La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 38 - 25 ottobre 1925

LA RIVOLUZIONE LIBERALE Unità socialista? varsi d'accordo, •i e di preparare le masse lavoratrici al loro compito come cl.asse. NuUa va mai perduto nel campo che ha ricevuto una buona semina, dalla scuola dei cooperatori alle lezioni delle jstjtuzioni di cultura proletaria, dalle trattative delle commissioni interne cli fabbrica all'accorta azione tattica in Parlamento. Un punto nel q11ale tutti i socialisti non possono non essere d'accordo è questo: la conquista più preziosa, in quanto era la più difficile, la più lenta e la pi i, costosa, che, li:n trenta e pii, anni di propaganda e di azione, si si.a raggiunta, è la formazione della consapevolezza di classe in un grosso nucleo della popolazione lavoratrice italiana. La differenziazione tra proletariato dei campi o delle officine, organizzalo nei Sindacati o nei Partiti e quelle qualsiansi varietà democratiche del1a piccola e media horghesia, è così penelraLa nella coscienza, che riverbera la sua influenza anche su quei proletari., non ancora tesserati~ vjventi ai margini della organizzazione. Il prodotto cli questo sforno, in cui si quintessenzia la dottrina marxista in .azione, vuo1 essere gelosamente custodito perchè in esso eta, nei riguardi del tempo, tullo l'avvenire del Socialismo. Quanto pii1 si allargherà e irrobusterà il senso di classe nelle masse lavoratrici, tanto più sarà facile attrarre verso il Lavoro anche forze marginali produttive che ora oscillano incerte e diffidenti e che potranno costituire ,u1 apporto proficuo di coltura e di esperienza tecnica, e sarà anche più possibile trattare con nuclei e partiti, per contingenti azioni comuni, senza pericolo cli deformazioni, sviamenti e obnubilamenti. Ma, à.nt.anto: rimanere sè stessi, partito di classe con fini e metodi ben precisi e chiari. Su due punti, invece, vi è, in questo periodo, divengenza di opinioni, nei dirigenti e, in parte, nelle file, secondo l'interpretazione che si dà, non tanto alla dottrina, quanto agli avvenimenti. Per ristabilire, si dice all'estrema destra, l'atmosfera di libertà che deve consentire la ripresa della propaganda, dell'attività, dell'azione socialista, non basta, da solo, lo sforzo del proletariato sul terreno elettorale, parlamentare e governativo; occorre utilizzare altre energie che, per ragioni morali, ideali, ed economiche, ripugnano alla plutocrazia che, oggi, sta dietro al fascismo, ed essere preparati e disposti a operare con esse nel paese e al governo per compiere quella funzione di democrazia indispensabile in un periodo di trapasso dal fascismo plutocratico al governo operaio e sociaiista. Ora, d'accordo sulla funzjone democratica, come fase di transizione, in cui le istituzioni costituenti la trama del tessuto della società operante. non per il profitto individuale ma per i servizi alla comunità, debbono tornare a germogliare, crescere e vigoreggiare; ma tale funzione deve essere compiuta dagli esponenti della classe lavoratrice al governo oome tali e con piena autonomia e responsabilità di classe e di partito, non come coadiutori di un governo di democrazia borghese. Siamo, è vero, un po' dappertutto, in un periodo di equilibrio instabile, in cui la ideologi.a del Lavoro va potenzialmente fronteggiando quella del Capitale con vantaggio crescente, seppure ancora non vi corrispondano, nei corpi rappresentativi; le forze adeguate a disporre di una maggioranza netta e sicw·a, ma essa ha già tale espressione, t.ale corrispondenza al divenire sociale, che il Partilo socialista, il quale la concreta nell'azione, non solo ha potuto dare i condottieri della sooietà, passati all'altro campo, ma dispone delle personalità esperte, abili e degne per governare esse stesse in nome di quell 'iclèologia, di quella classe e di quel partito•. Quindi, alla fase dei Millerand, dei Vivi.ani e dei Bri.and in Francia, dei Burns, degli Henderson, dei Clynes in Inghilterra, che vanno B governare insieme alla borghesia democratica o liberale, segue la fase in cui il Governo lo costituiscono da soli laburisti o so- ..çialisti, con o senza elementi democratici d'..iccanto, e si hanno i ministeri Branting iu S'-:vezi.a,Mac Donald in Inghilterra, Stauniug in Danimarca, oppure, come in Francia ora, si rinuncja all'occasione di una collaborazione momentanea, in attesa di una simazione che permetta una soluzione analoga a quella dei paesi citati. Su qnesto punto, anche in Italia non sembra dubbio che la grande maggioranza dei militanti, specialmente dei giovani, si trovi consenziente. Ma, una parte dei più giovani, all'estrema sinistra, dopo l'esempio russo e su enunciazioni tattiche del Marx, partendo dal presupposto che la società capitalistica è nella sua fase catastrofica, ma che nou cederà il potere della sua dittatura all'avversa forza armata ciel proletariato, se non attraverso un conflitto cruento, escludendo fin d~ora e per sempre ogni altro mezzo e metodo, non vede altra via di riuscita e di salute se non nella violenza armata e nella dittatura del proletariato. Così, una_ ipotesi che si è verificata in condizioni affatto particolari, come controreazione omologa al secolare regime zarista oligarchico, poliziesco e corrotto, quale non ei può escludersi possa ripetersi anche altrove in situazioni dipendenti dal sistema politico ed economico della plutocrazia borghese, è presa come un modello assoluto, immanente ed uniforme per tutti i luo~hi <', fìn d'ora, per l'eternità. Escludere tale ipotPsi .rnrebbe u.n errore, ma informare ad esso, erl escl11,.,5ivamente, ogni azione presente P un altro errore. Ripetiamolo ancora una volta: nel processo storico non vi è una tccnjca assoluta ed uniforme cleUe trasformazioni politiche ed economiche; in ogni paese giuocano forze molteplici - fattori geografici, predisposizione etnica, sviluppo della tecnica, tradizione - ognuna in funzione dell'altra, e risult.anti a mutamenti e a riassetti che sono tanto meno suscellibili di reazioni in quanto ognuna cli quelle forze abbia operato nella pienez,..a della sua potenzialità. La società capitalista è sì nella fase ciel suo sviluppo che oc prelude e prepara la fine pcrchè il suo involucro politico e giuridico clèventa un ostacolo all'espansione delle forze economiche, ponendo essa dei limiti alla produzione dei beni occorrenti alla comunità per assicurare il maggior profitto ad wia oligarchi.a sempre più rjstretla; ma nè qnel processo di sviluppo è pervenuto a maturazione - chè, anzi, gli stadi cli esso sono nei diversi paesi differentissimi, per cui i modi di resistenza e di difesa del capitalismo sono pure diversissimi dall'uno all'altro - nè il suo becchino, il proletariato, è ancora pervenuto a qnel grado di maturità interiore ed esteriore che possa assicurargli la successione senza ritorni e eenza riprese dell'avversario. Forse, alla otregua di quel che insegna la storia della borghesia nella sua lotta secolare contro le oligarchie feudali, nobiliari e chiesa'°siTche, le vittorie e le sconfitte del proletariato, la presa di possesso del governo e il suo spossessamento si alterneranno chi i&a quante volte nei diversi paesi, in azioni e reazioni continue. Ma da ciò rampolla l'insegnamento che la rivoluzione non può cristallizzarsi in un unico metodo, in un'unica tecnica, sia 11 1372 fiorentino, o il 1789 francese, sia il 1917 russo, o il 1923 inglese. Quello che occorre, ed è l'altro punto sul qnale pure sembra che la grande maggioranza dei milit.anti socialisti debbano troCome, nel 1905, per la Francia, vale, oggi, per l'Italia, questo inciso cli un ordine del giorno di Jaurès votato dal Consiglio nazionale alla vigilia del Congresso dell'unjficazione: (( Il Con8igJjo nazionale P,. convinto che l'unità socialista sinceramente preparata e praticala aggiungerà molto non soltanto all,i potenza di organizzazione ciel proletariato, ma anche all'efficacia dell'a,;ione riformatrice del Partito in Parlamento ». Ma, oggi, hen più che tanti anni fa, l'edu- • cazione del proletariato e dei dirigenti, che venne fatta prima d'ora per stare all'opposizione, deve essere diretta al fine di saper stare al governo dell'industria, degli Enti locali, dello Stato. Questi organismi e i problemi che sono a 101·0 connessi vogliono essere veduti e studi.ali, nota il Kantaky, non, come si fece fìnora, teoricamente, dal di fuori, ma dal di dentro. Controllo della fabbrica, municipalizzaziolli e socializz.azioni, debbono essere oseer• vati non in astratto e in assoluto, ma entro i limi li della possibile realtà, per adunare gli sforzi dove e in ciò che è, a volta a volta, praticabile, in reI.izione alle condizioni di sviluppo degli ordinamenti economici esiSlenli. La conoscenza cli tali limiti è la più sicura condizione di riuscita senza pericoli cli delusioni, di controreazioni e di riprese offensive e distrullrici di quel che si è costruito. Qllanti lavoratori italiani, socialisti miliLanli, tesserati o non ancora tesserati, rinunciando agli aggettivi appiccicati al sostantivo: unitari, massimalisti, terzinternazionalisti, e agli esclusivismi che ad essi, per le naturali, 1U11aneamplificazioni e presunzioni di possf!dere ciascuno, essi soli, la verità, sono connessi, pur ammettendo come inevitabili in una stessa classe e in uno stesso partito la coesistenza delle due visioni e preoccupazioni del reale e dell'ideale confondentisi nell'azione, riconoscono che vi è materia, in quanto si è venuto e.sponendo, per ristabilire )e basi cli una unità ciel proletariato? Ottobre 1925. ALESSANDRO SCHIAVI. TRE PARTITI Ha scritto Guido Mazzali, esaminando, su quest~~- -1:,"'"~~evismoin un pnese che non b.i conosciuto on'e• colonne, un tema che sembra tornato di attualità - sperienza socialista ~e non per imposizione, la Rusquello della unità socialista - : « stati d'animo più sia. Se la polemica ha da essere fecondo dibattito di che maturazione di coscienze. Mormorazioni più che fatti concreti. La politica può essere anche sentimento, non potrà mai essere ]a proiezione di un vago, indefinito, inesprimibile sentimentalismo :,,. Sono perfettamente d'accordo con lo scrittore massimalista. Io fui uno dei pochi che, qualche teiupo dopo la scissione di Roma del 1922, pensarono al problema della rifusione (ed in tal senso presi anche accordi con Giacomo Matteotti); fui uno dei primi che, dopo l'assassinio del Matteotti, ne scrissero. Sembrerebbe, adunque, logico che oggi fossi dello stesso avviso. Invece non è così, e ne spiego le ragioni. Le quali, per ciò che riguarda il fusionismo, erano duplici: di fatto1 cioè, e di' sentimento. Di fatto, in quanto si notava, nella pratica, non esistere alcuna differenza tr.::il'azione del Partito unitario e queHa del Partito massimalista - stesso metodo, stessa tattica -; di sentimento, in quanto si sentiva che una unione dei percossi in un unico partito avrebbe ravvivato nelle masse la vecchia fede e avrebbe sfatato la credenza che la divisione fosse dovuta a ragioni puramente personali. Le masse, si pensava allora, non capiscono le ragioni teoriche della nostra scissione, le cause della quale, d'altra parte, più non esistono, chè di collaborazionismo non è il caso di parlare e di rivoluzionarismo efficente, in atto, non se ne vede la possibilità. Di più, si notava che i massimalisti, aderendo all'Aventino, avevano implicitamente ammesso che in determinati casi la tattica collaborazionista o intesista, che in fondo è lo stesso, fosse una necessità alla quale essi stessi si adattavano. Oggi può valere questo ragionamento? Francamente non mi pare. Se alcuni mesi addietro si poteva ritenere che il problema della fusione fosse un problema di volontà, oggi bisogna riconoscere che esso è qualche cosa Ji più : è un aspetto della crisi che travaglia i tre partiti proletari, crisi snUn quale ha scriuo Guido Mazzali e sulla quale, col consenso di Rivoluzione Liberale, vorrei esprimere una opinione che non è soltanto personale. Mi guarderò bene dal risalire alJe origini del Partito socialista e alla natura e allo sviluppo delle varie tendenze che lo hanno accompagnato in trent'anni di vita. E neppure ('Ontesterò al Mazzali talune delle sue affermazioni su quello che, secondo lui, è un vizio d'origine del socialismo itnliano: la mancanza di una esperienza socialista (forse voleva dire la mancanza di svi!uppo de1le condizioni economiche atte a suscitare nn naturale movimento socialista) giacchè saret.be facile conlrapporgli il cnrattere democratico del Partito socialista nei due paesi classici del movimento economico industrinle, l'Jnghilterrn e la Germnnia, e raffrontarlo al carattere rivoluzionario del opinioni, mi sembra impicciolirla o avvilirla limi• tandola alle contestazioni di ogni affermazione, senza contare che non sempre dalle particolari negazioni &i sale all'affermazione d'indole generale, nè, viceversa, dalle affermazioni particolari si s.ile alla negazione d'indole generale. Indubbiamente il socialismo italiano è in crisi; ma, si può aggiungere, per qualcuno esso è sempre stato in cri5i. Basta scorrere i giornali e le riviste italiane che nell'ultimo trentennio si sono occupate di socialismo e si troverà lu conferma della crisi permanente in cui, a detta di taluni, si ~ dibattuto il Partito s.ocialista. Non importa, poi, che le crisi si riducessero a più o meno accademici dibattiti sul metodo e sulla tattica, e che finissero tol la5ciare il Partito più forte che mai. Ma oggi sarebbe da stolti negare che una crisi travaglia il socialismo italiano. Crisi che, se vogliamo essere precisi, risale all'immediato dopoguerra, se alla parola crisi si dà il preciso significato di stato di impotenza. E, appunto, la vera crisi socialista si è manifestata appieno nel 1919-1920, quando il Partito socialista fu chiamato ad assumere in pieno la responsabilità di un atto decisivo nella situazione caotica e sen.zn parvenza di sbocco in cui st dil:,atteva l'Italia, allora uscita da una guerra che l'aveva prostrata. Fu appunto nella lotta tra la concezione collaborazionista che assumeva per programma il « rifare l'Italia » di Filippo Turati e la concezione rivoluzionaria a metodo bolscevico di Nicola Bombacci che si palesò la crisi del Partito socialista; fu in quella lotto che si ebbe il fenomeno cu• rioso, per gli studiosi di psicologia sociale, di una maggioranza detentrice del potere la quale non solo non osò - ma ne incolpò la minoranza - fare quella rivoluzione da essa predicata ad ogni piè sospinto; fu in quella lotta, quando il Partito - organo eminentemente politico - volle imporre al sindacato la direzione di un movimento essenzialmente politico che esso abdicò di fatto ad ogni suo potere e dimostrò, oltre la propria impotenza, la impossibilità di un metodo che, da allora, il proletariato abbandonò. Qui nacque ]a crisi che si sviluppò più oltre con le scissioni dei sinistri e dei destri e che condusse il socialismo italiano attraverso Livorno, Milano e Roma alla formazione dei tre Partiti comunista, massimalista e unitario. * * * Il Congresso di Livorno aveva segnato il distacco netto, preciso tra due concezioni, la comunista e ln socialista, e, se pure l'esito della votazione era stato tale da dare la maggioranza assoluta ai massimalisti sostenitori della mozione di Firenze, in sostanza il socialismo italiano si polarizzavz,, verso il comunismo e verso il - chiamiamolo così per quanto impropria15S a:1e-nte riformi~mo. Il massimaliimo vinceva eon• g.rec.,oalmente percbè non metteva i wcialisti nella condizione di decidersi per la de-tra o per la !ini- •tra. Il m:n,im.alismo vinceva il comunfamo percbè l'esperimento del metodo rivolu.zionario ai era risolto in piena di~fatta, vinceva sol rifonnfr,mo percbè non si poteva ne J<j doveva troppo pret,lO dar ragione ai proreti del 1919. Ma 81! H ma&simalismo conEervÒ le redini del potere del Partito, lo spirito della mozione di Regg.ir1 Emilia un po' alla volta, contrariamenle alla stet;sa volont.a dei dirigenti il movimento m.ueimali,s;ta, pret>t: tutto il Partito. Contro <1uesta tendenu tentarono di reagire i r..api del Partito al Cong.resw dj Milano, ma invano: l'atteggiamento del Groppo parlamentare andava verso il collaborazioniimo meotre la Direzione del Partito procedeva di indecii;ione ir. toJleraoza. Cosi il ma.!simalismo perdeva di giorno in g.iorno terreno, non soltanto tra le maue ma Era gJi fsleti13i'i.critti, ~ mano a mano che il fasci€mo incalzava, appunt'> perchè esso fii dimostrava sempre più qu_eJlo che Filippo Turati lo aveva battezzato: nuJliijmo. Ad ogni &ituazi,me nuova che &i pre&en• Lava com,; pos,s;ibile, eseo non éapeva opporre an.a adeguata SQluzione, non sapeva neanche indicare o.n.a soluzione. Mentre i comunisti nella rivoluzione e neJl.a dittatura proletaria indicavano j mezzi di abbattimento non solo del fascismo, ma di tolta l'impalcatura borghese; e il riformi&mo indicava o.na 2.0luzione transeunte nel collaborazionismo per evitare il fascismo che premeva - l'uno, cioè, aveva o..na concezione veramente mass-imalis-ta della lotta, l'altro un.a concezione minimalista - il ma.sEi.mali.6Dlo o..ffi. ciale 6i baloccava nelle affermazioni generiche di rivoluzione e di dittatura proletaria. een7.a neppur tentare un accordo coi comunisti per veder di tradurle in atto, e n~JJo stesso tempo negava le possibilità collaborazioniste che però lasciava tentare dal Groppo parlamentare accontentandosi che questo proceduse con tutte le misure precauzionali e con tutte le cinture di caslilà. Da ciò tolta la inazione sociali.e;ta, da ciò quella serie di errori che dirà la storia quanto contribuirono a creare la present.e situazione. U Congresso cli Roma si trovò, appunto, a dover giudicare tale indecisione e tale inazione. Il fallimento dello sciopero generale dell'agosto se aveva aperto gli occhi a molti socialisti, non li aveva aperti ai capi del massimalismo i quali sentivano che iì Partito si orientava decisamente verso la destra. Bisognava quindi agire risolutamente contro di eua prima cbe essa diventasse maggioranza. E si vide, così, q·uella stessa Direzione, la quale non aveva saputo intervenire tempestivamente, energicamenle e decisamente a troncare ogni e qualsiasi tentati-ço collaborazionista del Gruppo parlamentare, dichiarare che si poneva fuori del Partito chi si affermava ~la mozione dei destri, su quella mozione, cioè, che, in sostanza, domandava lo sviluppo di quei tentativi collaborazionisti che la Direzione aveva fino allora tollerati, forma gesuitica che nascondeva una espulsione che non si osava pronunciare in pieno. Ma al massimalismo non si poteva domandare di uscire dalla ind;cisione che lo accompagna dalla nascita. ••• Sorgeva, così, il terzo Partito - runitario - con carattere possibilista. Troppo tardi per portare una qualsiasi conseguenza nella situazione del Paese, chè pochi giorni dopo il fascismo giungeva al potere; troppo tardi anch~ per una vera chiarificazione dei Partiti proletari, cbè la nuova situazione non consentiva ormai più quella libertà di azione che sola avrebbe potuto portare alla eliminazione del m355i. malismo e alla polarizzazione delle masse a destra e a sinistra. Il fascismo salvò il massimalismo. Lnpedita, di fatto, tanto una azione rivoluzionaria da parte dei comunisti quanto una parlamentarista a carattere collaborazionista da parte degli unitari, fu facile al massimalismo dimostrare errati i metodi degli uni e degli altri e richiamarsi alla tradizione del socialismo italiano, tradizione che, a vero dire, fn intransigente, rivoluzionaria, riformista, integralista, secondo i tempi e secondo le circostanze. TI massimalismo faceva, cioè, la figura di quei nobili che di nobiltà conservano soltanto il Llasone. E io u.c. popolo ancor troppo sentimentale l'Avanti! continuò ad attrarre più che l'Unità e la Giusti..-ia. Venne il delitto Matteotti, e il massimalismo mostrò una volta di più la propria inconsistenza dot• trinaria. Tutta la sua intransigenza rivoluzionaria ~i manifestò nell'unione con Partiti, non solo di classe, quali l 'nnitario e quale, da qualche anno si vuol mostrare, il repubblicano, ma con Partiti costituzionali quali il democratico, il demosociale e il popolare: questi due ultimi già alleati e collaboratori del fascismo al potere. E si badi che proprio per l'adesione all'Aventino dei Partiti costituzionali, veniva a priori scortata ogni possibilità di az.ione extralegale, extraparlamentare, extracostituzionale. Il massimalismo italiano riaffermava, sì, i suoi principi rivoluzionari e dittatoriali del proletariato sulla borghesia, ma intanto si adattava ad una situazione che poteva - nella migliore delle ipotesi - sboccare iu una dittatura cli generali invocata. allora, da molti se non da tutti gli oppositori. La politica aventiniana è stata un fallimento? Secondo i criteri con cui la si giudica. È certo però che essa non ha portato a quei risultati immediati che molti speravano. Onde il massimalismo che sentiva stringersi più pressante il dilemma: autonomia o assorbimento, tentò l'autonomia. Non bisogna disconoscere che, sono certi 1:1.spetti, il momento è stato scelto bene. Le masse deluse dall'attesa messianica di wu soluzione di liberazione dal fascismo che si presume ancora lontana. Esse che tutto aspet: Lavano dai capi senza domandarsi se Pur esse non dove, 1ano dare qualche cosa, sono insoddisfatte della tattica seg\l.Jta, e abituate, purtroppo, a vedere un po' troppo negli altri e troppo poco in sè stesse lo. sa1vez~a, accolgono con entusiasmo ogni nuova poe•

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==