Lo Stato Moderno - anno III - n.10 - 20 maggio 1946

LO STATO MODERNO 235 si dovette concedere la libera disposizione. Prezzi e salari ri– presero anch'essi l'ascesa, spingendosi ad un livello due o tre volte superiore a quello dell'Inghilterra, con cui si sarebbe voluto raggiungere la parità (1). Cosi l'esempio del Belgio conferma in pieno la verit:'t delle conclusioni, a cui sono arrivati tutti gli studiosi del!e vicende monetarie nei periodi di gravissimo turbamento per cause di guerra. Se una politica di deflazione è sempre scon– sigliabile per lo scoraggiamento che ne risentono l~ produ– zione ed il commercio di esportazione, essa diventa una vero e proprio assurdo nell'immediato dopo guerra, specialmente in paesi che hanno sofferto tutti i danni delle operazioni bel– liche e del!'occupazione degli eserciti nemici ed alleati. E' questa appunto la situazione dell'Italia d'oggi, dove può darsi che si manifestino dei fenomeni spontanei e - probabil– mente di non lunga durata - di rivalutazione della lira, ma dove una politica di deflazione si deve ritenere sotto tutti i punti di vista impossibile e dannosa. In realtà il pericolo che grava ancora sul!'economia ita– liana è del tutto l'opposto di quello che si teme o che forse si esagera ad arte. Le entrate dello Stato sono da qualche mese in sensibile aumento; ma purtroppo i bisogni per i sa– lari e stipendi, opere pubbliche, danni di guerra, sussidi ai reduci ed ai disoccupati crescono di mese in mese con un ritmo assai più rapido delle entrate, in modo che il disa– vanzo si mantiene intorno ai 30 miliardi al mese ed accenna piuttosto ad aumentare che a diminuire. La politica dei pre– stiti, per cui il disavanzo viene oggi coperto con l'emissione dei buoni ordinari del Tesoro, non può conservare per molto tempo la sua efficacia. anche se una parte del debito flut- (I) T,-aggo queste notizie da un ottimo studio del Dr. Mario DI Lorenzo sul « Risanamento mcnetario e finanziarlo nel Belgio•• pubbl. nel Supplemento alla Rassegna Settimanale, del 14 !ebbr. 1946 del Serv!Z!o Studi Economici della Banca d'Italia. luante verrà consoìidata nel nuovo Prestito Nazionale annun– ciato da parecchio tempo. In ogni caso ·poi, vi è l'emissione dei 7 miliardi mensili di lire d'occupazione, che solo in parte è coperta dalla corrispondente apertura di credito, che ci fanno gìi Stati Uniti d'America. Ma il pericolo appare anche più grave, quando si pensi che oggi la massima parte dei nostri acquisti dall'estero non ci costano nulla, e che anzi essi fruttano una notevole entrata all'erario il quale rivende a prezzi sensibilmente maggiorati le merci che gli sono fornite dall'U.N.R.R.A., come esso rivende i residuati di guerra che gli sono stati ceduti dal Comando allento. Ma i soccorsi dell'U.N.R.R.A. e la vendita dei residuati sono destinati ad esaurirsi in pochi mesi, ed il pericolo più grave si affaccerà appunto per la lira il giorno in cui noi sa– remo obbligati a pagare almeno una parte considerevole de– gli acquisti, che non potremo non fare all'estero. Per tutto ciò dobbiamo sempre tener presente che il pe– ricolo dell'inflazione, nonostante la tregua di questi ultimi mesi, non è affatto superato, e per questo ci sembra estrema– mente preoccupante lo stato d'animo di molti nostri produt– tori che, al primo accenno alla inevitabile discesa dei prezzi di alcuni manufatti e di poche derrate agricole (del vino in primissima linea) si affrettano ad invocare l'intervento dello Stato che li salvi dalla rovina rimettendo in moto la macchina comodissima e apparentemente poco costosa della stampa dei biglietti. Se un tale stato d'animo dovesse diffondersi e finisse per aderirvi qualche uomo di governo - e purtroppo ve n'è qualche accenno - ogni speranza di salvezza sarebbe per– duta, e dovremo aspettarci la sorte dell'Austria, della Russia, della Germania del passato dopoguerra, o quella degli Stati balcanici in questi ultimi mesi. GINO LUZZATTO ;RASSEGNA BIBLIOGRAFICA WALTER LlPPMANN: La politica este– ra degli Sta.ti U11iti; lTaduzione ita– liana; Roma 1946. In questo acuto libretto il Javoro di sintesi è affrontato con brio, con una immediatezza che parla di decenni di giornalismo. Walter Lippmann, il noto commentatore di politica estera nuova– jorkese, vi si mostra ansioso di fare comprendere ai suoi concitta.dln,i ]a ne– cessi,tà di una pold,tica estera m,gani:ca, la cu~ formazione è stata impedita da un'errata sensazione dd assoluta sicu– rezza, sorta da una situazione storica contingente, ·che ha già dato I suoi frut– ti e che nel futuro non si rimuoverà. Partendo da questa base, l'Auiore traccia, in runa prima ,parte del libro, una sintesi del!lo svJJuppo storico degli Stati Uniti con 11>aa1licolare iguardo aUa successiva posizione internazionale dei medesimi. In questo succinto esame di un ,pe11iodo storico che occupa poco più di un secolo, dalla rivoluzione fino alla guerra con ila Spagna del 1898, l'atten– zione viene costantemente riportata sul– le élrcostaru:e che lià Llp,pmann si com– piace di mettere in rHievo come ele- menti probanti dei suoi assunti prin– cipali e secondari. Sua tesi principale è che « una poli– tica estera consiste nel porre in equi– librio, con ,un confortante sowappiù di PDlenza di riserva, gli impegni e la po– tenza della nazione •, o, in altre parole che d'intento de1la po'!itica estera di uno stato dev'essere quello di !ar sì che gli impegni internazionali che esso si :issum~, quali aJJeanze, protettorati ec1:., corrispondano ai mezzi politici, mili,ta– ri. economici, ecc., a disposizione del:lo stato per assolvere ~li impeg:ni stessi. • L'uomo di stato - dice il Lippmann - di w1 paese forte può realizzare l'e– quilibrio dei suoi impegni ad un li– vello ;alto '€ ad I\.IIlO basso: ma sia che diriga gli affari della Germania, che ha avuto ambizioni di espansione, o quelli della Svizzera, che chiede solo rii conservare ciò che possi-ecle, o degli Stati Uniti, deve sempre equilibrare fini e mezzi. Se non 1 10 !a, seguirà una stra- da che conduce al disastro. · A questo principale assunto l'autore n~ appoggia altri, più o meno legati ad eventi ed intrepretal'lioni della sto– ria amel'licana: che i irandi artet,ici del- la libe~tà e dell'autonomia nazionale a– merir.ana, Washington, Jetferson, Ma– dison, Monroe, non erano a1ìfatto avver– si in linea di princLpio alle alleanze e&tere, come tuttora credono la mag– gioranza degli americani; che gli im– pegn.i esteri degli Stati Uniti sono fin dall'origine, ed a maggior ragione da un cinquantennio, geograficamente as– sai più estesi di quanto 11100 creda la opmione comune e in ispecial modo la corrente isola:cionista; ohe è assoluta– mente insensato credere che lo stesso territorio metropolitano degli Stati U– niti sia sufficientemente ·di!eso dai dÙe oceani che lo circondano. I sostenitori di quest'ultima tesi trag– gono il loro maggior argomento dal pe– riodo di incontrastata sicurezza goduto dagl•i Stati Uniti dall'enunciazione del– la dottrina di Monroe nel 1823 a·na guen-a ispano-americana del 1898; gli stessi a!'guiscono dai principii sostenuti dalla dottrina un'avversione di Monroe e di Jefferson, suo mtimo consigliere in questa materia, per qualsiasi legame cot le potenze europee. Ma essi dimen– ticano - sostiene il Lippmann - .che Monroe e Jefferson (Pl'<>elemarono tt

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