Lo Stato Moderno - anno IV - n.6 - 20 marzo 1947

122 LO ~TATO MODERNO zione del problema della ricostruzione degli impianti, dei beni strumenta:i; ricostmzione che presuppone una nuova formazione di capita!i, impedita oggi da'.!a pressoché inesi• stenie formazione di risparmio. Noi in Ita'.ia soffriamo oggi di una deficiente formazione di risparmio, e non, secondo lo schema keynesiano, di un eccesso di risparmio. Il problema economico ita:iano non è, come quel:o ame– ricano, di premunirci contro la minaccia di una prossima crisi di sovrapproduzione (i primi sintomi sembrano a taluno es– sersi delineati neg!i Stati Uniti al principio di quest'anno) ac– crescendo le possibilità di assorbimento ed acquisto di beni di consumo; ma è il prob:ema di accrescere g!i impianti e il potenziale produttivo (parzia'.mente distrutto) per dare lavoro ad un maggior numero di :avoratori oggi disoccupati, e giun– gere così', in un secondo tempo, ad un aumento di produ– zion«, dei beni di consumo, da cui deriverebbe un aumento del:a capacità di acquisto dei lavoratori-consumatori, e ancora la spinta alla formazione di nuovo risparmio e di nuovo capitale. E' chiaro quindi che iper riso'.vere il problema italiano del « lavoro per tutti » non è sufficiente una espansione cre– ditizia e dei segni monetari (che si tradurrebbe, come già parzia'.mente in atto, in in[azione), se la manovra creditizia non si accompagna con una pianificazione economica che si ispiri ad una energica po'.itica produttivistica, tendente a con– tenere ancora per un certo periodo i consumi, quando siano al disopra dei minimi vita:i, e mirante a convogliare l'aumento del reddito nazionale ad investirsi, tramite gli istituti di finanziamento statale, in produzione di impianti, beni stru– mentali, ecc. Non basta che lo Stato segua la po:itica di finanziare lavori pubb:ici, anche ,improduttivi, per creare uno stimo'.o. Abbiamo bisogno che lo Stato manovri il credito (e la finanza) in modo da incoraggiare :a formazione del risparmio e da incana!arlo verso investimenti produttivi, e non sempli– cemente speculativi o assistenziali, come oggi avviene. I piani di « full emp'.oyment » ang'.osassoni mirano a pre– munirsi contro la fase ciclica di sovrapproduzione per evitare la disoccupazione; il prob'.ema italiano invece, a:meno per parecchi anni, è que'.lo de:Ja formazione di un maggior ri– sparmio e di maggiori possibilità di produzione. E' vero che in sede di discussione della Carta Costitu– ziona'.e non si deve limitare lo sguardo a:Ia contingente situa– zione economica del nostro paese; ma noi riteniamo dubbio che, anche quando :a nostra ripresa produttiva sia compiuta (e ci vorranno parecchi anni), si possa ovviare a nostre fasi di depressioni cicliche col .semplice ricorso a piani di « pieno impiego » qua:i sopra delineati. Quanto esposto non implica una negazione di una certa efficacia di ta:i piani; implica solo il riconoscimento del fatto che una semp!ice app:icazione di essi sarebbe insufficiente per risolvere il problema di principio posto da!l'art. 31, se, con la previsione di essi, si rinunziasse a que:le a'.tre riforme politico-sociali di struttura che sono, in Italia, i veri presup– posti po!itici, economici e socio:ogici dell'effettiva possibi:ità di creare '.avoro per tutti. Ove non si spezzi, con riforme di struttura, il peso di forze e di interessi che impediscono un sostanziale mig!iora– mento del funzionamento dell'apparato stata:e, che traggono giovamento dal'.a cronicizzazione di sistemi protezionistici l! sezionalistici, che difendono e incoraggiano la sopravvivenza ed il rifiorire di istituti corporativi, una moderna po:itica eco– nomica nel campo dei lavoro pubblici, de: credito, dei finan– ziamenti stata!i, de:Ja po!itica fiscale, qua:e imposta da piani (adatti al nostro paese) di • full emp:oyment » resterà sempre vana ed inefficiente, ed il principio del • lavoro per tutti • una mera enunciazione verbale. FRANCO MOMIGLIANO Problema inesistente Come se non fos$ero sufficienti i problemi reali che ci angustiane e ci dividono, non mmica chi, di quando in qua.tUÙJ, tira in campo questioni gravi nell'apparenza e futili 11eNasostanza, e che pur ,possonc .trasformarsi i,1 motivi di tttrbamento della coscienza nazionale. Mi riferisco in particolare a una polemica insorta tra t1 gerlerale Zanussi e l"A.N.P.I. di Udine (e di cui leggo notizie nell'Italia Libera del l' marzo) che mette a fuoco un sedi– cente problema rrwra/.eche già corrode larghe zone del Paere, e su cui quindi sarebbe necesS>m'iovedere sino in fondo. Scris$e, a quanto leggo. il general.e Zanussi che « l'umco, vero, imperdonab-ile crimine commesso in questa guerra da noi ita.1iani è queNo di averla perduta». Insorge l'A.N.P.I., e « stigmatizza l'opera antinazionale di chi ancora esalta la guerra di aggrlil5sione condotta da un regime criminale, fino a rammaricarsi esplicitamente del mancato trionfo delle forze fasciste». Rincara la dose Alberto Cosattini nell'Italia Libera scri– vendo: • Se crimine fu raver sbarrato oon il proprio corpo la vittoria alle armi fascisf.e e 1wzist.e, ,criminali sarebbero Euge– nio Curie/, Poldo Caspa,rotto, Le011e Ginzburg, Duccio Ga– limberti, e mille mille O:tri, oaduti fucilati seviziati che, con il /,oro sacrificio, hanno riscattato il disonore in cui i generali 1-ittori precipttarono il nostro Paese ». Ora è probabi.'e che in questo episodio ci sia un grosso equivoco, e che il generale Zanussi - partecipe egli pure dal,a guerra partigiana - abbia voluto semplicemente pro– testare contro la durezza del trattato di pace. Ma l'occasione è buona per porre nei termini che mi paiono giusti un problema di cu·i è vano sottovalutare l'im– portanza, mm soltanto psicologica: e cioè il problema de/– I' azione politica d.eU'antifascismo nei confronti della guerra. E' questo uno di quei ti,pici problemi che posti in astratto diventano serpi; ri:portati sul terreno storico acquistall<Jtutta la /,aro -chiarezza e servono a queU'opera di pacificazione che è, o dovrebbe e95ere, il compUo più grave dei poli.tici odierni, di qualunque tendenza od origine. Ora :il problema storico di una valutazione po'.itica (e sottoJineo quesw aggettivo) d,clloo.tifascismc si può porre seriamente solo a partire dal 1943. Se si ooole, dalla fine del 1942, e cioè do:la fondazi011i del Partito d'Azione, prima manifestazione positiva della ri· presa della lotta poiitica in I ta/ia. Prima l'antifascismo era più propriamente una esperienza individuale di carattere mc– raJe e talvolta cu!.turale. Ora, in quell'epoca, la guerra era perduta. Non si trattò dunque da par~e deg:~ antifascisti di una azione sabotatrice di una guerra dall'wito ancora incerto, per motivi ideologici; si trattò di un meditato atto politico, çhe richiedeva freddezza ed entusiasmo, volontà di sacrificio e ncncuranza dei pericoli, diretto a diminuire per l'Italia il peso di una sconfittia che si profi!.a.vasicura. Cli ualiani cleblxmo agli 'lmtifascisti di allora non Ù1 sconfitta (frutto della pd!itica fascista), ma queJla cobelli· geranza che ci salvò dal precipizio in cui è caduta la Ger· mania liiùeriana. Nor, ,continuiamo a dividere iJ. Paese alimentando ine· sisknti « questioni morali •· E i nostri 1Tl,QT,ti dorman-0 in pace. E.m sono ben morti, ciascuno al servizio delle proprie idee, ma tutti ne'.l"interesse della Patria comune. VlTl'OI

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