Lo Stato Moderno - anno III - n.24 - 20 dicembre 1946

564 LO STATO MODERNO dei Cinque e hanno quindi potuto essere acco!te; le altre (Irlanda, Portogallo, A:bania, Transgiordania, Siam, Mon– golia esterna) non lo sono state, non già perchè mancassero - almeno ne:Ia maggior parte dei casi - i titoli, ma perché vi si opponeva, con l,lil pretesto, quello rispettivamente dei m_embri permanenti che sapeva di a,ver contrario quel de– terminato Stato. E cosi accade che quest'organismo di col– laborazione internazionale, che dovrebbe tendere ad inclu– dere nel suo seno g:i Stati che ancora ne sono fuori, li re– spinge da sè. / li 23 ottobre, dopo essere stata due volte prorogata, si apriva a Flushing Meadows la seconda sessione dell' Assem– blea Generale, e tosto i piccoli Stati, che già un anno e mezzo prima a San Francisco avevano messo in rilievo l'in– conveniente del veto, ritornavano, ora che l'esperienza aveva dato loro ragione, alla carica a chiederne l'abo:rzione o quanto meno, la limitazione. Delle due mozioni presentate a questo riguardo, l'una, chiedente la revisione dell'articolo incriminato, emanava da Cuba, che a San Francisco era stata so!la con la Colombia a votare contro il progetto; l'altra, raccomandante ai membri pennanenti di astenersi dall' eser– citare il diritto di veto salvo in casi di estrema gravità, par– tiva dall'Australia, il cui ministro degli Esteri Evatt aveva guidato a San Francisco l'opposizione delle Potenze minori, e aveva finito col cedere, esprimendo l'opinione, ahimè quanto ingenua, che i membri permanenti avessero ad « usare i loro poteri con discrezione e nell'interesse delle Nazioni Unite nel loro insieme ». / Ma si opponevano a'1le proposte dei novatori gravi dif- ficoltà, ogni modifica o anche solo interpretazione dello sta– tuto richiedendo necessariamente l'unanimità dei Cinque. Ed era chiaro che almeno l'U.R.S.S. - ·la cui concezione dei rapporti internazionali e il cui atteggiame_!lto riscuotono in generale il consenso solo di una minoranza delle Nazioni Unile - si sarebbe opposta; come apparve evidente fin dai primi giorni, quando Vyscinskij si oppose addirittura a 'Che il diritto di veto fosse messo in discussione. Era una procedura singolarmente antidemocratica, tanto meno giustificabile in quanto nessuna discussione avrebbe tolto in definitiva al delegato sovietico il diritto di porre il suo veto a qualsiasi modifica: si aveva dunque paura de:la discussione in sè? Gran Bretagna e Stati Uniti sostennero caldamente la necessità di ammettere la discussione - ne– cessità a cui finì con l'inchinarsi anche il delegato sovietico - ma si pronunciarono per il mantenimento, almeno per ora, dell'art. 27, con sorpresa di quanti conoscevano le vivaci critiche cui nell'opinione pubblica dei due grandi Paesi è oggetto l'istituto del veto. Il motivo di questo atteggiamento poteva essere duplice: da un lato la preoccupazione anche per l'una o l'altra di esse di potere un giorno esser messa in minoranza su una questione, dall'altro la convinzione della inanità. nelle attuali condizioni, di ogni tentativo in questo senso, e dell'opportunità quindi di non aggiungere senza costrutto una ragione di più di attrito con Mosca. La quale al contrario si batt~a per l'applicazione più larga possibile di tale diritto, che non voleva escluso neppure -dal meccanismo di controllo dell'energia atomica e da quello di controllo degli armamenti in generale. 11 che f!lanifesta– mente le altre Potenze non potevano accettare: poiché po– trebbe accadere che gli uni disarmassero secondo gli accordi • e l'altro no, e che quest'ultimo ponesse poi il veto a che si controllasse il suo mancamento. Onde si addivenne a que– sto temperamento: che una volta stabiliti di comune ac– cordo fra i Cinque i limiti del disarmo e la procedura dJ controllo, nel funzionamento del controllo non potrà il vetq più giocare. Tale soluzione (soluzione di principio per il do– mani perché gli accordi sul contro:lo dell'energia atomica e sul disarmo restano tuttavia da raggiungersi) indica uno dei mezzi con cui l'ostacolo del veto può essere girato: si pos– sono cioè affidare determinati poteri ad o/ganismi ad hoc le cui decisioni non siano soggette, come que:le de: Consiglio di Sicurezza, al diritto di veto, o magari stabilire esplicita– mente ch'esso non potrà essere applicato in un detenninato campo. Un'altra soluzione, prospettata dal delegato francese, è stata questa: fermo restando il principio del veto, che secondo la lettera dell'art. 27 dovrebbe giocare automaticamente anche in caso di astensione o di assenza di uno dei membri, perma– nenti del Consiglio, attribuire a tale articolo un'interpretazione più larga, nel senso che per da~e all'atteggiamento di uno dei membri permanenti il valore di veto occorra un voto nega– tivo con l'esplicita dichiarazione che s'intende dargli questo significato. Si pensa infatti che ,potrebbe in determinati casi uno Stato essere individualmente contrario ad una certa so– luzione, ma non opporsi a che venga adottata se la maggio– ranza degli altri vi è favorevole. Quanto alla raccomanda– zione degli Stati Uniti, che per evitare l'uso del veto si favoriscano i regolamenti pacifici previsti dal cap. VI della Carta prima che il Consiglio di Sicurezza intraprenda la procedura che comporta il diritto di veto, essa non significa sostanzialmente nu:!a. Come ben poco signifiça la racco· mandazione a cui è arrivata, partendo dalla proposta austra• liana, modificata da una serie di emendamenti sugge– riti dagli Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Francia e Canadà, nella seduta del 13 dicembre, l'Assemblea Generale: conclu– sione fieramente avveJ1Sata dalla delegazione sovietica e ap– provata infine con 36 voti favorevoli, 6 contra ti { del blocco orientale) e 11 astenuti {Francia, Cina, India, Cile, Danimarca, Norvegia, Panama, Costarica, Etiopia, Haiti, Islanda), se– condo cui il futuro impiego del veto non dovrebbe im– pedire la possibilità di una rapida decisione del Consiglio di Sicurezza. Decisione valida per quanto concerne l' Assem– blea perché ha raggiunto il minimo richiesto di due terzi, ma che non impe,:(na il Consiglio, né potrebbe, data l'ostilità di uno dei membri pennanenti essere dal Consiglio fatta propria. In conc'.usione, i lavori del primo anno di vita del- 1'0.N.U. hanno rivelato che il diritto di veto dei cinque grandi del Consiglio è il principale ostacolo al suo funziona– mento, •siaper il meccanismo in sè, sia, più ancora, per il disac– cordo di fondo esistente fra l'uno dei tre maggiori e gli nitrì due: ma questo sostanziale disaccordo appunto impedisce che quello dei cinque che si sente più iso'.ato possa rinunciare a tale diritto. Dei po5sibili rimedi indicati solo il primo può avere qualche efficacia, ma occorrerà vederlo alla prova. E se no? Se no ci si trova di fronte al dilemma a cui ci si trova di fronte nel tripartitismo e all'interno stesso di certi grandi partiti politici. O andare avanti cosl, sperando sempre che la soma si aggiusti per via, e constll(lare d'ogni tanto che l'organizzazione internazionale non risolve alcun problema, che il governo tripartito non funziona, che il partito di cui si vuole a tutti costi salvare l'unità si esaurisce nelle diatribe interne e perde le sue posizioni: o spaccare, ritenendo impossibile il costringere in un organismo comune due mondi spirituali diversi, e affrontare le imprevedibili conseguenze ~ un distacco, tanto più grave quanto maggiore ~ j'o~anismo in cui si detennina. /\NTONJO BASSO ;

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