Lo Stato Moderno - anno IV - n.7 - 5 aprile 1947

142 LO STATO MODERNO delle sirùstre. Qui ci sarebbe anche da tirare in ballo la faccenda dell'art. 7 e del voto comunista che, in verità, ha troppo sorpreso troppa gente. Io non_so se i comunisti siano in fase di euforia organizzativa; sono affari loro e sono conti loro. Ma mi par certo che essi siano in fase - come dire? - di preoc– cupazione politica. Non forse ancora si può parla– re di ripiegamento, di cedimento, ma non mi pare di essere lontano dal vero se parlo di cautela estre– ma, di comportamento singolarmente guardingo e a guardia chiusa. Togliatti ha ragione di lagnarsi della mancanza in Italia di uno solido partito demo– cratico che sia garanzia forte e certa (certa perchè forte e forte perchè certa) di una stabilizzazione lar– ga della nostra vita politica e senza velleità anti– operaistiche, nemmeno nella forma di velle~à anti– comuniste. E ha gran ragione quando - come all'e– poca del primo Congresso del Partito d'Azionf:_- ri– scontra nelle velleità socialistiche di questo raggrup– pamento, che come il celebre Celestino ha fatto per viltade il gran rifiuto di rappresentare w:ia forma nuova fuor d'ogni vecchia tradizione, un serio sinto– mo di confusione nello schieramento politico nazio– nale. Queste cose noi le .andiamo dicendo assai dap– prima di Togliatti, le andiamo dicendo sin dai tempi della clandestinità; ma temiamo proprio che, sedotto anche lui dal grande e vacuo discorrere che si fa intorno al « rinnovamento del socialismo », il leader del comunismo italiano non si sia accorto che si tratta di ben altro, e cioè si tratta del fatto - sempre più palese - che la storia ha preso strade ignorate alla cartotecnica di tutti i socialismi, vecchi e rinnovati. Bisogna che anche in Italia, patria di tutte le no– stalgie e di tutti gli attaccamenti sentimentali, ci si rassegni all'idea che una rivoluzione moderna si può fare soltanto a patto che si accetti dal socialismo solo il « datò ,. della forza politica del proletariato, e si rinunci a quasi tutto il resto. Ecco dµnque dove sono andati a finire tutti i « socialismi » fioriti in Italia; a indebolire politicamente, com'era fatale e previsto, la posizione del solo partito conseguentemente sociali– sta, e cioè di quello comunista. Tanto conseguente che ha votato persino l'art. 7, come doveva fare chi, riducendo la politica all'economia, spregia ogni altro camuffamento della realtà sociale, e non vuole crisi per colpa dello Spirito Santo. Non vuole crisi; que– sta è la verità di cui si fa forte la Democrazia Cri– stiana, e sempre più se ne farà quanto più ne pren– derà coscienza. •, Sotto il tessuto del provvedimento finanziario si indovina dunque tutto un rimescolamento delle forze politiche del Paese, e un sostanziale alterarsi dei rap– porti tra i partiti. Questa alterazione coinc~de con la necessità sempre più palese di affrontare « politicamente » il proble– ma economico-finanziario. E qui si arriva alla se- eonda riflessione. In fondo il dramma inflazionistico significa solo dilatazione dei consumi e compressione della produzione. Si tratta di invertire radicalmente i termini della pr~izione: si tratta di comprimere i consumi e dilatare la produzione. Ma per far questo occorre controllare (e tra poco occorrerà dominare) la Confindustria e la Confederazione generale del la– voro. Il problema diventerà più acuto quando si trat– terà di fronteggiare le manifestazioni del rallenta– mento già in atto del ritmo esportatorio e della im– preparazione del mercato interno ad assorbire la pro– duzione non inoltrata all'estero. Non vorrei che ci trovassimo allora nelle condizioni che Demostene rimproverava agli Ateniesi: «Sarete voi sempre come quegli atleti che, colpiti in un posto, li portano la ma– no, colpiti in un altro ce la portano ancora, e sem– pre preoccupati dei colpi che stan ricevendo, non sanno nè colpire nè difendersi». Ora, comprimere i consumi e dilatare la produzio– ne sono proble_rni politici e non tecnici, perchè signi– ficano abbassare il livello della vita e aumentare la fatica del lavoro; il linguag~o non è demagogico, ma le cose lo saranno ancora meno. Questo significa ne– cessità di controllare la Confederazione generale del lavoro. Ma, d'altro canto è ul'gente provvedere all'as– sestamento del bilancio dello Stato, impedire ai ,prezzi di continuare a slittare, ridurre i margini di guadagno, colpire inesoriabilmente ogni passaggio in– giustificato di ricchezza, tassare senza pietà ogni ac– cumulo di patrimonio non riversato immediatamente nel ciclo produttivo, impedire che la discesa del livel– lo di vita e l'aumento della fatica raggiungano limiti intollerabili e si sviluppino fuori d'una rigorosa soli- darietà nazionale. - E per questo occorre il contro~o della Confedera– zione dell'Industria e degli altri Sindacati dei datori di lavoro. Ma quali forze politiche saranno capaci di assicu– rare questo duplice e contradditorio controllo? Ecco il problema politico. Si comincia da taluno ad accennare alla possibilità di « sbarcare » dal governo i comunisti e di fare un governo nuovo con i democristiani e sinistre demo– cratiche. Sarebbe un governo inefficiente, o efficien– te solo nei limiti di una certa situazione internazio– nale, che le sinistre democratiche fossero pronte ad accettare senza isterismi. Il che, per ora, appare lon– tano. E poi, dove sono le sinistre democratiche? Lo stes– so plurale è scoraggiante. Perchè repubblicani e so– cialisti lavoratori non si decidono almeno a nomina– re una commissione di studio per una azione comune? Se aspettano ancora, sarà troppo tardi. Per le elezioni;- e per la storia. ~IO PAGGI

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