Lo Stato Moderno - anno II - n.8 - 20 maggio 1945

., ,• 34 LO STATO,MODERNO 20 MAGGIO 1945 impreparati; e chi ha assistito o esaminato delle alunne di Istitu_!o Magistrale, ha riscontrato, a dispetto del latino, una condizione sempre più difettosa dell'ortografia italiana... Non dovrà il latino, come il greco, essere riservato unicamente alle scuole secondarie di indirizzo classico? Il paradosso del latino si vide soprattutto negli istituti tecnici inferiori; certo siamo tutti convinti del supremo valore formativo degli studi clas– sici: ma credo che non solo i professori, ma neanche i ragio– nieri e i geometri, non abbiano mai compreso come quel la– tinetto affrettato del corso inferiore potesse influire favorevol– mente su questi futurf professionisti, cui quell'inutile e non profittevole studio no~ dava nessuna idea adeguata della classicità, quell'idea che continuiamo a desiderare negli stessi .;audidati alla maturità classica! E poco meno inutile si è pa– ;csato il latino negli istituti magistrali, dove le ore ad esso dedicate, ed uno sfrondameuto di altre parti del programma (troppa filosofia, che, come spiegava il Croce anni fa, è in realtà cattiva filosofia, e quindi, in questo caso, un complesso di formule) dovranno invece assolutamente consentire una esperienza didattica nelle scuole elementari, sotto la guida di maestri provetti, affinchè il neomaestro non giunga del tutto disarmato al lavoro così de)icato dell'insegnamento. L'errore dei programmi Gentile, salvo quella espansione demagogica del latino, non era dunque nè nei programmi nè nei criteri: era nell'astrattezza dell'applicazione e nella radi– calità improvvisa della realizzazione, che, non tenendo conto di quanto c'è di conservatore nella scuola, doveva imporre fatalmente un virtuosismo d'eccezione, destinato a non durare; così come noi li leggiamo, nella loro stesura del '23, essi erano il più solido e meditato indice di bel manuale di storia della cultura che si ,potesse desiderare: ma richiedevano maestri di eccezione (e intanto imposero a pur bravi insegnanti i faticosi abbinamenti, dedotti, nella loro necessità, non dall'esperienza didattica, ma da conclusioni di una determinata filosofia), sco– lari d'eccezione, testi scolastici d'eccezione. Gli scolari erano allora quelli che erano e saranno sempre; i migliori, quelli che presero sul serio l'esame di maturità, non serbano certo un ricordo ingrato di queHa prova severa dei primi anni della riforma, delle notti estive passate sui libri, del paragone a cui furono chiamati allora la loro costanza e il loro nascente in– gegno critico: per i migliori, la riforma Gentile fu certamente un bene, perchè facilitò e anticipò loro, rispetto alìa genera– zione precedente, un certo metodo di lavoro persona:e che i fratelli maggiori avevano spesso dovuto scoprire da sè, o rag– ~i~ngere so!o più tardi, se non avessero avuto la fortuna di insegnanti particoiarmente vivi ed esigenti. Ma .i migliori, si sa, sono pochi in ogrii generazione; e si sa quello che avvenne: il pericolo e la necessità del virtuosismo insiti nei programmi stessi, quel loro premettere, per dirla in termini vichiani, la logica alla topica, generò proprio in molti casi quella mezza cultura sapute·lla e senza fondamenti seri che il Gentile vo– leva proprio evitare e combattere. Così, a sostituire i vecchi manuali eruditi e descrittivi, sorsero gl'infiniti manualetti con i formulari pieni di giudizi storici, letterari, filosofici, bell'e pronti, .accanto ai più degni ma più faticosi testi scolastici a cui si lasciavano tentare insegnanti universitari di un certo innegabile valore: questi manualetti sono, se si vuole, cose deplorevoli e risibili; ma è più deplorevole pensare che per dieci anni almeno, una buona metà dei candidati agli esami di maturità abbiano compiuto o almeno ultimato su di essi .la loro preparazione, e che ciò nonostante siano stati, quelli che così avevano « studiato », riconosciuti maturi. Un ritorno puro e semplice ai programmi Gentil.i è dun- ·que da escludere; un ritorno ai loro criteri pedagogici fonda– mentali è invece, a mio parere, da sostenere, applicandoli con mezzi più idonei di quelli dal Gentile proposti. Erano del resto quei criteri, l'espressione aggiornata dei più vecchi e - nobili ideali pedagogici: sostituire le cose ai nomi, i testi alle esposizioni di seconda mano, il giudizio all'erudizione, la cul– tura all'imparaticcio. Dico tuttavia che a questi criteri biso– gnerà tornare, perchè lo spirito della scuola, negli .ultimi tempi, se ne è, per varie ragioni, allontanato, e solo pochi in, segnanti, grazie alla loro serietà personale, per essi si sono strenuamente battuti, contro le direttive d'indulgenza, le in– timidazioni dei poteri extrascolastici, la poca fede di tanti presidi, e lo scoraggiamento di tanti colleghi. • o o o La riforma Gentile non era solo riforma dei programmi: era l'introduzione dell'esame di Stato, e del criterio di matu– rità. Quest'ultimo, è anch'esso eccellente: era la sostituzione di un criterio sintetico e qualitativo a quello meramente ana– litico e quantitativo dei voti; naturalmente però, il giudizio sintetico aveva il potere di integrare quei dati quantitativi, non di ,sopprimerli; poteva anche rendersi loro immanente, e anzi lo doveva, ma in loro continuava ad esprimersi. Fin qui, nu:la di male, perchè infine sempre, nella vita pratica, la qualità deve umiliarsi a schemi semplificatori e comunicabili. Ma il criterio di maturità, proprio nel punto in cui entrava dunque nella vita attraverso la sua inevitabile traduzione nu– merica, esprimendosi in voti, poneva le prime perplessità ad esaminatori scrupolosi. Perchè, posta l'eliminazione dei can– didati che presentassero più di due insufficienze, ecco i nostri commissari d'esame a tormentarsi, in buona coscienza, sul trattamento da operare nei casi di tre o magari quattro in• sufficienze, onde evitare ai giovani la perdita di un anno: in seguito la pietà e le raccomandazioni fecero il resto, e i gio– vani poterono presentarsi alla prova di maturità con c_uoree sapere sempre più leggero. Comunque i primi anni deHa ri• forma Gentile portarono una severità draconiana, che era pur necessaria se si voleva attuare la riforma: negli ultimi, si è giunti. ad ammettere alla prova autunnale di riparazione il candidato caduto a giugno in qualsiasi numero di materie, cosa ben più assurda, come ognuno vede, della primitiva se• verità gentiliana. Resta certo che quella severità era cento vo!te meglio che la odierna rilassatezza, ·e che, con certe cau– te:e, il criterio della maturità è da serbare. E le cautele sono da cercare in un aì:eggerimento de:Ja mole dei programmi, af– finchè i fini educativi che il Genti:e si proponeva ( e che, bisogna dirlo a suo onore, erano allora sostanzialmente apo– litici) divengano effettivamente raggiungibili. E che dire del– l'esame di stato? Per quanto ma,e se ne sia detto, l'esame di stato rimane uno dei mezzi. più seri per contro!lare e sanzio• nare al preparazione dei giovani ed ammetterli al grado su– periore di studi. Il problema del-l'esame di Stato, però, essendo non solo una questione didattica, ma eminentemente di poli– tica sco!astica, richiede un più lungo discorso, che rimando ad un prossimo numero. Qui basti ricordare, per concludere, che non furono certo nè i programmi nè l' esamè di maturità istituiti dal Gentile a « fascistizzare » cioè a sviare la scuo!a dai suoi compiti: chè del resto, con quei programmi, si· leg– geva nella scuola Rouss"eau e i Vangeli, Croce e Bergson, e il programma di storia si arrestava al 1919, evitando ogni bassa propaganda e coartazione di giudizio, e che in economia P?li~ tica l'insegnamento era teorico e non polemico. I torti del Gentile sono altri, e, dato il suo prestigio, anche più gravi; furono la sofistificazione dei concetti di stato e di libertà, che gènerarono tutta una scuola di intellettualoidi della politica e giustificarono nelle coscienze torbidè· e intellettualmente ·meno sveglie l'accettazione di ogni fatto compiuto. Io direi anzi che i programmi Gentile del '23 sono il coronamento onesto -di una lunga carriera di educatore, dopo il quale il Gentile trovò la sua decadenza di filosofo e di maestro, e infine la più tragica morte. . UMBERTO SEGRE

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