Lo Stato Moderno - anno III - n.13 - 5 luglio 1946

LO STATd MODERNd NOTE SULLARIFORMA GRARIA Talune dichiarazioni di Pietro Nenni, apparse sul .Cor– riere di informazione dell'B-9 giugno, mi hani:io indotto a ri– prendere Le mie vecchie riflessioni su questo, veramente for– midabile e pur urgente problema della riforma agraria. For– midabile, _i>erchè l'agricoltura è la essenz~ fonte di vita del nostro paese, e ha di ifronlle, anche a prescindere dalla riforma, imponenti problemi di sviluppo e di adeguamento alle esigenze <del mercato internazionale; urgente, tuttavia, p,erohè taluni di questi problemi sono pur essi condiziona~ alla risoluzione del problema politico dlella rifomia, e sopra· tutto perohè non ci potrà essere, in un paese agricolo come ù nòstro, una solida, democrazia, se non in quanto si riesca a portare le grandi masse contadine, anèhe del Mezzogiorno, a una condizione di vita meno precaria e ad una effettiva indipendenza economica: basti accennare, qui, come a una delle molte interferenze tra la rifoxma agraria e altri essen– ziali aspetti della costruzione del nuovo stato, al rilievo che .le stesse auspicatissime autonomie regionali e comunali, sen– za una preventiva o contemporanea rifoxma agraria, avreb– bero il risultato, in molte zone, di consolklare il predominio dei « baroni » e delle roro clieiillelè. Diceva -dunque .il Nenni che « fra i tre grandi pa-rtitli esisterebbe già un •accordo di massima per una riforma agra– ria, la quale avrebbe come principa!le obbiettivo quello di spezzare il latifondo, senza interferire per niente in quanto riguarda 1a piccola e la media rproprietà...; ,il motivo princt– pale di dissenso tra i tre partiti ... concernerebbe (solo) le grandi •aziende -agricole di bipo industriale, che i -democn' stiani vorrebbero spezzettare rper favorire la piccola proprietà, mentre i comunisti le ,vorrebbero, jnvece, sostituite da coo– perative di contadini» .. Ora a me pare, molto rassegnata– mente, che il problema; <in questo modo, sia male impostato e che questa mala impostazione si riverberi nella difficoltà òbbiettiva (e non solo ideologica) di superare il dissenso testè accennato. A parte, infatti, le ragioni ovvie lde}dissenso sotto U profilo politico, io credo che, anche su un terreno pura– mente ·tecnico-economico, sia difficile aderire così all'una come all'altra delle contrapposte soluzioni: per un verso, infatti, non fil potrebbe nella maggior parte dei casi .spez– zettare una grande azienda agricola· industl'ializzata, senza effett;uare copiscui e, almeno in ·notevole parte, non reddi– t:i7Ji nvestimenti (per nuovi .fabbricati, nuove sistemazioni, eoc.), e renm rinuncia-re a forme di .c·oltivazione (con forte Impiego di macchine) per avventura più adatte all'ambiente; per un altro verso, non si potrebbero senza grave 'rischio mettere .nelle mani Idi cooperaijye jmprovvisate le nostre maggiori aziende agricole di tipo .industniale, che rappresen– tano il nerbo delft'agricoltura in intere regioni e che sono spesso alla ;testa del progresso tecnico ed economico (a questo riguardo, tutti sanno che, quanto incoraggiante è 'l'esperienza, in altri paesi,. 9i una cooperazione integratrice della attività di aziende individuali, altrettanto è dubbia, invece, l' espe– rienza, in aìtri ,paesi e nel nostro, della gestione diretta di imprese agricole 4n forma cooperativa; nè potrebbe invo– carsi in conbrario l'esperimento <lei kolkhozd russi, sia p~chè effettuato in ambiente di agricoltura estensiva, sia perchè tlominato da una intensa e molteplice azione del potere sta– tale, difficilmente riproducibile in una società democratica (Cfr. Ghidini: Lineamenti del sistema economico ro&so, ed. Einaudi, 1946, pag. 73, ,.segg.). Ma - dicevo - ,questo « punto -morto », cui sembra essere arrivata la .discussione sulla riforma agraria, consegue a mio avviso (ed è ciò che più preme rilevare) a una inesatta impostazione ,generale oel problema: all'eSISersi, cioè, preso come criterio discretivo per l'applicazione della riforma la e-stensicne deNa proprietà, o, peggio ancora, la estensione delJa azienda, e non, •inyece,la f,u,=i<me tecnwa-ecorwmica clui il prapn'etw'ic ha ( e non ha) rneYa ges~icme delJa sua terra. Questa considerazione, invece, dovrebbe essere il punto di partenza della riformlf, perchè è ovvio che &ipuò procedere con tanto maggior tranquillità a un mutamento dei Tapporti giuridici relativi alla terra, quanto meno ciò implichi una modificazione dei rapporti di fatto relativi alla gestione. Il togliere di mezzo un proprietario che affitta la sua terra, che non partecipa menomamente alli conduzione: nè col lavoro manuale, nè con la capacità tecnica e amministrativa, nè con successivi investimenti di capitale, non può evidentemente portare alcun turbamento nel processo produttivo, anzi con-· tribuirà a stimolarlo, poichè chi effettivamente gestisce sarà indotto dalla acquistata. stabilità del godimento non· solo a evitare ogni forma di agricoltura di rapina, ma anzi a dedi– care tutte le sue risorse a una attività miglioratrice che in regime di affitto, e specialmente di affitto a breve scadenza, non sarebbe stata economicamente possibile. Quel che può e deve invece preoccupare, quel che può costituire veramente un salto nel buio è invece una incauta, ma non adeguata– mente preparata modificazione '<lei :rapporti di gestione, la quale ,implichi l'affidamento Idi questo essenziale strumento del benessere ; delia vita stessa del paese a mani inesperte o comunque non idonee. Quindi bisogna - e si può senza timore, anzi con' sicuro vantaggio - cominciare con l'elimi– nare il proprietario· inutile, il proprietario asse.nteista, grande o piccolo che sia: la estensione della proprietà si potrà e si dovrà tener presente, ~r ov-vie ragioni di equo rigÙar-do ai più modesti patrimoni, frutto spesso di rispai:mio e garanzia di <tranquillità per la vecchiaia o per la sistemazione dei fi– ~ioli, ma sqtantc per ia deterrnjnazi<me dell'indennizzo (che dovrà essere integrale fino a una certa somma e via via più limitato per i patrimoni m~ggiori). - · Quindi, il primo passo della riforma dovrebbe essere 1a trasformazione di tutti gli affitti agrari, a richiesta degli af. fitfuari, in ,enfiteusi perpetue·( o in proprietà gravate di una rendita perpetua), con un canone pari• ali'affitto attuale libe– ramente stipulato, depurato delle imposte e degli oneri di manutenzicne, ecc.: gli affittuari potrebbero poi chiedere ad apposite Commissioni provinciali una riduzione non superiora a 'llll terzo del canone così determinato, -in considerazione del fatto che, per i coltivatori diretti, fa forte concorrenza tra aspiranti al godimento della terra, cui non co~onde, come per le altre merci, una possibi:lità di incremento de:la offerta, tende a porta.re i canoni di affitto al lirrute estremo di con– venienza del- coltivatore; per gli affittuari non coltivatori in 'considerazione de!fonere della partecipazione agli utili -a favore dci lavoratori di cui si farà cenno più oltre. Mie stessa · Commissioni provinciali potrebbe essere, per converso, ri– chiesto· un equo aumento di quei canoni, che, convenuti in una somma fissa di !denaro, "r-isultasseroinadeguati al.livello ' in atto dci prezzi dei prodotti agrari. , Quanto alle altre molteplici categorie di colti-vaf:<>ri (la– sciando da parte i piccoli o medi proprietarj che .coltivano totalmente o prevalentemente col lavoro ·proprio e della ·fa. miglia, i quali -non potrebbero ovvjamente essere toccati dalla rifonn se non con provvidenze integratrici e di assistenza), .io credo éhe Ja riforma nori possa pretendere a una disciplina

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