Lo Stato Moderno - anno III - n.6 - 20 marzo 1946

122 LO STATO MODERNO •e sociale che questo fatto implicherebbe. Qualcuno potrebbe obbiettare che la larga partecipazione fem– minile è solo indice della loro disciplinata obbedienza agli inviti dei ministri del culto; ma a parte che ciò appare in contraddizione coi risultati di molti co– muni, specie fra i maggiori, dove le sinistre hanno avuto una predominanza schiacciante, dovuta evi– dentemente anche a largo apporto di voti femminili, a 11oi sembrerebbe comunque un buon inizio, con– vinti come siamo della fuRZione liberatris:e della li– bertà per tutti, ed anche per coloro che usandone per la prima volta possono farne cattivo uso, ma non possono non esserne alla fine redenti. Terza constatazione, sul cui buon auspicio non siamo certi di ottenere altrettanto larghi consensi: anche nell'Italia centro-meridionale, un tempo pa– radiso delle piccole clientele personali verniciate di democrazia, hanno prevalso abbastanza largamente i candidati dei grandi partiti di massa, seguiti a lar– go intervallo dagli «indipendenti». Noi non igno– riamo il pericolo che può costituire per lo sviluppo democratico di un paese la troppo accentuata pre– valenza di due o tre partiti di massa diretti buro– craticamente dal centro (il discorso vale soprattutto per i comunisti e per i democristiani, assai meno per i socialisti), così non ignoriamo il pericolo che si vengano a trovare di frontecfue-b1occhl equiv~ lenti di forze ma con ideali.e _propositi divergenti, senza la.presenza di un'adeguata rappresentanza po– litica di forze d'importanza ·sociale altrettanto gran– de; ma sentiamo da un lato che l'istanza· antiparti– :tica cl:ie fu al centro della polemica fascista (ed è ora al centro di quella qualunquista, mentre costituì parte della fortuna del mito superpartitico dei C.L.N.) è ancora troppo imperiosa perchè non pesi per pa– recchio tempo in senso sfavorevole ai piccoli partiti, d'altro Ìato ci sembra ·che in Italia sia più grave il pericolo della frantumazione individualistica dei par– titi che non quella dell'esistenza di pochi partiti di base larghissima ma di fiacco conformismo. Così noi non crediamo ,di dover attribuire un significato po– litico. positivo all'esistenza di un numero relativa– ~ente alto di comuni « indipendenti »; pur i;icono– scendo quanto vi sia di arbitrario nel voler imporre un colore politico anche all'amministrazione d,i un piccolo o piccolissimo comune, noi consideriamo tali comuni soltanto come agglomerati umani lontani dalle grandi strade di comunicazione dove si rincor– rono le staffette politiche dei grandi partiti. Quanto ai partiti minori, le constatazioni liete si riferiscono soprattutto alla sconfitta che si profila clamorosa del Fronte dell'Uomo Qualunque, forte ora di tutto l'appoggio dei democratici (monarchici) italiani. Tale sconfitta sembra non sia senza rela– zione con quella che sembra minacciare i liberali, un tempo i grandi dominatori delle elezioni itàlia~, al quali U-fiancheggramento del qualunquismo sem– bra debba riuscire fatale. Dei demolaboristi. poco da dir"e: pochi sono (il mezzogiorno è la loro base po-' litica), meno ancora saranno nel settentrione; per i repubblicani invece si può 0 dire il contrario: i loro maggiori. successi li avranno certamente nel nord. Resterebbe da parlare degli azionisti, ma non istà bene al marito parlare della moglie dalla quale si è recéntemente diviso ... ARTURO BARONE INTERNAZIONALIZZAR LA NOSTRA POLITICA ESTERA Il titolo di questa nctarella può tembrMe u.n bisticcio, ~n arabesco, un paradosso. · Ma non lo è del tutto. Ci 60TIO due modi di concepi:'e la ~tica estera: uno è quello cosi detto bil,at,erole, per cui ogni problema che supera ,i oonfini nazwna!i viene vi.sto esclu– sivamente in funzione di un altro stato, Ilo staro cointeressato al pr'obJema; un altro nwdo ~ quello invece di esamiruue i problemi in un quadro più vasto di comunità intemazicnaie~ rendendosi conto che qualunque soluzione interessante due o più stati turba in .qualche modo rapporti ed equilibri che toccano una pluralità di stati. Se non sbagUo, la oostra pol.itica estera tende piu«ostc al prinw modo; e questo, che - fuor di cel'ti limiti - fu sempre un errore, lo. è oggi assai grave, e potrebbe esserlo in modo quasi irreparab;/,e. Vedete ad esempio, Trieste. A mio avviso la si è fin'ora cèmsiderata trt:>ppo rome una questicne esolusivamente italo– fugoslava, mentre in realtà essa è assai più ampia, e abbraccia assai più problemi di quanti non si pensi. Questo è µnche l'opinione di Walter Lippmaim, uno dei maggiori pubblicisti americani, il quale, tn u.n articolo ci:m,,parso in « Le Figaro • del. 22 febbraio, sotto il titolo « Per u.pe da u.n dilemma • cosi manif~sta ·a suo pensiero: « .•. E' ineoessano discutere la questicne degli armamenti navali con i nmt. Là è il pro• blema vero di cui Trieste, le colonie ;toliane, la Grecia e Il Dodecanneso non sono che i segni esteriori. Gli Americani é1.ebbono chiedere ai Russi di discutere oon wro e con gli Inglesi Il problema della potenza marittima. Finchè non ci si sarà inteyi su questo punto, il ,trattato di pace con l'Italia, che è realmente un trattato mediterran,eo,non può essere fatto». Chiaro? « N<m può essere fatbo ». Il che significa che .gU 'it<Jl;iani debbono abituarsi a pe=e ai wro probkmi in fun~ -Internazionale, e se voglumc sdhxue Trieste, ad aver gli occhi sull'Egitt,o e sulla Persia, sulla Cina e sulla Fin– landia. E agire in conseguenza. Allrimenti ,wn capiranno più nulla, e non te#Md a/,tro, Dio non voglia, che gridare ancora aN' in/:iustizia. :vITTOB

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