Lo Stato Moderno - anno IV - n.6 - 20 marzo 1947

LO STATO MODERNO 121 Taviani, nella seduta de: 10 settembre, tornava a precisare che un'affermazione di principio non fa responsabile lo Stato del caso singo!o, ma lo vinco'.a so'.amente ad una data politica ». Veniva così riproposto il problema che con la generica equivoca affermazione del diritto al :avoro era stato lasciato ne:l'ombra; proprio il prob!ema che sarebbe invece dovuto restare a: centro della discussione durante i lavori preparatori, e dovrebbe tornare ad essere oggetto fondamenta'.e di dibat– tito all'Assemblea Costituente, con tutti gli inevitabili urti di tendenza e contrapposizioni di ideologie. Infatti, una vo:ta ammessa l'inefficienza per rispetto ai singol( de: principio del diritto al lavoro nei confronti de:Io Stato, l'art. 31 acquista significato e valore solo se e in quanto intenda vincolare lo Stato a una politica realmente intesa a promuovere nei suoi successivi sviluppi « le condizioni per rendere effettivo» il diritto al lavoro. Di tutto l'articolo, 'questa è la parte che ha maggiore importanza. Al di sotto della vuota formula sta una questione che sopravanza tutte le altre, una questione fondamentale di indirizzo politico, economico e so– ciale dello Stato, che secondo il modo con cui verrà risolta, determinerà in gron parte l'organizzarsi della produzione, l'e– stensione delle funzioni e degli interventtl statali, darà un con– tenuto alla definizione dell'art. I: « La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Anche a questo proposito è interessante vedere come si è giunti al!a formu!azione di questa parte de!:'art. 31. Fanfani a\'CVaproposto in un primo tempo: « La Repubblica predi– spone il godimento del diritto al lavoro mediante l'incorag– giamento genera!e e il coordinamento de]'attività economica promossa dai privati, la politica dell'impiego totale, l'attività dei pubb!ici uffici di collocamento, la stipulazione di accordi sul:'emigrazionc »; ma tale formula fu poi ritirata per :•oppo– sizione di Di Vittorio che la riteneva troppo lunga, e di Paratore e Molè che la ritenevano troppo impegnativa. Pur– tuttavia, anche se si è ripiegato su una formu:a generica e ambigua, è chiaro che la formulazione di un « diritto al lavo– ro » nella Carta Costituzionale viene implicitamente a pre– supporre una po:itica statale di • pieno impiego », la politica ormai ben conosciuta nella teoria e nella pratica ang!osassone dr: « full employment ». E a:lora il giudizio d'insieme sull'art. 31 non può pre– scindore dall'esame preventivo e dalla risposta al quesito: E' possibile una politica di « full emp.byment » in Italia? E ciò per decidere se era meglio introdurre ne:!'articolo stesso la formula di una po'.itica stata!e di « impiego tota'.e •, come avevano proposto Fanfani, Taviani e Noce; o rinunciare ad e1sa. come si è fatto; o, meglio ancora, come noi riteniamo, rinunciare del tutto a!la formulazione di principio del • di– ritto al lavoro •, e studiare invece e unicamente una formula che prevedesse una politica del:o Stato volta « a:J'appresta– mento dei piani economici che assicurino il minimo necessa– rio a!la vita », cioè « una politica di interventi statali per 1 a difesa dei consumatori e la garanzia per tutti del soddi– ifacimento dei minimi bisogni vitali •· La teoria de: « full employment • creata dal Keynes e sviluppata dagH studiosi keynesiani si sta traducendo ora in piani concreti in vari paesi. Oltre l'opera • The economics of full emp:oyment » comparsa nel 1945 a cura dell'Istituto di Statistica de:l'Università di Oxford, si hanno progetti di « oc– cupazione totale » del Beveridge e del Kaldor per la Gran Bretagna; del Kalecki per gli Stati Uniti e per la Gran Bretagna; di Henry Wal:ace sempre per gli Stati Uniti; e vi sono g:i scritti di Schumacher, il libro bianco inglese suTia • Emp:oyment Po:icy » e la proposta di legge '<!mericana • The full Employment bili of 1945 ». Come è noto, quest'ultimo progetto di legge proposto dal senatore Murray, dopo lunghe discussioni è stato appro– vato nel febbraio 1946 dal Congresso Americano, ma in una forma sostanzialmente modificata, perchè nel tito:o ha perso l'aggettivo « fuE » ed è divenuto « The Ernp:oyment Act of 1946 •; il che non è privo di 5ign:ificato. Ora ci domandiamo: l'art. 31 della Costituente presup– pone anche per l'Ita:ia la creazione di un « bili of full em– ployment » e contiene imp:icitamente la responsabilità attri– buita a: governo di procurare con ta:e mezzo adeguate pos– sibilità di lavoro per tutti coloro che ne sono sprovvisti? O presuppone semplicemente un « employment '<!Ct •, o più sem– plicemente ancora, non presuppone nul:a di tutto questo? Anche se questo tema de!l'app:icabilità di piani di • pieno impiego» a['Italia è già stato ampiamente discusso, alcuni concetti meritano di essere ribaditi. La concezione keynesiana del « full employrnent », come tutte le eresie che dopo un lungo periodo rompono il cerchio chiuso <li una dogmatica ormai inadeguata alla realtà (nella fattispecie que:la libe– ristica), ha esercitato un grande fascino e racco:to enormi con– sensi; ma dobbiamo guardarci da:le eccessive e troppo facili genera!izzazioni, e dal:a i]usione che (oggi per lo meno e certo per molto tempo ancora) essa sia applicabile al:a situa– zione economica ita:iana. Cc.n questo noi non vog:iamo farci sostenitori de'.le in– teressate affermazioni dei nostri liberisti della Confindustria che, quando avversano i piani keynesiani, cercano in realtà molto spesso argomenti per scongiurare ogni politica di in– terventi stata!i e di pianificazioni, mirando, grazie all'asten– sionismo statale, a rafforzare sempre più le loro posizioni di predominio nei nodi vitali della vita economica ita:iana. Ci limitiamo invece semp:icemente a mettere in guardia co:oro che ritenessero che una garanzia del principio del diritto al lavoro ed un contenuto concreto all'art. 31 del progetto di Costituzione, si possano trovare senz'altro nell'appli– cazione alì'Italia di detti piani. In realtà tutti questi piani sono concepiti per paesi ad economia del tipo ang:osassone, e particolarmente (in questo dopoguerra) statunitense, ove la causa de: perico:o di disoccupazione si riscontra (secondo le vedute del Keynes) nel fatto della esistenza di un risparmio eccessivo che rimane inerte. Il prob'.ema che i piani keyne– siani di « fu'.! employment » tendono a risolvere è que!lo di evitare che :a « spesa totale » si riduca ad un livello che non serva più a far assorbire i beni e i servizi prodotti ne: paese quando in esso ci sia una piena occupazione. Le soluzioni legislative di marca keynesiana proposte, concepite tutte pura– mente dal punto di vista monetario e creditizio, mirano a far sì che lo Stato intervenga ad aumentare « la spesa totale • per ristabilire l'equilibrio tra domanda ed offerta di beni, rotto dall'esistenza di una massa di risparmio che resta inutilizzata. Il che lo Stato dovrebbe fare con una larga politica di lavori pubb:ici finanziati mediante prestiti interni, al cui servizio di interessi si provvederebbe con maggiori prelievi fiscali atti a co!pire e a diminuire la massa di risparmio inproduttivo ed inerte. Questo intervento stata'.e agirebbe come fattore sti– mo:ante iniziale, che riaccrescerebbe la domanda di beni di consumo da parte dei lavoratori occupati nei nuovi lavori pubblici, e rimetterebbe in avvio il meccanismo de:la ripresa economica. Lo sviluppo del credito e dei segni monetari forni– rebbe gli strumenti finanziari per questo stimo:o inizia:e; ma non degenererebbe in inf.azione, per lo sviluppo progressivo corrispondente del reddito naziona!e. Ora va notato che una po!itica di pieno impiego di que– sto tipo, di pe~ sè sola non sarebbe sufficiente _per l'Italia, nè adeguata, nè priva di pericoli. Innanzitutto perché il prob'.ema di garantire lavoro per tutti in Italia presuppone prima di o~ '<lltra cosa la solu-

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