge) nel suo famoso libro Full Em– ployment in a Free Society {Lavoro per tutti in una Società di liberi), pubblicato nel 1944, che con l'ultima opera di J. M. Keynes {più tardi Lord Keynes) sia cominciata una nuova era della teoria economica. Nel suo libro The Generai Theory of Employment, lnterest and Money {Teoria generale dell'occu– pazione, dell'interesse e della moneta), pubblicato nel 1936, Keynes ha rivoluzionato le concezioni che fino allora parevano indiscutibili, benchè egl<istesso, come esplicitamente fa rile– vare, fosse stato una vdlta fautore della teoria che ormai rite– neva superata. Una gran parte della concezione keynesiana non è del tutto nuova. Già prima diversi economisti avevano avuto idee simili. E' però merito di Keynes l'averle riassunte . m un sistema unico e - ciò che forse è più importante - di aver attirato l'attenzione del mondo scientifico e degli uomini politici su questa teoria, in modo ohe non può più essere trascurata. Secondo 'la teoria keynesiana il volume d'occupazione di mano d'opera in un'economia nazionale dipende della domanda effettiva, cioè dalla domanda munita di forza d'acquisto. o. per esprimersi in termini ancora più semplici, dalla quantità di de– naro speso dai consumatori. Bis~na distinguere fra spese per consumo {nel senso più largo della parola). e spese per jnvesti– menti. Le spese per consumo creano una domanda per beni di consumo, e quindi lavoro; i redditi che non vengono spesi per il consumo saranno invece risparmiati. Risparmiare dunque vuol dire non consumare. Il risparmio a sua volta crea lavoro solo se viene « investito •· E non possiamo parlare di un in– vestimento in questo senso specifico. se il denaro viene sem– plicemente « investito » in libretti di risparmio, conti correnti, azioni ecc., ma solo se i risparmi vengono convogliati in mac– chine, materie prime, beni strumentali ecc. per aumentare la domanda attiva nell'economia. Solo così sarà possibile evitare un disturbo dell'equilibrio economico e garantire il manteni– mento del volume di occupazione di mano d'opera. Rispar– miare sehza investire sarebbe accumulare il denaro senza trarne nessun profitto. Se il denliro non viene speso nè per il consumo nè per investimenti, ma viene invece accumulato in risparmi inerti, la domanda necessariamente deve dirrunuire, e da ciò deriverebbe una diminuzione dei redditi e, in un secondo tem. p~. una riduzione del volume di occupazione di mano d'opera. Il risparmio è inerte non solo se il denaro viene conservato nella calza del risparmiatore, ma anche se viene portato alla banca e ~• - oltre le comuni riserve Jiqwde 1- resta inuti– :izzato. Per i classici era un luogo comune che i risparmi in qual– siasi quantità sono un bene per l'economia. Essi consigliavano un'illimitata attività rispa1J11iatricee la propagavano quasi come un dovere nazionale. Adamo Smith scrisse la famosa frase: « What is prudence in the conduct of every private family can scarse be fo:ly in that of a great ikingdon ». (Ciò che è !prudenza nell'economia di ogni famiglia privata può difficilmente ~sere fol:ia nell'economia di un grande regno). L'errore contenuto in questa frase che affermava l'illimitata utilità del risparmio per l'economia nazionale, non fu avvertito chiaramente dai classici dopo Smith. iQuesti non si era reso conto che vi è una grande differenza fra l'economia di una singola famiglia e quella di una Nazione. L'individuo che non spende il suo denaro ma invece forma un risparmio inerte non fa altro che rimandare un consumo immediato. Egli può essere sicuro che anche più tardi troverà della merce per il suo denaro accumulato (anche se i prezzi eventualmente avessero subìto cambiamenti). Se però tutti i cittadini accumulassero 11loro denaro, allora la situazione sarebbe diversa. I risparmi inerti non creano domanda ~ffet– tiva, quindi la produzione diminuisce. La Nazione come en– tità impoverisce. U111'even_tuale domanda generale, effettuata più tarru, non troverebbe una quantità corrispondente di merci, l'equilibrio economico sarebbe gravemente disturbato. La ,possibilità di risparmi inerti, che non vengono investiti. è tanto più grande in quanto la persona che decide di rispar– miare il suo denaro spesso non è la stessa che decide se questo denaro sarà investito o no. L'operaio versa una part.e del suo salario in una banca; non è però sicuro che la banca .J'investirà in modo da aumentare la domanda effetiva. La ouantità d~i risparmi in un'economia nazionale non dipende dalla somma necessaria per investimenti, ma piuttosto dal reddito totale della Nazione e dalla distribuzione dei red– diti. Specie la distribuzione dei redditi è di un'importanza da non sottovalutare. Sappiamo per esperienza che quanto più è proporzionata la distribuzione del reddito nazionale tanto mag– giore è il consumo e quindi più modesti sono i risparmi. Se per esempio i salari degli operai e gli stipendi degli impiegati fossero aumentati a scapito dei grandi redditi {il che si po– trebbe fare per esempio a mezzo di prelievi .fiscali differen– ziati) gli operai e gli impie11;atiutilizzerebbero in ogni caso una parte dell'accresciuto reddito per migliorare il loro tenore di vjta, cioè per consumare di. più, e solo ciò che avanza verrebbe risparmiato. Se invece la somma corrispondente all'aumento .dei salari degli operai e dee:li stipendi degli impiegati andasse ad accrescere i grandi redditi di poche persone, il risparmio totale sarebbe sicuramente più alto, dato che anche i ricchi non possono consumare più di un certo massimo. Risparmi ed investimenti non sono dunque senz'altro in equiiibrio, ed il risparmio ecessivo può causare disoccupazione se rimane inutilizzato. Kevnes ha provato che la teoria classica · era troppo ottimista ouando attribuiva al saggio d'interesse sui prestiti la funzione e la capacità di pareggiare i risparmi agli investimenti. Se mai, i tassi di interesse possono assieme ad altri fattori determinare la tendenza del!' attività risparmiatrice. Ma prima che ouesta tendenza possa farsi strada si può for– mare una crisi con la inevitabile disoccupazione. La migliore illustrazione della portata e dell'importanza della teoria di Keynes è un breve sguardo alle teorie di econo-

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