La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 27 - 5 luglio 1925

bi 1nr.~-~ t.. Y~·i,'aA .. IL BARETTI Quindicinale di letteratura Editore PIERO GOBETTI SETTIMANALE 5DITORE PIERO GOBETTI - TORINO VIA XX SETTEMBRE, 60 NOVITÀ DELLA SETTIMANA I. GIORDANI Àbb&tra11•c11Wmu111-0L. 10 • Estrro f.,. J:i Cil uumtro D. O,:iO ABBONAMENTO: Per il 1925 L. 20 - Semestre L. 10 - Estero L. 30 - Sostenitore L. 100 - Un numero L 0,50 - C, C. POSTALE Rivolta Cattolica Anno IV N. 27 - 5 Luglio 1925 OMMARIO. - S. V~tale: Lo spirito inclusli•iale e la guerra. - J) {I JI Congresso po11olare. - A. Z.Prhoglio: L'odio oncslo contro G. Sai vernini. <.... Pu,U1ionisi: Introduzione aJ Ri.sùrgimento. - P· g.: Controcnciclopcdia prcvcnlivu. G. Golinelli: I cnllolici contro le società segrete Polilfri rt'oy{Ji: Chamherlain. f.Jeltere di Mac DonaJd, (.,. Fortunato, G. Mazzooi. LOSPIRITOINDUSTRIALE E AGUERRA Certamente l'ultima guerra, quella che si è con,enuto, orarnai, di chiamare la grande guerra delle Nazioni, offrirà agli storici futuri infiniti problen1i da esaminare e r-isol- ·vere, rna un problema, forse, .apparirà anche a.~lor_a.fondainentale, e, per cosi dhe, pregtud1z1ale per gli studiosi: Come mai una civiltà calcolatrice, intesa al guadagno ed alla moneta, si sia buttata alla violenza e sia stata travolta nel più formidabile C:,n. Ritto armato che la Storia ricordi; come mai la freuesia della produzione i sia tramutata di colpo nel delirio della distruzione; come mai, insomma, accanto al I.J:ionfo dello spirito industriale si sia avuto, con palese fallimento delle previsioni spenceriane, lo sviluppo della mentalità guerriera e militarista. Questo problema, così formulato, ci spiega, anzi tutto, perchè molti fino al luglio 1914 non credessero alla possibilità stessa di una guerra europea, e ci spiega, anche, perchè questa abb'ia sorpreso coloro stessi che ne furono gli originari protagonisti ed altori. Ed esso si riflette anche adesso nelle .facili e fallaci costruzioni ideologiche di que- .gli storici che credono alla volontarietà e finalità di tutto ciò che avviene ne1 mondo, e che, parteudo da queste premesse, non riescono, naturalmente, a persuadersi perchè proprio quelle forze economiche che più dominano nella moderna civiltà industriale abbiano contribuito a scatenare una guerra, destinata, in ultima analisi, a demolirè o fiaccarne la potenza. Più ancora, questo problema e la mentalità che esso rispecchia si riflettono nelle stesse artificiose costruzioni pseudo-giuridiche dei trattati di pace, coi quali le Nazioni vincitrici, in cerca di un alibi morale alla loro compartecipazione nella immane tragedia, hanno volato addossare alla vinta Germania la colpa esclusiva di avere scatenata la guerra. Anticipiamo, se è lecito, il corso del tempo, vestiamoci, per un momento, della toga degli storici venturi, ed analizziamo, sia pure fugacemente, i termini di questo suggestivo ed interessante problema. Non sarà, forse, eenza qualche utiE tà per la nostra conoscenza dei tempi attuali e dell"essenz.a stessa della moderna civiltà industriale. * * * L'antinomia che sta in fondo a questo apparente paradosso deriva principalmente dal concetto tradizionale che noi abbiamo della economia. Questa ci richiama, infatti, senz'altro, alle idee di limite, di misura, di proporzione. La legge dell'economia, come sa chiunque conosca il sillabario della scienza, è quella del minimo mezzo, legge fondamentale secondo cui il dispendio di attività per raggiungere un dato scopo dovrebbe essere il minore possibile; qualche cosa, insomma, come la definizione della linea retta in geometria.· Ma, in realtà, anche questo nostro concetto tradizionale dell'economia, come tutti1 i concetti astratti,- non è altro che una pura costruzione ideologica. A presc'indere dalla dibattuta questione della validità delle cosidette leggi economiche, ed anche quella che il minimo mezzo è suscettibile di esame e di revisione, sta in fatto che la legge della vita, la Jegge cosmica non è affatto la stessa della legge fondamentale dell'eeonomfa. In altri termini, la legge del minimo mezzo non esiste ·nella Natura, ed a ben vedere non esiste nemmeno nella Storia. Se io volessi, per amore di concisio'ne ed espressività, racchiudere .la mia idea in una immagine incisiva, dovrei dire che il mondo non è stato creato da un Dio economo e calcolatore, ma da un Demiurgo prodigo e sprecone. La legge cosmica è, infatti, quella della dissipazione continua e senza scopo dell'energia, ciò che ba potuto indurre gli scienziati, sulla base del secondo principio della termodinamica, a formulare la nota legge della degradazione dell'energia o dell'eutropia, ed a prevedere la fine del cosmo per il livellamento uniforme- e l'abbassamento universale della temperatura. E questa legge cosmica suprema è anche la legge ·fondamentale della biologia e della storia. Anche in esse, infatti, vi è dispersione senza fine di energia, moltiplicazione perenne di genni e di tenlat1v1 111Lutte le direzioni, cd è soltanto auravcrso questo enorme dispendio di infinite possibilità, delle CJ utli solo una parte minin1a può rcaJizzarsi, che la creazione coDtinua riesce a vincere Ja tontinaa distruzione. Vi è, insoinrna, antinomia profonda lru le leggi del pensiero, da una parte, costruzioni razionali e prodotto dell'attività mentale ilell'individuo - dell'essere, cioè, per sua natura limitato - e ]'azione, dall'altra, delle grandi forze universali che, al di fuori di ogni coucetto di limite, di propor:r,ione (> di finalità, agiscono nella natura della vita, ,,,J. la storia. È soltanto con queste basi cou Bl• tuali che si può riuscire a superare l'antii~si tra il determinismo ed il volontarismo n,•/la storia, e sono sempre questi concetli cht ci permettono di valutare c1-i'Lican1ente e co1nprendere esattamente la portala reale della dottrina marxista, per esen1pio, come, del resto, di tutte le dottrine che tendono a ricostruire logicamente il processo della Storia. ,:,,:,* La civiltà industriale, affermatasi nell 'ultima metà del secolo passato, aveva fatto veramente dell'economia il suo ideale, il suo scopo stesso di vita. II materialismo, l 'individualismo, il socialismo sembravano concorrere n1tti a formare una concezione assolutamente edonisLic.a della vita, e l'homo oecononiicus parve, per un momento, il tipo espressivo dell'uomo degli ultimi anni del secolo decimonono. Ma l'industrialismo non tardò a mutare il suo primitivo carattere, ed a trascendere il suo stesso dato econoffi~co iniziale, obbedendo anch'esso a quell'impulso che spinge tutte le forme nuove di civiltà, come gli organismi giovani, a creare e distruggere senza scopo, per il solo piacere di creare o distruggere, per il solo bisogno di agire, insomma. L'istinto vitale, colla sua forza irrompente, abbatte con facilità i fragili schemi delle ideologie dottrinarie, e la potenza attiva dei grandi organis1ni collettivi non tarda a superare e trascendere i moventi limitati e le finalità ristrette degli individui. La civilltà industriale pervenne, così, ben presto ad alterare i rapporti fondamentali della sua stessa organizzazione economica, dando la prevalenza a quell'elemento che si presentava come il più capace di soddisfare il suo bisogno di creàzione continua e senza limiti, cioè la produzione. E la produzione venne intensificata sino all'inverosimile, si liberò dalla sua subordinazione al consumo, prevenne la domanda, creò essa stessa i bisogni per avere il modo di soddisfarli, dominò i mercati, traboccò come una marea travolgente, superando gli oceani e le barriere doganali, inondando il mondo dei suoi manufatti. E contemporaneamente si svolgeva e si acuiva fino alle estreme conseguenZ<' la tendenza caratteristica della civiltà industriale, l'aumento progressivo, la moltiplicazione continua, anzi, del capitale e degli impianti industriali. Già in questi due fenomeni possiamo riconoscere la presenza dell'istinto profondo della vita, che è azione continua e superamento costante; possiamo colpire, cioè, il momento in cui le 1eggi. economiche si eclissano per lasciare il campo libero alla grande legge cosmica. Il capitale è, infatti, la parte di ricchezza destinata a nuova produzione, è, per così dire, la cellula germinativa dell'organismo econo1nico, e se il risparmio, neJJa sua forn1a ordinaria, rappresenta già una rinunzia che l'individuo fa alla soddisfazione immediata dei suoi bisogni attuali per provvedere ai bisogni dell'avvenire, la moltiplicazione del capitale costituisce veramente un fenomeno analogo a quello che è negli organismi il prevalere del1a funzione generativa. È, insomma, il superamento dello scopo nell'individuo, la vita che si manifesta r'lme azione e creazione continua, ed il perpelua1e, diffondere ed intensificare la vita ed i suoi modi che si pone come il fine ullimo e come lo scopo fondamentale ed immanente dell'uomo e della società. La civiltà industriale, superando il suo dato iniziale econonùco, finì quindi per assurgcre hen prc&Lo a quello stato quasi ilion ia1acu cl.e earatteriz7.a tulle le civiltà gio• vani, stato vergine e primordiale di attività erl. energia esuheraoti in cui si risvegliano nat ,·1ln1cntc gli istinti originari di lotta, di violenza e di predominio. Quando, dunque, noi diciamo che negli ultimi anni del secolo passato l'economia prese iJ posto de!Ja politica, cruesto si deve intendere nel senso che il campo economico fu per la nascenlc civihà industriale quelJo in cui si manifesia• rono ed csploserc, gli istinti di lotta e la volontà di potenza dei popoli, delle razze e deJle nazioni. Chi uso col 1870 il periodo romantico delle lotte per la nazionalità, incomincia 1 a mauif estarsi la lotta per il predominio economico e l'economia sostanzia veramente di sè stessa la nuova politica, che si esplica, appunto, sotto Ja forma dehla real-politik, la politica degli interessi effettivi e concreti. Ma l'ingresso trionfale dell'economia nel campo delle competizioni internazionali potè avvenire soltanto a patto che essa rinunziasse .il suo carattere fondamentale, alla sua limitatezza ed alla sua rigida proporzionalità e finalità, rinunziasse in una parola ad essere economia per ridtusi al puro schema originario, al fatto prin1itivo in cui scopo ed azione si confondono, in cui non c'è più proporzione tra causa ed effetto, al di sopra del movente edonistico, al di là dello stesso egoismo. La legge economica del minimo mezzo scomparve, e prese il suo posto la legge cosmica della dissipazione dell'energia. E sembrò scomparire ed eclissarsi l'ultimo raggio della razionalità nel mondo. L'animale già sazio, che uccide e lascia intatta la preda, :;.~onagisce per fan1e, ma è una vera forza cosmica di distruzione cbe opera in lui. E l'animale che disputa colle unghie e coi denti un alimento ad altra belva più forte, e ue resta vinto ed ucciso, non obbedisce a nes• sun ragionamento logico, ma paga colla vita la conquista o la difesa di quell'alimento che avrebbe potuto, forse, procurarsi senza rischio e senza pericolo altrove. Fu, appunto, questo carattere di irrazionalità che si rivelò, sopra ogni altro, all'umanità attonita nel momento pa11roso in cui esplose improvvisamente la guerra. Parve, allora, veramente, l'annunzio di un flagello divino, il prologo di una nuova Apocalissi, l'inizio di una tragica ed w1iversale espiazione; 111a erano, invece, le forze cieche della Natura che si scatenavano sul mondo colla stesa formidabile violenza con c1ù, nell'equinozio cli primavera, la furia amorosa dell'istinto invade, soggioga e trascina le piante e gli animali. Ogni senso di utilità, di limite, di rapporto, di proporzione, di valore, vale a dire ogni nume dell'Olimpo economico e razionale scomparve. Scomparve la nozione stessa dello scopo, e rimase soltanto l'azione, l'atto non più proporzionato alle cause ed ai fini iniziali per cui le Nazioni erano state trascinate alla guerra. Nel luglio 1914 sembrò veramente che il principio cli causalità si eclissasse di colpo nei cieli della Sto1·ia, come una stella estinta che si spegne. E poichè lo spirito degli uomini prova dinanzi al crollo del principio di causalità quell'invincibile terror panico d.i. cui parla Schopenl1auer, sorsero, allo1·a, i ,niti cli guerra, deslinati ad illudere i popoli sulle ragioni per cui essi credevano di combaltere e di 1norire. Prima ancora che ci ~sassero a fo~giarli gli uffici di propagauèr~~½lJe varie Cancellerie e dei diversi Quartieri Generali, era l'Umanità stessa che li chiedeva a gran voce e se li costruiva; essa voleva nuovi idoli da porre sulle are delle deilà scou1parse, voleva popolare nuovamente il Tempio misterioso della sua coscienza che col suo vuoto tremendo la atterriva, voleva fabbricarsi nuove immagini capaci di mascherare ai suoi occhi il volto scheletrico ed il riso funereo della Dominatrice. Si ebbe, così, la guerra per la democrazia, per la difesa nazionale, per I 'irredentismo, per l 'integrilà delle piccole nazioni, per la santità dei trattati, per la libertà dei mari, la guerra per il posto al sole della Gennania, la crociata anti-zarista degli ltn~ peri centrali, la guerra dei cattolici contro i protestanti, dei cristiani contro gli infedeli..... E ancora, la guerra con1e rivoluzione, il trapasso dei mezzi di produzione agli operai, la terra ai contadini, la guerra, infine, corne purjfìrazione e palingenesi universale. Mai, invece, co01e nella gu_erra ultim.a ai rese evidente quella legge di fronia della Storia, in base a cui tutti gli scopi aingoli sembrano annegare nell'oceano sconfinato de1l 'uni versale, in cui misteriose reazioni chimiche elaborano dal profondo i risultati più imprevedibili e più inaspettati. E nel crepuscolo dei suoi miti all'occaso, la r!llerra si riveJa, oggi, veramente, alla nostra ~nima smagata e disillusa, come una tremenda ApocaJis1::isenza alcun Messia. E <lovrem.mo, adesso, tornare nuovamente al problema prospettato in principio di queste note. Ma, in verità, non c'è più problema; l'antinomia che covava nel suo fondo è già dileguata, e ]'opposizione tra economia e violenza è scomparsa colla postulazione di uno stato vergine e primorùiale di energia .es~berante, ':°)la pvelazione di una ciV1lta g10vane, aVJda ed impetuosa, che fece dell'economia il proprio campo d"azione. e che in questo stesso campo volle esercitare i suoj istinti di violenza e prepotenza. Una civiltà che per obbedire a questi istinti ,giunse fino a negare le sue stesse ideologie ed a distruggere il contenuto stesso di ciò che, pure apparentemente, formava l'oggetto della sua lotta; che volle, in un delirio cieco di superamento, oltrepassare ogni limite, negare ogni misura ed abbattere ogni legge, e che cadde, perciò, sotto la sanzione ferrea ed inevitabile del Fato giustiziere, precipitando nella catastrofe tragica e necessaria. Ed è dileguato, cosi, anche il presuppoato sottinteso del nostro problema, che consisteva nel considerare la guerra come un fatto di cui la nostra civiltà potesse avere avnto fin dall'inizio coscienza chi.ara e distinta, come un evento a cui essa sia discesa volontariamente, colla piena consapevolezza dei suoi moventi, dei suoi risultati finali, e colla possibilità di scegliere fra due alternative opposte. Col dissolversi dei suoi elementi contraddittori anche il problema da essi generato scompare, senz'altro, e svanisce nel mondo dell'irreale, come un fantasma al primo canto del gallo. Ma è questo, in fondo, il solo modo con cui si possa risolvere in ma .. niera sicura e definitiva qualunque problema, moslrando, cioè, eh 'esso, in realtà, non esiste. SALVATOltE VITALE. 11 n. 26 di Rivoluzione Liberale è stato sequestrato. Nei prossimi numeri: A. CAVALLI: Lassalle e l'Unità d'Italia. A. -;,fILCHER: Il problema del male. G. ANSALDO: America e Democrazia. IL BARETfl È uscito il n. 11 dedicato al teatro tedesco contemporaneo per cura di L. Vincenti. Contiene: Il Novecento - Wedekind. Strindberg • Stornheim . L'espressioni.,mo Goering - Tollcr - Unruh - Bronne1t - Brecht - Kaiser. , II Baretti è la sola zivista italiana che esamini con continuità e originalità il movimento letterario europeo. È la sola rivista letteraria dei giovani del dopo guerra. Pubblica soltanto articoli originali di scrittori italiani, francesi, tedeschi, inglesi, boemi, ecc. on è un'antologia nè una rivista di amena lettura, ma rappresenta un movimento di idee. È una integrazione necessaria di Rivoluzi.01te Liberale. Dal Baretti è già nata la collezione di « Scrittori del Baretti ». Preparano ed annunciano la letteratura di domani·.

bi I 110 LA RIVOLUZIONE LIBERALE Il Congresso Popolare Tra j congressi di quest'anno quello <lei popolari ci è sembrato il più importante. Si è visto a Roma un partito di masse, coi gregari in numero ridotto ma pronti al combattimento, dotato di una struttura omogenea in tutta Italia. La sleosa stampa di opposizione non vi attribuì il giusto rilievo e ne diede una visione scolorita e inadeguata. Ancora al congresso di Torino il partito aveva una composizione equivoca. Due annj di battaglia antifascista furono impostati quasi interamente sul coraggio e suJJa volontà di Don Sturzo e di Donati. Indiscutibilmente essi erano due solitari. Ora nei nomi di questi due assenti il quinto congresso ha trovato una parola <l'ordine. Che Luigi Sturzo sia un grande capo-partito, Rivoluzione Liberale fu lra i primi a mettere in luce. Donati poi, col Popolo, nn giornale che rompeva violentemeulc tulle le tradizioni del clericalismo moderalo, che adottava siste1ni polemici assolutamcnle moderni e spregiudicati, che accellava collaborazioni di eretici come di ortodossi, ha portato uno spirito nuovo nelle battaglie cattoliche, ha aperto gli occhi ai giovani, ha demolito idee e posizioni fatte, ha abituato le reclute <lei- ]' azione cattolica a un'atmosfera di democrazia moderna. Così il partito ha resistito a tutti gli attacchi; è diventato rm partito di molti giovani e di pochi preti, ha eliminato gli uomini del vecchio clericalismo; è sempre più indipendente dalla politica romana, è quale lo foggiano i ceti umili delle provincie. Oggi la classe dirigente di questa democrazia cristiana è composta di1 uomini dai trenta ai quarantacinque anni (la generazione che manca in tutti gli altri partiti): una generazione cresciuta agli studi e al realismo un po' grigio dell'Azione politica, ma costretta poi a ringiovanirsi e a prendere contatto con la cultura mod.,rna per la stessa necessità di dover resistere al fascismo e differènziarsi da ex-colleghi dello stampo di Egilberto Martire. Mentre le classi dirigenti dei partiti italiani sono costituite di settantenni o' di imberbi o di intellettuali, bisogna riconoscere che il partito di Don Sturzo ha degli uomini nnovi abituati a trattar reali: sticamente glii affari di amministrazione e d1 politica: almeno una cincr1antina ~i perso.ne come De Gasperi, Donati, Groncbi, Merlin, Piccioni, Marconcini, Gilardoni, Ferra_ri, Giordani, Mentasti, Ravaioli, Galati. Il qumto congresso è stato di giovani, intransigentemente a sinistra, e ha fatto a meno de' discorsi di Rodinò, di Longinotti, di Degni e di tutti gli altri della vecchia guardia. De Gasperi. Indiscutibilmente Alcide De Gasperi, che fu sino a pochi mesi fa soltanto un proconsole, è oggi un capo. Il congresso era nelle sue mani. Alto, magro, dritto, il collo più lungo e più solido per rmo di quei colletti alti e rigidi che sembrano dargli nn tono di distacco e di maggior dignità anche se non siano più di moda, gli occhi· vigili su tutto. Dal palcoscenico sorveglia' la tattica; as~olta tutti gli oratori, e ba cenni di approvaz10ne o di dissenso anche per i più umili che stancano l'assemblea: eppure si sente che frena l'impazienza, che non si bea di questa oratoria, che pensa al lavoro di' domani. C'è in lui un sino-olare equilibrio di misuratore. Ha voluto il congresso, egli solo: l'ha voluto per chiedere una conferma al suo lavoro: e avutala con gli applausi interminabili suscitati dalla sua relazione, egli è tutto preso dalle promesse che gli sembrano offerte per il proseguimento della battaglia. Se parve dnrànte certe discnssioni che fosse l'addomesticatore del congresso, che volesse imporre la sua responsabilità di capo anche agli oratori più er~tici, b~ogna pe~sare alla sua educazione anll-oratona. Perche De Gasperi, in un partito che presenta molti residui, di mentalità gesuitica, è l'uomo che sa avere dell'orgoglio. La sua bocca apert_a ad un sorriso amaro or di sdegno, or d1 d1sprezzo, or di polemica, è contin1:1a~ente pronta ali 'interruzione aspra,_ a~ nc~uamo energico. Si secca delle adulaz10m, dei complimenti, delle frasi in_ntili. No~ sa fing~r~ indulgenza, non ha bisogno di popolanta n1morosa e apprezza invece il consenso, l'opinione meditata di altri. Tnttavi~, abi~uato a decidere, non ha il gusto della d1scuss10ne. Anche in un discorso continuato, anche nel leggere una relazione, è freddo, incisivo_; non ottiene effetti di intensità ma d1 prec1sione, dando rilievo alle cose con un tono più attento, più calmo, più le~to, con la mezza voce. A Roma quando il congresso 1n.inacciasse di diventare un comizio, sapeva farsi arrogante, prevenire l'ottimo Degni, presidente massiccio e _imbam~olato, con scatti ·violenti, con una rigorosa intolleranza delle interruzioni. L'ho visto adirarsi - con l'ira deJl'uomo che non accetta di scherzare sull'avversario che importa combattere senza tregua - in un momento in cui il congress~ s'attardava in facili ironie sul duce. Non si concede riposi, non li concede: no_n ammette che non ai sia presi e dominati dalla 5m·ietà dell'azione. Da buon organizzatore preferisce l'amministrazione alla cultura e alla critica. Contro gli amici troppo lenti aa essere feroce; e fu gustoso vedere a Roma come parecchie volte egli stesse per cedere alla diabolica tentazione di fare i nomi ,J,,i pigri, <li quelli che non avevano risposto alle circolari della Direzione. Con la stessa austera intransige117;a incalzante con cui Lujgi Sturzo licenziò Tovini dal congresso di Torino. Si serve del suo temperamento angoloso per guadagnare in rapidità. La an>1 ultima relazione aveva una sola jdea centrale: tenere duro; egli lanciava le parole come colpi, senza scatti intemperanti, ma sostenendoli con un palese vigore interno. La sua eloquenza quasi cattiva e caparbia, impopolare, diventava poderosa al confronto della spensierata improvvisazione deJl'on. Tupirù. Dc Gasperi parla sempre preparalo, su appnnti, con le carte in tavola, e sa essere duro anche quando è diplomatico. La sera del 28 giugno, rispondendo alle osservazioni sulla relazione, improvvisò anche lui ma fu formidabile. Parlò, quasi eccitalo, a pcriodelli spezzati, nervosi. Si rivjde in lui la passione di rm aventinista, solo, rimasto al suo posto auche nel dubbio di non essere seguìto. Perchè in De Gasperi la capacità del sacrificio politico è illimitata; l'attitudine a persistere in una posizione impopolare è nutrita con la fierezza di resistenza appresa nelle lotte contro l'Austria. Egli doveva essere naturahnente tra i primi con Amendola, dopo il delitto Matteotti, a sentire la questione politica come una questione di scisma morale. Così il 26 gennaio 1918, dopo Caporetto, alla Commisione austriaca del bilancio, A. De Gasperi aveva fatto le sue dichiarazioni di incompatibilità: « Avvenga quello che vuole, noi sappiamo che con le nostre aspirazioni alla libertà ed alla possibilità di sviluppo democratico, navighiamo nella grande corrente mondiale, che qui e fuori di qui va ogni giorno progredendo"· Il fondo del pensiero di De Gasperi è cristiano e democratico, e sebbene in lui prevalga la lunga pratica sulla cultura, si avverte dietro certi suoi atteggiamenti aridi che egli non è indiffer,ente al fascino delle crrandi idee e che nasconde anche un sincero :more per lo spirito di ricerca. Talvolta poi come politico se ne vergogna, s 'infinge, come se venisse colto in fallo; ostenta lll1 settarismo quasi rude, si chiude nei suoi obblighi di partito. Ma allora questo chiudersi non è più grettezza, nè i·gnoranza. Se si vuol •andare oltre questa energia cinica di capo, capace di presentare egli stesso, per brevità, l'ordine del giorno di fiducia aJla sua opera, sdegnoso di qualunque ipocrisia d'assemblea, si trova un fondamentale carattere di bontà nascosta, di amoré caldo per i suoi umili coltivatori del Trentino che correva a difendere sotto l'Austria, durante la guerra, nei campi cli concentra• mento a costo di grave pe~icolo. Questa austerità e semplicità campagnuola sono alla base del realismo di De Gasperi: e perciò la sua politica rifugge dalle retoriche ideologie per intendere la democrazia nel &ignificato più originario, come lotta in difesa dei ceti più derelitti che non chiedono protezione ma giustizia e indipendenza e non vogliono umiliarsi a nessuna sopraffazione. Grone/ti e Merlin. Se De Gasperi, nato nell'81, preso dall'intensità nella politica militante sin dal 1911, quando fu per la prima volta deputato, è l'uomo d'oggi, tutti dicono che Gronchi sarà l'uomo di domani. In verità il giovane demo· cratico cristiano di Pontedera (1887) è d.i un'abilità diabolica. Povero professore sino al 1915; non vuol far politica, dice, nel periodo ·clerico moderato. È deputato a 32 anni; seqretario generale della Confederazione bianca~ sottosegretarjo ali 'industria ( ahimè con Mussolini) a 35; a 36 divide col decorativo Rodinò e con l'infaticabile Spataro la successione di Sturzo. È troppo abile: una vivacità toscana; w1a sicurezza oratoria di professore di lettere; accorgimentii tattici propri <li un ex-militante deJl'Azione cattolica. In un congresso di pratici e di faciloni abituati alla cultura di Bogg,iano-Pico e d;ll'on. Fino, Granchi sorprende e domina per l'agilità giovanile, per la modernità inquieta ed encilopedica. In un mondo che prende quasi Lutti i suoi Solo_ni da_l neotomismo, Granchi se~bra u?_a rive~az1~ne p~~ radossale, uno scopntore d1 nuoVl orizzonti. Non può non stupire tra i popolari la fresca eleganza con cui egli cita Sorel e Maurras, Croce e Bergson. L'astuzia d'i Gronchi è di avventurarsi in queste scorribande senza presunzione e senza p~~ant~ria c?aservandosi la sua fama di dialettico bnllanle. I suoi interessi tintellettuali poi non arrivano mai a compromettere i suoi propositi strategio'i. Per nno spirito spregiudicato è una fortuna incontrare a un congresso popolare un uomo come Gronchi. Nessun altro cattolico ha Ja sua finezza e agilità parigina, nè la sua devozione al pensiero moderno, nè il suo cullo per lo spirito d.i contraddizione, provvidenza e sale della nostra società. Senza il r,0ngresso di Torino )'on. Gronchì non sarebbe oggi molto diverso da Agostino Lan• zillo o da Franco Ciarlantini: l'abilità ha qu.esti limiti inesorabili; soltanto l'anHifascismo pote fare di un toscano inquieto e realizzatore un uomo supcrjore a sè stesso. Cosi l'avvocato Umberto Merlin, di due anni più vecchio di Gronchj, come lui recluta dell'Azione callolira ma di un cattolicismo pi u ortodossamcntc tradilJionalista, sollosegretario alle terre liberale per quasi rluc anni <li seguito, fu salvato per l'antifascismo <la] pericolo di abituar&i a cedere alle clientele dominanti della sua regione. È rimaslo intransigente, mentre solo poche set• Limane fa i suo-i ex-seguaci <l_j Lendinara ai sono adattali a un patto di pacificazione coi vincitori. L'aver tenuto fermo, in una situazione assoJuLamente anormale, mentre s~era costituita intorno a lui una rete di interessi importanti, quando Je sue doti di realizzato1·e si mostravano sempre più sollili, pro~ va neJla sua politica un fondo di generosità e di onestà che per troppi anni era sembrato nascosto sotto le aslnzie dcJJ'ammirùstratore. Merlin è meno versatile di Gronchi, ma più solido, con la pratica dei piccoli affari locali che ai riteneva indispensabile in altvi tempi per trattare con serietà di cose politiche. La sua oratorja è leggermente enfatica e monotona; si nota in lui una chiarezza ordinata; i larghi occhiali mostrano il viso più allento e pacalo, sereno pur se talvolta sfuggente; il suo semplice sorriso dissimuJa la sicurezza de]]'uomo abilissimo. Ferrari. L'uomo nuovo del congresso fn l'avvocato Francesco Lui~ Ferrari, modenese, c4 36 anni, vecchio amico di Miglioli, ora una specie di rivoluzionario liberale popolare. Non si direbbe che sia stato presidente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana. È un dialettico audace, nutrito di cultura storica e di razionalismo, disposto a non rifiutare alcuna conseguenza delle sue premesse democratiche. Fu l'anti-Martini e si spinse sino a impo• stare rigorosissimamente ]a questione istituzionale ad lm congresso attento e non disseziente: sintomo importantissimo dello stato di spirito radicale delle masse cattoliche. Ferrari non esitò a dichiarare che le libertà non si riconquistano, che il problema non è di restaurare lo Statuto, che si tratta di mettere le basi per l'avvenire non prossimo di quel governo democratico, di quell'autonomia di popolo che non abbiamo mai avuto in Italia. Ebbene persino tra i popolari vi sono ormai dei giovani capaci di intendere queste proposizioni, anche se esposte in un.a forma austera e scientifica, senza piacevolezze or3.torie, e senza conforto di facili illusioni. Il congresso s'indispettì soltanto quando il nostro amico disse chiaramente che si tratta di lavorare per i nipoti! Pare che l'ottimismo per dei buoni cattolici debba essere quasi un argomento di fede ..... Ma Ferrari fu anche più deciso e inesorabile: pose senz'altro il problema fondamentale del partilo. O lo si risolve o il partito non supererà mai il suo intimo equivoco. Le democrazie cristiane devono essere accanto alle democrazie socialiste. La piccola borghesia e il pfoletariato popolare devono essere a fianco del proletariato socialista neJla rivoluzione che darà una nuova coscienza all'Italia di domani. Effettivamente i popolari devono guardarsi per l'avvenire da un solo pericolo: che in essi riprenda vigore l'odio per il socialismo. Sarebbe la vittoria definitiva della reazione e del filisteismo piccolo-borghese. Queste verità audaci anln1avano il congresso con seduzioni iinpreviste: Antonino Anile sembrava essersi messa in testa, come un punto d'onore giovanile, l'idea di non lasciarsi scandalizzare neanche da un 'eresia; l'arguta barbetta piemontese di S. E. Bertone rin1aneva impenitenlemente ironica, e soltanto l'impenetrabile maschera sorniona di Longinotti nascondeva a stento un tono di sdegno, mentre Mangano, il più simpatico della vecchia guardia, non si curava cli frenare ]e più clamorose esclamazioni di consenso, confortandole con l'elogio della costitnzione di Weimar. p. g. SAL VEMINI Abbiamo <Lvutoper Gaeta,10 Salvemini dall'ltolia e dlill'estero un plebiscito. Abbiamo diranwto ai quotidiani alcuue delle migliaia di fi.rme degli aderenti all'indiri=zo di simpatia cla noi pubblicato. Ora ripor• thrmo poche lettere tra le infinite che rice·vemmo. Napoli, 13 giugno 1925. Ho sempre avuto, ed ho, a titolo di singolare onore la fraterna amicizia di Gaetano Salvemini, mio ospite in Basilicata e qui in Napoli, ognorn concord~ nel cullo della virtù e nella devozione alla patria. Ed oggi più che mai a lui invio, pubblicamente, il fervido saluto del commosso mio animo, fatto di slima e di affetto, immutabili. G1usnNo FonTUNATO. L'ODIO ONESTO CONTRO SALVEMINI Contro Gaetano Salvemjni esi$,te un odio di parte,. fondato &vJ ~istema degli intereet!i materiali ehe ctanno a fondo deJle battaglie pc-,litiche di tutti i tempi e di tut6 i Jnoghj~ e trova modo di manife• lJLan.i cc-,ipiù diversi mezzi; ma esiste, pure, nn odio fiancheggiatore che Fi può qualificare one;to. Vi sono in realtà de1le persone convinte di un SaJvemini fSLaveminiJ ebbro di furore anti-italiano, reo di avere efficacement.t: ostacolato j] raggjnngimento dei fini nazionali delJa vittoria e di avere ofies'J, per non ~'> cruaJi malvagi inLenti, e, neJla ipotesi più be• nigna, &otto jJ .1-ugge~todi una mentalità dem.agtJgica, l'Italia e gJi llali.:mi. Coar.1ro hannr, 1.;onservaw, oggj, lo ,pirit.o dellapolemica Jntrans-igent.e di guerra e non vedono u non bestiali nemjei dove e&istono leali e forti avver- ~ari che po.1-':<,,noavere errato n,;i lorQ giudizi od e'.".ageral<Jnei loro atteggiamenti f CfJme posr;ono anche avere indovinat<J dove ci a:iamo sbagliati noiJ ma debbono venire •ottralti aUa sopraffazione della forza lirota, comunque ammantata di prelete legali. A cm,tùrtJ p,j può, foroe, utilmente chiedere "'e e-O· nr.;<-cono ben,:; il professor Salvemini; se hanno ~- guìto la &ua opera di i-torico, di pohblici.&ta, di ~tnilioE.o dei problemi della scuola, e &e ~anno che da oltre trent'anni quegt'uomo è sulla breccia: per l'ele• vazione del &uo Mezzogiorno; per la redenzione delle plebi; per l'alJargamento generale della coltura, af. frontando le questioni più cùmple&se di politica economica ,! finanziaria; agitatore appasgionato, se an• che non di rado eccessivo~ d.i idee e di argQmenti che non si prestano alle impron;sazioni piazzaiole ed alle soluzioni superficiali. Salvemini può irritare, suscitare antipatie clpaci di sospingere, nei momenti della lotta febbrile, sino alla violenza, ma, appena si riacquista l'usQ della ragione, con quale equità si disconosce che al proprio paese eg.lì ha dato e dà, qualunque s.ieno i dissensi che da lui ci dividono, ed alcuni suoi torti, ~ senzialmente formali (homo sum ... J, lustro ed onore? Colpito da una sventnra senza nome, egli è rimasto a combattere, per le me convinzioni, qtia.Ei ad ap• parire, pei più sentimentali, un insensibile, e molti• plicando nell'aspra sincerità dell'azione, le schiere degli oppositori, ha sempre dimostrato di preferire al successo individuale il trionfo di on pensiero o di una causa. Siamo alla vigilia dell'intervento: non lo ricorda Giovanni Gentile, con me e con altri al Caffè Pie• Lroman.i di Pisa, fiamma di un mo.,.;mento che lo indicava alle ire di chi, probabilmente~ adesso lo bat~ tezza antinazionale e traditore? Egli è continuamente in piedi durante il periodo della guerra, con opinioni discordanti o no dalle no• stre, roa chiare, aperte, animate dalla sostanza di nna concezione delle necessità dell'ora e dei rapporti da crearsi fra i popoli, su cni non si è pronunciata rnltima decisiva parola. Alla Camera del 1919, quella che a me è sembrata la Camera (< infernale >l, si è aggregato al gruppo del rinnovamento, inorganico, scarso di fortuna, ma sollecitato, nei più consapevoli dei suoi aderenti, da propositi di resistenza alle folli infatuazioni del giorno, e di difesa delle ragioni della << vittoria dei caduti », non della futura vittoria dei profittatori. Irrequieto, lascia il « rinnovamento »; è travoho anche lui dalla incertezza del tempo, e, poichè non ha abilità tattica, esce dall'esperimenlo parlamentare assai isolato, colla fama, meritala. di pessimo politico. Salvemini è, in realtà, sprovristo quale attore cii C< senso politico », mentre, storico ed osservatore acutissimo, ha sotto questo aspetto delle doti politiche di primo ordine. Il fascismo lo trova risoluto antifascista, ma egli. nonoslante la inclinazione caustica e mordace dell'in• telletto. sa imporsi - quando motivi superiori lo richiedono - tale nna disciplina che andando in Inghilterra (1923) a tenere una serie di conferenze sul nostro risorgimento, mentre parla con nobile fer- \ ore di patriota, non si diparte mai da una condotta severissima: (( accademica », destituita di insinuazioni e di punte settarie. Una signorina italiana, insegnante all'Università di Birmingbam, riferendomi su questo corso di lezioni che stupì i,er la correttezza dell'inglese imparato dal Sakemini in un anno, roi magnificava l'impressione ed il rispetto del pubblico britannico - che oggi mal capirà il processo di Firenze - per raustero professore italiano. &li « odiatori onesti » di Gaetano Salvemini devono abbandonare il loro odio o la loro onestà: anch'io mi sono arrabbiato contro di lui, quando più accesa era la mischia, e anch ·io, non è da escludersi che abbia sorriso udendo nella frase sarcastica <li Michelangelo Billia il giochetto del Salvemini diventato Slavemini; oggi confido che si sappia vedere la nobiltà delfo sua opera. ADOLFO ZERBOCLIO. PIERO GOBETTI - Editore Torino - Via XX Settembre, 60 CARLO AVARNA DI GUALTIERI IL FASCISMO 250 pagine - L. 10. Indice: Premessa. - Cap. I: L'equivoco• 11: L'ideologia - Hl: La Milizia - IV: Le Corporazioni sindaci.lii . V: La Riforma costituzionale • Conclusione . Appendice: Circa le recenti indiscrezioni della Riforma costituzionale. Il libro di Avarna è sopratutto uno studio documentato. Sulle corpora=ioni sindacali e sulla riforma. cost.ituzionale specialmente egli offre delle conclu.- sioni originali. È la prima volta che questi due laci del fascismo vengono studiati a fondo. L' Avarna prescinde dai concetti e dalle polemiche più noti. Egli studia specialmente l'opera del fascismo al potere con larghezza di informazione e incalzant~ obbiettività.

Introduzione alRisorgimento L'economia nazionale esce dal Medioevo anoora medioevale. I Comuni e le repubbliche marinare sono episodì che hanno fine in loro stessi. Non esprimono attraverso il loro essere una elaborazione dai limiti vasti, un igiuoco di forze che vada al di là dei confìni. Si esauriscono nel loro medesimo campo. La funzione d'importanza nazionale alla quale essi inconsciamente adempiono sotto lo sguardo vigile della Chiesa è quella di impeclire nei limiti del possibile le invasioni degli stranieri. Al di fuori di ciò ogni specifica influenza viene a mancare. Le classi dirigenti, il sentimento patriottico nel popolo, tutto quanto di moderno insomma vien creato dalla loro esistenza non assUJDe perciò valore generale, non esercita verun influsso. Resta caso oircoscrillo avente segnato in questa caratteristica il proprio destino. Col tempo tutto sarà spazzato e livellato. Nei contrasti bisogna che un termine equivalga pres- •'a poco all'altro per poter sopravvivere. L'eresia trova cosi una Italia medioevale completamente, una Italia senza grandii masse accomunate da interessi comuni e da conseguenti con1uni ideali. Onde non riesce a scuoterla. Torna interessante a questo proposito notare come nel nostro paese il massimo prodotto della ribellione individuale ci dà l'eretico non il riformatore. È la deficienza di tutto il Rinascimento che forma l 'indiv.iduo e non crea l'uomo, sviluppa il mondo della scienza e trascura il mondo della storia. I motivi polemici dei nostri più celebri eresiarchi restano motivi sentimentali spazianti nei campi del lirismo e della metafìsica. Le esigenze storiche generatrici dei nuovi miti restano ignorate fin quasi ad oggi. La Controriforma perciò deve intendersi quale fenomeno pui-amente italiano di ritorno "deciso al medioevo di fronte al formarsi delle varie nazioni moderne. Esprime la sola possibilità del nostro popolo. Dinanzi all'eresia dei singoli la forza che proviene dal sentirsi strumento di una fede trascendente resta sempre dalla parte del cattolicismo. Nel duello, putacaso, tra Galileo e l'Inquisizione la più logica e la più forte è quest'ultima. L'Italia resta, dunque, con ciò tagliata nettamente fuori dai tempi moderni. Menlre altrove alle rivoluzioni religiose si susseguono quelle politiche consacrando il principio dell'autonomia in qnelJo della sovranità parlamentare e il capitalismo nasce e le macchine si diffondono e le navi salpano verso i più lontani porti alla conqnista di colonie sconosciute, il popolo italiano resta supino, borioso delle glorie passate. I tentativi di liberazione e di elaborazione di una nuova vita restano per questo circoscritti nell'ambito della filosofia e del generale. Bruno, Campanella, Vico, ecc., sono in senso storico reazioni, non capovolgimenti. Qualcuno vuole essere il compromesso tra il vecchio e il nuovo, sempre mantenendosi in questa linea assolutamente metafisico. Nasce il riformismo, espressione dei mali della razza, sotto l'apparenza di UD modernismo inesisteute. Nel settecento i patrioti non sanno fare altro che chiedere pel popolo riforme al cuore paterno dei Re. Resta assente il senso del divenire come processo del basso verso l'alto, come elaborazione continua di nuove classi dirigenti, uscenti dal popolo. In queste condizioni quindi, un vero Riso:rgimento, un Risorgi1Dento inteso come volontà di vita europea rimane un ,nito, una utopia. Mancano le masse, le sole forze capaci di seri movimenti per una ripresa moderna. Nel miracolismo e nell'iniziativa altrui crederanno sempre anche le generazioni dei giovani. Si spera dapprima in Napoleone. Si punta su ipotesi _sentimentali che il paù elementare realismo avrebbe smantellato. Non viene avvertita la impossibiliità di una Italia uni_ta a fia?c" della Francia nè la immancabile transJtor-ietà delle formazioni napoleoniche. E le selezioni cominciano ad avvenire. Questa è la tragedra dei primi patrioti italiani: sperare, sperare ardentemente, intensamente negli altri senza contare esclusivamente in sè. Vedere, in conseguenza, crolla1·e tutto. Dare, come conclusione, in colpi di testa inutili. Se moti avvengono questi Ji hanno rifatt~ nell'inizio solo per ,il disagio delle classi dirigenti. Le sommo_sse '.1el '14- in Mil~no ne aono chiara prova. E uti 1 le fissare il discorso su questo episodio che ~uò _dare nella sua natura il tono della vita ,tabana del tempo. La situazione creata dalla reggenza di Euuenio Beauharnais al tempo si può capire ;eosando alla situazione di celi abbienti spouliati dei diritti tradizionali e a quella del Re ondeggiante tra la for~uoa personale e la devozione al cognato pencolante. In queste circostanze i 'gruppi spodestati simpati_zzano naturalmente per l'Austria, cercano d1 gu~- da uoarsi il favore popolare sfruttando al unica molla capace di suscitamenti ---:--avomalcontento per la situazi'one economica. - cano a sè le idee nuove. Sorse per la prima volta sotto la guida di un patriota tanto s!1'· cero quanto poco lungi':°irante: F_ederico Confalonieri. TI Partito Liberale Italiano. È una ironia atroce. Il liberalismo che avreb])e dovuto essere, se altro fosse stato il ritm~ dei tempi, frutto dell'iniziativa popolare, si LA RIVOLUZIONE LIBERALE a favo re di quelle classi contro le quali è natoralmente chiamato. Non adempie per questo, ad alcuna funzione di rinnovamento. Serve a rimettere sul piedestallo onicamente i suoi fautori. Mancando, quindi, la possibilità di una azione autonoma di popolo <l.iretla alla creazione di ordinamenti nei quali essa potesse trovare affermazione, sviluppo e garanzia, è chiaro che l'unità e il Risorgimento restano affidati alle contingenze e all'avventura. Alla necessità dell'equilibrio europeo che non consente una lLaHa scissa e discorde e alla sagace lucidità cl.i uomini coconcretizza come conservatorjamo, si forma mc Cavour, capaci di dominare le disparità renza sopprmier!e o corromperle: dirigendole anzi per le vie nati;rali all'identico fine. Ma esso Risorgimento avrà - come ha - i suoi risultati nell'unità geografica. Posta questa condizione - indispensabile per la formazione di minoranze d'avanguardia e cli masse lavoratrici - ,la allora il popolo italiano, passato per esperienze <lecjsive senza esserne ancora lontano, ha cercato in esse sino ad oggi invano la forza del proprio riscatto morale. CAJ<MEJ.-0 PUCLIONJSJ. Seaecenfo Controenciclopedia preventiva Se sono vere le promesse esposte sin qui, anche i] Piemonte ci vuol cl.are un esempjo, assai1 guardingo e non disposto alle eslrcme antitesi del settecentesco dissidio tra scienza e fede, critica e dogma, tolleranza e fanatismo, liberalismo e clericalismo. La lotta contro la Chiesa è condotta dalle eresie intellettuali laiche, ma q neste, nella tendenza alla rifonna, trovano il limite nei principi a cui si devono alleare, i quali si fermano alle riforme e sono interessati all'indipendenza solo per un 'arte di governo e per una esigenza tirannica. Così son dal '700 si delinea l'equivoco della nostra rivoluzione nazionale. Il liberalismo non può identificarsi con la democrazia per la manca la preparazione religiosa. L'iniziativa liberale spetta ai goverlll, i soli che abbiano attitudini a mobilitare le forze necessarie per il trionfo delle idee pensate in solitudine dalle nuove aristocrazie laiche. Il popolo (cattolico) rimane estraneo perchè la Chiesa s-l è alleata coll'assolutismo e tutti i tentativi cli democrazia cristiana falliscono. La conciliazione neo-guelfa tra liberalismo e democrazia sarebbe un anacronismo e segnerebbe una rinuncia della coscienza laica. Bisogna attendere il movimento socialista per parlare cli rivoluzione reJ.igiosa integrale in Italia. Intanto nel '700 è logico che le due cause, conservazione politica antiliberale e conservazione iideale anti-illwninistica, appaiano identiche alla Chiesa. In Piemonte contro i timidi tentativi di libero pensiero e contro gli atteggiamenti laici del sovrano la cultura cattolica fa il suo esame di coscienza, si or~ ganizza secondo le sue tendenze clericali, combatte l'eresia con armi filosofiche e si sforza col più eclettico dei sistemi di goadagoare la ragione alla causa della fede. Abbiamo la controenciclopedia preventiva. Dal punto di vista delle classi politiche possiamo dare questa diagnosi del fenomeno: ,il re mira all'indipendenza e si trova a lottare contro il feudalismo nobile ed ecclesiastico. La nuova élite che g1i è indispensabile per questa politica si recluta nel modo seguente: 1) una minoranza dell'aristocrazia che abbandona la soJ.idarietà di classe o per devozione tradizionale al sovrano o per istinto politico o per simpatia all'illuminismo; 2) i nuovi dirigenti del ceto umile (non ancora borghese) che si sta elevando. Queste minoranze intellettuali nel secolo seguente prenderanno la mano alla grettezza dei re e continueranno la rivoJ.uzione per conto proprio. La loro tendenza precisa, non sempre fortunata, è di appoggiarsi sulle masse. Le vecchie classi nobili ed ecclesiastiche rimangono sole a difendere le posizioni passate e i privileg;i di sovranità particolare. Nel cardinale Sigismondo Gerdil ( di Samoens, in Savoia) il quale nella sua lunga vita giunse assai vicino al pontificato propri onegli anni in cui la Chiesa doveva far appello a tutte le sue risorse per contrastare la rivoluzione francese, possiamo vedere un esempio di stile e di cultm·a ecclesiastica perfettamente retriva. Intorno al Gerdil si raccoglie tutto l'ortodossismo non soltanto piemontese, ma addirittura europeo. Il motto è: Malebranche coulro Rousseau. Per il metodo ritorna a Cartesio opposto a Locke, benchè anche il suo cartesiauisrno sia assai guardingo. Si direbbe che egli ne accetti le qualità conservatrici e staLiche, come la filosofia dell'identità che deriva da fondar l'evidenza sulla percezione chiara e distinta. Dove Cartesio si avventura tra i presupposti del razionalismo, Gerdil si appigl-ia ai rimedi più ortodossi dell'eclettismo. La tradizione è accettala nel suo valore conservativo. Le vere astuzie istintive di Gerdil si possono scorgere nell'indirizzo della sua polemica pratica. Nella sua intransigenza inesorabile egli m.ostra nn tatto singolare. Da buon teologo non disprezza la filosofia, purché si tratti di una filosofia addomesticata e.-non immodesta. La ragione ha i suoi meriti anche nei retrni della teocrazia se serve a convincere del vero quelli ehe non hanno Cede e ad avviare i filosofi alJe imprese apologetiche. La speculazione insomma sarebbe un mcz7,o di controlJo non un mezz-0 di scoperta. L'amore per la verità nel buon teologo è tutto amore per le verità fatte. Le preoccupazioni di chiarezza prevalgono sopra la profondità. L'ottimismo e la fiducia di Gerdil escludono le avventure e concludono nell'addormentare i popoli sulle verità rive, late e sulle autorità costituite. Niente misticismo, niente sentimento o entusiasmo; nienLe cristianesimo; ma quieto cattolicismo, un'arte del governo delle menti e delJe volontà; un culto raffinato e lungimirante dei risultati pratici. Non più santi; la religione ha bisogno di diplomatici. Il cardinale ~erdil non si compiace di parole grosse e di professioni di fede intransigente; pur di restare fermo nelle questioni di sostanza egli non è alieno dall'ostentare un cristiano aspetto di tolleranza e di conciliazione. La libertà di pensare, egli concede cordialmente, non è già esclusa, ma rego1.ata dalla religione. Considerate la debolezza del nostro intelletto! Esso ci pnò far conoscere il soggetto e il predicato: ma come affermare o negare se non c'è un criterio cli fede, o diciamo pure rm'autorjtà superiore? Ed ecco che la vera libertà non è licenza, non esclude l'autorità. Ai·gollientazione garbata ( cui soltanto lo spirito del libero esame e delle democrazie saprebbe adeguatamente rispondere) che vedemmo ripetersi in tatti i savi e paterni governi dei padroni. , La scienza progredisce solo nella reverenza alla religione: con la presuntuosa manìa di tutto sapere progredfrà un 'impaziente cultura non la scienza. Bisogna sapersi fermare al momento giusto, tener sospeso il giudizio: la morale del buon cattolJico si può fondare sulJo spirito della moderazione. Contro Locke e Rousseau si tratta di opporré appunto la tradizione e questo abito mentale di fìducia. Pe1·ciò Gerdil non scrive una critica, ma una introduzione allo studio della religione; anche i filosofi antichi sono studia ti secondo la loro volontà di giu~gere al pensiero di Dio mediante la ragione. Ma specialmente nell'Anti Emile si vede il carattere essenziale della filosofia di GercliJ,, intesa come filosofia e pedagogia del perfello suddito. Bisogna combattere Rousseau. pèr sostituirgU un pensiero confor111e alla· pace delle famiglie, alla tranquillità degli Stati, al vantaggio dell'umanità. L'ordine costituito è una 11ecessità e l'obbedire è cosa giusta davanti a Dio. Meglio delle teorie vale per Gerc1il il bnon senso; ma noi sappiarno bene che il bw_,n senso non è che l'istinLo del re;zionario ,, la difesa del conservatore. Il cardinale non si nasconde che il cattolicismo finisce per coincidere coll'utilità; e fonda lil diritto della società verso i sudditi sulla stessa base dell'ubbidienza richiesta ai figli verso i padri. La società è implicita nell'idea di Provvidenza. Nel concetto di uomo c'è lil concetto di suddito. Risullati di buon senso, senoncbè qui l'opporli a Rousseau non è senza un significato tendenzioso. Alla stessa constata ·,ione di un dominante sentimento retrivo giwigeremrno se riguardassimo i limi lii della ctùtura di Gerdil: base umanistica per fondare un edificio rigidamente teologico; nessuna larghezza di informazione moderna ed e1uopea; aridità scientifica; e persino in quel suo pacalo e pedantesco tono ragionatore un ossequio scolastico al fatto compiuto. Con siffatti modelli ed educatori (a indicare l'autorità del Gerdli.l valga il fatto che egli non fu solQ,aprofessore di Università ma ancora maestro di Carlo Emanuele IV) lo spirito di iniziativa s'i doveva addormentare in Italia per lasciar posto all'acq1ùescenza degli schiavi. Le classi nobili ebberoil loro esortatore alla cattolica moderazione nel conte Benvenuto Robbio di San Raffaele da Chieri, allievo del Gerdil, poeta, uomo pio, nemico fierissimo di Voltaire contro cil quale scrisse le Lettere del dottore Trinlevo. Nel Robbio ci sono le 111 preoccupazioni del cort.J.gtano, che ricerca per dilettantismo le più varie cognizioni, dalla mo.sica alla poesia di Camoens e ili Pope. È singolare il suo interesse per la stoda. Tuttavia egJi ci appare misoneista come i coni.cm poranei jn quei suoi curiosj sr-ritti antifemministi} e nelle sue preoccupazioni di educare ; nohi]j_ Educaz~cT!e disinleressata, ossia da pcrdig:io;:-;10 (senza un jnteresse centrale); viaggi di piacere; c--.:,!torlella gentilezza e dell'onestà. Jn quanto alla religione: "La esatta idea della Religione consiste nel non aggfongere, nè togliere nemmanco un apice ai misteri e ai precetti ch'elJa ci ·impone di credere e d'osservare: nel non confondere ciò che è mera opinione e cade in contesa, con ciò che r, infallibile e non disputabile». Coo questa esigenza di ortodossi.smo non ci stupiremo che il nostro conte finisse per appartarsi modestamente daUe preoccupazioni stata]i e nazionali, e con ]a rjvoluzione francese dinanzi agli o~ chi, continuasse ad osservare provioòalmente che la divisione d'Italia in vari Governi cospirava a dare sple·ndore alle metropoli. In nn 'Europa tutta liberale clericalismo e fenclalismo sognavano un'Italia sotto tutela, dodle alle num.erose corti, sottomessa al parroco e alla buona morale. p. g. I Cattolici contro le società segrete Nella prima metà del secolo XIX con saggi anonimi (e ne ho sottomano uno edito con licenza delli superiori in Torino nel 1851) la Chiesa iniziava la lotta contro socialismo e massoneria continuando quella contro il protestantesimo, il razionaliemo, kantiano e hegeliano. I nomi di socialismo e di comunismo avevano comjnciato soltanto da nn anno o poco più a correre sulle bocche degli itaLiani: come si vede la lotta fo serrata in sul nascere! L'origine delle sètte segrete si confonde con l'origine del cristianesimo stesso, in contrasto alle comunità degli eretici: mentre le prime eran fondate sul principio cristiano della rinunzia, ]e altre erano per contrasto basate sul principio sociale della comunità dei beni, dei corpi, degli spiriti per una lotta contro il principio cristiano che esse consideravano come assente e distruttore della vita sociale. Altrettanto può dirsi per le istituzioni monastiche, che in seguito si sparsero in tutto i] mondo, vere forme di comunismo religioso, in seno alla società stessa basate sul principio di ripudio della medesima. Le sètte o comunità a spirito laico informarono sempre la lotta loro non nello spirito di rinn.ncia, ma di quello rivo]utivo per una palingenesi sociale e per w1 assetto futuro della società stessa; ed eh• bero qnindi solo in parte tendenze religiose o mi• sticbe, non prendendo mai (nol potevano) a base della rigeneq1zione dell'umanità una nuova religione, ma utopie sociali e politiche. Fu per questo che esse fiorirono nel periodo moderno e in ispecial modo seguitando i dettami del protestantesimo, del filosofismo francese, e del razionalismo e deJl·idea]ismo tedesco. Esse non eran che l'applicazione pratica delle dottrine filosofiche nate intorno e dopo la rivoluzione francese; e poichè col razionalismo e l'idealismo kantiano ed hegeliano ponevasi una nuova base filosofica e scientifica allo spirito umano, era necessario che es~a si concretasse in forme di vivere sociale e politico. Esse ponevano fieramente il nuovo dogma della coscienza libera, della ragione e della critica religiosa e filosofica. Le sètte segrete demagogiche si distinguevano dal cattolicismo per assumere tre aspetti fin dalla loro origine, sotto i quali le sètle furono ed operarono in tre diversi stadì di loro e~i:..tenza; << nel primo tempo furono considerate consen atrici di dottrine ·anticristiane e antisociali, e organate spesso a modo di occnlLe congiure contro h religione e gli ordini politici». Talchè il Condorcet (Esquisse sur les progr. de l'ésprit hum.) riguarda la rivoluzione francese come nn trionfo da quelle prepar:ito e lung::irne-nte aspettato. « La seconda epoca fu quella in cui, considerate come attive propagatrici di dottrine d'apostasia e di ribe]lione, riuscirono a conseguire, col favore delle circostanze, un'influenzn occulta sopra l'opinione pubblica e la politica organizzandosi con maggior estensione e riunendo l'azione di consorterie diverse di indole e di forma, ma di analogo scopo. La terza fu quella in cui crese.iute di numero, di forze e di ardire, poterono, senza pregiudizio della loro incolumità, formulare un piano di rifacimento del mondo sociale e morale. e fondare come uno stato negli stati singoli, una nazione cosmopolitica avente un governo proprio, unitario o federativo, e mezzi per dominare l'opinione pubtlica, paralizzare l'azione contraria dei poteri socaili o farla conver• gere ai proprì fori, formando non più solo una me• schina consorteria, ma come un nocciolo di società novella sotto le fondamenta degli ordini sociali esiSlenti )). Tale è il giudizio della Chiesa in allora sulle società segrete f occorre aggiungere che esse presero poscia a rivendicare il principio di nazionalità e incitando alla libertà e indipendenza i popoli oppressi le fecero a gran parte dei medesimi conseguire: talchè gli stessi principì, anche se contorti e soffocati, furono il germe delle rivendicazioni ultime della guerra odierna. Tentarono anche inutilmente di

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