Lo Stato Moderno - anno IV - n.9 - 5 maggio 1947

LO STATO MODERNO 203 LE 1 EORJl!.i, DEL ''f ULL EMPLCJYMEN1 Come è noto, piani e progetti per il « Full Employment,, sonostati preparati e discussi nei paesi anglosassoni durante e dopo la guerra, basandosi sulle teorie del Keynes. Anche se queste teorie non hanno effettiva attualità per l'economia italiana - e ricordiamo in proposito l'articolo di F. Momi– gliano: « Eftettuabilità del diritto al lavoro » pubblic~to su Lo Stato Moderno del 20. marzo - ci sembra utile in.formare con una certa ampiezza sull'argomen(o i nostri lettori che non 1a1w in grado di attingere direttamente alle fonti inglesi. In 1uestoprimo articolo il nostro collaboratore dott. Matzke esa– >rtina i principi fondamentali della teor·ia keynesiana in con– fronto alla concezione classica; seguirà l' esposizion~ del piano Beveridge che. si basa sulle idee del Keynes, e infine la critica di esso. Le esperienze che la nostra generazione ha dovuto fare negli ultimi trent'anni rendono superflua la descrizione del fla– gello della disoccupazione. Mai prima la scienza economica si era occupata così intensamente e con altrettanto successo del problema delle crisi economiche e della disoccupazione come in questo e nel decennio passato. Innumerevoli proposte di soluzione sono state avanzate. I fatalisti hanno tratto la con– clusione che l'economia capitalista, cioè l'economia basata sul– I"impresa privata, va scartata definitivamente e che non c'è nessun'altra via di scampo che la socializzazione totale. I pro– pugnatori di questa concezione possono addurre come esempio i'economia ~ovietica, che effettivamente non conosce il pro– blema della disoccupazione come esso si presenta nell'Europa centrale ed occidentale· e negli Stati Uniti. Ma non c'è dav– vero alcun'altra soluzione che quella della socializzazione· to– tale? E dobbiamo rinunziare ai vantaggi dell'economia libera ed accettare :o stato totalitario? N'on facciamoci il :usio.ni : se l'alternativa fosse veramente quella di dover scegliere fra un'economia libera, con fa ricorrenza ciclica di fasi di depres– sione e quindi di disoccupazione, da una parte, ed uno Stato so– cialista senza disoccupazione di massa, dall'altra, i milioni di operai di tutto il mondo aderirebbero senz'altro al socialismo totalitario pur di non correre il continuo pericolo di trovarsi ~enzalavoro. Non dobbiamo neanche indulgere a un'altra illusione; cioè che le crisi che ha visto il mondo prima e dopo il 1930 non avvengano più: certamente si avranno ancora, e proprio colo– ro che sono interessati al mantenimento dell'economia Jibera dovrebbero rendersi conto di questo fatto e cercare di premu– nirsi contro la minaccia. Bisogna distinguere fra le diverse specie di disoccupazio– ne.Vi è una disoccupazione generale, non limitata cioè a singo- 1~ industrie, che ~egli aiti e bassi delle congiunture colpisce . 1 economia in generale; e vi è una disoccupazione speciale, che risulta da cause parziali o limitate, per esempio dall'influenza delle stagioni, da particolarità locali, dalle condizioni di una industria determinata, ecc. A questo tipo di djsoccupazione appartiene anche la cosi detta disoccupazione « strutturale » che avviene quando ci sono cambiamenti strutturali nell'eco– nomia,per esempio in seguito a importanti invenzioni tecniche. Spessonon è facile distinguere fra disçccupazione generale e strutturale; e così pure non ci sono jjmiti chiari fra disoccupa– zione generale e speciale. Nessun'economia .progressiva, cioè ne1sun'economia che si sviluppi tecnicamente, sarà "1lai. in grado di garantire un'eliminazione assdluta della disoccupa– zione. Ci sarà sempre una certa proponione di disoccupati, causata da cambiamenti tecnici. cambiamenti d'impiego, in- fluenza delle stagioni ecc. Persino un'economia totalitaria, col suo collocamento forzato della mano d'opera, non potrà eli- minare completamente questi elementi perturbatori. · Il problema ohe c'interessa è quello della disoccupazione generale causata dalle crisi economiche, per effetto delle quali nel decennio scorso milioni di uomini rimasero privi di lavoro nei paesi industriali. Fu questa. grande catastrofe della disoc: cu~azione genera-le che fece palesi le grandi lacune della teo– ria class'ca riguardo alle crisi di congiuntura ed al volume di impiego della mano d'opera. Nessuna delle crisi di congiuntura che si possono ricordare nell'800 avevano creato una eguale di– sorganizzazione nell'economia. Non è lo scopo di questo arti– colo esaminare se il principio del laissez-faire abbia cessato di valere per l'economia moderna, oppure se non si debba at– tribuire Ìa crisi dell'ultimo decennio al fatto che le regole del laissez-faire non furono osservate. Trascuriamo pure il fatto che tutta la situazione politica era molto incerta e sicuramente in– fluì anch'essa sull'economia generale. Ad ogni modo è certo che l'ortodossia economica osservata fino allora non riuscì a trovare i mezzi per superare Ja crisi: i principi ortodossi della economia riguardanti la valu'a, l'interesse, il debito statale ecc., valevoli fino a quell'epoca, non offrirono nessuna solu– zione. La teoria classica nega la possibilità di gravi crisi econo– miche: la legge dell'offerta e della domanda, i prezzi, i salari, j,) saggio deU'interesse e del profitto devono automaticamente ri– stabilire l'equilibrio economico, se mai questo equillbrio dovesse essere turbato. Facciamo un esempio molto schematico: E' stata inventata una nuova macchina tessitlela quale rende il lavoro molto.più razionale; in conseguenza una certa quantità di mano d'opera diventa superflua; ma l'uso di questa macchina deve• sfociare in un ribasso del prezzo dei tessuti che essa produce; e questo minor prezzo a sua volta causerà una maggiore do– manda per Ia merce in questione qualora-si tratti di una merce a domanda elastica, cosicchè bisognerà impiegare una parte della mano d'opera rimasta libera per coprire la domanda ac– cresciuta. Oppure: in. conseguenza <lei ribasso del prezzo, i consumatori spendono meno per questo articolo e ne comprano altri che prima non avrebbero comperato: secondo la teoria classica, gli operai che prima avevano favorato nella fabbrica tessile, saranno ora « senz'altro » impiegati nelle fabbrJche che per l'accresciuta richiesta dei loro prodotti vendono di più. E se i consumatori dovessi:ro non spendere il denaro risparmiato in conseguenza del ribasso del prezzo dei tessuti ma lo portas– sero alla banca, allora - sempre secondo la teoria classica - questo denaro sarebbe incanalato verso altri investimenti, che alla loro volta impiegherebbero altra mano <l'opera. Questa serie di argomentazioni è giusta ~ quanto rico– nosce le tendenze che probabilmente a lungo andare si fareb– bero strada. Sarebbe però sbagliato prendere queste tendenze per fatti sicuri, perchè allora sottovaluteremmo il senso con– servatore dell'uomo il quale, come è noto, è restio ai cambia– menti. E inoltre, non è .affatto sicuro che dall'introduzione della macchina e dall'impiego ridotto di mano d'opera risulti immediatamente un ribasso del prezzo del prodotto. In un primo tempo il fabbricante probabilmente cercherà di mante– nere invariato il prezzo, e solo la concorrenza l'indurrà a di– mimtirlo; e nel frattempo aumenta il suo profitto. L'economista classico replicherebbe subito: « Va bene, ma allora il fabbri– cante consumerà di più perchè guadagna di più, il che, in de– finitiva dovrebbe poruire all'impiego di almeno una parte de– gli operai licenziati •· L'argomento è giusto, se il fabbricante spende effettivamente tutto il suo maggior profitto. Ma è certo

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