La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 27 - 5 luglio 1925

bi I 110 LA RIVOLUZIONE LIBERALE Il Congresso Popolare Tra j congressi di quest'anno quello <lei popolari ci è sembrato il più importante. Si è visto a Roma un partito di masse, coi gregari in numero ridotto ma pronti al combattimento, dotato di una struttura omogenea in tutta Italia. La sleosa stampa di opposizione non vi attribuì il giusto rilievo e ne diede una visione scolorita e inadeguata. Ancora al congresso di Torino il partito aveva una composizione equivoca. Due annj di battaglia antifascista furono impostati quasi interamente sul coraggio e suJJa volontà di Don Sturzo e di Donati. Indiscutibilmente essi erano due solitari. Ora nei nomi di questi due assenti il quinto congresso ha trovato una parola <l'ordine. Che Luigi Sturzo sia un grande capo-partito, Rivoluzione Liberale fu lra i primi a mettere in luce. Donati poi, col Popolo, nn giornale che rompeva violentemeulc tulle le tradizioni del clericalismo moderalo, che adottava siste1ni polemici assolutamcnle moderni e spregiudicati, che accellava collaborazioni di eretici come di ortodossi, ha portato uno spirito nuovo nelle battaglie cattoliche, ha aperto gli occhi ai giovani, ha demolito idee e posizioni fatte, ha abituato le reclute <lei- ]' azione cattolica a un'atmosfera di democrazia moderna. Così il partito ha resistito a tutti gli attacchi; è diventato rm partito di molti giovani e di pochi preti, ha eliminato gli uomini del vecchio clericalismo; è sempre più indipendente dalla politica romana, è quale lo foggiano i ceti umili delle provincie. Oggi la classe dirigente di questa democrazia cristiana è composta di1 uomini dai trenta ai quarantacinque anni (la generazione che manca in tutti gli altri partiti): una generazione cresciuta agli studi e al realismo un po' grigio dell'Azione politica, ma costretta poi a ringiovanirsi e a prendere contatto con la cultura mod.,rna per la stessa necessità di dover resistere al fascismo e differènziarsi da ex-colleghi dello stampo di Egilberto Martire. Mentre le classi dirigenti dei partiti italiani sono costituite di settantenni o' di imberbi o di intellettuali, bisogna riconoscere che il partito di Don Sturzo ha degli uomini nnovi abituati a trattar reali: sticamente glii affari di amministrazione e d1 politica: almeno una cincr1antina ~i perso.ne come De Gasperi, Donati, Groncbi, Merlin, Piccioni, Marconcini, Gilardoni, Ferra_ri, Giordani, Mentasti, Ravaioli, Galati. Il qumto congresso è stato di giovani, intransigentemente a sinistra, e ha fatto a meno de' discorsi di Rodinò, di Longinotti, di Degni e di tutti gli altri della vecchia guardia. De Gasperi. Indiscutibilmente Alcide De Gasperi, che fu sino a pochi mesi fa soltanto un proconsole, è oggi un capo. Il congresso era nelle sue mani. Alto, magro, dritto, il collo più lungo e più solido per rmo di quei colletti alti e rigidi che sembrano dargli nn tono di distacco e di maggior dignità anche se non siano più di moda, gli occhi· vigili su tutto. Dal palcoscenico sorveglia' la tattica; as~olta tutti gli oratori, e ba cenni di approvaz10ne o di dissenso anche per i più umili che stancano l'assemblea: eppure si sente che frena l'impazienza, che non si bea di questa oratoria, che pensa al lavoro di' domani. C'è in lui un sino-olare equilibrio di misuratore. Ha voluto il congresso, egli solo: l'ha voluto per chiedere una conferma al suo lavoro: e avutala con gli applausi interminabili suscitati dalla sua relazione, egli è tutto preso dalle promesse che gli sembrano offerte per il proseguimento della battaglia. Se parve dnrànte certe discnssioni che fosse l'addomesticatore del congresso, che volesse imporre la sua responsabilità di capo anche agli oratori più er~tici, b~ogna pe~sare alla sua educazione anll-oratona. Perche De Gasperi, in un partito che presenta molti residui, di mentalità gesuitica, è l'uomo che sa avere dell'orgoglio. La sua bocca apert_a ad un sorriso amaro or di sdegno, or d1 d1sprezzo, or di polemica, è contin1:1a~ente pronta ali 'interruzione aspra,_ a~ nc~uamo energico. Si secca delle adulaz10m, dei complimenti, delle frasi in_ntili. No~ sa fing~r~ indulgenza, non ha bisogno di popolanta n1morosa e apprezza invece il consenso, l'opinione meditata di altri. Tnttavi~, abi~uato a decidere, non ha il gusto della d1scuss10ne. Anche in un discorso continuato, anche nel leggere una relazione, è freddo, incisivo_; non ottiene effetti di intensità ma d1 prec1sione, dando rilievo alle cose con un tono più attento, più calmo, più le~to, con la mezza voce. A Roma quando il congresso 1n.inacciasse di diventare un comizio, sapeva farsi arrogante, prevenire l'ottimo Degni, presidente massiccio e _imbam~olato, con scatti ·violenti, con una rigorosa intolleranza delle interruzioni. L'ho visto adirarsi - con l'ira deJl'uomo che non accetta di scherzare sull'avversario che importa combattere senza tregua - in un momento in cui il congress~ s'attardava in facili ironie sul duce. Non si concede riposi, non li concede: no_n ammette che non ai sia presi e dominati dalla 5m·ietà dell'azione. Da buon organizzatore preferisce l'amministrazione alla cultura e alla critica. Contro gli amici troppo lenti aa essere feroce; e fu gustoso vedere a Roma come parecchie volte egli stesse per cedere alla diabolica tentazione di fare i nomi ,J,,i pigri, <li quelli che non avevano risposto alle circolari della Direzione. Con la stessa austera intransige117;a incalzante con cui Lujgi Sturzo licenziò Tovini dal congresso di Torino. Si serve del suo temperamento angoloso per guadagnare in rapidità. La an>1 ultima relazione aveva una sola jdea centrale: tenere duro; egli lanciava le parole come colpi, senza scatti intemperanti, ma sostenendoli con un palese vigore interno. La sua eloquenza quasi cattiva e caparbia, impopolare, diventava poderosa al confronto della spensierata improvvisazione deJl'on. Tupirù. Dc Gasperi parla sempre preparalo, su appnnti, con le carte in tavola, e sa essere duro anche quando è diplomatico. La sera del 28 giugno, rispondendo alle osservazioni sulla relazione, improvvisò anche lui ma fu formidabile. Parlò, quasi eccitalo, a pcriodelli spezzati, nervosi. Si rivjde in lui la passione di rm aventinista, solo, rimasto al suo posto auche nel dubbio di non essere seguìto. Perchè in De Gasperi la capacità del sacrificio politico è illimitata; l'attitudine a persistere in una posizione impopolare è nutrita con la fierezza di resistenza appresa nelle lotte contro l'Austria. Egli doveva essere naturahnente tra i primi con Amendola, dopo il delitto Matteotti, a sentire la questione politica come una questione di scisma morale. Così il 26 gennaio 1918, dopo Caporetto, alla Commisione austriaca del bilancio, A. De Gasperi aveva fatto le sue dichiarazioni di incompatibilità: « Avvenga quello che vuole, noi sappiamo che con le nostre aspirazioni alla libertà ed alla possibilità di sviluppo democratico, navighiamo nella grande corrente mondiale, che qui e fuori di qui va ogni giorno progredendo"· Il fondo del pensiero di De Gasperi è cristiano e democratico, e sebbene in lui prevalga la lunga pratica sulla cultura, si avverte dietro certi suoi atteggiamenti aridi che egli non è indiffer,ente al fascino delle crrandi idee e che nasconde anche un sincero :more per lo spirito di ricerca. Talvolta poi come politico se ne vergogna, s 'infinge, come se venisse colto in fallo; ostenta lll1 settarismo quasi rude, si chiude nei suoi obblighi di partito. Ma allora questo chiudersi non è più grettezza, nè i·gnoranza. Se si vuol •andare oltre questa energia cinica di capo, capace di presentare egli stesso, per brevità, l'ordine del giorno di fiducia aJla sua opera, sdegnoso di qualunque ipocrisia d'assemblea, si trova un fondamentale carattere di bontà nascosta, di amoré caldo per i suoi umili coltivatori del Trentino che correva a difendere sotto l'Austria, durante la guerra, nei campi cli concentra• mento a costo di grave pe~icolo. Questa austerità e semplicità campagnuola sono alla base del realismo di De Gasperi: e perciò la sua politica rifugge dalle retoriche ideologie per intendere la democrazia nel &ignificato più originario, come lotta in difesa dei ceti più derelitti che non chiedono protezione ma giustizia e indipendenza e non vogliono umiliarsi a nessuna sopraffazione. Grone/ti e Merlin. Se De Gasperi, nato nell'81, preso dall'intensità nella politica militante sin dal 1911, quando fu per la prima volta deputato, è l'uomo d'oggi, tutti dicono che Gronchi sarà l'uomo di domani. In verità il giovane demo· cratico cristiano di Pontedera (1887) è d.i un'abilità diabolica. Povero professore sino al 1915; non vuol far politica, dice, nel periodo ·clerico moderato. È deputato a 32 anni; seqretario generale della Confederazione bianca~ sottosegretarjo ali 'industria ( ahimè con Mussolini) a 35; a 36 divide col decorativo Rodinò e con l'infaticabile Spataro la successione di Sturzo. È troppo abile: una vivacità toscana; w1a sicurezza oratoria di professore di lettere; accorgimentii tattici propri <li un ex-militante deJl'Azione cattolica. In un congresso di pratici e di faciloni abituati alla cultura di Bogg,iano-Pico e d;ll'on. Fino, Granchi sorprende e domina per l'agilità giovanile, per la modernità inquieta ed encilopedica. In un mondo che prende quasi Lutti i suoi Solo_ni da_l neotomismo, Granchi se~bra u?_a rive~az1~ne p~~ radossale, uno scopntore d1 nuoVl orizzonti. Non può non stupire tra i popolari la fresca eleganza con cui egli cita Sorel e Maurras, Croce e Bergson. L'astuzia d'i Gronchi è di avventurarsi in queste scorribande senza presunzione e senza p~~ant~ria c?aservandosi la sua fama di dialettico bnllanle. I suoi interessi tintellettuali poi non arrivano mai a compromettere i suoi propositi strategio'i. Per nno spirito spregiudicato è una fortuna incontrare a un congresso popolare un uomo come Gronchi. Nessun altro cattolico ha Ja sua finezza e agilità parigina, nè la sua devozione al pensiero moderno, nè il suo cullo per lo spirito d.i contraddizione, provvidenza e sale della nostra società. Senza il r,0ngresso di Torino )'on. Gronchì non sarebbe oggi molto diverso da Agostino Lan• zillo o da Franco Ciarlantini: l'abilità ha qu.esti limiti inesorabili; soltanto l'anHifascismo pote fare di un toscano inquieto e realizzatore un uomo supcrjore a sè stesso. Cosi l'avvocato Umberto Merlin, di due anni più vecchio di Gronchj, come lui recluta dell'Azione callolira ma di un cattolicismo pi u ortodossamcntc tradilJionalista, sollosegretario alle terre liberale per quasi rluc anni <li seguito, fu salvato per l'antifascismo <la] pericolo di abituar&i a cedere alle clientele dominanti della sua regione. È rimaslo intransigente, mentre solo poche set• Limane fa i suo-i ex-seguaci <l_j Lendinara ai sono adattali a un patto di pacificazione coi vincitori. L'aver tenuto fermo, in una situazione assoJuLamente anormale, mentre s~era costituita intorno a lui una rete di interessi importanti, quando Je sue doti di realizzato1·e si mostravano sempre più sollili, pro~ va neJla sua politica un fondo di generosità e di onestà che per troppi anni era sembrato nascosto sotto le aslnzie dcJJ'ammirùstratore. Merlin è meno versatile di Gronchi, ma più solido, con la pratica dei piccoli affari locali che ai riteneva indispensabile in altvi tempi per trattare con serietà di cose politiche. La sua oratorja è leggermente enfatica e monotona; si nota in lui una chiarezza ordinata; i larghi occhiali mostrano il viso più allento e pacalo, sereno pur se talvolta sfuggente; il suo semplice sorriso dissimuJa la sicurezza de]]'uomo abilissimo. Ferrari. L'uomo nuovo del congresso fn l'avvocato Francesco Lui~ Ferrari, modenese, c4 36 anni, vecchio amico di Miglioli, ora una specie di rivoluzionario liberale popolare. Non si direbbe che sia stato presidente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana. È un dialettico audace, nutrito di cultura storica e di razionalismo, disposto a non rifiutare alcuna conseguenza delle sue premesse democratiche. Fu l'anti-Martini e si spinse sino a impo• stare rigorosissimamente ]a questione istituzionale ad lm congresso attento e non disseziente: sintomo importantissimo dello stato di spirito radicale delle masse cattoliche. Ferrari non esitò a dichiarare che le libertà non si riconquistano, che il problema non è di restaurare lo Statuto, che si tratta di mettere le basi per l'avvenire non prossimo di quel governo democratico, di quell'autonomia di popolo che non abbiamo mai avuto in Italia. Ebbene persino tra i popolari vi sono ormai dei giovani capaci di intendere queste proposizioni, anche se esposte in un.a forma austera e scientifica, senza piacevolezze or3.torie, e senza conforto di facili illusioni. Il congresso s'indispettì soltanto quando il nostro amico disse chiaramente che si tratta di lavorare per i nipoti! Pare che l'ottimismo per dei buoni cattolici debba essere quasi un argomento di fede ..... Ma Ferrari fu anche più deciso e inesorabile: pose senz'altro il problema fondamentale del partilo. O lo si risolve o il partito non supererà mai il suo intimo equivoco. Le democrazie cristiane devono essere accanto alle democrazie socialiste. La piccola borghesia e il pfoletariato popolare devono essere a fianco del proletariato socialista neJla rivoluzione che darà una nuova coscienza all'Italia di domani. Effettivamente i popolari devono guardarsi per l'avvenire da un solo pericolo: che in essi riprenda vigore l'odio per il socialismo. Sarebbe la vittoria definitiva della reazione e del filisteismo piccolo-borghese. Queste verità audaci anln1avano il congresso con seduzioni iinpreviste: Antonino Anile sembrava essersi messa in testa, come un punto d'onore giovanile, l'idea di non lasciarsi scandalizzare neanche da un 'eresia; l'arguta barbetta piemontese di S. E. Bertone rin1aneva impenitenlemente ironica, e soltanto l'impenetrabile maschera sorniona di Longinotti nascondeva a stento un tono di sdegno, mentre Mangano, il più simpatico della vecchia guardia, non si curava cli frenare ]e più clamorose esclamazioni di consenso, confortandole con l'elogio della costitnzione di Weimar. p. g. SAL VEMINI Abbiamo <Lvutoper Gaeta,10 Salvemini dall'ltolia e dlill'estero un plebiscito. Abbiamo diranwto ai quotidiani alcuue delle migliaia di fi.rme degli aderenti all'indiri=zo di simpatia cla noi pubblicato. Ora ripor• thrmo poche lettere tra le infinite che rice·vemmo. Napoli, 13 giugno 1925. Ho sempre avuto, ed ho, a titolo di singolare onore la fraterna amicizia di Gaetano Salvemini, mio ospite in Basilicata e qui in Napoli, ognorn concord~ nel cullo della virtù e nella devozione alla patria. Ed oggi più che mai a lui invio, pubblicamente, il fervido saluto del commosso mio animo, fatto di slima e di affetto, immutabili. G1usnNo FonTUNATO. L'ODIO ONESTO CONTRO SALVEMINI Contro Gaetano Salvemjni esi$,te un odio di parte,. fondato &vJ ~istema degli intereet!i materiali ehe ctanno a fondo deJle battaglie pc-,litiche di tutti i tempi e di tut6 i Jnoghj~ e trova modo di manife• lJLan.i cc-,ipiù diversi mezzi; ma esiste, pure, nn odio fiancheggiatore che Fi può qualificare one;to. Vi sono in realtà de1le persone convinte di un SaJvemini fSLaveminiJ ebbro di furore anti-italiano, reo di avere efficacement.t: ostacolato j] raggjnngimento dei fini nazionali delJa vittoria e di avere ofies'J, per non ~'> cruaJi malvagi inLenti, e, neJla ipotesi più be• nigna, &otto jJ .1-ugge~todi una mentalità dem.agtJgica, l'Italia e gJi llali.:mi. Coar.1ro hannr, 1.;onservaw, oggj, lo ,pirit.o dellapolemica Jntrans-igent.e di guerra e non vedono u non bestiali nemjei dove e&istono leali e forti avver- ~ari che po.1-':<,,noavere errato n,;i lorQ giudizi od e'.".ageral<Jnei loro atteggiamenti f CfJme posr;ono anche avere indovinat<J dove ci a:iamo sbagliati noiJ ma debbono venire •ottralti aUa sopraffazione della forza lirota, comunque ammantata di prelete legali. A cm,tùrtJ p,j può, foroe, utilmente chiedere "'e e-O· nr.;<-cono ben,:; il professor Salvemini; se hanno ~- guìto la &ua opera di i-torico, di pohblici.&ta, di ~tnilioE.o dei problemi della scuola, e &e ~anno che da oltre trent'anni quegt'uomo è sulla breccia: per l'ele• vazione del &uo Mezzogiorno; per la redenzione delle plebi; per l'alJargamento generale della coltura, af. frontando le questioni più cùmple&se di politica economica ,! finanziaria; agitatore appasgionato, se an• che non di rado eccessivo~ d.i idee e di argQmenti che non si prestano alle impron;sazioni piazzaiole ed alle soluzioni superficiali. Salvemini può irritare, suscitare antipatie clpaci di sospingere, nei momenti della lotta febbrile, sino alla violenza, ma, appena si riacquista l'usQ della ragione, con quale equità si disconosce che al proprio paese eg.lì ha dato e dà, qualunque s.ieno i dissensi che da lui ci dividono, ed alcuni suoi torti, ~ senzialmente formali (homo sum ... J, lustro ed onore? Colpito da una sventnra senza nome, egli è rimasto a combattere, per le me convinzioni, qtia.Ei ad ap• parire, pei più sentimentali, un insensibile, e molti• plicando nell'aspra sincerità dell'azione, le schiere degli oppositori, ha sempre dimostrato di preferire al successo individuale il trionfo di on pensiero o di una causa. Siamo alla vigilia dell'intervento: non lo ricorda Giovanni Gentile, con me e con altri al Caffè Pie• Lroman.i di Pisa, fiamma di un mo.,.;mento che lo indicava alle ire di chi, probabilmente~ adesso lo bat~ tezza antinazionale e traditore? Egli è continuamente in piedi durante il periodo della guerra, con opinioni discordanti o no dalle no• stre, roa chiare, aperte, animate dalla sostanza di nna concezione delle necessità dell'ora e dei rapporti da crearsi fra i popoli, su cni non si è pronunciata rnltima decisiva parola. Alla Camera del 1919, quella che a me è sembrata la Camera (< infernale >l, si è aggregato al gruppo del rinnovamento, inorganico, scarso di fortuna, ma sollecitato, nei più consapevoli dei suoi aderenti, da propositi di resistenza alle folli infatuazioni del giorno, e di difesa delle ragioni della << vittoria dei caduti », non della futura vittoria dei profittatori. Irrequieto, lascia il « rinnovamento »; è travoho anche lui dalla incertezza del tempo, e, poichè non ha abilità tattica, esce dall'esperimenlo parlamentare assai isolato, colla fama, meritala. di pessimo politico. Salvemini è, in realtà, sprovristo quale attore cii C< senso politico », mentre, storico ed osservatore acutissimo, ha sotto questo aspetto delle doti politiche di primo ordine. Il fascismo lo trova risoluto antifascista, ma egli. nonoslante la inclinazione caustica e mordace dell'in• telletto. sa imporsi - quando motivi superiori lo richiedono - tale nna disciplina che andando in Inghilterra (1923) a tenere una serie di conferenze sul nostro risorgimento, mentre parla con nobile fer- \ ore di patriota, non si diparte mai da una condotta severissima: (( accademica », destituita di insinuazioni e di punte settarie. Una signorina italiana, insegnante all'Università di Birmingbam, riferendomi su questo corso di lezioni che stupì i,er la correttezza dell'inglese imparato dal Sakemini in un anno, roi magnificava l'impressione ed il rispetto del pubblico britannico - che oggi mal capirà il processo di Firenze - per raustero professore italiano. &li « odiatori onesti » di Gaetano Salvemini devono abbandonare il loro odio o la loro onestà: anch'io mi sono arrabbiato contro di lui, quando più accesa era la mischia, e anch ·io, non è da escludersi che abbia sorriso udendo nella frase sarcastica <li Michelangelo Billia il giochetto del Salvemini diventato Slavemini; oggi confido che si sappia vedere la nobiltà delfo sua opera. ADOLFO ZERBOCLIO. PIERO GOBETTI - Editore Torino - Via XX Settembre, 60 CARLO AVARNA DI GUALTIERI IL FASCISMO 250 pagine - L. 10. Indice: Premessa. - Cap. I: L'equivoco• 11: L'ideologia - Hl: La Milizia - IV: Le Corporazioni sindaci.lii . V: La Riforma costituzionale • Conclusione . Appendice: Circa le recenti indiscrezioni della Riforma costituzionale. Il libro di Avarna è sopratutto uno studio documentato. Sulle corpora=ioni sindacali e sulla riforma. cost.ituzionale specialmente egli offre delle conclu.- sioni originali. È la prima volta che questi due laci del fascismo vengono studiati a fondo. L' Avarna prescinde dai concetti e dalle polemiche più noti. Egli studia specialmente l'opera del fascismo al potere con larghezza di informazione e incalzant~ obbiettività.

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