Lo Stato Moderno - anno IV - n.4 - 20 febbraio 1947

LO STATO MODERNO 71 Firmata e ratificata la pace, resta l'ufficio più importante e delicato: quello di darsi una nuova po– litica estera. In questa Rivista, forse prima che al– trove, si scrisse che la futura politica estera italiana non poteva che avere un nome: revisionismo; ma di– cemmo subito che ciò non ci dava alcun compiaci– mento. Questa riserva era dettata non solo dal fatto che essa postulava una realtà internazionale ben di– versa da quella solidaristica fugacemente intravista negli anni della Resistenza, ma anche perché con tal nome si disegnava una politica aspra e cfifficile, che esigeva uomini all'altezza del compito, capaci di su– perare ogni visione parziale della politica estera - da quella ideologica a quella giuridica, a quella econo– mistica e così via - per considerarla nella sua tota– lità di destino della comunità internazionale; capaci quindi di accorgersi prima di tutto che una politica revisionistica ha bisogno di tempo innanzi a sé, e che un'occasione può nascere ai punti geografici opposti a quelli dove vivono i nostri interessi purché si sap– pia a questi politicamente allacciarli. E intanto, ad esempio, dobbiamo anche noi co– minciare a porre il problema tedesco in termini di specifica politica estera italiana. Qui la nostra posi– zione è forse diversa da quella di ogni altra nazione, e appunto ,per questo può presentarsi, a un certo mo– mento, come la possibile soluzione di compromesso. Se questo accadesse, noi ne avremmo un doppio van– taggio politico: uno per la soluzione in sé stessa, e l'altro per il riflesso di prestigio che ne deriverebbe alla nostra posizione. E anche il prestigio è una grande forza internazionale. E' risaputo che la Francia vorrebbe una Germa– nia quanto mai debole e frantumata; Inghilterra e Stati Uniti aspirano a una Germania federale pos– sibilmente non amputata di troppi territori ad orien– te, con una economia in grado di assorbire, ma non di esportare almeno in limiti concorrenziali; la Rus– sia non sarebbe contraria a una Germania forte, pur– ché nettamente sospinta ad occidente e ricca di una tecnica in grado di aiutare efficacemente una più ra– pida industrializzazione delle sue enormi risorse. Il nostro interesse è composto di elementi propri al– l'una e all'altra concezione; noi abbiamo bisogno di una Germania presente in Europa, ma senza possibi– lità di dominio; di una Germania in cui il principio unitario sia almeno così vitale da non farne rimpian– gere l'assenza; che non sia così fortemente occiden– talizzata da renderla senza respiro agricolo, né così orientalizzata da risentire la nostalgia del « Drang nach west ». E' questa una politica che noi potremmo cominciare ad abbozzare, con la cautela opportuna, con la chiarezza necessaria. Potrebbe essere il principio di quella che amo chiamare una politica estera attiva o di intervento; cercare cioè il punto di fusione tra gli interessi ita– liani e quelli di una internazionale « societas gen– tium » che faticosamente tenta di trarre un disegno dalle rovine della guerra ancora · .imapti. MARIO PAGGI Lacrime di coccodrillo Qualche gicmo fa, precisamente il 10 di febbraio, è sta/!o firmato a Parigi il nostro trottato di pace. Firmato, ben s'intende, con quell'implicita e sostanziale riserva che derioo çlal fatto che a.\h sua tee/azione g1i italiani non vi hanno messo mano. Ma tant'è: il passato è passato ed il futuro sta innanzi a noi. La guerra l'abbiamo fatta, l'abbiamo persa, sia pure con tutte le giustificazioni possibUi ed impossibili, e adesso scontiamo. Cl>rchiarno di comportarci in mcdo da scontare ne/Ja minor misura ·possibile. Fra parentesi: tutte 1e lagrime di questi gicmi proprio non ci fanno nè col.do nè fredda. Non si creda che il nostro animo sia chiuso alla considerazione delle « vere » tragiche condizioni in cui si viene a trova11emolta gente in conse– guenza della pace (e quindi della guerra). No. La la loro pena è la nostra. Il nostro animo piuttosto si chiude e ri• bolle quando vediamo piangere molt'altra gente che, il 10 di giugno 1940, scorazzò per le vie d'Italia sm'-utando l'im– !)Umcabile vittoria dell'Asse. E' la stessa gente che ci ha portato all'attuoJe ,rovina. Sono gli stessi studenti di Roma che risolvono i problemi internazionali rompendo a sassate i vetri dei ,consolati. Non sono ancora guariti dalla lue ,w– zwnaiista. Una batosta tabbiomo avuta. Ne vogliamo un'altra? Sotto a chi tocca, ragazzi. Sousa/!em·i lo sfof!P, amici lettori. E veniamo a consi– derazioni più concrete. Il trattato di pace ci accolla ripara• zioni per un ammontare di 360 milioni di dollari, da pagarsi in sette anni. 360 milim1i di dollari, -l!d un cambio presunto di 500 lire per dollaro, voglion dire 180 miliardi: 25/26 mi– liardi all'anno. Non è molto, a ben considerare le cose: ~ dire che le spese deJ. nostro bilancio statale si aggirano sui 700 miliardi all'anno. Ma questi 360 milioni di dollari rap• presentano sd.itanto il peso « minimo » che ci viene imposto: il peso che fin d'adesso conosciamo in modo esatto. C'è da tener conto, poi, di tuUi i beni italiani all'estero ch'e saranno confiscati per soddisfal'e eventuali richieste di danni del.le Na– zumi unite. A quanto ammonteranno •le confische? Mistero. Con il trattato di pace ci siamo, poi, impegnati a non richiedere alcun indennizzo alle Nazioni unite: rinunciamo, cioè, al risarcimento di parte deI:!e am-1/iire, di salari non pa– gati ai prigicnieri, agti affitti dei looa!i requisiti, ecc. In mo– neta avente un potel'e di acquisto d'oggi, questa rinunma equiwle a 800/900 miliardi di lire. Dovrenw, sempk per il trattato, restituire i beni delle Nazicni unite in Italia ne/Jo stato in cui si trQl)(lvanoal mo– mento della scoppio l&:t.'l'a guerra: se sono stati distrutti o danneggiati per fatto di guerra, dovremo rimborsare per i 2/3 del loro valore. La lista s'allunga se si .tlen conto delle perdite territo– riali metropolitarre e cploniali che cont:enevarw beni non riettperobiU, de:.kz perdita di gran parte cwlh marina da guerra, ecc. L'unico punto favorevole del trattato è quella riguardante i beni italiani in Germania che, dopo la firma del trattato, non saranno più considerati beni nemici. Non solo: ma i beni italiani trasportati in Germania dopo l'armi– ~tizio oi dovranno essere restituiti. Anche l'U.R.R.S. ha fir· mato la clausola. Vedremo quanPi di questi beni che si tro• vano nella zona occupata dai rtJSSi riusciremo a ricuperare. Questi i punti principali delle clausole economiche del trattato di pace. Caratte:ristica loro è l'incertezza deJ. peso e delle modalità di applicazicne. Se queste clausok saranno ap,xicate con eccessivo fiscalismo, sarà imposslb~ per noi SO"fJP()t'l!orle. Se, tnveoe, saranno applicate con benevolenza sarà fac/le, entro bt'eve tempo, conside1'ade sost>anzialmente archiviate. L. L.

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