Lo Stato Moderno - anno II - n.15 - 5 settembre 1945

184 LO STATO MODERNO i suoi santi, i suoi eroi ed i suoi martiri: è questo appunto ciò che l'umanesimo scientifico richiede per una formazione della mente e del carattere consona ai tempi nuovi, ben sapendo ohe per rispondere a questo suo compito formativo la scienza dovrà rivestire sempre più esplicitamente la forma sostanziale della prop1ia storia. Nulla di rivoluzionario, del resto, in tale concetto: poiché il buon maestro si è già molte volte accorto che un concetto o una teoria non si apprendono a pieno altro che nella loro evoluzione. Si tratterà dunque soltanto di porre sempre più l'accento sullo sviluppo delle idee, ciò che del resto già si comincia a fare in vari paesi, e nel nostro. 3. L'equivoco del latino. Questo mutato concetto della cultura pone, nel campo dell'educazione secon8aria, un'esigenza sempre più sentita da molti educatori, .dalle famiglie, dai giovani: quella di svilup– pare un corso di studi in cui la funzione « formatrice » del latino sia assunta in pieno dalla matematica e dalle scienze, in cui l'insegnamento di quella lingua classica sia abolito del tutto, pur mantenendosi come fondamentale l'apporto degli insegnamenti st01ico-letterari: di quegli studi umanistici di cui · la scienza stessa è parte. Naturalmente accanto al nuovo corso di studi rimarrà sempre il glorioso liceo classico che prepa– rerà specialmente i giovani avviati allo studio del diritto o a quello delle letterature classiche. L'esistenza parallela-di due scuole - l'una orientata pre– valentemente verso le scienze, l'altra avente a fondamento gli studi classici, entrambe aperte verso il massimo numero possi– bile di facoltà universitarie - sembra la soluzione più sem– plice e più logica in un'epoca in cui la scienza non è più concepita come semplice astrazione e tecnicismo, ma quale aspetto e parte essenziale della cultura. Tuttavia molte persone che hanno solida cultura e che - appunto per questo - sono aperte al soffio della vita mo• derna, restano alquanto perplesse e dubbiose di fronte alla prospettiva di una completa abolizione dello studio del latino. È non alludiamo qui a qualche pedante che si dà aria d'im– portanza ripetendo il vecchio luogo comune secondo cui il latino è una ginnastica mentale·« insostituibile». A ciò sateb– be troppo facile rispondere che la mente dello scolaro può essere occupata in modo non meno serio e impegnativo dalla ricerca matematica quando questa è intesa in tutto il suo ri– gore logico, e dallo studio delle scienze esatte; i cui con– cetti - per essere compresi a pieno - richiedono talvolta una riflessione paziente i cui frutti si raccolgono solo dopo anni. E questo senza contare il reale vantaggio che deriva dal– !' applicare per tempo una mente ancor vergine a pensieri e teorie che forse la occuperanno per tutta la vita. In realtà l'equivoco del latino deriva dalla stessa origine del liceo classico che - sorto dalla legge Casati del 1859- - ha come sua prima fonte la scuola rinascimentale e umani• stica del Cinquecento, fondata appunto sullo studio del greco e del latino. Sono celebri - al punto che non occorre ram– mentarli - gli esempi della scuola pubblica di San Paolo fondata a Londra nel 1512 da Giovanni Colet, o il corso gin– nasiale di otto anni istituito a Strasburgo da G. Sturm, e dive– nuto scuola di Stato nel 1559. In Italia tale tipo di scuola si sviluppa sotto l'influenza della controriforma, specialmente per opera dei Gesuiti che diffondono un insegnamento gratuito. Il nostro ginnasio ha ancor oggi esattamente il numero di anni del corso scolastico dei Gesuiti: tre anni di grammatica, uno di retorica, l'ultimo di huma"nitas. Quanto al liceo attuale, esso prima del '59 era annesso all'Università come corso preparatorio e vi si insegnavano, an- che allora, la fisica e la matematica. Il ministro Casati lo saldò invece al ginnasio, e sorse cosi la scuola media attuale. Ora perchè mai lo studio del latino era considerato inso– stituibile in istiblti di si antica tradizione? La risposta è evi– dente per chiunque, e i motivi essenziali di tale insostituibi– lità si riassumono in quattro punti fondamentali: 1 °) Il latinò era allora la lingua in cui scrivevano i dotti di tutto il mondo. Nel Seicento, e non di rado nel secolo se– guente, anche le opere di scienza non erano scritte in italiano o in inglese e via dicendo, ma quasi esclusivamente in latino. Chi ignorava quella lingua non era soltanto nella condizione disgraziata in cui si troverebbe ogg;i uno ~cienziato ohe cono– soesse solo il pwprio idioma: era additittura un analfabeta. 2•) Le scienze esatte, eccezione fatta per la matematica, per parte della statica e per poche nozioni di ottica geome– trica, erano ignote agli antichi. La stessa matematica nel Sei– cento non si svolgeva in rapporto alle considerazioni critiche _ che oggi le conferiscono il suo carattere principale, e la mec– canica cominciava solo allora a svilupparsi seriamente. Ma ogni altro. ramo della fisica, ed in più la biologia, la chimica, la geologia, erano di là da venire. Le i;Cienzeesatte, insomma, o non esistevano o erano troppo «contemporanee>, e perciò non potevano contrapporsi al latino in un serio corso di istruzione. 3°) Sempre in quell'epoca, le uniche vere storie lettera– rie, abbraccianti un periodo di molti secoli e note all'occidente, erano le storie delle letterature greca e latina. Colà soltanto si trovavano modelli indiscutibili, degni di essere imitati. Le letterature moderne non avevano percorso ancora una para– bola sufficientemente ampia, non apparivano ancora del tutto formate, e là dove lo erano, i loro autori avevano il difetto - •raramente perdonato dalle scuofe - di essere dei semplici contemporanei, quali appunto i fondatori della grande prosa scientifica italiana; altre volte essi erano del tutto miscono– sciuti, come accadde allo stesso Dante. Era dunque naturale che si volessero prel?arare i gio– vani a comprendere le « uniche > letterature veramente gran– di allora note. Non veniva certo fatto di pensare - come in– vece appare naturale oggi - che una vita intera è forse appena sufficiente ad intendere i capolavori della nostra let– teratura e di una• sola fra le varie letterature straniere più importanti. E infatti qu~ti dei nostri giovani che hanno con– sumato i loro anni migliori nello studio della grammatica la– tina conoscono veramente la nostra letteratura e una sola letteratura straniera? E' facile rispondere: nessuno, all'infuori dei letterati di professione. Anche la cono80ellxa delle due letterature antiche resta supi;rficialissima. Si deve perciò con– cludere che - da tale punto di vista - lo studio del latino è paragonabile ad un faticoso lavoro rivolto alla preparazione di uno strumento che - in realtà - o non viene usato, o è usato in proporzioni irrisorie. Lo studio di una lingua stra– niera fornisce - dal punto di vista letterario - risultati equi– valenti, con in più i vantaggi pratici cui non occorre accen– nare, e il fatto di porre il giovane in rapporto con forme e problemi più consoni al tempo suo. L'esperimento dell'insegnamento del latino in tutte le scuole, non è del resto già stato compiuto dal passato « re– gime>? E a chi verrebbe in mente di negare che quell'espe– rimento è fallito del tutto? (c,mtinua) UMBERTO FORTI

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