La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 38 - 25 ottobre 1925

i 1-: !-7,. te b 11nrn ~;~l.11 IL BARETTI Qulndlcinale di letteratura Editore PIERO GOBETTI SETTIMANALE EDITORE PIERO GOBETTI - TORINO VIA XX SETTEMBRE, 60 NOVITÀ DELLA SETTIMANA A. G. CAGNA ..tbbonam6'nto im111'(l L. IQ • Est.eroL. 10 Un mnl'!ero r,, 0,60 ABBONAMENTO: Per il 1925 L. 20 • Semoslro L. 10. Estero L. 30. Sostenitore L. 100 - Un numero L. 0,50 - C. C. POSTALE PROVINCIALI ROMA>IZO Anno IV N. 38 - 25 Ottobre 1925 ,'1 ~,di.v.,e frarv,,o di pr.lrlrJ a ,;Id mmwlc tiQIJliadi .{,,.12 aU'edWlrt- (Jr,;J~.,Ui - Tc,rl,u SOM.MARIO. M. Lamberti: Problemi di pace. - P. Mignosi: La mafia. A. Cavalli: Idee del dopo guerrn. A, c.. jumi: Uno sguardo in Fleet Street. - A. Schiavi: Unità Socialista? - 8. Barre,: Tre partiti.. Problemdi pace Usciti pur or.a cl.a una ben grave tempesta, in cui non solo dieci milioni d.i uomini hanno fatto mortale naufr.agio, in cui non solo scomparvero preziosi beni 1uate.riali, ma glj stessi valori morali parvero soppressi, non è fatuo sogno il pensiero di chi vuo'l lottarc per la pace e per una unità europea. Non è sciocca ed imbelle utopia quella che sta sulla cima dei programmi dei partiti deinocratici, anche se ad essi, presi dal groviglio della situazione attua·le, mane.ano le forze politiche capaci di imporre la voluta soluzione, e la loro si riduce forse a poco più che propaganda ed azione individuale di UOilllni come Loebe, Nitti, Hen-iot. Non è ideologia rabbiosamente sovversiva quella che sulla rossa bandiera di Mosca scrisse la parola di unione a tutti i proletari. I] pacifismo wilsoniano, l'j_nternazion.alis1no leninista - usciti dalla guerra - poggiano, 1'uno e I '.altro, su cause più profonde: s11lla ribellione operaia e sul1e necessità economiche dei nostri tempi. Quello stesso capitalismo che, nel suo. «. ascetismo dell'azione », perso di vista H cielo per le aspirazioni ten·ene, ci h,a travolti in questa sanguinosa .crisi decennale, pone le basi per una ripresa unitaria della vita. L'unità economica europea è un dato cli fatto ehe si affet·m.a anche contro, e attraverso, i suoi negatori teorici; mai come dopò questa guerra il vincitore ·ha avuto così bisogno del vinto e la grandezza di ciascuna nazione è stata in funzione della grandezza e del1a pro• sperità delle nazioni vicine: il leg.ame è stretJi~.ro..o e cém~to-·tli mille invisibili fili. La ideologia àella Lega delle Nazioni risponde ~ questi presupposti di unità. .. Ad essa si oppone - uscita dall 'irrefrenabile .aumento di potenza del capitalismo - la rivolta operaia; piena di volontà di riscossa e~di ribellione, si pone anch'essa, decisa.- mente, sul terreno internazionale. Così l'irrevocabill" dissidio, che pare avere in Ginevra e in Mosca i due antagonisti senza possibilità di comprensione reciproca, si rivela dissidio di ideologie uscite da una stessa radice economico-morale. • :Ma vi saranno conciliazione di ideologie; ma da questa travagliata unità economica - che si afferm.a contro barriere di ogni genere - da questa ribelle volontà che, in varie forme, serpeggia in tutti i paesi (e il cui internazionalismo è prodotto riflesso assurto a. dignità di sentimento elementare) può forse sorgere una più sentita e profonda unità, per cui la necessità della pace si ponga, non co1ne mito o utopia ideale, ma come problema con• creto: necessità e volontà di org.anizzate masse popolari. Le utopie trovano così una conferma pratica e quest.a una rielaboi:azione morale. Come tutti i problemi politici, questo è anche infatti, e so-prat11tto, problerna morale. Una volontà politica non si impone, non ha forze di attrazione sugli altri uomini e sulle folle, se prima non è stata elaborata nella coscienza dei singoli. ·,, Un poeta ha inteso questo: « Perché la g.I.f}vinezza, pure così ardente e generosa., v·1 tcdta oggi con tanto disprezz·o? Pacifista? Sente essa, nella sua sete inestinguibile di sacrificio, che il vostro no non è nessun sì per una fiamma? ... Indovinano essi nei pacifisti l'assenza di energia? ... " (FnITz VON UNRUH, dal discorso Unser Schicksal). Il pacifismo è stato infatti troppo spesso inteso come il più comodo degli ideali; ,d esso si opponeva il patriottismo, appellantesi al sentimento di patria, che come cc superamento e sacrificio di se stessi >) è fatto 1norale di tale importanza che tutta la storia ne è impregnata. Si tratta di portare questa volontà ideale di libertà, di eguaglianza, di fr.atellanza, che è, ancor.a oggi, la più grande richiesta dei tempi moderni, sul te1Teno concreto d~ll_a storia. I problemi morali, in quanto po~t.Ie1, sono anche problemi di forza. Di una rivolta morale, che è rigermogliata nell'animo deg:ì.i uomini dalla terribilità stessa della strage a cui hanno partecipato o .a cui hanno .assistito, o, prima, dal sentimento della propri.a servitù ad un padrone spietato senza volto e senza nome, bisogna appunto fare una forza politica, che hasandosi su una precisa realtà porti l'ntopiia fra gli uon1ini come necessita di vila. Solo così si potranno superare le divisioni e i d'issidi curopcj. Il mito dell'Intern.azion2le può rivelarsi attuatore di unità europea, come: è già suscitatore di nuove energie nei popo.li addormentati in una inerzia secolare. Ci vuole non 111enodi tutta La forza vergine che è nascosta nel n1ovi1nento prolet.aric, capace di un 'energica vclontà di. lotta per conquistare a sè f' agli altri altri la libertà, per abbattere le mille barriere che separano le nazioni e le dividono con un'asprezza che alle volte appare irritj1e,:J.iirbile; ponendo il pacifismo su un tei..-renò e su forze concrete, saprà insieme dare .agli uomini energia e capacità di devozione, senza delle quali il pacifismo è vcra1uente una fiacca utopia. In un 'Europa che è ancora in piena crisi di guerra, mentre tutto pare destinato a dividerla, 1a democrazia di tutti i p.aesi go.arda alla Lega delle Nazioni. Illusioni. Oggi, di fronte agli (< utopisti JJ, non mancano di avere ragione i (e pratici n (intediamoci: i veri pratici, non i realpolitiker dalla retorica guer• resca) che. nel1a .,Leg;a vedono semplicemente <( un ottimo arnese diplomatico >J atto a crear,' alla diplomazia di tutti gli Stati un'atmosfera conciliante e un punto d'incontro, ma non più. Se - oggi, infatti, problemi di ripar,azioni, di g.aranzie, di sicurezza - n~1l'impoveri1nento e nel dissanguamento generale e nel disarmo obb-ligato di una delle parti con• tendenti - possono a Ginevra avere soluzione ed accomodamento, i dissidi .e le rivalità tra Stati rimarranno. • . ~- Può _ yenire il-giorn<:5 in cui ritorll:C~Iroriz- :.mnte il seg110 di guerra: .allora, d'un colpo, veramente, non più solo nella retorica degli avventurieri, ma in tutte le coscienze, si porrà il problema dell'esistenza della propria nazione, e la democrazia si troverà di nuovo, nelle sue speranze di pace, con il solo pre- ,sidio di patti e di protocolli, dichiarati da illn.a rude voce soldatesca nuovi « pezzi di carta >>, o-, con più sottile diplofilatica ast!_Izia, f.atti tornare .a proprio profitto da chi è ormai deciso, o costretto, alla guerra. Si cercherà di con·ere ai ripari, rn.a sarà troppo tardi. Il nostro amore per la pace non ci deve far dimenticare che la guerra è stata sempre creatrice cli alti eroisnù e p.are quasi destinata dal fato ad essere la leva della storia, il tragico scempio su cui si leva la grandezza umana. Gli espedienti dei diplomatici - a cui ci saremo affidati - sono sempre, come le abilità di una immaginaria tecnica della pace, soltanto risoluzioni provvisorie, nè - onestamente ~ chiedono essere di più; e sarà troppo tardi per eomb.at• tere una eredità che pare quasi ormai essere parte del nostro essere. - Se vogliamo f.are della attuale politica esle· ra la futura « politica interna )J d'Europa, la via deve essere un'altra. Sin quando rimarremo fermi alla organizzazione attuale degli Stati, la melanconica saggezza dei diplomatici avrà mille ragioni su di noi « utopisti >). E saremo, se non .altro, veramente traditori di noi stessi se a noi non rimarrà che ritirarci « al disopra della mischia " in un qualche angolo svizzero. Intanto le religioni, ritornate nazionali, invocando nel cielo la pace di Cristo, benediranno sulla terra le bandiere dei comb.attenti, che ritorneranno a morire « per Dio e per La Patria "· E il destino umano forse è questo: immutabile. Ma se noi, pur non rifiutando la prova diplomatica, sapremo non lasciarci imprigionare dal passato, allora 1'avvenire potrà essere nostro. Il problema appunto è di riinnovare, nell'interno dei singoli Stati, le ideologie e di preparare forze politiche, che non si limitino a ehoedere e .ad attendere che le vecchie impalcature statali sì uniscano, ma siano già esse una forza unitaria. Le forze proletarie sono per loro natura tali. Un'unità europea non si avrà che attraverso un totale rinnovamento dell'interno che dilaghi dalle frontiere dei singoli Stati. MAmo LAMBERTJ. i num~ri 35 e 87 sono stati sequestrati. Chi rinnoverà l'abbonamento prima del 1° di~ cembre 1925 riceverà in dono il volumetto di P. Gobetti: MATTEOTTI, del quale abbiam fatto per l'occasione una nuova tiratura (7° migliaio). a \.., LA MAFIA Ci so-no problemi. che non si rìso]vono m.a1 quando sono collocali in un clima empirico ed epjfenomenico: la descrizione e l'esemplificazione ne annebbiano la sagoma essen7,j,a]e, rendono assai mobile e spostabile ;] pw1to di vista e risolvono la indagine in un virtuosismo aneddotico tanto più repellente 1.~ piano della storia, quanto più 1a storia ?I ;-code esigenza centrale della indagine. Uno di questi problemi tipici è il problema r1ella mafia i'1 Sicilia: tanto che si intenda co;ne un capit lo della storia degli istituti gwdiziari, quanto che si immerga in un clima epico-lirico. La màfia, mi pare che sia necessario affer• marlo liminarmente, non è nè può essere considerata come un aggregato spontaneo o riiiesso dell 'i.stinto a delinquere, istinto universale che in "Sicilia assume questa sua particolare forma ed organizzazione, nè come una forma animi in cui si condensino ed equilibrino gli istinti più generosi e più liÌ:eri della razza. Fuori dalla tragedia e dal! 'idillio ci si può intendere soPr~ un comune terreno storico, evitando con pari cautela l'antropologia e la poesia. Tutti gli scrittori (e non sono veramente molti) che hanno preso in esame il problema ,'ella mafia sono stati guidati da uno dei due pregiudizi enunciati e ne son venute fuori <lue mafie chiuse nei loro lim.i!!_i incomunica- :~H:i-e~·ccn:itracidittorie: una mà:6.a da romanzo, con le sue tradizioni esoteriche, coi suoi Jnisteri, coi suoi dogmi, coi suoi istinti giu- .ridici e giudiziari, col suo sistema di governo, una m.a:6.a che è il fiore concettuale e pratico dell 'ìstinto isolano refrattario ad ogni sottomissione politica, tutto acceso da un ideale etico di giustizia e di: difesa dal sopruso e dalla soverchieria, la mafia resterebbe nel cuore della razza siciliana come un principio superiore etico-giuridico necessariamente immanente, cioè intraducibile nelle forme morte dell'ordinaria e comune amministrazione. Errore gravissimo questo, che sposta mivulo per miunto il criterio della valutazione ~ rende impossibile la intelligenza di quei motivi di ordine empirico che negano inva• riabilmente una così semplice e così seducente costruzione. Costruito il tipo dei ma• fioso, come faremo a giustificare le sue irruzioni non eccezionali nei campi più bassi della vita animale: cupidigia, sanguinarietà, sùverchieria, viltà, ecc.? Il mafioso da romanzo, purtroppo, non coincide con questa bassa pratica dell'uomo ex lege. E i teoreti della mafia-lirica. sono costretti ad un sistema così frequente e così iusìstente di distinzioni e di discriminazioni fino a rilanci.are il mafioso-tipo nel mito dal quale è sorto. C'è, è vero, in Sicilia uno Stato d'animo astrattamente mafioso, cioè letterariamente m.afioso, ma questo stato d'animo, risolto nell'esercizio personale del coraggio, del disinteresse, della violenza, si è sciolto in un opposto ridicolo: in Sicilia non tutti: po55ono essere mafiosi solo che sentano questo impeto emozionale, ma sono mafiosi quelli che giu• ridicaniente ( questa parola è insostituibile!) 10 sono. Il mafioso per sterile vocazione personale è destinato a cadere nella macchietta di Pasquale Ardichella, personaggio di un popolare dramma isolano (Li mafiusi di la vicaria), e cioè necessariamente attratto alla più ridicola illusione dell'esser mafioso, ed r.lla negazione. di ogni eroismo in spacco- 'neria da burla. È l'ennesima incarnazione _del miles gloriosus. Perchè è necessario dire che non esiste nè può esistere un.a mafia mdividuale; la mafia traduce un istinto sociale, è essa stessa or .. ganismo sociale. E la sna forza risiede tutta qua: chè non c'è il mafioso, come individuo, ma il mafioso, come dice il gergo, amico degli aniici. Lo stesso brigantaggio - fenomeno che parecchi scrittori, non esclusi il FnANCHETTIed il SONNINO, La Sicilia (Vallecchi ed., 1925, vol. I), hanno assai semplicemente legato al fenomeno della mafia - non è che fino, ad nn certo punto l'esercizio di un eroismo individuale. Il mafioso ha una assai limitata personalità umana: la sua virtù è la caricatura di una virtù stoica: non sentirai mai di~ sgiunto dall'organismo in cui si determina e vive, non presumere mai che la sua vita aia eecluaiv.a.mente su.a. I casi di mafiosi che, raggiunta una indipendenza economica con mezzi schiettamente sociali, vogliano acquistarsi una indipendenza assoluta da1rorganismo in cui sono vissuti, non sono abbondanti, perehè le ..anzioni che ne derivano sono assai persuasive. Un esempio recente: il cav. X, ex-sindaco di un paeBe della Sicilia, pensò di ritirarsi a vita privata; si guadagnò ·parecchie tremende schioppettate ,a lupara; fu creduto e fu lasciato per morto; trasportato in condizioni assai gravi in una clinica privata, fu ancora oggetto di attentati a base di bombe; miracolosamente strappato alla morte, fa ora passi per rientrare nella società degli uomini d.' onore. L'uomo d'onore è, in questo senso, un po' l'animale politico di aristotelica memoria. Or la mafia, come organismo tipicamente sociale, ha fatto nascere l'illusione e l'eqn.i• voco opposto a quello esaminato: ha creato l'altro mito della mafia e-0me associazione a delinquere. Equivoco forse più pernicioso, perché ha messo lo Stato nella comoda convinzione che il problema della mafia in Sicilia non sia ehe U11a delle tante appendici del problema della pubblica sieureua. Il probema della mafia e I~ sua risoluzione sono stati affidati alla intelligenza, alla perizia, alla solerzia del funzionario o del commissario straordinario più o meno tecnico che crederanno con - assai buona fede che le previggenze statali (risoluzione del problema del latifondo, del prol:>lema dell'acqua, del problema della viabilità, del problema della disoccupazione, dello accattonaggio, ecc.) basteranno a risolvere automaticamente gli ingorghi pericolosi della mafia rurale e cittadina. Quante illusioni si annidino in una concezione di questo genere si è poi visto nell'atto dell'esecuzione: la buona volontà di questo o di quel prefetto, di questo o di quel questore vengono ad infrangersi dinanzi al Jllln.aecioso tabù politico. Si vive, allora, alla giornata: il prefetto Mori, in provincia di Trapani, ha mano libera contro la mafia, perché la mafia di Alcamo, Castelvetrano, Marsala e quella dell'Agro Ericino fanno capo a1 nasismo o ad altre clientele politiche in disgrazia dell'attuale regime. Ma contro chi si esercitò l'attività dei Mori? con gli elementi epifenomeniei della mafia, con gli elementi avventizi e strumentali. Il centro eél. il motore è imperseguibile. Si rallenta l'attività dei rapinatori o degli abigeatari: ma la mafia non perde e non ha perduto gran che della sna potenza. Sonnecchia, per ora. Aspetta tempi miglio-ri. In provincia di Palermo, invece, la mafia fiancheggia il regime: è un reciproco rapporto di quiescenza. Gli amici sonnecchiano per timore di peggio. La verità è che la mafia non è nè fascista nè antifascista per la semplice ragione che essa è apolitica. Forse nell'apoliticità della mafia è da ricercarsi il significato della mafia: ed in que- &to significato c'è il rimedio concreto alla sua scomparsa. La mafia non è nè tma forma a"ninii, nè un'associazione a delinquere: essa è l'innuclearsi e l'organizzazrsì spontaneo di quello strato refrattario della popolazione siciliana, 1·efrattario ad intendere le profonde ragioni dell'unità e della centr.alità dello Stato. La mafia vive fuori dello Stato perché non lo intende e non lo intende perché lo sente da 8-è lontano ed estraneo. C'è una nozione oscura ed approssimativa dello- Stato come confluenza di valori etici e giuridici che non riesce ad adeguarsi con lo Stato in .atto: il borghese o il contadino siciliano non intendono nè possono intendere lo Stato se non nell'appariscente e mutevole prassi di governo. Il governo è nella sua mobilità continua sovranamente irrazionale: il contadino ha l'esperienza atavica della mobilità del governo e dei suoi difetti, sente che

154 il governo è la volontà di una persona e sente pertanto che la persona che vuole non è la legge. Ha perduto la fede nella legge perchè non tien fede alle persone, non intende lo Stato perchè sente il governo. Di contro al doloroso scorrere delle dominazioni governative in Sicilia (romani, barbari, greci, arabi, normanni, tedeschi, francesi, spagnuoli, austriaci, borboni, italiani) si è spontaneamente costituito un nucleo organizzativo di Statomorale. Non ha assnuto mai forme chiare •? definitive, ma ha mantenuto sempre una efficienza reale ed un reale dominio. La mafia è l'istinto dello Stato; ed è na• turalmente una, necessariamente, oscura pratica di governo. • Il governo, questo o quel governo, rappresentano la legge fuori di noi. La mafia è la legge dentro di noi. Tra l'essere e il non essere non c'è equazione ma attività dialettica: il mafioso si sente, in buona fede, il custode della legge, l'interprete di un organismo giuridico, il mallevadore di una giustizia reale. QueHo che pare a noi delittuoso ed arbitrario ha invece nella mafia una rigorosa logica ed un rigoroso sviluppo conseguenziale; la mafia è gerarchia, è ordine interno di Stato; questa gerarchia vigila sui limiti di un diritto di natura ed è massimo organismo etico e legislativo ( esempi spiccati della legislazione mafiosa: a clii ti leva il pane levaci la vita; meglio una volta cc aggiamare » ( diventar pallido) che cento volte cc arro'5icare » (arrossire); difendi il tuo a torto e a diritto, ecc.). • Lo scippo, la rapina, l'abigeato, la lettera di scrocco sono atti delittuosi quando non ubbidiscano ad una necessità amministrativa; la mafia impone le sue Uisse e i suoi controlli, e li difende coattivamente coi suoi colpi di mano. Ha, si può dire, un assai rapido sistema procedurale; ma non per questo crede di esser fuori della giustizia. Al Tizio è stato sottratto ingiustamente alcunchè, al Caio è stato fatto irragionevolmente un torto: chi ricorre, in questi casi, LA mVOLUZIONE LIBERALE al1'uomo d'onore è m.atematicamcnte siGUro d'esser reintegrato nel suo pieno dirjlto e chi ba commesso il torlo la paga! I tribunali della mafia si sentono in questo senso depositari di un concetto eroico del1a giustizia fondato sul principio naturale dc'I t.aglione: il biblico clii uccide muoia, trova l,1 sua più rigorosa applicazione in confronto alle elusive cd evasive ferraggini procedurali e giucliziarie del governo esterno. Il governo esterno, Lu cuvernu, è per il maf.oso siciliano il massimo termine di arbitrio; ecco perchè l'uomo d'onore che è così scrupoloso nell'adempimento di quelli che crede i suoi doveri, non pigl.ia mai sul serio le funzioni dell'amministrazione e del controllo statale, ma a1na eluderle, neutralizzarle, renderle, per quanto è possibile, inefficaci. Il contatto con lo Stato si impone dunque: ma si impone ab extra. Il mafioso conqujsta i Consigli comunali, quelli provinciali, le rappresentanze parlamentari non perchè crede nel1o Stato che egli sente irrazionalmente greve sulle sue spalle, ma perché J,a bisogno di neutralizzare la sua potenza, ha bisogno di sentirsi più libero che sia possibile nell'esplicazione del suo mandato reale. In questo senso il mafioso è apolitico: perchè non intende nè i partiti, nè la dinamica politica delle ideologie. E non l'intende perchè egli si sente sommamente politico. Questa mafia originariamente politica non si distrugge nè con le crociate, nè con le alleanze. Si distrugge in un ,enso positivo: attraverso una illuminata e chiaroveggente educazione politica. Nei paesi come il nostro, per far penetrare la nozione dello Stato è necessario che passino molti e molti anni; è necessario che !'unità d'Italia diventi una esperienza in atto. Bisogna risolvere la quistione del Mezzogiorno. Bisogna creare, nel mafioso, la 1·azionalità, cioè la necessità dello Stato." PIETRO MIGNOSI. Sketch ed altri &imili. Tuttavia, se e legittimo disprezzare la stampa gialla, è equo tributare un elogio ai tecnici che quotidianamente le dànno vita. Bisogna essere un giornalista professionista per caplre le immense difficoltà che redattori e tipografi sono c·hiamati a risolvere di continuo. Chi è del mestiere sa che nulla è più ingrato che la preparazione del le notizie, la loro ,, cucina ». Accomodare in salsa p;ccante delle sciocchezze, o, peggio, ilelia roba trita e misera, disperatamente comune, richiede un'ingegnosità straordinaria, e a lungo and.are il lavoro consuma, stanca, stronca. Nella stampa gialla non v'è notizia che non venga 11i.presa,rifatta, amplificata, riscritta, rielaborala. La verità finisce male, d'accordo, ma di chi lo colpa se non del pubbJjco? Ora, il giornalismo inglese serve magnificamente i suoi romanzeschi lettori, come sa soddisfare i più seri e pratici. In America, la seconda categoria non esiste, a quanto pare, e i risultati sono orrend,i. Alla sovraeccitazione di chi pro<luce, fa riscontro quella di chi consuma: nevmstenia giornalis,ttica possibile solo tra <lei grandi ignoranti o <lei cacciatorj di emozioni. Spirito borghese. I giornali seri si d,istinguono per il loro carattere coscienziosamente positivo, casalingo. Sono l'organo di cittadini, di gente che è guidata, diiretta da abitudini secolari. Il Daily Express, appena modificato, potrebbe uscire in qualunque parte del mondo: esso fa appello ai sentimenti elementari dell'individuo. Il Times, il Daily Tele,grapli non sono poss·ibili che qui: rappresentano realmente il len1peramento britannico, e hanno un'importanza indiscutibile. UNO SGUARDO IN FLEET STREET Il giornale italiano fa troppa parte alla politica e troppa alla letteratura. In ùn certo senso, ciò è doveroso in un paese che manca d,j, riviste, di rassegne settimanali in modo inconcepibile, e che obbliga i suoi scrittori ad attaccarsi a un quotidiano per non morire di fame, o fare gli impiegati dello Stato. Resta alla maggioranza dei lettori il rifugio delle cronache giudiziarie, che è anche 'l paradiso del pubbl,co francese. Il giornale inglese dedica largo spazio alla politica, ma non ne fa il tema esclusivo delle sue colonne principali: su tre dei suoi editoriali, uno almeno tratta di argomenti <li interesse generale. Riduce l'arte, il teatro e la letteratura in proporzioni severe, e bada sopratutto ad informare più che a giudicare. La personalità del critico (e. quella di qualunque altro, scrittore o redattòre) non compare mai: il giornalista IÌ'llglese, di regola, non firma, o tutt'al più mette le iniziali del suo nome. L'autorità del giornale se ne avvantaggia, il suo tenore letterario ne scapita. Londra, ottobre. Il giornalismo inglese è ammassalo nel quartiere che si estende da Aldwych a Ludgate Circus, tagliato alla base dal Tamigi, chiuso alle spalle dalle rombanti arterie di Holborn. Straducole, cortili angusti e bui, muraglie sudicie e vertiginose; poi, qualche largo spiazzo per i carri che recano la carta, e portano via le copie della rçsa. Un incredibile affastellamento di uffici, la lebbra delle .targhette che incrosta ogni porta, festoni ,ìi lettere dorate, e azzurre insegne ai balconi. Gli anditi, ricoperti per lo più da piastrelle biancastre, come in Italia gli ingressi alle case di tolleranza. Di tanto in tanto, una taverna dall'insegna gotica, o un caffeuccio. Schiacciato fra Chancery Lane, il Tempie e la salita che conduce alla City e a San Paolo, percorso dal traffico metropo1itano, Fleel street lancia una sua propaggine all'estremo lembo dello Strand, e nel quartiere del Drury Lane, di Covent Garden,, ma il suo vero cuoi:e npn è là. Nessuno si sogna di. andare a cercare il ritratto del dottor J ohnson nei pressi di Bow streel. L'aggettivo che qualifica con maggior precisione il giornalismo inglese è impressionante. In quello italiano trovale talvolta la genialità, nel francese, sempre, l'ingegno, nell'inglese, la forza. Lo sforzo tecnico che produce un grande giornale inglese non ha eguali: un numero del Times è, tipograficamente parlando, un prodigio. Per questo, di qua dalla Mamca, si sorride davanti alle otto pagine del giornale italiano, alle sei del francese. Illustrazioni, cifre, prospetti, annunci, dimostrano una ricchezza di mezzi straordinru:wa, la cura di approfittare di tutti i nuovi ritrnvati tipografici. Ci si domanda perchè nessuno dei nostri amministratori di giornali . si preoccupi di studiare ed applicare i sistemi inglesi, e rimanga attaccato ai metodi dell'età della pietra. La risposta è semplice: mancano 'i denari per l'esperienza, e non si vogliono utilizzare gli uomini capaci di tentarla. La tabe politica paralizza tutti: cc Lei vuol rinnovare tecnicamente un gioTnale? Mi faccia vedere la tessera ». Se però si passa a considerare il valore intellettuale del giornalismo quotidiano cominciano i guai: a sentire certi critici d'avanguardia, Fleet street impersonerebbe a meravialia l'onesta mediocre e antiquata mentalità borghese; 'non sarebbe uno stimolante di energie. Filisteismo, insomma. Essi non hanno torto, ma non comprendono lo spirito tradizionale di Fleet street. Fatti e idee. È nozione corrente che la prl!ma, in ordine d'importanza, qualità di un giornale consiste nel dare ai suoi lettori il maggior numero possibile di notizie, accertate e controllate con scrupolo. Questa regola conduce a uno sdoppiamento: stampa d'opinione e stampa gialla. La stampa d'opinione (che non è quella di partito, insignificante, come vedremo~ offre, oltre alle notizie, la loro interpretazione, in uno o più editoriali, ma, pur concedendosi qualche naturale tendenziosità nelle informazioni, si ricusa di contorcere, sfigurare, snaturare, e talora inventare le noilitie, L'altra, vive di questi sforzi caleidoscopici, sotto cui si nascond6no intè; ressi materiali e volgari. Prendiamo, per es., due giornali egualmente reazionari in politica, la Morning Post e il Daily Mail; troverete, nella prima, un'eccellente rete di servizi esteri; nel secondo essi vengono sostituiti da avventurosi dispacci di cc inviati speciali », metodo che il Daily Express ha portato a una specie di sfacciata perfezione. La dottrinaria Morning Post dà al suo pubblico ristretto e fedele dei fatti visti alla luce delle sue idee. I giornali di Lord Beaverbrook e di Lord Rothermere porgono ai loro milioni di lettori delle cc visioni », delle « fantasie » attorno a un avvenimento attentamente scelto ... I verbosi editoriali della Morning Post sono ridicolmente gravi e compassati, ma efficaci; i brevissi.DJJ, violentissimi editoriali della stampa gialla non hanno lettori perchè il vero cc editoriale » è la noùzia gonfiata in prima pagina. La prova del fuoco per questi giornali fantasiosi, osserva G. Binney Dibblee in un ~rezioso volumetto, The newspaper, sono le elezioni, in cui la loro• influenza è minima. Tutti sanno a chi essi appartengono, e donde derivano certe avventate tesi ostinatamente sostenute. Mentre in Francia l'anonimo e la moderazione (per non dire I 'indifferenza e la timidezza) politica regolano la condotta del ]oumal e del Petit Parisien, :in Inghilterra si può constatare il caso di Lord Beaverbrook eh~ va a teatro, si trova in disaccordo col proprio critico drammatico, e fa stampare in prima pagina del Daily Express (edizione domenicale col titolo Sunday Express), :n corpo dieci, una sua lettera che vanta la commedia, mentre la cr>tica è relegata nell'interno del giornale, in corpo sette. La stampa gialla, oltre agli affari di chi la possiede, non ha altro dio che il successo. Corre quindi dietro ad ogni scandalo, Ì'llgigantisce qualsiasi fatterello, e ha sempre in riserva qualche storia di spettri o di fantasmi, di suicidi misteriosi, e così via, per riempire le colonne con delle informazioni sensazionali anche nei giorni di magra. Sarebbe ingenuo attribuirle vitlore politico o intellettuale: essa non ha la menoma autorità in nessun campo. Siccome costa un solo penny (mentre Times, Morning Post, Mmichester Guardian ne costano due, e i liberali Daily News, Daily Chronicle, Westminster Gazette, fatti sullo stesso tipo, non possono tecnicamente competere con essa) il pubblico, stuzzicato dalJa presentazione della materia, la acquista. Le donne, si può dire, la prediligono, e anzi vanno assai più in là: in 'bus, per la strada, in tube, è difficile che vediate una dO'llna con un giornale non illustrato; di qui la fortuna del Daily Mirror, del Daily Molto sovente, nel continente, il direttore di un giornale lavora per soddisfare i suoi gusti e le sue passioni personali; qui, il pubblico è sovrnno. Il motto della stampa inglese è alL1·uistico: (< serv•ire ». Lo spazio immenso e l'impOl'tanza accordati alle lettere del pubbljco (i11 Itali.a il tentativo del Corriere della Sera non ebbe fortuna, e fu oggetto di q1rnlche volgare mistificazione) impressi.~nano il giornalista straniero, abituato a rispettare •~ a stimare assai poco i suoi lettori. Chi prenda in esame questa corrispondenza, ne deve osservare, oltre il naturale ridicolo, la profonda serietà e sopratutto un carattere: quello di cosa vissuta. Il lettore rende note le sue esperienze, a scopo <lll' documentazione, di C().. noscenza quasi scientifiche. Espone dei fatti, degli argomenti, più che delle idee. Polemizza, incredibile a dirs,, con rispetto e discrezione. Le diatribe non sono ammesse. Uomini politici di tulle le fedi si, valgono con piena libertà della rubrica non come una tribuna, ma come una cattedr.a. Gli idealisti vi confidano che i loro progetti non trovano ospitalità nel, Times. Perchè dovrebbero esservi accolti? Il giornale è uno specchio: non inventa, registra. Riflette i pensieri, le preoccupazioni di una nazione borghese, tratta gli interessi che concernono cc tlie man in the street »: gli artisti si rivolgono altrove, poichè in uno Stato bene ordinato non c'è posto per i sognatori. Padrone chi vuole di trovare questo ideale meschino, e la stampa che lo raffigura fili. stea e gretta. Io Io trovo eccellente. Il giornalismo inglese ne vive. Senza dubbio si può concepire q1rnlcosa di più alto: la missione storica spettante a un dato gruppo, di uomini. Permettetemi di inchinarmi, e di passar oltre. Il Manchester Guardian è qui i!l rappresentante di questa concezione del giornalismo, poichè il laburista Daily Herald è un giornale tecnicamente m~l fatto, e senza reale importauza ideologica. Orbene, i1 socialdemocratico Manchester Gllardian perde, dal lato delle notizie, quel che guadagna dal canto delle dourine. È il giornale più liberamente e seriamente intellettuale dell'Inghilterra, l'unico la cui critica letteraria abbia un reale pregio ( quella del Times e del Litemry Supplement che esso pubblica è di un'aurea mediocrità) e i cui editoriali mostrino intelligenti direttive liberali. Ma non è tecnicamente equilibrato, manca di se1·vizi, non può concedersi il lusso delle grai:idi inchieste internazionali. Gli organi liberali minori, sopra nominati, non possedono poi ne p;)i editoriali del Manclie.,ter Guardùm, nè i ~rvizi dei conservatori, e sono per di più influenzati, quanto alla disposizfone della materia, dalla jmpaginazione visiva della stampa gialla. Osservazione generale: gli articoli di rjempitivo, d «va~età», sono in Inghilterra estremamente deboli: c'è il taglio, i I motivo d'interesse giornalistico, ma la scrittura è trivialissima, e si cercherebbe invano la disinvoltura, la grazia, la vivacità francesi. A chi cerca il tipo caratteri.stico del giornale inglese è bene indicare, come saggeu..a politica e serietà di informazione, il Daily Telegraph, ,,chiettamente borghese. La Morning Post, aggiunge alla tinta forcajola la vernice mondana, il Times, meno austero del Daily Telegraph tiene il giusto mezw, e la 6ua tiratura e il suo cosmopo]hismo se ne avvantaggiano. L'influenza. L'ora del giornalismo eroico è paseato. Invece di leggere The light that failed, il curioso si pr0<,'llrÌ UD romanzo di Sir Philip Gibbs, Th.e street of adventures. Vi troverà una pittura minuziosa della vita e de!J'ambiente di Fleet street, e alcuni schizzi <li tipi di giornalisti inglesi, fatti da un loro collega, con simpatia: l'autenticità del documento e la serietà dello studio sono garantite. Comunque, per rendersi conto del vento che spira, non ha che da aprire i giornali, tutte fo mattine. Addio campagne e corrispondenze di guerra (la natura cinematografica di quelle inviate ali a stampa gialla non ha bisogno di venir messa in rilievo), addio grandi inchieste (quella del Daily Express sulla religjone, fatta con dieci scrittori scelti in modo idiota - Oppenheimer accanto a Bennet; nè Wells, nè Galsworthy ... - ha suscitato enorme interesse, ma è stata condotta senza discernimento). La diplomazia impera. I problemi economici e politici regnano: il lettore si curva sui geroglifici dei patti internazionali, s'inabissa nelle questioni industriali. Non ha -tempo nè voglia di guardar in alto: la realtà viva, crudele, del dopoguerra lo tiene col capo cruno sulla crisi della sua nazione, e su ciò che può alleviarla. Anche la politica è ormai in funzione dell'industria: i! comunismo preoccupa perchè nasce dalla. disoccupazione. A questo tipo di lettore gli idealisti vorrebbero infliggere dissertazioni sul modo di preparare i tempi nuovi: intenderebbero propinare le iàee. Il giornale doyrebbe diventare un araldo, un apostolo. La stampa inglese si rifiuta di trasformarsi in San Paolo. E ha ragione. Avvezza a commentare editorialmente gli avvenimenti a due giorni !li distanza, essa accompagna pas,o passo il suo pubblico, segue i suoi bisogni, le sue necessità. Gli spiega quanto accade, si richiama ai principii tradizionali della sua storia. È empirica, positiva, prudente, mediocre. Libera, solida, forte, non ha l'ambizione di essere il cc quarto potere » : sa che l'opinione non si crea, preesiste. In questo senso essa non ha influenza. Pesa col tremendo peso di uno specchio fedele della mentalità generale, ma lascia la preparazione dell'avvenire e lo spregiudicato giudizio del presente alla moltitudine dei settimanali e delle rassegne. Anche se di circolazione limitata, questi indicano effettivamente le correnti vive e profonde dell"opinione illuminata. Diecimila lettori pensanti valgono meglio e possono di più di un milione di lettori i.uerti e distratti. Chi YUole orientarsi sull'Inghilterra di domani, legga e segua il New Statesman, il G. K. 's weekly, lo Spectator e gli altri fogli del sabato. Perderebbe il suo tempo sulle collezioni della Moming Post, e dal Daily Mail ricaverebbe soltanto qualche luce sugli affari del suo proprietario. Il fenomeno è siugolare, ma spiegabilissimo in un paese a fondo conservatore come l'Inghilterra, che non ha nessuna simpatia per l'articolista brillante, e dove la nolerella quotidiana di un Lucien· Romier non desterebbe alcun'eco, perchè verrebbe presa come I.a manifestazione di idee personali. Per unn strano paradosso, questo popolo di feroci individualisti, ba <le] giornalismo una concezione clericale, impersonale. Fleet street, pieno di taverne e di febbre, si muta così, nella sua immagine più vera, in un immenso convento laico, e il sacrificio dei suoi monaci, misteriosi e senza nome, assume ai no-• stri occhi 1ma commovente grandezza. ARRIGO CAJUMI. G. B. PARAVIA & C. Editori - Librai - Tipografi TORINO· MILANO - FIRENZE - ROMA-NAPOLI -PALERMO GINO LORIA Pagine di storia della scienza Un :volume L. 9. È la prima opera italiana che permetta alle per• sone di media coltura di formarsi un concetto gene• rale della evol~ione attraverso i secoli del multiforme pensiero scientifico. Il Prof. Gino Loria - dell'Università di Genova - ha infatti delineato-- questa storia della scienza dall'alba della civiltà (Ba~ bilonesi Egiziani) fino al giorno d'oggi, in modo sobrio, efficace, sicuro.

LA RIVOLUZIONE LIBERALE Unità socialista? varsi d'accordo, •i e di preparare le masse lavoratrici al loro compito come cl.asse. NuUa va mai perduto nel campo che ha ricevuto una buona semina, dalla scuola dei cooperatori alle lezioni delle jstjtuzioni di cultura proletaria, dalle trattative delle commissioni interne cli fabbrica all'accorta azione tattica in Parlamento. Un punto nel q11ale tutti i socialisti non possono non essere d'accordo è questo: la conquista più preziosa, in quanto era la più difficile, la più lenta e la pi i, costosa, che, li:n trenta e pii, anni di propaganda e di azione, si si.a raggiunta, è la formazione della consapevolezza di classe in un grosso nucleo della popolazione lavoratrice italiana. La differenziazione tra proletariato dei campi o delle officine, organizzalo nei Sindacati o nei Partiti e quelle qualsiansi varietà democratiche del1a piccola e media horghesia, è così penelraLa nella coscienza, che riverbera la sua influenza anche su quei proletari., non ancora tesserati~ vjventi ai margini della organizzazione. Il prodotto cli questo sforno, in cui si quintessenzia la dottrina marxista in .azione, vuo1 essere gelosamente custodito perchè in esso eta, nei riguardi del tempo, tullo l'avvenire del Socialismo. Quanto pii1 si allargherà e irrobusterà il senso di classe nelle masse lavoratrici, tanto più sarà facile attrarre verso il Lavoro anche forze marginali produttive che ora oscillano incerte e diffidenti e che potranno costituire ,u1 apporto proficuo di coltura e di esperienza tecnica, e sarà anche più possibile trattare con nuclei e partiti, per contingenti azioni comuni, senza pericolo cli deformazioni, sviamenti e obnubilamenti. Ma, à.nt.anto: rimanere sè stessi, partito di classe con fini e metodi ben precisi e chiari. Su due punti, invece, vi è, in questo periodo, divengenza di opinioni, nei dirigenti e, in parte, nelle file, secondo l'interpretazione che si dà, non tanto alla dottrina, quanto agli avvenimenti. Per ristabilire, si dice all'estrema destra, l'atmosfera di libertà che deve consentire la ripresa della propaganda, dell'attività, dell'azione socialista, non basta, da solo, lo sforzo del proletariato sul terreno elettorale, parlamentare e governativo; occorre utilizzare altre energie che, per ragioni morali, ideali, ed economiche, ripugnano alla plutocrazia che, oggi, sta dietro al fascismo, ed essere preparati e disposti a operare con esse nel paese e al governo per compiere quella funzione di democrazia indispensabile in un periodo di trapasso dal fascismo plutocratico al governo operaio e sociaiista. Ora, d'accordo sulla funzjone democratica, come fase di transizione, in cui le istituzioni costituenti la trama del tessuto della società operante. non per il profitto individuale ma per i servizi alla comunità, debbono tornare a germogliare, crescere e vigoreggiare; ma tale funzione deve essere compiuta dagli esponenti della classe lavoratrice al governo oome tali e con piena autonomia e responsabilità di classe e di partito, non come coadiutori di un governo di democrazia borghese. Siamo, è vero, un po' dappertutto, in un periodo di equilibrio instabile, in cui la ideologi.a del Lavoro va potenzialmente fronteggiando quella del Capitale con vantaggio crescente, seppure ancora non vi corrispondano, nei corpi rappresentativi; le forze adeguate a disporre di una maggioranza netta e sicw·a, ma essa ha già tale espressione, t.ale corrispondenza al divenire sociale, che il Partilo socialista, il quale la concreta nell'azione, non solo ha potuto dare i condottieri della sooietà, passati all'altro campo, ma dispone delle personalità esperte, abili e degne per governare esse stesse in nome di quell 'iclèologia, di quella classe e di quel partito•. Quindi, alla fase dei Millerand, dei Vivi.ani e dei Bri.and in Francia, dei Burns, degli Henderson, dei Clynes in Inghilterra, che vanno B governare insieme alla borghesia democratica o liberale, segue la fase in cui il Governo lo costituiscono da soli laburisti o so- ..çialisti, con o senza elementi democratici d'..iccanto, e si hanno i ministeri Branting iu S'-:vezi.a,Mac Donald in Inghilterra, Stauniug in Danimarca, oppure, come in Francia ora, si rinuncja all'occasione di una collaborazione momentanea, in attesa di una simazione che permetta una soluzione analoga a quella dei paesi citati. Su qnesto punto, anche in Italia non sembra dubbio che la grande maggioranza dei militanti, specialmente dei giovani, si trovi consenziente. Ma, una parte dei più giovani, all'estrema sinistra, dopo l'esempio russo e su enunciazioni tattiche del Marx, partendo dal presupposto che la società capitalistica è nella sua fase catastrofica, ma che nou cederà il potere della sua dittatura all'avversa forza armata ciel proletariato, se non attraverso un conflitto cruento, escludendo fin d~ora e per sempre ogni altro mezzo e metodo, non vede altra via di riuscita e di salute se non nella violenza armata e nella dittatura del proletariato. Così, una_ ipotesi che si è verificata in condizioni affatto particolari, come controreazione omologa al secolare regime zarista oligarchico, poliziesco e corrotto, quale non ei può escludersi possa ripetersi anche altrove in situazioni dipendenti dal sistema politico ed economico della plutocrazia borghese, è presa come un modello assoluto, immanente ed uniforme per tutti i luo~hi <', fìn d'ora, per l'eternità. Escludere tale ipotPsi .rnrebbe u.n errore, ma informare ad esso, erl escl11,.,5ivamente, ogni azione presente P un altro errore. Ripetiamolo ancora una volta: nel processo storico non vi è una tccnjca assoluta ed uniforme cleUe trasformazioni politiche ed economiche; in ogni paese giuocano forze molteplici - fattori geografici, predisposizione etnica, sviluppo della tecnica, tradizione - ognuna in funzione dell'altra, e risult.anti a mutamenti e a riassetti che sono tanto meno suscellibili di reazioni in quanto ognuna cli quelle forze abbia operato nella pienez,..a della sua potenzialità. La società capitalista è sì nella fase ciel suo sviluppo che oc prelude e prepara la fine pcrchè il suo involucro politico e giuridico clèventa un ostacolo all'espansione delle forze economiche, ponendo essa dei limiti alla produzione dei beni occorrenti alla comunità per assicurare il maggior profitto ad wia oligarchi.a sempre più rjstretla; ma nè qnel processo di sviluppo è pervenuto a maturazione - chè, anzi, gli stadi cli esso sono nei diversi paesi differentissimi, per cui i modi di resistenza e di difesa del capitalismo sono pure diversissimi dall'uno all'altro - nè il suo becchino, il proletariato, è ancora pervenuto a qnel grado di maturità interiore ed esteriore che possa assicurargli la successione senza ritorni e eenza riprese dell'avversario. Forse, alla otregua di quel che insegna la storia della borghesia nella sua lotta secolare contro le oligarchie feudali, nobiliari e chiesa'°siTche, le vittorie e le sconfitte del proletariato, la presa di possesso del governo e il suo spossessamento si alterneranno chi i&a quante volte nei diversi paesi, in azioni e reazioni continue. Ma da ciò rampolla l'insegnamento che la rivoluzione non può cristallizzarsi in un unico metodo, in un'unica tecnica, sia 11 1372 fiorentino, o il 1789 francese, sia il 1917 russo, o il 1923 inglese. Quello che occorre, ed è l'altro punto sul qnale pure sembra che la grande maggioranza dei milit.anti socialisti debbano troCome, nel 1905, per la Francia, vale, oggi, per l'Italia, questo inciso cli un ordine del giorno di Jaurès votato dal Consiglio nazionale alla vigilia del Congresso dell'unjficazione: (( Il Con8igJjo nazionale P,. convinto che l'unità socialista sinceramente preparata e praticala aggiungerà molto non soltanto all,i potenza di organizzazione ciel proletariato, ma anche all'efficacia dell'a,;ione riformatrice del Partito in Parlamento ». Ma, oggi, hen più che tanti anni fa, l'edu- • cazione del proletariato e dei dirigenti, che venne fatta prima d'ora per stare all'opposizione, deve essere diretta al fine di saper stare al governo dell'industria, degli Enti locali, dello Stato. Questi organismi e i problemi che sono a 101·0 connessi vogliono essere veduti e studi.ali, nota il Kantaky, non, come si fece fìnora, teoricamente, dal di fuori, ma dal di dentro. Controllo della fabbrica, municipalizzaziolli e socializz.azioni, debbono essere oseer• vati non in astratto e in assoluto, ma entro i limi li della possibile realtà, per adunare gli sforzi dove e in ciò che è, a volta a volta, praticabile, in reI.izione alle condizioni di sviluppo degli ordinamenti economici esiSlenli. La conoscenza cli tali limiti è la più sicura condizione di riuscita senza pericoli cli delusioni, di controreazioni e di riprese offensive e distrullrici di quel che si è costruito. Qllanti lavoratori italiani, socialisti miliLanli, tesserati o non ancora tesserati, rinunciando agli aggettivi appiccicati al sostantivo: unitari, massimalisti, terzinternazionalisti, e agli esclusivismi che ad essi, per le naturali, 1U11aneamplificazioni e presunzioni di possf!dere ciascuno, essi soli, la verità, sono connessi, pur ammettendo come inevitabili in una stessa classe e in uno stesso partito la coesistenza delle due visioni e preoccupazioni del reale e dell'ideale confondentisi nell'azione, riconoscono che vi è materia, in quanto si è venuto e.sponendo, per ristabilire )e basi cli una unità ciel proletariato? Ottobre 1925. ALESSANDRO SCHIAVI. TRE PARTITI Ha scritto Guido Mazzali, esaminando, su quest~~- -1:,"'"~~evismoin un pnese che non b.i conosciuto on'e• colonne, un tema che sembra tornato di attualità - sperienza socialista ~e non per imposizione, la Rusquello della unità socialista - : « stati d'animo più sia. Se la polemica ha da essere fecondo dibattito di che maturazione di coscienze. Mormorazioni più che fatti concreti. La politica può essere anche sentimento, non potrà mai essere ]a proiezione di un vago, indefinito, inesprimibile sentimentalismo :,,. Sono perfettamente d'accordo con lo scrittore massimalista. Io fui uno dei pochi che, qualche teiupo dopo la scissione di Roma del 1922, pensarono al problema della rifusione (ed in tal senso presi anche accordi con Giacomo Matteotti); fui uno dei primi che, dopo l'assassinio del Matteotti, ne scrissero. Sembrerebbe, adunque, logico che oggi fossi dello stesso avviso. Invece non è così, e ne spiego le ragioni. Le quali, per ciò che riguarda il fusionismo, erano duplici: di fatto1 cioè, e di' sentimento. Di fatto, in quanto si notava, nella pratica, non esistere alcuna differenza tr.::il'azione del Partito unitario e queHa del Partito massimalista - stesso metodo, stessa tattica -; di sentimento, in quanto si sentiva che una unione dei percossi in un unico partito avrebbe ravvivato nelle masse la vecchia fede e avrebbe sfatato la credenza che la divisione fosse dovuta a ragioni puramente personali. Le masse, si pensava allora, non capiscono le ragioni teoriche della nostra scissione, le cause della quale, d'altra parte, più non esistono, chè di collaborazionismo non è il caso di parlare e di rivoluzionarismo efficente, in atto, non se ne vede la possibilità. Di più, si notava che i massimalisti, aderendo all'Aventino, avevano implicitamente ammesso che in determinati casi la tattica collaborazionista o intesista, che in fondo è lo stesso, fosse una necessità alla quale essi stessi si adattavano. Oggi può valere questo ragionamento? Francamente non mi pare. Se alcuni mesi addietro si poteva ritenere che il problema della fusione fosse un problema di volontà, oggi bisogna riconoscere che esso è qualche cosa Ji più : è un aspetto della crisi che travaglia i tre partiti proletari, crisi snUn quale ha scriuo Guido Mazzali e sulla quale, col consenso di Rivoluzione Liberale, vorrei esprimere una opinione che non è soltanto personale. Mi guarderò bene dal risalire alJe origini del Partito socialista e alla natura e allo sviluppo delle varie tendenze che lo hanno accompagnato in trent'anni di vita. E neppure ('Ontesterò al Mazzali talune delle sue affermazioni su quello che, secondo lui, è un vizio d'origine del socialismo itnliano: la mancanza di una esperienza socialista (forse voleva dire la mancanza di svi!uppo de1le condizioni economiche atte a suscitare nn naturale movimento socialista) giacchè saret.be facile conlrapporgli il cnrattere democratico del Partito socialista nei due paesi classici del movimento economico industrinle, l'Jnghilterrn e la Germnnia, e raffrontarlo al carattere rivoluzionario del opinioni, mi sembra impicciolirla o avvilirla limi• tandola alle contestazioni di ogni affermazione, senza contare che non sempre dalle particolari negazioni &i sale all'affermazione d'indole generale, nè, viceversa, dalle affermazioni particolari si s.ile alla negazione d'indole generale. Indubbiamente il socialismo italiano è in crisi; ma, si può aggiungere, per qualcuno esso è sempre stato in cri5i. Basta scorrere i giornali e le riviste italiane che nell'ultimo trentennio si sono occupate di socialismo e si troverà lu conferma della crisi permanente in cui, a detta di taluni, si ~ dibattuto il Partito s.ocialista. Non importa, poi, che le crisi si riducessero a più o meno accademici dibattiti sul metodo e sulla tattica, e che finissero tol la5ciare il Partito più forte che mai. Ma oggi sarebbe da stolti negare che una crisi travaglia il socialismo italiano. Crisi che, se vogliamo essere precisi, risale all'immediato dopoguerra, se alla parola crisi si dà il preciso significato di stato di impotenza. E, appunto, la vera crisi socialista si è manifestata appieno nel 1919-1920, quando il Partito socialista fu chiamato ad assumere in pieno la responsabilità di un atto decisivo nella situazione caotica e sen.zn parvenza di sbocco in cui st dil:,atteva l'Italia, allora uscita da una guerra che l'aveva prostrata. Fu appunto nella lotta tra la concezione collaborazionista che assumeva per programma il « rifare l'Italia » di Filippo Turati e la concezione rivoluzionaria a metodo bolscevico di Nicola Bombacci che si palesò la crisi del Partito socialista; fu in quella lotto che si ebbe il fenomeno cu• rioso, per gli studiosi di psicologia sociale, di una maggioranza detentrice del potere la quale non solo non osò - ma ne incolpò la minoranza - fare quella rivoluzione da essa predicata ad ogni piè sospinto; fu in quella lotta, quando il Partito - organo eminentemente politico - volle imporre al sindacato la direzione di un movimento essenzialmente politico che esso abdicò di fatto ad ogni suo potere e dimostrò, oltre la propria impotenza, la impossibilità di un metodo che, da allora, il proletariato abbandonò. Qui nacque ]a crisi che si sviluppò più oltre con le scissioni dei sinistri e dei destri e che condusse il socialismo italiano attraverso Livorno, Milano e Roma alla formazione dei tre Partiti comunista, massimalista e unitario. * * * Il Congresso di Livorno aveva segnato il distacco netto, preciso tra due concezioni, la comunista e ln socialista, e, se pure l'esito della votazione era stato tale da dare la maggioranza assoluta ai massimalisti sostenitori della mozione di Firenze, in sostanza il socialismo italiano si polarizzavz,, verso il comunismo e verso il - chiamiamolo così per quanto impropria15S a:1e-nte riformi~mo. Il massimaliimo vinceva eon• g.rec.,oalmente percbè non metteva i wcialisti nella condizione di decidersi per la de-tra o per la !ini- •tra. Il m:n,im.alismo vinceva il comunfamo percbè l'esperimento del metodo rivolu.zionario ai era risolto in piena di~fatta, vinceva sol rifonnfr,mo percbè non si poteva ne J<j doveva troppo pret,lO dar ragione ai proreti del 1919. Ma 81! H ma&simalismo conEervÒ le redini del potere del Partito, lo spirito della mozione di Regg.ir1 Emilia un po' alla volta, contrariamenle alla stet;sa volont.a dei dirigenti il movimento m.ueimali,s;ta, pret>t: tutto il Partito. Contro <1uesta tendenu tentarono di reagire i r..api del Partito al Cong.resw dj Milano, ma invano: l'atteggiamento del Groppo parlamentare andava verso il collaborazioniimo meotre la Direzione del Partito procedeva di indecii;ione ir. toJleraoza. Cosi il ma.!simalismo perdeva di giorno in g.iorno terreno, non soltanto tra le maue ma Era gJi fsleti13i'i.critti, ~ mano a mano che il fasci€mo incalzava, appunt'> perchè esso fii dimostrava sempre più qu_eJlo che Filippo Turati lo aveva battezzato: nuJliijmo. Ad ogni &ituazi,me nuova che &i pre&en• Lava com,; pos,s;ibile, eseo non éapeva opporre an.a adeguata SQluzione, non sapeva neanche indicare o.n.a soluzione. Mentre i comunisti nella rivoluzione e neJl.a dittatura proletaria indicavano j mezzi di abbattimento non solo del fascismo, ma di tolta l'impalcatura borghese; e il riformi&mo indicava o.na 2.0luzione transeunte nel collaborazionismo per evitare il fascismo che premeva - l'uno, cioè, aveva o..na concezione veramente mass-imalis-ta della lotta, l'altro un.a concezione minimalista - il ma.sEi.mali.6Dlo o..ffi. ciale 6i baloccava nelle affermazioni generiche di rivoluzione e di dittatura proletaria. een7.a neppur tentare un accordo coi comunisti per veder di tradurle in atto, e n~JJo stesso tempo negava le possibilità collaborazioniste che però lasciava tentare dal Groppo parlamentare accontentandosi che questo proceduse con tutte le misure precauzionali e con tutte le cinture di caslilà. Da ciò tolta la inazione sociali.e;ta, da ciò quella serie di errori che dirà la storia quanto contribuirono a creare la present.e situazione. U Congresso cli Roma si trovò, appunto, a dover giudicare tale indecisione e tale inazione. Il fallimento dello sciopero generale dell'agosto se aveva aperto gli occhi a molti socialisti, non li aveva aperti ai capi del massimalismo i quali sentivano che iì Partito si orientava decisamente verso la destra. Bisognava quindi agire risolutamente contro di eua prima cbe essa diventasse maggioranza. E si vide, così, q·uella stessa Direzione, la quale non aveva saputo intervenire tempestivamente, energicamenle e decisamente a troncare ogni e qualsiasi tentati-ço collaborazionista del Gruppo parlamentare, dichiarare che si poneva fuori del Partito chi si affermava ~la mozione dei destri, su quella mozione, cioè, che, in sostanza, domandava lo sviluppo di quei tentativi collaborazionisti che la Direzione aveva fino allora tollerati, forma gesuitica che nascondeva una espulsione che non si osava pronunciare in pieno. Ma al massimalismo non si poteva domandare di uscire dalla ind;cisione che lo accompagna dalla nascita. ••• Sorgeva, così, il terzo Partito - runitario - con carattere possibilista. Troppo tardi per portare una qualsiasi conseguenza nella situazione del Paese, chè pochi giorni dopo il fascismo giungeva al potere; troppo tardi anch~ per una vera chiarificazione dei Partiti proletari, cbè la nuova situazione non consentiva ormai più quella libertà di azione che sola avrebbe potuto portare alla eliminazione del m355i. malismo e alla polarizzazione delle masse a destra e a sinistra. Il fascismo salvò il massimalismo. Lnpedita, di fatto, tanto una azione rivoluzionaria da parte dei comunisti quanto una parlamentarista a carattere collaborazionista da parte degli unitari, fu facile al massimalismo dimostrare errati i metodi degli uni e degli altri e richiamarsi alla tradizione del socialismo italiano, tradizione che, a vero dire, fn intransigente, rivoluzionaria, riformista, integralista, secondo i tempi e secondo le circostanze. TI massimalismo faceva, cioè, la figura di quei nobili che di nobiltà conservano soltanto il Llasone. E io u.c. popolo ancor troppo sentimentale l'Avanti! continuò ad attrarre più che l'Unità e la Giusti..-ia. Venne il delitto Matteotti, e il massimalismo mostrò una volta di più la propria inconsistenza dot• trinaria. Tutta la sua intransigenza rivoluzionaria ~i manifestò nell'unione con Partiti, non solo di classe, quali l 'nnitario e quale, da qualche anno si vuol mostrare, il repubblicano, ma con Partiti costituzionali quali il democratico, il demosociale e il popolare: questi due ultimi già alleati e collaboratori del fascismo al potere. E si badi che proprio per l'adesione all'Aventino dei Partiti costituzionali, veniva a priori scortata ogni possibilità di az.ione extralegale, extraparlamentare, extracostituzionale. Il massimalismo italiano riaffermava, sì, i suoi principi rivoluzionari e dittatoriali del proletariato sulla borghesia, ma intanto si adattava ad una situazione che poteva - nella migliore delle ipotesi - sboccare iu una dittatura cli generali invocata. allora, da molti se non da tutti gli oppositori. La politica aventiniana è stata un fallimento? Secondo i criteri con cui la si giudica. È certo però che essa non ha portato a quei risultati immediati che molti speravano. Onde il massimalismo che sentiva stringersi più pressante il dilemma: autonomia o assorbimento, tentò l'autonomia. Non bisogna disconoscere che, sono certi 1:1.spetti, il momento è stato scelto bene. Le masse deluse dall'attesa messianica di wu soluzione di liberazione dal fascismo che si presume ancora lontana. Esse che tutto aspet: Lavano dai capi senza domandarsi se Pur esse non dove, 1ano dare qualche cosa, sono insoddisfatte della tattica seg\l.Jta, e abituate, purtroppo, a vedere un po' troppo negli altri e troppo poco in sè stesse lo. sa1vez~a, accolgono con entusiasmo ogni nuova poe•

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