Lo Stato Moderno - anno III - n.6 - 20 marzo 1946

LO STATO MODERNO 123 RISALIRE LA CORRENTE Lo <Sehieramentodei partiti politici -italiani ha, come lo noto, una grave lacuna, a cui intende ora rimediare il Mo– vimento della !l,emocrazia repubblicana. La piccola e media borghesia laica e progressista, i popolann più evoluti: arti– giani, commercianti, agricoltori, che non obbediscono a ri– chiami classistici o confessionali, mancano di un partito che Il raduni, li rappresenti, ne esprima gli interéssi e gl'i.ideali. Questo partito avrebbe potuto essere il Liberale, se la sètta filosofica che se n'è impadronita, avesse ceduto il campo à una tradizione, diciamo così, giolittiana sviluppantesi al nord_. anzichè prender a modello la destra storica meridionale. Avrebbe potuto essere il Partito d'Azione, se i suoi componenti non avessero cercato un'impossibile fusione di ,liberalismo e socialismo, mostrando invece ··una maggiore coscienza di classe e un minor gusto per le soluzioni teoriche (forzata– mente dobbiamo trascurare le formazioni personalistiche tipo Democrazia del -lavoro, o di contenuto storico anzichè rap– presentativo, come il P. R. I.). Comunque, il vuoto c'è, ed occorre riempirlo. A questo punto, ci è stata fatta l'obbie– zione che noi confondiamo un'esigenza di logica pol'itica, con la creazione di un partito, le cui fonti dovrebbero scaturire eia una pas5'ione collettiva oppure da un'ideologia. L'argo– mento dimostra soltanto l'insensihllità pratica di chi lo ha suscitato, la sua incapacità a rendersi conto della realtà. In– fatti, il concreto empirismo che ci guida, con. quotldiane te– stimonianze ci prova che i larghi strati sociali sopra accen– nati esistono, e tuttora cercano un inquadramento politico e di pensiero. Sono tutti coloro che ti confessano che, consi– derando il P. L. I. il partito dei « signori », quindi con scarsa o nulla base nel mondo di chi lavora, finiranno o per aste– nersi dal voto, o loro malgrado per votare per !;i Democrazia cristiana. Avrebbero ·forse potuto. orientarsi verso il partito so– cialista se questo fosse stato imperniato, per esser brevi, sul nucleo di « Critica sociale », pur facendo qualche riserva per il gusto eccessivo dei socialisti per l'economia regolata, ma un P. S. I. e di unità proletària » poco li attrae. Quindi, que– ste anime in pena debbono indirizzarsi altrove. Tanto più che sono sensibili alla « paura del comunismo ». che è la molla che oggi <leterrnnnalo schieramento della piccola e media bor– ·ghesianostrana. Questa «paura• giocò già nel 1919-21 (anni che rasso– migliano in modo talora impressionante agi~ attuali) e diede luogo al fascismo. Ed è proprio perchè il fenomeno non si ripeta, che cerchiamo di correre ai ripari. Se nel 1919 la ri– voluzione russa poteva impressionàre i « beati possidentes » e le classi con~rvatrici e turbare le anime cristiàne, piccola e media borghesia, materialiste, .indifferenti al problema reli– gioso e con poco o nessun patrimonio da salvaguardare, avrebbero potuto guardarla, se. non con simpatia, almeno senza terrore, solo che i partiti di sinistra avessero--saputo presentarla loro decentemente. Ma l'ignoranza che distingue sempre i nostri demagoghi, fece sì che .cgn sfoghi puramente verbali, aizzarono le masse e spaventarono i ceti medi, i quali ammettono (è un tratto dncancellabile della loro psi– cologia)le rivoluzioni ma, come .già lamentava· Chamfort, « à l'eau de rose ». Davanti alle bandiere, rosse, essi arretrarono, , e finirono per mettersi dietro a quelle nere. I cui reggitori, per un ventennio, svilupparono, ingigùlltirono il primitivo senso di « paura del comunismo », che penetrò per conse– guenza In larghi strati sociali, i qual-i, accontentandosi della salvaguardia verbale fascista; non si accorgevano, tenendo gli oechi fissi al b!llcone di palazzo Venezia, che i difensori scavavano loro il terreno sotto I piedi- Giannini, astuto .av• venturiero, pigliò lo &logan anticomunista sapendo che, coo questi precedeiiti, era una speculazione che poteva rendere, ' giacchè rimanevano nel paese milioni di ossessionati, e partl la lancia in resta. Senonchè l'affare gli crebbe in ·mano grazie ai pervicaci errori delle sinistre che qualche solitaria Càssan– dra si affannò inutilmente a mettere in guardia., ed oggi il qualunquismo è la roccaforte deHe destre, intorno a cui ac• corrono monarchici e conservatori (detti liberali). Quando vidi, nel maggio 1945 un ministro del P. L. I. e gli parlai dello scarso seguito nel nord del suo partito, mi rispose che egli contava sulle • masse » centromeridionali. Il curioso della situazione odierna è che le • masse » liberali del sud si sono trasformate in masse qualunquiste, e che il P. L. I-, che lo scorso ianno non voleva spostarsi a sinistra per timore di perderle, le ha perdute e non ha guadagnato nulla nel senso di un ritorno a quella tradizione radicaleg– _giante del partito, che chiameremo piemontese. I ceti medi cercano oggi un'assicurazione contro il CO· munismo (che a loro è sospetto perchè, da buoni italiani furbi non- credono una parola della « democrazia » comu• nista e non si fidano di un programma troppo_ modesto e adattabile, specie quando ad esso, contrastano fatti di ben altro genere, attribuiti a torto o a ragione al P. C. I.; per di più, nazionalisti essi medesimi, non vedono bene il naziona– lismo slavo) e la prendono dove la trovano: -nella Demo– crazia cristiana, e se occorrerà nella Monarchia. Ir fenomeno potrà essere spiacevole, ma esiste, ed è inutile nascQ!ldèrlo o girarci attorno. Se se ne fossero reso conto, gli amici del_Par– tito d'azione non avrébbero proclamato come Augusto Monti, in un libro letteriaramente di prim'ordine, che il Partito d'A– zione è la coscienza <:ritica del comunismo, ma sarebbero an• dati ad esercitare, se ci riuscivano, tale opera nell'interno del P. C:- I. lasciando il loro a chi ne voleva l'assoluta autonomia anche ideologica. Caduta qu~ta possibilità di politicizzare e attrarre nel Partito d'azione i ceti medi, bisogna ricomin– ciare da capo, e fornire loro l'assicurazione che chiedono, me– diante una repubblica democratica, e un partito_ centro si– nistro. Chi scrive non si nasconde che parecchie esigenze delle classi predette hanno talora basi meschine, o proven– gono sovente da pregiudizi che occorre pazientemente sfa– tare. Ma non è irritandole che si può ottenere la loro gra• duale conversione alla vera democrazia. La pregiudiziale anti– comunista deve scomparire - siamo d'accordo - perçhè è un residuo di fascismo, e della mentalità che lo ha originato. Ma neppure dobbiamo, ingenuamente, pigliar per oro co– lato le parole e le promesse, bensl giudicar ciascuno d?,gli atti e dal:le opere. Solo cosi si può arrivare a uno sblocco, e al superamento di una situazione che altrimenti corre fa– talmente a un conflitto, a tutto vantaggio della re!lzi~e. . Questi tentativi della parte più spregiudicata della bor• ghesia intellettuale per fondare su basi solide e durature la democrazia in Italia, servendosi volta a volta del partito li•, berale e di quello socialista, non tanno sinora avuto altm fortuna che precaria e contrastata. La « storia di un gruppo che non riuscl a diventare partito • costituisce. l'incubo dei vari nudei che. in diversi momenti della vita politica italiana, cercarono <li guidarla a beneficio del popolo çhe lavora- Ma la mancata coincidenza dei programmi successivamente for– mulati, con la mentalità delle categorie a cui essi facevano appello, ha determinato il loro insuccesso. I partiti di sini~ stra, per loro natura giacobini, hanno ceduto alla ·politica di padre Bile. Forse per il piacere di fare un corno a don Be– nedetto, che lo tiene in conto di un passerotto, ·io conservo· sempre a portata di mano Giuseppe Giusti, che da· buon ,....-

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