Lo Stato Moderno - anno III - n.11 - 5 giugno 1946

LO STATO MODERNO 247 partiti di massa. Proprio per questo aspetto essi dimostre– ranno quanto in essi v'è di acquiescente conformismo o di di– scip!inare dogmatismo, o quanto. li animi una libera e vitale coscienza di sè e del compito di interpretare la vo:ontà del paese. C'è d'altra parte il governo. Che non preme meno della Costituente. I tre grandi partiti, trionfatori ne!le elezioni, sono tenuti a dare all'Italia, la quale ne ha patito e ne pa– tisce la carenza, un governo efficiente, attivo, realizzatore. Del suo operato essi restano solida:mente responsabili verso il Paese. Questo - che ben sa che democrazia non è meno governare che legiferare - pretende es,ere retto e sorretto da un governo che concordemente affronti, con un impegno costnittivo di larga veduta, gli innumeri problemi che ci as– sillano,a cominciare da una rimessa in efficienza dell'apparato statale, amministrativo e fiscale. Pur con quel giuoco politico di manovia e di compro– messo, implicito in ogni ministero di coalizione, è necessario che i tre grandi cooperino con piena fiducia e con effettiva solidarietà di intenti ad un concordato programma comune di governo, a prestabiliti piani di azioni. E invece a questo riguaroo si ha l'impressione che si navighi ancora molto in alto mare, e non solo per effetto di contrasti elettorali. Le reciproche diffidenze sboccanti spesso in atti ostili, lo sforzo di scalzarsi reciprocamente, il sordo lavoro di mina e di contromina, l'accaparramento fret– toloso di posizioni strategiche, non sono certo buoni preludi per il governo di domani. Nè i tre partiti sembrano aver tratto sufficiente ammaestramento dal fatto che il prevedibile risul– tato elettorale li chiama, o, se vogliamo, li condanna~ per amore o per forza, ad un'opera di governo comune. C'è, dico, anche una responsabilità ed un peso nell'essere « i grandi». Ad essi spetta, anche se non incontrastato, il dominio. E quando non si è forti abbastanza per dominare da ,soli, il dominare associati ad altri diventa una necessità che non si. esplica accettandola passivamente, ma rendendo efficiente il governo comune. o o o Ma c'è, dicevo, una seconda ipotesi. E ben volentieri vorrei ad essa attribuire il tono di pessimismo prematuro e ingiustificato. E cioè che, conscia delle diffico:tà di un governo a tre, la Democrazia cristiana - se dovesse arriderle quel poderoso successoelettorale su cui conta, e che la stessa coesistenza del referendum istituzionale porta ad accrescerle, e se d'altra parte dovesse verificallS\ quell'arretramento del PaTtito co– munista che pure è prevedibile - la Democrazia cristiana assuma da sola, appogiandosi su forze di destra o indipen– denti, il governo del paese. Navighiamo, ripeto, nel campo delle ipotesi: nè, mancando il risultato del responso eletto– rale, è dato congettu,are se, data per concessa una tale in– tenzione, essa intendesse escludere i soli comunisti, come ap– pare più probabile, o anche i socialisti. In entrambi i casi sarebbe una decisione di una gravità senza precedenti. Non solo sarebbe imporre un nuovo ed an– titetico corso alla po1itica italiana, ~cartando forze che alla sua rinascita e concretazione hanno dato un contributo essen– ziale. Ma, a mio avviso, sarebbe compromettere gli stèssi pre– supposti di una realizzazione democratica. Eliminare da partiti di governo e respingere all'opposi– zione entrambi i partiti di sinistra significherebbe buttare a mare la st~sa possibilità di una esist1mza democratica, la rinascita di agitazioni ,senza fine, il precludersi la ricostruzione de:Jo Stato; e, infine, la necessità di un governo autocratico a sfondo inevitabilmente reazionario, e, in caso di soluzione repubblicana, fa restaurazione a breve scadenza. Più allettante per i democristiani (che temo in ogni caso potrebbero contare sulla conformistica unità del loro partito) scartare i comunisti e tentar di scindere i due partiti di si– nistra, esponendo il Partito socialista, proprio nel suo non facile trapasso da partito tradizionalmente all'opposizione a partito di governo, ad un grave e logorante Ji'.emma. Se ciò dovesse verificarsi le conseguenze sarebbero egua:mente assai gravi. Quando lo Stato è foTma ancora da riempire, quando drammatici problemi interni ed internazionali d'ogni parte ci investono, q&ndo l'apparato produttivo del paese non hP ripreso la marcia, quando la miseria, fu disoccupazione, il malcontento delle masse non sono fantasie, il ripudiare la volontà di collaborazione democratica del Partito comunista - fosse pure una semplice volontà verbale -- e il rigettarlo ad un'opposizione che non mancherebbe di diventare agita– toria e che in un domani potrebbe risuscitare un reale impeto rivoluzionario, sarebbe una responsabilità storica schiacciante. E probabilmente imperdonabile. Almeno per ora, a destro in Italia non ci si precipita impunemente, con l'ombra del fascismo alle calcagna. GIULIANO PISCBEL "LA RUSSIA E NOI,, E' il titolo dt una ali-Ocuzione, come usano ancora dire lassù, pronunciata da Daniel Mayer, segretario generale del Partito Socialista fr=ese, in occasione del seconao congresso dell'Associazione « France-U.R.S.S. •· Concepita secondo ~e pure tradizioni deli-0.stile oratorio, di ciu la Francia magicamente conserva il segreto, non tra– ' disce le ragioni della visione politica, nè quelle di una carte– siana chiarezza. E a un certo momento egli dà una defini– zione così precisa del modo di atteggiarsi delle coscienze con– temporanee verso la Russia da raggiungere un valore impe– gnativo per tutti. Almeno per me è impegnativo. « Attual– mente gli uomini che guardano verso Mosca sembrano divi– dersi in due cat(lgorie: coloro che vogliono oambattere la ri– voluzione nascente e che lottano non importa con quali mezzi, compresi quelli della delazione e della menzogna, della ca– lunnia e dell'odio, contro gli sforzi degli uomini che tentano di ricostruire i flora paesi; e coloro che, qualunque cosa fap– ciano i di:rigenti Jella Russia Sovietica, sono aprioristicamente pronti ad approvare la loro azione confondendo l'amicizia e l'anwre, la fiducia e la fede. Noi non siamo - c'è bisogno di ricordarlo - nè dei primi, che combattiamo, nè dei secondi che condanniamo. Noi intendiamo giudicare gli atti della Russia Sovietica in funzione .di quello che essa fa e di quelle che si può degnamente attendere da lei•· Parole pacate ed equllibrate; arriochite anche dalla sfu– matura stilistica dell'equilibrio giustappooto tra il « combat– tiamo» -e il «condanniamo», quasi a sottolineare una mag– giore severità rrwrale laddove è minore l'ar<Ù>Te combattivo e viceversa. Insomma, amici, ma liberi di,criticare; anzi amici, per– chè liberi di criticare. E se la Russia aspira davvero ad -essere per il nostro se– colo, e non dico per la politica, ma per 'l'uomo, per la co– scienza umana, queN.o che fu la Fran,cia nel secolo XIX, si ricordi che il prestigio francese ebbe a declinare dal '51 al '70 quamw sembrò che la libertà, stanca della. Senna, fosse an– data altrove a rizzar le sue tende. Per un uomo libero c'è sempre un pezzo di terra a far da rifugio, ma un paese abbandonato dallo spirito della libertà è destinato a declinare, anche se i fumaioli sono mUle molti- plicati mille. VITTOR

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