La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 26 - 28 giugno 1925

bi r,\ RIVOLUZIONE Li I H -\I F 107 Antonio Labriola 8tf".RBi, rhc lìfano, gja in a,·, ,. p"'r lungo ,.~r- <·izio, nna or~anizzazion,· politi,·a ,. -iu nient,·. l..e lagrime delle cose si sono giit riz7..at.cjn piPdi~ da r-R,r,ome forza apontanean1,..nte rivendiratrir~. L'etir.a e ]'idealismo «1n;.i~tono <Jrmai jn <:ii,: melterP, il pensiero ><<·1P,ntj{ie11 jn ;4!rvfa,fr.J ,fo] fJr'J1etar.i\:lto. S,! qrwe.ta ,-ti,·a n,Jn parP, moral~ ahha~tanza ai ,~ntim,·ntal1~ d1,! -><>no iJ pju de1Je volte i.,U:.:# rjc•1 ,. fatui. \'adan<J a ,-hic,dr•re l'altrui,mo al Ho visto in parecchi pregevoli articoli di Rivoluzione f,iberale riesumate cd illustrate alcune fra le figure centrali del nostro Risorgimento, opcr.a invero preziosa per noi Italiani che per lunga sequela d'anni abbiam dimenticato ogni serietà di studi storici prrdcodoci in una retorica agiografia e rifiutandoci ostinatamente a vedere, in u11 proluni;ato accesso di infatuazion<' garibaldina, i profondi difelli di cui rnostrasi non immu11r il nostro Risorgirnf:"nto. RipP11samP11to rritl<'o. dunque, per studiare, attraverso quei JH"mrntori, la formazione spirituali, del nostro popolo; e in questo ripensamento è parso a mc che possa. anzi dehha tro,·ar posto, ~'anc·o cronologica1nente vjssuto un pochino in qua degli anni del riscatto, la figura di Antonio Labriola. Il quale sta proprio a cavaliere fra due periodi di storia iLaliana. Formatosi appunt.o acll'cpoca degli entusiasmi nazionali (era nato nel 1843), egli anticipa nell'intimo travaglio suo l' ILalia del secolo xx, quella Tta]ia nuova che sentian10 ormai in noi, f' per La quale lavoriamo. la turba, l'i11fruita f:l<'hicra dei paraMhi d,.Jla po1itira, f' poi rl,·i progf•ttii31i, dr•i fanlaRti,,j <- degli inv<"ntori d'id,~<". His,·l1iara di Jw·1• viviR~ima c111<·~tosingùlare 1,p<"tta,·olo, di nno ~viluppo sor-ia]p inip<>dito, rilardat<,, intral- ,·iato (' p<'rciò ÌIH'<"rto, racuto inw~,rn,,, d)(' ...,, 11011 i· sc•mpr<• frullo ,·d <'Hpn-,u,ion,~ d, molta <' vrra coltura niodC'rna, rN:a JJ<"TÒ in Hi·, fH'l' v<>c·c·hioahito di millenan· civjfla, l"in1pronta di un raflìnanwnto <'<'r<'hralPcprn"i 111<.111><·rahil<•. L'Italia non fu, JH'r rag-ioni OVYÌe, terreno proprio <li unu autog<'n;Lic·a f0rmazionf' di idre <' di trnde11ze ROcia1istidie. Filippo Buonarroti, italian0, da amiN, ~ià d<"I minore c]pj HohC'spicrrc, dhrn11<' il rompagno di Bahcuf (' fu pil.1 t~1rdi il rinoo- , alor<> (lei Babuvismo nf>lla Francia di dopo il 1830! Il socialismo fece la sua prima ap· parizione in Italia ai tempi dd]a l11ternazionaf,.., nella ronfusa e incoerente forma del Bakuni11isn10; c non come n1ovimenlo di massa proletaria, ma anzi ro111c di piccoli horghc!5i, <li déclassés e di rivoluzionari per impulso e per istinto (3). Di recente, in questi ultimi anni, il socialismo vi si è andato fissando e concretando in una forma che riproduce, con molla incertezza però, il tipo generale della dernocrazia sociale. Ebbene, in Italia, il primo segno di vita, che il proletariato abbia dato cli sè, è consistilo nelle ollevazioni dei contadini di Sicilia, alle quali al tre dello stesso ti po ne . ten ner dietro sul Ma guai a t·H·d<'.rt~ d·H· <flJf' ta ,,qranizza- ✓,iOnP politira, 'JIW1<t,, partjto r,p,~raio, di r·ui egli di~c·orr,•, dchhano <·~aurind ndJ\onhito parlamr11t..ar<•. '.\farxi~ta H!r,,. ,p,al,· dopo '1arx f,,r ,: non fW n,d,J,,, ;1hrr, ,w in Jtali;1 nf> altrov,•, q!li d,·nun,·ia l'irn·aliti1 d,·ll"11;!Ha• gfianza politica, in c·11i vcd,· ~olo 1111 11wzY1 p~r mf·ll<·r<' in c·rud,1 rii:i:dto J as-~r•ninwnto rwllu fabl,ri<·a, "iJ ,·,,r1fratl.ft) v,·rtt<>V,tl'P·'> d1f" b dr•m,wruzia p,,Jiti,:a lta mr·11i-.o in ,.~ ,-rr·) fac·c•ndo dt'.gli i-1<•'--i 11<J1nini,. ,-jttadini ,. u·rvi H 1111 t,·mJH> n, e far di ,.,,11-<·1[11<·nza na~<:.f'r<· 1wll'op<·raio il ,.,.n..,, d,·lla dignità u111anac·h,· JH>1 lo r,,pinµ:a a 1111<,vc h,11,· JH'r J'affrarwanwnto da <Ju<•-.La ..,,.rvit11 (" 1 ~o<·iaJiQti no11 doniand.ano ,·on<·<·"Sioni,ma ,·onquit-stP; ,. <:oni;id,·ranQ J,, /ilwrtà politidu· ,·,,mP moJJa ed imp11h,o a 1111ovo lavoro <· rrH,t<, n): arma d- ,oJuzionaria, dunq11,•1 ,~ ,u,n '-lrww·nto di pacifìPazione o ,·omprorn~Q~,,. \fa egli t<•mc,va rhc la parte<·ipazione goc·iali~ta aJIP lotte (•fcttorali poLc,'>e produrr<' 'JI.Jh,ti <•ff Ptti d<·- gran pùnf.f";fi,,: Sp,·n<:-1:;r. e darà 1<.,ro]a -dat# La,,. in,;,ipida. ,; irwondurlent,· definjzione: ,. ,Jj ,-i,, i:.j nppa)!hin,1 ,,. JJ Ru,, pr<,gramrrw. dw l,,;n p<,tr"'J,h 0 <•~~er<· i! f)<J'-Lro,e 'Jllf•Jl,J ,r1Jn partit(.J &o<:iali~ta;.aJ~ dam<!nt,· organiz:zato (1.J, n1~1tamente da-..-!i,ta ,. intran"i7,:;nt<·. <·h<· "')ndu,:.a a fond<1 Ja Jotta ,-,,111ro J,, Stat<, hori.dw-,-. pl11t<,<·rat1<:<.J e militari-ta 1 and1,· :..f• pafudat,, "''>ll<J J,, f<,rme d,d d,:m<1"·ratir·i,.,mo. La '-Ua ,-r.iri<:a, <;ome di conr,uett1 eF}pr<~~~a <:oJ1ama~-jma <·on<·i'-oi<.Jne, ~ Ja <:ritica a11ti<·ipata r),.j Fa ,'.l'".;rn<J,e 1,--alJa p~na di riferirla. « .\1a ,~,·e<, a na'-'<.::t:.:redal fermentrJ ,IPJJ,. nu<Jv<; idee (d,,J XHH secolo) e dall'altritù rspavento~o trP nuove piaghe eodali. Da1Ja li,1uidazfr,n, 1 f r~llfJl<,~a ddJa ve..-:,:hja proprietà -,<,rge il ,:apitalir,mo; dalJo ~Jand,, patriotti<-<, na~<.:e jJ militari~mo; J"elett.orato politico dà la stura alla riarlaLaneria dei demagoghi. 11 no~tro &ecoJo ne ha er~djtat:J) trr• buf!ie. La prirna. è: eh<" padr<,ni tutti di (',Oncorrcre, il vinc;1~rr~ la ;zar't è nH:dto. L"altra .,,..; che ]'onor militare ~fa ]a mhura ,.klle ,:rtu deJie nazioni. La terza è: nelrelettorat<J r.,.c,ni;..isterc ]a "akezza dei popoli e i] prof;{reé~.J degli Stati. La prima serve a ma1,cherare iJ capiLa]e 8Jiadroneggiante: giova la -econda a mantenere il predominio •folla forza hruta i:;ul lavoro paeifico; la terza spinge ne1Je prime linee dPIJa vita pubhlica i prnfes,ioni•ti. gl"intriganti) gf"intraprenditori <li popoiarita~ lusingatori delle ma<:!;enei comizj, ~chiavi poi del capitale e magnificat<Jri del militarismo quando entrino nei ParlamPnti. Que:-.r.afin<1ra ]a principalissima nota di merito del ~ocialismo: d~avere) cioè, sco-..erta e <leE<·ritta la \era nalura de] nuovic;:::imo nemico, il capitale, e d~aver messo alla gogna i ciarlatani. gripocriti e i demagoghi del Jiberalismo >,. lo non dirò qui dell'opera sua di filosofo, per cui a me piace raffigurarlo come il vero j>adre spirituale dell'Italia nostra; io non dirò come fosse !ui a raccogliere il ,·ccchio hegelismo napolitano, depurandolo traverso l'implacabile critica n1arxistica e sollraendolo alla dilagante mare.a positivistica, sinchè da lui lo ripigliò il Croce che poi lo fece trionfare (l); io non dirò nemmeno con1'egli per primo in Italia, sulle orme di Marx, richiamasse a serietà gli studi storici e ne mostrasse l'intimo contenuto filosofico, onde non a Lorto il De Ruggiero lo chiama il teorico di quella scuola ch'ebbe poi illustri rappresentanti in Salvemini, Volpe, Ciccotti, ecc.; nè infine m'indugerò a illuminare la sua opera veramente grandiosa di esegesi marxista, alla quale esclusivamente forse è dovuto se il m.arxismo non degenerò in un piatto e volgare materialismo, 1na anzi ritornò, come negli anni giovanili di Marx, alla sua fonte idealistica, risultando come un inveramento di Hegel. Per chi non si soffermi solamente alle parole, che in lui, attaccato ancora alla terminologia marxi.stica e troppo amico dell 'Engels (e questo fu forse il suo principale difetto), potrebbero ingannare, appan-à ben chiaro come il marxismo sia da lui presentato in veste idealistica (si ricordi l'accanimento con cui si oppose alle degenerazioni positivistiche e a certe affrettate combinazioni Darwin-Spencer-Marx di ferriana memoria), onde é merito suo se in Italia, più che altrove, fiorì questa interpretazione hegeliana del marxismo che ci dette, oltre i saggi cr.l• tici del Croce e del Gentile, gli studi pregevolissimi di Rodolfo Mondolfo e di Arturo Labriola, intenti, tutti a sviluppare le premesse che il nostro aveva poste. E sorvolando ancora sulla singolare ·personalità dell'uomo, ben lumeggiata dal Croce, e sulle sue straordinarie doti di insegnante e di polemsita che pur meriterebbero un'ampia traltazione, io mi limiterò qui ad esaminare il Labriola politico. Come tale pure egli merita di essere considerato il nostro padre spiritnale, poiché, precorrendo i tempi suoi (e per questo appunto piombò di poi nell'oblio) additò in uno sviluppo industriale, promosso dall 'intransigente lotta del proletariato, la sola via del nostro progresso. -Mette conto di riferire innanzi tutto l'acuta e concisa diagnosi storica sulle condizioni del nostro Paese, diagnosi che, s'anco poi sviluppata e diluita fin che si vuole, resta sempre fondamentalmente la stessa: « Istruttivo e, senza dubbio, il caso dell'Italia. Questo paese, data che ebbe già in su la fine del Medio-Evo l'avviata all'epoca capitalistica, uscì per secoli dalla circolazione della storia. Caso tipico di decadenza documentata, e studiabile precisamente nelle sue fasi! (2). Rientrò in parte nella storia ai tempi della dominazione napoleoniCa. Risorta ad unità e diventata stato moderno, dopo l'epoca della reazione e delle cospirazioni, e nei modi e per le vicende che tutti sanno, l'Italia si é trovata di avere di recente tatti gl 'inconvenienti del parlamentarismo, e del militarismo, e della finanza di novello stile, non avendo però in pari tempo la forma piena della produzione moderna, e la conseguente capacità della concorrenza a condizioni eguali. Impedita di concorrere coi paesi d'industria avanzata, per la mancanza assolnta del carbon fossile, per la scarsezza del ferro e per la deficiente preparazione delle operosità e delle attitndini tecniche, aspetta ora, si lusinga che le applicazioni della elettricità le dian modo di riguadagnare il tempo perduto, come si vede per gl'indizii dei varii tentativi da Biella a Schio. Uno stato n1oderno jn una società quasi esclusivamente agricola, e in gran parle di vecchia agricoltura: ciò crea un sentimento di universale disagio, ciò dà la generale coscienza deJla incongruenza di tutto e d'ogni cosa! « Di qui la incoerenza e la inconsistenza dei partiti, di qui le facili oscillazioni dalla demagogia alla dittatura, di qui la folla, continrnte, ed altre a sai probabi]mente ne succederanno in seguilo. Non è ciò assai significativo?». Da queste premesse egli deduceva quale avrebbe dovuto essere Ja via del proletariato italiano (via, purtroppo, non seguila sin qui), « la pressione costante del lavoro sul capitale n non solo per il vantaggio del proletariato, m.a anche per contribuire a formare in halia una vera classe capitalistica a] posto di quella borghesia stracciona che egli vi scorgeva con rammarico. Ma questa pressione implicava uno sviluppo organizzativo allora soltanto sperato, uno sviluppo in senso nettamente classista e intransigente, che non degenerasse nelle forn1e di un insurrezionisino barricadiero o di un rifortuismo puramente parlamentare. Uno dei lati più interessanti e meno studiati del I,abriola è appunto la tenacia con cui combatté quelle due forme di politica operaia e insiste sul1a necessità di 1111'organizzazione <(perla formazione del proletariato nuovo nell'ambito della gr.ande industria e nello stato moderno >>. Conlro i semplicisti dell'insurrezione aveva già an1mon.ilo: « l\1a la banca, atta ad irretire per molte vie 1il lavoro, non si porta al patibolo come Luigi XVI. Ma la legge ferrea del salario non si espugna come costello o palagio. Ma l'organizzazione sociale del lavoro non s'impr9vvisa come la guardia nazionale. Ma gli operai non si riducono in falangi serrate di cooperativa con l'entusiasmo che spinse al confine nel '93 i proletari, preparatori alla patria di infide glorie militari di Napoleone, e a i proprii figliuoli della mala sorte dei salariati. Qui non c'è retorica girondina o audacia giacobina che basti! Si tratta di un lavoro immane e multiforme; si tratta del lavoro che si conviene per rigenerare tutto intero il corpo sooiale ». E altrove: « Ma chi é più ora al mondo, che creda che cotesta trasformazione si operi con comizi, con sbandierate e con tumulti? Ci vuole il partito operaio forle e organiizzato, ci vuole il senso vivo d'un proletariato capace di resistere e di progredire, perché quei concetti, uscendo dal vago della teo1·ia astratta, s'impongano come nuove forme della convivenza sociale ». Questa sua sicura convinzione gli faceva giit .antivedere come compiuto un processo ch'era J; là da venire, ed egli descriveva l'organizzazione proletaria siccome in fallo esistente. « Come la compilazione dello stato moderno fa apparire insufficiente la improvvisata occupazione di un Hotel de Ville, per imporre ad un intero popolo il volere e le idee di una minoranza, sia pur essa coraggiosa c progressiva, così dal canto suo la massa proletaria non istà più alla parola d'ordine di pochi capi, nè rego1a le sue mosse su le prescrizioni di capitani, che possano, se n1ai, ~u Je rovine di un governo di classe o di con~ sorteria, crearne un altro dello stesso genere. La massa proletaria, là dove essa si é svolta politicamente, ha fatto e fà la sua propria educazione democratica. Cioè, elegge e discute i suoi rappresentanti, e fa sue, es.i.mi• nandole, le idee e le proposte, che quelli per anticipazione di studio o di scienza abbiano intuito e presagito; e se già, o comincia almeno ad intendere, secondo i varii paesi, che la conquista del potere politico non deve nè può esser fatta da altri in nome suo, sia pure da gruppi di coraggiosi anlesignaui, e che sopratutto quella conquista non può riuscire con un colpo di 1nano. Essa, la massa proletaria, insomina, o sa, o s'avvia ad intendere, che la dittatura del proletariato, la quale dovrà preparare la specializzazione dei mezzi di produzione, non può procedere da una sommossa di una torba guidata da alcuni, ma deve essere e sarà il resultato dei proletari gcnrrativi <· non Bi stanc·ava di m,'.tt,•rp in guardia contro << Ja frode e rin:!anno dei Parlamenti », contro la bugia eh,. « nell'elett<J• rato consista 1a salvezza dPi 1,opoli <· i] J>TO· gres~:o deg]i Stati ,,. E trac·,·iava aJ profr~tarjato <Jllf'"ìlOrapido programma: " \1aj più i proletari correranno dietro alle \-'anc promesse delle fazioni politiche. rwrchè <JUPSlc. levate su dal favore popoJare, JJT('Jrnrino le amare delusioni parigine del giugno 1848; mai più chiederanno ai governi borghf'si que11'insidioso diritto al Javoro, ehr è poi facile istrumento aJ Cesarismo; mai 1,iù eederanno alle lusinghe di ronsorterie f' di potenti demagoghi ». << Occorre per ciò un vivacissimo spirito cli classe, scuo]a pratica di resistenza, e addesl1 amento a11e future vittorie >>. La qua1c resisteuza, egli notava, e mi pi.ace ricordarlo anche in relazione a recenti polemiche, dev'essere « resistenza organizzala », ma di veri operai, non mescolati a caso ai ra<licalucci e ai piccoli borghesi, dj veri operai non jngannati dai po]iticanti, non fuorviali dai meslalori, non confusi coi turbolenti senza scopo e coi figuranti di dimostrazioni )>. E altrove egli indtava il proletariato a confidare << solo nei suoi proprii mezzi e ne1le sue proprie forze )>. Ma per il formarsi di questo spirito classista, è necessario anzitutto che il proletariato senLa la voce della propria dignità. Il Labriola ha ben visto sollo questo aspetto la funzione educatrice della fabbrica, e nelle agitazioni del Primo Maggio ha salutato cc la dignità umana che si riafferma uel1a limitazione delle ore cli lavoro ». Questo suo concetto di dignità lo portava ad opporsi alle <( inutili rivolte e ai vani lamenti)); non si tratta cli piatire o dj mendicare, ma anzi di conquistare colla potenza dell'organizzazione. Epperò al Mandré, che gli aveva presentato un libro di poesie socialiste intinte d'un vago e malinconico sentimentalismo, egli scrivev1: <( Ma voi, mesto proletario e socialista di sentim~nto, voi non scrivele ancora la poeai::1 dei proletari. La nota ribelle scatta sì, qua e là, dai vostri versi; ma riman poi sopraffatta dalla malinconia che vi vince di cantare di quello soltanto che voi stesso attrista, non di quello che agita i petti e gli animi di tutto i~ gran popolo dei proletari. Condizione cotesta, la quale, a vost1 a insaputa, dimostra come il nuovo popola sia in Italia appena in sul nascere, e come all'arte proletaria nuovissin1a manchi tuttora da noi il sostrato reale della pensata e viva lotta di tutti i giorni. Possiate voi scrivere molte poesie come il « Canto Novo », che sian voce, grido, promessa e giuramento de] proletario armato e pronto al1a ri<Scossa». Tutte queste riflessioni gli fanno legittimamente concludere che il partito socialista non polrà prosperare << se non a patto: di non ricadere nella fatuità dell'anarchismo; di non cristallizzarsi nella goffa idea del !egalitarismo parlamentare, che poi in avvenire può ben risolversi in una nuova requisizjone del bestiame volante; di essere, di voler essere, " di saper essere ispirato sempre al principio della rivoluzione pratica e progressiva, usando modi non preconcetti ma sperimentati di organizzazione, e foro1e tali di propaganda quali le richiedono la condizione del paese e il temperamento degli uomini. Fuori di ciò è il delirio o la viltà: cli qua da Lale linea nasce, e vegeta poj, la sella, la consorleria, ma non sorge e vive il partito ». Come ognun vede, Antonio Labriola era un rivoluzionario, nel senso 'nostro della parola. V'è in lui la coscienza viva delle antitesi congiunta alla volontà lenace di superarle. Ma non certo di superarle per adagiarsi nella quieta beatitudine dell'Assoluto conscguilo: il Labriola non poteva avere e uon aveva cosiffatte utopie. Egli non afferma di contro alla realtà borghese un astratto ideale. Non insegue vane chilnere. Marxista anche qu.i, si tien stretto alla realtà e in essa vede ]'anl.agonismo e la necessità df:'lla rivoluzione. Per questo, egli dice: <e Il comunismo critico non moralizza, non predice, non annunzia, nè predica, uè utopizza: ha già la cosa in 1nano, e nella cosa stessa ha n1esso la sua morale e il suo idealismo ». E poco più oltre: « Il Manifesto non ha retorica di proteste, nè reca piati. Non lamenta il pauperismo per eliminarlo. Non spande lagrime IJ suo compito però rion è finito. E~,;;o deve continuare a promuo,·ere lo spirito dassi:=ta, perché « cotesto spirito ... sarà J" arma morale ed economfra per combattere J"invadente militarismo, miraggio patriottico per alcuni. bandiera dinastica per altri, ma in fondo po, istrumento del capitale e della grossa industria: vincitori o vinti che gli Stati escano dalle guerre, la fesLa é sempre alJo stesso modo la stessa, per aggiotatori e banchieri! ». Chi pensi che tutte queste parole contro la retorica, contro la demagogia elettorale, contro gli sbandieramenti e i tnmulti, le conventicole, il facilonismo barricadiero, il riformismo parlamentare, gli ibridi connuhii, le degenerazioni cooperatid.stiche e via discorrendo, in favore di un partito organizzato, serio, intransigente, che conducesse a fondo la 1lotta cosciente e rivoluzionaria contro lo Stato plutocratico-militari-ta e corruttore, fu. rono scritte più che trent'anni fa, quando il socialismo era demagogia di spostati o bamboleggiamento di utopisti, quando non usci"a dallo sLadio cospiratorio della setta o dall"isterismo sentimentale degli umanitari, quando non sapeva che predicare l'odio cieco e distruttore o invocare dalla democrazia la realizzazione della Giustizia e dell'Eguaglianza, può facilmente comprendere come quelle pa• role dovessero cadere nel vuoto. Antonio Lahriola fu in Italia un secondo ~fan:: come questi fu messo in soffitta, perchè il suo sguardo linceo troppo avea visi.o lontano. )fa oggi che noi sentiamo rivivere fra noi lo spirito cli Marx, e a lui volentieri ci richiamiamo, dobbiamo raccogliere anche il retaggio di Antonio Labriola, dobbiamo ristudiare i suoi ~crit~,. dobbiamo ~editare ancora e a lungo 1 suoi insegnamenti. PRO:\IETEO FILODDIO. (I) Il Croce ha ricordato sempre con affetto questo suo Maestro, di cui ba ra:ccolto e ristampato gli scritti ~rarsi. Si vegga il simpatico cenno che ha posto io appendice a questo volume, o l'opuscolo fuori commercio Contributo alla critica di me stesso, nel quale riconosce la propria formazione spirituale attraverso gli insegnamenti del Labriola. (2) Altrove egli rileva come 1a decadenza italiana sia dovuta alle scoperte geografiche che hanno trasportato fuori del Mediterraneo il centro del commercio. (3) Analogamente il Marx: « L'alleanza (bakn. r.iana, aderente all "Internazionale) in Italia non è un fascio operaio, ma una truppa di spostati, il ri• fiuto della borghesia. Tutte le così dette Sezioni dell"In1ernazionale in Italia sono dirette da aYYocati senza clienti, da medici senza ammalati. e senza cognizioni, da studenti assidui del bigliardo, da viaggiatori e commessi di commercio e sperialmente da gjornalis1i della piccola stampa, di fama più o meno dubbia. Questa già si è impossessata di tutti i po~ti direttivi delle Sezioni, e così l'Alleanza ha costretto i lavoratori italiani, ogni volta che vogliono mettersi in relazione tra loro e con un ufficio estero dell'Internazionale, a valersi dell'opera di questi borghesi decaduti, che nella Internazionale non vedono che una carriera od una via di uscita >>. Si noti questa rassomiglianza fra il primo socialismo italiano e il fascismo, e si vedrà che il male è assai radicato. (4) Nell'organizzazione è compreso il cooperati• vismo, ma a questo proposito egli ammonisce contro il facile degenerare di esso « in egoismo collettivo d'una frazione di operai contro tutti gli altri ».

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