Lo Stato Moderno - anno III - n.15 - 5 agosto 1946

342 LO STATO MODERNO sarie o addirittura nocive, era evidente. Ma non si è fatto nulla; e non si è fatto nulla perchè dall'alto si ha la tendenza a mantenere i canonicati per collocarvi i favoriti, ma anche perchè dal basso non appena si tocca questo tema, si re– clama una asso:uta e illimitata libertà, che ne:l'attuale con– giuntura è impossibile. Se si comincia a discutere di libe– rismo, di vinco:ismo, di socialismo ecc., è ben difficile che si possa ottenere un accordo e che si possano quindi concre'.– tare progetti precisi. Ognuno dà la stura ai suoi sogni e invece di attenersi ai propositi concreti, chi dà inizio alle lamentazioni del muro dèJ pianto liberista, chi dà il via a inattua:i progetti socia'.isti. E intanto la struttura rimane inal terata, se non si accresce. Si direbbe che il Ministero del– l'Industria e Commercio abbia confuso le sue attribuzioni con que:,e del ministero dei Culti e che abbia scambiato tutti .questi enti con altrettanti benefici vacanti. Bisognerebbe rendersi conto che qui c'è un semplice problema amministrativo. Se è vero che l'indirizzo economico de:lo stato potrà determinare il. mantenimento o la soppres– sione di alcune di queste strutture (ben poche di esse però mi paiono utLi anche per una .po:itica di economia diretta) è altrettanto vero che vi è una massa di uffici e di enti che non sono giustificabili sotto nessun punto di vista, e la cui soppressione non è reclamata da una dottrina piuttosto che dall'altra, ma soltanto da un sano criterio amministrativo, e cioè dal principio della unità della finanza e dell'ammini– strazione de:lo stato e de:,a soppressione degli uffici e delle spese inutili. Ma l'opera non può essere puramente negativa. In Fran– cia, dove la sensibilità politica e giuridica è maggiore, si è sentita la necessità costruttiva e si dice che bisogna definire il sistema amministrativo che organizzi il potere economico che lo stato esercita e che non può non esercitare. Anche noi dovremmo occuparci di tale problema, ma non lo abbiamo neppure impostato. Discutere quali possono essere le linee future dell'atteg– giamento dello stato è quanto discutere ,in to-00 ,le ideologie politiche e cercare di coglier del futuro il segreto degli eventi. Ma è certo che lo stato esercita ormai un potere economico importantissimo e che questo potere eserciterà per il futuro. Questo potere si è fin d'ora esplicato disorganicamente, ha dato Juogo ai fenomeni di compressione, .di parassitt1me, cui abbiamo assistito. Organiz2arlo è compito del futuro re– gime -amministrativo. LA CITTADELI~A Quindicinale di politica e letteratura diretto da SALVO PARIGI Plasza Vittorio Veneto 6 - BERGAMO Sommarlo del n. 12 del 5 agosto: L. Lenti: Una politica sbagliata: Le riparazioni. V. Barnaba: TT,ieste e la sua economia. G. Quessi: La cassa. S. Parigi: Noi cerchiamo. C. Terzi: Le, visiteurs du soir. C. F. Venegonl: I Cine-Club. Un'opera immensa e complessa, come ·'5i vede quella one attende la democrazia italiana, se non vuole subire IUI· cora, sotto una superficiale libertà, vecchi istituti e vecchie angustie. Ma proprio per questo è opera di libertà, da conquistarsi giorno per giprno. Per riuscire occorrono quelle qualità che Amendola richiese invano ag!i lta:iani del 1920: chiarezza di ·dee e fermA'7.7,a di propositi. Ci sono le iso:e, dove le tendenze autonomiste· si mani– festano in forma spinta; dove si fucinano progetti azzardati è risentiti, così da provocare reazioni eccessive, ma irre– sistibili. C'è il Trentino che ricorda la libertà locale goduta sotto g!i Asburgo, e solennemente riconosciuta da noi con una legge del 1920, che poi il fascismo stracciò. E i partiti? I comunisti sono ·accentratori per temperamento e per tradizione marxista. Il loro congresso ha parlato di un regime speciale per le isole ed ha condannato ~ federalismo. Non si può dire che sia una posizione chiara: perchè di federalismo nel senso politico della parola nessunò vuole seriamente parlare, compresi forse i repubblicani - cosi almeno vog;iamo sperare - che parlano di federalismo, più per agganciarsi a certe loro tradizioni, che non per puntare su di una formazione di stati. I socialisti continuano ne:le loro tradizioni che sono centralista. Invocano, come hanno sempre fatto, l'autonomia comunale, ma non dicono quali saranno i mezzi finanziari per sostenere questa autonomia e come credano veramente che il comune possa sostenere tutta una vita locale. Essi sono contrari alla regione; anche in questo Turati - regio– nalista - fu un isolato nel partito socialista, e la sua tradi– zione non è seguita. I democristiani non si sa quanto vorranno riprendere del programma del partito popolare, che fu il primo partito nazionale a proclamare un deciso programma regionalista e che fece di questo programma il centro della sua critica allo state liberale. Ma allora i popolari non sognavano nep– pure - e non desideravano - di diventare maggioranza, mentre og,gi si sentono detentori del potere. E quando si pensa di dirigere 1o Stato, si pensa al centralismo come ad un comodo sistema di governo. Infatti il governo De Gasperi non ha dato corso ad un ,progetto del Gabinetto Parri per le Consulte regionali ed ha soppresso i prefetti politici, modesto e non infelice tentativo di portare nelle prefetture l'aria nuova della vita locale. Le frazioni democratiche sono più o meno screziate di regionalismo. I liberali invece sembrano voler riprendere le loro tradizioni: contrari alle regioni, favorevoli in teoria al decentramento, il che si ;idurrà a ricantare una flebile canzone, Ali' estrema destra si parla di Stato amministrativo. Lo Stato amministrativo non esiste: sarebbe come dire l'uomo fatto di sole gambe. Lo Stato è l'organismo politico per ecce:Jenza, e l'amministrazione è il mezzo di estrinseca– zione della sua attività. Lo Stato che si limitasse ad amrnini· strare, sarebbe uno stato immobile, lo stato più conserv!ltore che sia mai esistito. L'amministrazione non è che un aspetto della politica, come la logistica non è che un aspetto della strategia. Lo Stato amministrativo farebbe del sub strumento, l'amministrazione, fa sua meta, rinnegherebb~ la sua essenza, che è politica. Lo Stato è il centro, il risultato e l'organiz– zatore di quanto femienta nella vita e nella società; e per questo suo p:asmarsi continuamente secondo il perpetuo dive– nire umano esso non può avere come fine la gestione ammi– nistrativa. MARIO BONESCID

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