Lo Stato Moderno - anno II - n.15 - 5 settembre 1945

,186 ùO STATO MODERNO La situazione interna non era migliore di que:la inter– nazionale. La Francia, isolata nel mondo, era governata da un gruppo dirigente che aveva perduto il contatto col popolo. Se Daladier potè dichiarare la guerra senza un voto preliminare del Parlamento, si è perchè la legge dei pieni poteri, che durava dal 1934, aveva creata una •prassi secondo la quale il Parlamento, in materia di politica estera, veniva di regola posto davanti al fatto compiuto, salvo esprimere il suo mal– contento col rovesciare il Ministero. Nè il Parlamento seppe trovar mai tanta energia in sè da reagire a questo lento pro– cesso d'estromissione, chè anzi passò tacitamente di capito– lazione in capitolazione e nessuno dei parlamentari, che al tempo di Vichy protestarono post factum d( non aver mai voluto la guerra, levò la voce, neppure il giorno in cui, avendo il Governo chiesto alle Camere somine enormi per gli arma– menti, si offri loro il destro di farlo. Così il Parlamento si abituò a questa tranquilla messa in quarantena· e preparò l'atto supremo di rinuncia che doveva compiersi a Vichy. Nè il Gov:emo s'era solo emancipato alquanto dagli organi istituziopaji; esso aveva pure perso il contatto col pubblico, specie nel primo anno di guerra. La stampa e la radio erano . state sottomesse a una onnipotente censura che riceveva gli ordilli in ultima analisi dal!'autorità militare. E il segreto mi– litare aveva limiti vastissimi, i quali permettevano di tenere il pubblico in una semi ignoranza. Cosicchè esso non rice– veva qualche lume se non dalla radio estera di Londra sì, ma anche molto da Stoccarda da dove il « traditore » infor– mava scaltramente i oompatrioti di tutte quelle piccole e gra11di difficoltà che andavano accumulandosi sòl paese. Il risultato fu che quando gli avvenimenti gravi accaddero, il Governo non aveva più in mano il controllo dell'opinione pubblica disinteressata e disamorata. La drole de guerre che va dal settembre 1939 al 10 maggio 1940, è l'epoca in cui gli spiriti-s'afflosciano, si staccano, si atrofizzano in un' ama stagnante, su di un fronte immobile. Le carenze essenziali della classe dirigente sono queste: l'impreparazione diplomatica e militare del paese, il timore della guerra per i suoi riflessi nel campo della politica interna e della situazione sociale, la mancanza di convinzione che il bene del paese, in una guerra in cui s'era entrati più per forza d'inerzia che per deliberato spirito di reazione, fosse al di là della ·vittoria e non al di qua, in una pacè di compro– messo che salvasse quell'ordine sociale del quale le dittature fasciste avevano saputo gabellarsi per puntello. 2. - La morte della terza repubblica . Il 10 maggio 1940, alle ore 5.33 del mattino, i tedeschi sferravano l'offensiva sul fronte occidentale. La prima fase di questa si concludeva con la resa dell'esercito belga e l'imbarco delle truppe alleate a Dunkerque. Il 5 giugno si iniziava la seconda, che approdava alla domanda di armi– stizio presentata dal Maresciallo Pétain, successo il 17 giu– gno a Paul Reynaud. « Ho presa questa decisione - diceva Pétain nel suo messaggio del 20 giugno -, crudele al cuore di un soldato, perchè la situazione militare l'imponeva. Spe– ravamo resistere sulla linea tra la Somme e l' Aisne. Il gene– rale Weygand vi aveva ammassate le nostre .forze. Già il solo suo nome presagiva la vittoria. Ciò nonostante la linea ha ceduto e la pressione nemica ha costretto le nostre truppe a ritirarsi». (Pétain, Paroles aux Français, 1941, p. 43). Il generale Weygand, successo il 19 maggio al generale Gamelio nella carica di Capo di Stato Maggiore Generale della Difesa Nazionale, dopo un ponderato esame della si• tuazione durato un paio di giorni, informava fin dal 25 maggio il Consiglio dei Ministri, e a voce e per iscritto, che « lo svi• luppo delle operazioni militari è tale da poter mettere in breve spazio di tempo nell'j]jipossibilità di poter proseguire la lotta>. Le pressioni in questo senso, intese cioè a provo– care i.ma sospensione delle ostilità, furono rinnovate il 6 giu– gno, il 12 e ininterrottamente nei giorni successivi dal Capo di Stato Maggiore Generale e dal coro dei generali, primo tra essi il generale Georges. Racconta il senatore Charles Reibel che, quando si recò dal Presidente della Repubb'.ica Lebrun, il 15 giugno, questi rispose al suo saluto esclamando: « Vi può essere giorno_ più tragico di quello in cui i capi militari rifiutano di combattere?» (Pourquoi et oomment fut décidée la demande d'armistice, s. d., ma 1940, p. 28). « Fin dal 13 giugno - spiegherà Pétain - · il doman– aare un armistizio era inevitabile. Questo scacco vi ha i;or– presL Ricordandovi del 1914 e del 1918 ne andate cercando le ragioni. Eccovele. Il 1 ° maggio 1917 avevamo ancora 3.280.000 uomini sotto le. armi,....• alla vigilia della battaglia attuale ne avevamo 500.000 di meno. Nel 1918 avevamo 85 divisioni britanniche, nel maggio 1940 non ce n'erano che. 18. Nel 1918 erano con noi 58 divisioni italiane e 42 ame– ricane. L'inferiorità del nostro materiale fu ancor maggiore di quella dei nostri effettivi. L'aviazione francese combat– teva nel rapporto di uno a sei» (p. 44). « Ieri - affermava il genera1e Georges il 13 giugno - ho potuto dire a Winston Churchill che avevamo ancora 35 divisioni, oggi ne ho solamente 25, domani saranno forse 10. E che divisioni I Ridotte a pochi battaglioni senza artiglieria ». (Reibel, op. cit. p. 26). ' E Weygand di rincalzo: « Oggi come oggi non ho che un reggimento di riserva, che rnrrà gettato domattina nella mi– schia: questo pomeriggio faremo entrare in linea gli ultimi carri armati, che escono dalla fabbrica e sono ancora in rodaggio». (idem, p. 20). Effettivamente dopo l'armistizio caddero intatti nelle mani dei tedeschi: a Gien 700 carri armati, 400 a Rennes, alcune centinaia di bombardieri a Brest, e a Bourges un arse– nale bellico il cui valore venne dai tecnici tedeschi fatto ascendere a 20 miliardi di franchi. (Vinde, op. cit., p. 94). La disorganizzazione - si chiamò al momento col nome di quinta colonna, tradimento e simili - nata da una tattica imprevista applicata con una rapidità inaspettata, fu certo la principale ragione del mancato impiego di questi mate– riali sul campo di battaglia dove difettavano e del tardato richiamo delle trup~ dagli altri settori su quello che urgeva difendere - ignoranza e imprevidenza che costituiscono, nel campo tecnico, J.!OO dei più gravi capi d'accusa contro lo Stato Maggiore francese e i suoi generali, si chiamino Pétain, Weygand, Gamelio o altro - ma a questo s'aggiunge anche una decisa volontà di non sguarnire il fronte interno. Quando Weygand si mostrava tanto restio a mettere in linea nuove truppe, pare - cosi afferma il Vinde - « eh' egli avesse per vie tra verse avuta notizia che a Parigi si stesse preparando un colpo di mano comunista._Anzi, secondo certe voci, esso avrebbe dovuto essere già avvenuto e il Palazzo dell'Eliseo essere caduto nelle mani ~ei ribelli». (op. cit. p. 89). La rapida conclusione dell'armistizio avrebbe salvato l'esercito - e questo è il tema su cui in tutte le guerre s'appunta la preoccupazione degli Stati Maggiori perdenti, vedi le insistenze di Ludendorff e di Hindenburg nel 1918, vedi il colpo di forza tentato da Witzleben nel luglio 1944 -, ma avrebbe implicitamente segnato la fine della democrazia in Francia e conseguentemente portato all'inquadramento di essa nell'ordine nuovo europeo, in quell'ordine dittatoriale di marca fascista, il quale aveva persuasi gli uomini di questo stampo costituir esso l'unica ancora di salvezza contro la dittatura di sinistra e che, ad ogni modo, si opponeva sul piano economico-sociale alla realizzazione del programma

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