Lo Stato Moderno - anno II - n.14 - 20 agosto 1945

LO STATO MODERNO 165, LA NAZIONALIZZAZIONE DEI COMPLESSIMONOPOLISTICI Nella mozione recentemente approvata dall'Esecutivo na– zionale del Partito d'Azione è chiesto, ha l'altro, che la Co– stituente ,realizzi « la nazionalizzazione dei grandi complessi monopolistici». . Merita a questo proposito di essere messo in rilievo che negli iniziali punti programmatici del partito si accennava alla « nazionalizzazione dei grandi complessi industriali e fi– nanziari», .mentre la dizione odierna ha un carattere, rite– niamo non a caso, più <restrittivo. Deve essere stato probabil– mente avvertito che parecchie grandi industrie, che avevano trovato elefantiaco sviluppo sotto il cessato regime, come ri– flesso specialmente della politica autarchica, una volta sman– tellate le barriere doganali che creavano praticame11te all'in– terno larghe possibilità monopolistiche a loro favore, è bene che continuino a rimanere gestite privatamente, perchè sa– rebbe proprio poco intelligente da parte dello Stato interve– nire a nazionalizzarle nel momento in cui esse, non solo non sono più in grado di produrre sopraredditi monopolistici, ma potrebbero rappresentare un peso non trascurabile qualora non riuscissero ad adeguare agevolmente la loro struttura alla nuova situazione. Per citare un esempio, potrebbe convenire allo Stato nazio– nalizzare un complesso industriale come la Fiat? Non sappiamo quale possa essere la risposta del lettore; la nostra è negativa. La convenienza ci sarebbe stata quando quest'azienda ven– deva ad undici o dodicimila lire la «balilla», che ad essa costava appena tremila, ciò eh' era reso possibile dalle alte ta– riffe doganali imposte dal compiacente governo fascista, che renaevano praticamente impossìbile agl'Italiani l'acquisto di automobili straniere, ma non vediamo quale interesse possa esserci quando la Fiat sarà costretta ad alfrontare l' osta·colo della concorrenza internazionale, non sempre facile da supe– rare. E d'altra parte noi siamo convinti che questo problema potrà meglio essere affrontato e risolto da'll'iniziativa privata che non da imprese soggette al controllo dello Stato. Deve ritenersi, pertanto, giustificato il passo indietro fatto dall'Esecutivo del partito quando 'limita ai complessi mono– polistici la richiesta di nazionalizzazionè, intendendosi prati– camente per complessi monopolistici, in Italia, le imprese· for– nitrici di energia elettrica, gas, acqua o esercenti pubblici ser– vizi, come quello telefonico, di trasporti ecc. E' noto perchè a queste forniture e servizi di pubblica uti– lità venga generalmente provveduto da parte d'imprese a ca– rattere monopolistico. Due o più aziende telefoniche in una stessa città sarebbero un controsenso. Due aziende elettriche che si proponessero di servire in concorrenza gli .stessi utenti, finirebbero, a causa delle duplicate spese d'impianto alle quali sarebbero costrette, coll'andare incontro al fallimento. Quando esiste un monopolio, di fatto o di diritto, e I impresa che lo esercita è iwlle mani dei privati, essa finisce,· com'è noto, col far pagare agli utenti tariffe superiori a quelle che sarebbero possibili in regime di libera concorrenza. E' vero che le ta– riffe sono soggette alla approvazione da parte dei compe– tenti organi pubblici, i quali teoricamente dowebbero essere molto rigorosi negli accertamenti relativi, così da non permet– tere che i canoni richiesti vadano al dì là del costo di pro– duzione della fornitura o del servizio, tenuto conto delle quote di ammortamento degl'impianti e di un equo compenso al capitale, ma in pratica le imprese, alterando i <li\ti forniti al– ]'esame degli enti ai quali sono sottoposti, riescono a farsi ap- provare tariffe che vanno al di là di ogni onesta remunera– zione. Questo in tempi normali. In tempi eccezionali, qujÙi sono stati quelli di guerra, è avvenuto, almeno in Italia, che– lo Stato ha obbligato le imprese private esercenti servizi di pubblico interesse a mantenere, salvo lievi ritocchi, invariato– le tariffe prebelliche, nonostante che fosse sensibilmente au– mentato il loro aggravio di spese generali e di personale. Qualcuno ha osservato che se queste aziende sono riuscite, con tariffe quasi inalterate e nonostante il forte accrescimento, degli oneri, a distribuire tuttavia agli azionisti dei dividendi► sia pure in misura :è!SSai modesta, questa è la prova che le– tariffe d'anteguerra consentivano loro larghi sopraredditi di monopolio, il · che significa che il carattere monopolistico delle imprese ha costretto gli utenti a pagare con un ,sovra– prezzo il costo della fornitura o del servizio. Ne consegue che– la nazionalizzazione di queste imprese eviterebbe ai cittadini di pagare questo sovrappiù e quindi deve ritenersi social– mente utile. Le imprese si difendono rispondendo che la loro gestione– avviene in perdita e che se riescono ancora a corrispondere dei modesti dividendi al capitale si deve alle riserve prece– dentemente accantonate, ciò che può anche esser vero, ma che– sta comunque a dimostrare che prima della guerra le tariffe– erano tali da permetter loro di accumulare riserve in così larga misura, quali sono state necessarie per potere mante– nere per parecchi anni la corresponsione di un dividendo agli azionisti, nonostante l'aume~o delle spese di quattro o cin– que volte. La nazionali'Zzazitme delle •impFese monopolistiche deve► l}uindi, consideì>ar-siprovvedimento giusto, appunto ,pechè– wole evitare eh~ fòmiture e l!ervizi di grande utilità vmgano fatti pagare al pullblico con ùn -so.vraptezzo. Se ad effli, da. un punto di vista puramente economico, deve provvedere un'imi)resa monopolistica, è giusto -che -questa venga nazio– nalizzata e -non rappresenti il gim:Jco d'irtt-eressi privati. Rimane da esaminare con quale forma e attraverso quali 'sistemi i complessi monopolistici potranno essere nazionaliz– zati. Esiste, e non si può non tenerne conto, una certa diffidenza · da parte del pubblico a veder passare, in linea generale, una, impresa dall'iniziativa privata nelle mani dello Stato. Si ri– tiene, e non a torto, che le imprese private siano, più snelle, meno burocratiche, che in esse il personale sia più attento a servire il pubblico di quàrrto non lo siano gl'impiegati delle> Stato o degli altri enti minori. In Italia, senza forse che se ne avesse avuto il proponi– mento, è stata fatta una riuscita esperienza di nazionalizza– zione attraverso l'I. R. I. ·e non vedremmo quindi l'utilità di càmbiare sistema. E' noto che le tre grandi banche (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma) ed alcune grandi industrie furono a suo tempo sottratte al èon– trollo d'interessi privati e poste, attraverso !'I. R. I., sotto il controllo dello Stato. L'operazione avvenne così: L'I. R. I. acquistò i pacchetti di maggioranza di queste im– prese, lasciando nelle mani dei privati il rimanente delle azioni. Non v'era interesse a far passare in proprietà dello Stato la totalità del capitale, perchè lo scopo che s'intendeva. perseguire era quello di sottrarre il controllo di queste im- -prese dalle mani dei privati e per fare ciò era sufficiente as– sicurarsi il possesso del 50 per cento delle azioni più uiia. Quando ha luogo j' assemblea della Banca Commerciale lta-

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