Lo Stato Moderno - anno II - n.15 - 5 settembre 1945

LO STÀTO MODERNO 185 DAL PROCESSO DI RIOM AL PROCESSOPÉTAIN 1. • La preistoria L'opinione pubblica francese, affermando che con Pétain si giudicano milioni di francesi, riasswne in una frase la coscienza che essa ha di quanto vasta sia la portata di questo processo. Ma la frase deve essere intesa in tutto il suo valore. Questi O'lilionidi francesi non comprendono i soli collaborazionisti, i vichyisti e i doriotisti, gli anti-vichyisti di Lavai e Déat, la combricoola di après la défaite, ma anche i vari gruppi che negli ultimi quindici anni hanno dato il tono alla politica in: tema ed estera della Francia: in una parola tutta la classe dirigente. I ventiquattro giurati - dei quali, si dice, dodici siano uomini della Resistenza - dovrebbero avere il compito di tradurre in verdetto giuridico le accuse di cui fin dallo scorcio del 1940 nella terra d'esilio Jacques Maritain in A tra– vers le ~astTe, e Georges Bemanos nelle sue virulente Let– tres aux Anglais materiarono le loro accuse contro la bor– ghesia francese. Riassunta in una formula, la responsabilità della classe di– rigente consiste nell'aver provocato il decadimento dello spi– rito e delle istituzioni della democrazia. La rivolta del 6 feb– braio 1934, la legge sui pieni pote.m, la congiura dell'estrema de~tra ~scista_ dei Cagoulards nel 1936 sono tappe - le .più evidenti - di questo progressivo disamore. Ma il governare a base di decreti legge, la lotta contro lo sperpero nei Comuni, il Comité de la Hache, l'aumento delle ore lavorative, il riconoscimento del Governo Franco, il codice della famiglia, sono una prassi fascista adottata dal Governo Daladier, il quale finì col dichiarare la guerra senza un voto del Parla– mento. Disamorate della democrazia erano le sinistre, il cui sguardo si volgeva verso le dittature del proletariato; disamo– rate le destre, che temevano la democrazia politica fosse vei– colo alla democrazia sociale. Tra questo disinteressamento e questa ostilità sempre più invadenti, la democrazia si reggeva in equilibrio instabile. La, democrazia si sentiva moritura; il trionfo delle dittature era nell'aria. « Se il fascismo non trionfò prima della guerra, è perchè la sua ombra non cessò mai di incombere sul gioco parlamentare». (A. Fabre-Luce, Journal de la France, 1941, 1°, p. 233). Questa larva di democrazia in equilibrio instabile, svuotala da dentro, era pronta a crollare al primo urto. La guerra, aper– tasi come un conflitto d'idee, venne condotta senza convin– zione. Al di là della vittoria delle armi c'era probabilmente il trionfo del ne~co interno; una pace di compromesso, che salvasseil benessere materiale del paese, inquadrando la Fran– cia nel!'ordine nuovo, non sarebbe stata, forse, preferibile a un incerto domani che si sarebbe dovuto comperare a gran prezzo di sangue? L'incerta guerra, che si prolungava nell'attesa, era la con– clusione di· un'incerta politica. La guerra somigliava strana– mente alla pace, alla pace che non ha saputo prepararla. La diplomazia, stiracchiata tra due indirizzi opposti, fece sì che la Francia si trovò alla vigiìia dello scoppio delle osti– lità senza un sistema di trattati e di alleanze che potesse gio– care in suo favore. Se da un lato la corrente anti-assista, anti– Monaco, voleva una Francia forte, armata e agguerrita, pronta ad affrontare il nemico che sulle tre frontiere del Reno, delle Alpi e dei Pirenei pareva prepararsi minaccioso ali' attacco, i filo-assisti sostenevano la tesi che, dopo il riarmo della zona renana, alla Francia non rimaneva se no.n una via: l'Impero. • - La pace! La pace! - si gridava quando eravamo forti, - La guerra! La guerra! - non appena siamo stati deboli - ». (Cbarles Maurras, La France seule, 1941, p. 42). Conveniva ri– nunciare all'Europa centro-orientale, abbandonarla ali'egemo- nia dei tedeschi ormai padroni delle posizioni chiave, volgersi all'impero, al Mediterraneo, all'intesa latina. E invano i soste- . nitori della prima corrente, le Cassandre, ammonivano che la Germania di questo disinteresse non si sarebbe avvalsa se non per farsi più forte di tutte le risorse che si mettevano cosi a sua. disposizione e gettarsi poi sulla Francia, ormai sola da– vanti ali' avversario strapotente; che l'unione latina era un sogno irrealizzabile, perchè l'Italia e la Spagna erano paesi in piena crisi di nazionalismo, vagheggianti sogni imperiali, i quali alla Francia avrebbero ,potuto guardare solo come alla pingue padrona di un vasto impero e di alcune delle posizioni essenziali del Mediterraneo. Alle Cassandre rimase il misero conforto di aver avuto ragione. Nè Io Stato Maggiore si dimostrò più della diplomazia al– i' altezza del compito affidatogli. La linea Maginot, il sogno di sicurezza del popolo francese materializzatosi in., realtà, non prolungata lungo la frontiera del Belgio, era come un colosso dai piedi d'argilla. L'esercito, « il più potente esercito del moncfo », creato per la difesa secondo il decalogo ohe l'esperienza dell'ultima guerra aveva suggerito, era invec– chiato e• annoso nel materiale, nella concezione del suo im– piego, nei suoi quadri. « Ii difetto <lell' esercito tedesco è di aver generali troppo giovani», dirà Gamelio. Isolata sorse e isolata rimase in quello Stato Maggiore la voce del!' allora colonnello élfarles De Gaulle, ammonitrice dei valori che ne!la nuova guerra avrebbero avuto il carro armato, l'arma coraz– zata- e agile, e la nuova tattica che da questo sarebbe nata, e della conseguente necessità di trasformare l'esercito fran– cese. Egli voleva tornare, al di là del!'esercito nazionale, al– i' esercito di mestiere napoleonico, creando uno strumento ag– gressivo e mobilissimo atto ali'attacco, proporzionato alle forze del presumibile avversario, che disponeva di un perfet– tissimo. eser-cim di mestiere foggiato entro il quadro di Ver– sailles dal generale von Seckt. li trattato del De Gaulle: Vers l'lll'mée de métier, che è del 1937, il quale dimostra la sua lesi sull'ipotesi di una guerra contre la Germania, letto og– gi, pare una storia degli avvenimenti del '40 narrata in prece– denza. Il Consiglio Supremo della Difesa, in cui sedettero Pétain prima, Weygand poi, non fu d'accordo con questo'pro– getto che prevedeva un esercito su sei divisioni motorizzate e corazzate, con una potenza di fuoco tripla di quella del– !' esercito francese del 1914 e una mobilità dieci volte supe– riore. Il carro armato era allora, e rimase fino al 194ti nella concezione dello Stato Maggiore francese unicamente un au– silio della fanteria. Nel giugno 1940, quando Weygand suc– cedette a Gamelin, si costruì ancora in tutta fretta la cosid– detta linea Weygand, basandosi sul principio che i carri ar– mati non possono operare senza l'appoggio della fanteria, cosicchè avrebbe dovuto essere sufficiente separare questi due elementi gli uni dall'altra per aver ragione d'entrambi. Tra una casamatta e l'altra si sarebbe dovuto - secondo i tecnici francesi - lasciar sfilare i carri armati ma decimar poi la fanteria, di modo che i primi, senza l'aiuto dei secondi, sa– rebbero caduti, privi di carburante e di viveri, nelle mani dei difensori. « Devi capire - spiegava il generale Huntziger ai suoi soldati - che senza la fanteria il carro armato può far ben poco. Basta che tu ti nasconda, e qii.ello non ti farà nulla. Lascialo passare senza farti vedere e spara su quelli che ven– gon dopo. Senza truppa di rincalzo il carro armato diventa cieco. Presto o tardi dovrà ripiegare per rifornirsi, a meno che i nostri cannoni non l'abbiano già fatto a pezzi». (Citato da V. Vinde, Eine Gross=ht fiillt, 1942, p. 74).

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