Lo Stato Moderno - anno II - n.14 - 20 agosto 1945

lti4 LO STATO MODERNO tetti all'interno e sopravvivenza di imprese inefficienti per la mancata azione selezionatrice delle crisi. 3. - Possiamo adesso discutere brevemente queste tesi. In Jsostanza esse partono dal presuppost~ ampiamente illustrato dal~ e dalla sua. scuola, ch1:7ia causa delle depres– sioru economiche, responsabili della quota più rilevante di di– soccupazione, risiede essenzialmente in squilibri che ricorrono periodicamente fra il volume degli investhnenti e quello dei risparmi. Tale spiegazione, qualora si esamini la questione delle crisi non già da un punto di vista puramente astratto, bensì si proceda a deduzioni teoriche solo dopo aver accura– tamente vagliato l'ampia raccolta di dati disponibili al riguardo, . appare un poco semplicistica se assunta come solo elementi, motore del ciclo. In realtà ci si trova di fronte ad un con,• plesso e quasi indistricabile groviglio di cause ed effetti JJ spetto al quale la periodica disuguaglianza fra investimenti e risparmi non costituisce l'unica determinante del fenomeno in esame e, forse, nemmeno quella di maggiore rilievo quanti– tativo. Più corretto sarebbe forse intendere le crisi come la risultante di un fascio di cause (originate in parte dalla rigi– dità di molti elementi del sistema economico e dai conseguenti ritardi con cui stimoli e reazioni si diffondono nell'ambito del sistema stesso) che invece di elidersi si sommano, esasperate da movimenti concomitanti del credito. tlJ · Possiamo, dunque, dissentire sulle cause della depressione economica e quindi della disoccupazione: tuttavia, in linea generale, si può convenire che uno sviluppo più regolare degli impianti giovi, almeno in parte, alla stabilizzazione del reddito nazionale, contrastato dal sorgere delle crisi, L'investimento, in– fatti, comporta una serie di previsioni mentre per il dinamismo •della vita economica possono aversi, con molta probabilità, di– vari fra il reddito previsto e quello effettivamente realizzato. Si può perciò pensare che una politica di controllo degli in– vestimenti diretta dal centro, come tacitamente si assume, consenta una più facile compensazione dei rischi e stimoli, ri– ducendo l'incertezza, il volume degli investimenti stessi. Tut– tavia tale tesi non deve accettarsi senza riserve in linea di fatto poichè può darsi che al centro si commettano errori che in tal caso graverebbero sul sistema eco~omico, per l'impos- sibile loro compensazione, come perdita secca. ' Il complesso groviglio di cause da cui una crisi può nascere, richiede per il ciclo economico una terapia assai complessa: si insiste, ad esempio, affinchè lo stato differisca, sino al ma– nifestarsi della crisi, molte spese in impianti come rinnovamento di materiale ferroviario e di talune sco~te, costruzione di pub– blici edifici, ecc.: l'esperienza storica ha infatti dimostrato al riguardo che si può, in tal modo, rendere meno aspra la de– pressione ma non già provocare, ricorrendo solo a questo mez– zo, un rovesciamento della situazione. Si deve pure tener pre– sente, come giustamente il Beveridge ha fatto altrove notare, che la spesa statale, soprattutto per opere di pubblica utilità, è scarsamente elastica e di conseguenza il suo spostamento nel tempo dà luogo a difficoltà ed inconvenienti. Si può quindi concordare sull'opportunità di favorire lo sviluppo e la re– golarità degli investimenti privati, ma con l'aggiunta che ciò può essere dannoso anzichè utile se non si provvede, nello stesso tempo, qualora, nonostante tutto, la depressione si sia manifestata, ad agire in modo coordinato sui prezzi, sulle • scorte e sulla quantità e distribuzione del p~tere di acquisto. A questo proposito si può anzi osservare che i problemi di ca– rattere economico, più che sociale, cui dà luogo un certo grado di concentrazione del dividendo nazionale non sempre sono tenuti in debita considerazione. Ad esempio, quanto più il servizio del debito pubblico tende ad aumentare, sia in asso– luto che in relazione al reddito nazionale (ipotesi questa che le condizioni di' fatto impediscono di omettere nel caso inglese) • la distribuzione del reddito sia fra i redditieri di categoria (sa– lariati, imprenditori, ecc.), sia fra le varie classi di redditi ef– fettivamente percepiti assume un rilievo preminente poichè di– versa, a seconda dei casi, è la destinazione del reddito stesso a consumo ed a risparmio. Il prelievo fiscale, per essere razionale, deve per forza di cose basarsi sugli elementi sopraindicati, sia pure accanto ad altri, come punto di riferimento. Inoltre non si dà sufficiente peso al fatto che gli squilibri lamentati fra risparmio ed in– vestimento sono, di frequente, dovuti al fatto che il risparmio è abbondante in un mercato (rispetto agli investimenti) in quanto è impedita o contrastata la sua esportazione in mer– cati ove si manifesti invece il fenomeno opposto. E questa è omissione grave, specialmente per il mercato inglese e per al– tri mercati ad esso assimilabili. Quanto sopra si è detto rientra nel quadro generale delle restrizioni, frequentemente irrazionali, poste ai movimenti di capitali, di merci e di lavoro che ostacolano lo sviluppo delle regioni meno progredite e diminuiscono il potere d'acquisto della collettività, incidendo, in tal modo, sul livello di vita e sulle opportunità di occupazione di tutti i paesi. La lotta contro la disoccupazione, e non di un solo paese, osserviamo per inciso, può quindi condursi efficacemente con la valoriz– zazione di territori a basso reddito nazionale pro capite, ri– muovendo gli ostacoli artificialmente posti. Conveniamo tuttavia (e per questa ragione riteniamo assai utili gli schemi sinora varati: ad esempio le convenzioni sui prodotti agricoli di Hot Springs ed altre, dello stesso tipo, per alcune materie prime) che lo sviluppo economico di tali re– gioni meno favorite ed in genere l'espansione del commercio mondiale non si possono lasciare alla sola iniziativa privata. Ciò in quanto non si tratta soltanto di potenziare gli scambi ma anche e soprattutto di contenere attraverso il regolamento dell'offerta e delle scorte le fluttuazioni dei prezzi del!e princi– pali materie prime e dei prodotti agricoli di consumo fonda– mentale (e quindi il potere d'acquisto delle classi e paesi agri– coli), responsabili in gran parte delle crisi. 4. - La lettura dell'interessante opera di Colin Clark Con– dirnms of economie ,progress pubblicata a Londra nel 1940. consente di formulare altre obbiezioni. Il suddetto autore mo– stra infatti statisticamente come il mondo sia molto più po– vero di quanto comunemente si crede: 1'81 per cento della popolazione aveva in media, nel 1925-34, un reddito pro ca– pite al disotto dei 500 clo'.larj, il 9 per cent.:> (Europc) fr~ i i 500-1000 dollari e solo il 10 per cento fruiva di redditi al di sopra dei 1000 dollari (Stati Uniti, Canadà, Nuova Zelanda, Australia, Argentina, Gran Bretagna). Per la Cina l'autore ac– coglie, alla stessa epoca, una valutazione di dollari 120 pro capite e per l'India di dollari 200. Inoltre, sempre secondo il Colin Clark, l'aumento di reddito pro capUe conseguibile in ipotesi di piena occupazione di tutti i fattori produttivi, dispo– nibili a causa della grande crisi, e quindi non solo del lavoro, sono relativamente modesti essendo del 16 per cento per la Germania, del 13,1 per cento per la Gran Bretagna, dell'll per cento per gli Stati Uniti, l'Australia e l'Austria, del 7,5 per cento per la Svezia ed il Canadà, del 4,9 per cento per l'Italia e del 3,7 per cento per la Francia. La soluzione del problema della piena occupazione presenta il vantaggio più sociale che economico di eliminare la disoccupazione e con essa i danni morali e psicologici connessi, ma non aumenta in misura decisiva il reddito nazionale. La politica della piena occupazione deve essere perciò uno dei compiti economico– sociali e non il solo che spetta allo stato moderno. Importa cioè vedere non solo se tutte le risorse produttive sono impie– gate ma anche « come > lo sono. INNOCENZO GASPARINI ..

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