La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 19 - 19 giugno 1923

RIVISTI\ STORICf\ SETTIM/iNf\LE DI POLITICI\ ESCE CONTO CORRENTE POSTALE Diretta da PIEROGOBETTI- Redazionee Amministrazione: TORINO,Via XX Settembre,60 Abbonamentoper il 1923(con diritto agli arretrati) L. 20 • Estero L. 30 - SostenitoreL. 100- Un numero L.0,50 IL MARTEDÌ Anno II ,, N. 19 - I9 Giugno 1923 ~OllMARIO: Critica ali!\ ero1111ea.- La migliore risposta.- G. ANSALDO:Esortazione al pessimismo. - N. PAPAFAVA- p. g.: 11.eTfsioiu,liberale, - A. LAJmJOLA: Riformismo e coopHathe - }(, Ascou: Il gentllR011tolibornle. - OB$&1J,V1'JR: Contributo alfa riforma dell'nmmlnlstrazlone • La J)enslone. C~ITIC1llhltllCijO~AGA Dopo aver pa1·lalo ai balda11zosi ragazzi ed ,Ile do,we dai facili fremiti, in Padova, dopo •vere solleticato l'orgoglio di un'assemblea di vecchi debolucci im,pro'Vvisamente assurti all'onHe di solidi saggi all'antica, il. capo del Ga• 'VeTno ha dissetato con i fi1tmi della sua elo-. ,u.enza e con quattro promessi milioni le rappresentanze ufficiali di Sassari. E' noto che gli Italia.ni conoscono i Sardi per ,tente calm.a e ferrigna, tm·da e -violenta, chiusa nel/' fmpenetrabile m,iste,-o di un'isola lontana ia etti og>1i tanto parte l'eco delle gesta di "" •rigante; più profonda conoscenza politica non ha 'VOiuto svela,·e il capo degli italiani. Egli ha parlato non come Capo df GO'Vemo, nia come trincerista, il che può esse1· tutt'al pilt segno di q1tella profo.nda e lodevole con'Vinzione lii superiorità sui prop1'i} sudditi, \che consente ii in.trattenerli in di1.Jagazioni sentimentali, ma nmz. di ritenerli deg11i di uno specifico accenno dle loro esigenze colletti'Ve. ]11, realtà, nu,Ua significhe1·ebbero gli eroismi ,ii una Brigata Sassari se il loro scopo fosse ,tato quello di facilitare il regalo di "" acque•, •otto ad una città assetata; chi conosce la sétc iei giorni di co,nbattimento. sa che dopo di essa -H 'Vino ~ buono, tna la libazione concessa. a! zue1-riero do~o la lotta è otti'mo acocrgimento èel duce di mercenari, utile non tanto conie in11ito a rendersi degni dei rriorti, quanto conte •fato per poterli più presto dimenticare. Se la ll.rigata Sassari de1Je essere, e molti indizi dàn• no a sperare che sia, il sintomo della 'Vitalità ie,p/.i isolani, il più bel dono pe,· il- Po/JaLo ·ri,, r'ha creata. non p11ò essere che la facoltà di spie• ~are liberam.ente le jacoltà tanto fieraniente rivelate. Ciò non si può ottenere concedendo qua e là un acquedotto, 1na c1'eando un regfrne politico zenerale che consenta l'esplicazione delle atti- 'li-tà econonviche} il senso realistico e se1.Jerodei j,roblemi politici; e l'espressione libera, se è pe,-messo dirlo, delle risultanti politic~.e delle «ttività e degli stridi. In Italia nessun governo può permettersi il busso di 1ina generosità 1.Jersotaluni, senza ine7litabilmente im,po-rsi il peso di una eccessiva. lff4.1•ezzd1.Jersoaltri; col1nare di doni gli indu• striali del Nord, gl.i agrari del centro gli agri• coltori del sud, i. pasto,·i della Sa,·degna. è possibile soltanto con progetti sulla carta. Il si• stem.a dei discorsi politici a promessa obbligata tJl.Onè stato in1.Jentato ora: al ritorno a Roma, ; 'Vari De St.efani hanno sempre strillato e smorzato i faciH entusiasmi, e non a torto. Ma queste sono sottigliezze, la Sardegna ;ittoresca, il d:iscorre-re è facile e più facile il ~atti-mani. Se la Sardegna non fosse così bella, 1·O1nanti• c,m,,.nte chiusa nel suo mistero, si potrebbe chie, «ere come il necessario siste1na generale di t1-m1,,- (uilla libertà sia s'tato rispe~tato nei giorni in c,uì un promettente partito in formazione, che rlcoràa'Va proprio la Brigata Sassari tanto 'VOlen, 'ltieri, è i,rn.prD1.J1.Jisa11rnn1tne.,isteriosa11iente scomp,arso dalla 'Vita politica. Se la scomparsa fosse stata ai,tomatica, biso, ,:1te1·ebbe dire che la Brigata Sassari, fuori dei ,ilscMsi, è onnai dinz,entica.ta. LA SHSP.QHA MHH.ICM~E Ronia, 8 giugno 1923. Caro Gobetti, ,,Zle cento lire di G. P. aggiungo cento lire ti,i mio con la stessa 'l'lWtivazione. Aug'Ull'i I bu R. R. ESORTflZlONE flh PESSIMISMO Mentre le cartelle della Stefani passavano rapidamente sul nostro tavolo per la ,Prima lettura giornalistica, non sapevamo trattenere espressioni ammirative di fronte a certe « boutades" del Presidente del Consiglio, rivelanti una abilità sicum, tempista, demonica nelle mille arti della suggestione da opernrsi sull'uditorio presente e su quello più vasto e lontano. Non si può, per esempio, non battere le mani, quandq !'on. Mussolini, per pizzicare una volta di più il senatore Albertini, sempre avvolto nei paludamenti della tradizione cavouriana - ma è mai esistita una tradiziane cavouriana in Italia? - cita precisamente Cavour, e lo presenta come il primo sovvertitore dello Statuto. Non ,.si può non ridere di gusto, approvando l'ironia dell'on. Mussolini, quando egli avverte: «Ma nessuno deve spaventarsi pe1; il fatto che vado a cavallo ! ,, - esclamazione di un arguto e bonario ed 'efficace buon senso, cbe ricorda certe battute giolittiane. Con la conoscenza che abbiamo del pubblico italiano, possiamo dire che queste e altre simili «trovate" faranno la fortuna del discorso, accolto lietamente dalla borghesia italian.a, soddisfatta come non mai di essersi affidata a un uomo «che fa tutto lui"· Abbiamo dunque coscienza di essere degli isolati, quando, superata la prima impressione che la abilità dell'on. Mussolini ci procura, scendia,mo, come è nostro dovere, ad esaminare, con mente riposata, il valore politico del discorso. Doppiamente isolati, anche in questa nostra critica. Perchè noi non intendiamo porre ancora una volta dinanzi all'on. Mussolini la medusa del perdurante illegalismo, noi non v.:ogliamo contestare le sue affermazioni sullo squadrismo o sul Gran Consiglio, nòi non vogliamo sofisticare svlle sue panoramiche visioni costituzionali. Andiamo più in lit: nessuno ci farà rimpiangere un passato, di cui non abbiamo mai disconosciuto gli errori: e comprendiamoperfettamentela façon cavalière, con cui l'on. Mussolini scavalca la Camera, quando in q11eStaCamera seggono l'immortale e barbuto autore del « Progetto per i Soviet Urbani", e i cento deputati meridionali «democratici" che so-· no pronti ad arrolarsi come ascari, se Mussolini li accoglie, in qualità di bestie senza artigli, nell'arca di Noè elettorale. Niente di tutto questo. Noi intendiamo riferirci al solo punto del discorso in cui l'on. Mussolini abbozza un tentativo di definizione dello stato fascista. Questo nocciolo, secondo noi, risalta e si aggroppa in questo periodo: « Di che cosa, in fondo, ha sofferto la vita italiana negli anni passati?. Ha sofferto del fenomeno del trasformismo. Non c'erano mai dei confin'i precisi, :neGsuno aveva il coraggio d'essere quello che doveva essere ; p'era il borghese che aveva delle arie socialistoidi, c'era il socialista che' si era imborghesito fino al midollo spinale. Tutta l'atmosfera era di mezze tinte, d'incertezza. Ebbene, il fascismo prende gli individui per il collo e dice: dovete essere quello che siete! Se siete borghesi dovete esser tali, dovete avere orgoglio della vostra classe perchè la vostra classe ha dato il tipo dell'aLtività mondiale al secolo decimonono. Se siete socialisti, dovete essere tali anche affrontando gli inevitabili rischi di questa professione ". In altre parole:. l'on. Mussolni' esalta lo Stato in cui i cittadini hanno forti convincimenti, in cui i reazionari fanno la reazione «con amore", in cui il governo affronta l'impopolarità coraggiosamente, in cui l'ardore delle opposizioni, l'urto dei contrasti dà dignità alla lotta politica e alla lotta sociale: in cui l'unanimità dei consensi è considerata per quello che è, una stupidaggine, e pel'ciò respinta dai governanti che •si inspirano ad una linea di intransigente eroismo, di disprezzo del plauso, di austera solitudine. Questo è lo stato dei pessimisti, di temperamento e di educazione - e l'onorevole Mussolini ha affermato di essere tale - : e il pessimismo è l'humus che alimenta le opposizioni: chi è pessimista ricerca l'opposizione, non la siugge. Questo è lo stato in cui non si stima la vittoria, se i! vinto non vi ha collaborato con la sua r0sistenza: in cui si ridanno aJ vinto le armi del.la lotta polit'ica e della lotta sociale, perchè continui a combattere, percbè spoltrisca i vincitori, perchè j'enda la vittoria feconda. Questo è lo stato liberale, questa è la rivoluzione liberale, che esurge dal contrasto dei •partiti, dal contrasto delle classi, dal contrasto delle convinzioni, da tutti i contrasti possibili, che soli elevano la politica al disopra del mestiere, e la adeguano alla visione idealistica della vita. Questo è lo Stato che noi vagheggiarrio, che speriamo, per la grandezza del nostro paese, caro a noi non meno che a chiunque artro. Ma questo è lo Stato che il _Fascismo non ci ha dato: l'on. Mussolini lo enuncia sì nel suo discorso, nel periodo riportato, ma lo nega in tutta la sua pratica di governo. « Il fascismo che prende per il collo gli individui" e impone loro l'orgoglio e la coscienza di partito e di classe è una immagine balenata all'intuizione dell'on. Mussolini: ma purtroppo è una immagine soltanto. Dimostriamo brevemente ·questa nostra affermazione. Di dove i cittadini traggo1fo la coscienza, l' «orgòglio ", i « confini precisi " òi cui parla l'on. Mussolini? Dalla lotta di classe e dalla lotta politica. Un governo « eroico ", un governo forte, che educhi a fortezza i cittadini, deve ad essi consentire l' esercizìo dei mezzi idonei della lotta di classe e della lotta politica. DaJla esaltazione del governo forte, che educa a saldezza di convincimenti i cittadini, si educa ferreamente la libertà sindacale e la proporzionale, strumenti appunto dell'una e dell'alfa-a lotta. Il governo che disconosce, che cerca di togliere di mano a.i cittadini la libertà sindacale e la proporzionale, non è affatto un governo eroico, non edii.ca altro che all'applauso unanime, ammaestrato, vile, cui gli uomini si piegano come le messi bionde ondeggianti per un attimo a tutti i mutevoli venti. L'on. Mussolini si è creato, col sindacalismo fascista, un riparo dalla lotta di classe. Egli fugge dinanzi a questa realtà, e cerca di addormentare l'eterna insonne con una specie di patriarcalismo economico, le. cui « largizioni ,, discendono giù giù, per li rami burocratici delle Corporazioni, fino sulle teste chine delle moltitudini. L'onorevole Mussolini ha enunciato con compiacenza, fra le forze del fascismo, un milione o mezzo di operai e di contadini, « i quali, egli ha aggiunto, debbo dirlo a titolo di lode, sono quelli che 110nmi dànno affatto imbarazzo ,,. Ahi, triste lode, lode che sa di muffa, cotesta: che suona strana in bocca ad un esaltatore della civiltà meccanica, dinamica, guerriera del nostro secolo. Se noi potessimo immaginarci al posto dell'on_.Mussolini, ci augureremmo altra cosa: vonemmo che quel milione e mezzo di lavoratori ci desse imbarazzo, molto imbarazzo ! Vorremmo, se del caso, insegnare che la rivoluzione costa cara piazzando le mitragliatrici per le sttade e difendendo l'ordine pubblico col piomb'o :· ma mai, mai loderemmo un milione e mezzo di operai e di contadini per la loro remissività umile, mai negheremmo ad essi la conquista della loro responsabilità di produttori attraverso l'autonomia sindacale, attraver.,o il diritto di sciopero, attraverso tutti qur;g]j svariati " imbarazzi " che la lotta di classe appresta, e che gli uomini di Stato affrontano lietamente perchè- sanno che la volontà di coLquista delle classi lavoratrici è la miglior., garanzia dell'imperialismo fecondo di una grande nazione. E che cosa è, di grazia, quest'altra riforma elettorale che così faticosamenre si sta elaborando, se non un altro rifugio dinanzi a un'altra realtà, quella della lotta politica? Qui l'on. Mussolini' cerca un si;;tema che gli dia una maggiora112a di tout repos: il paese addormentato nelle braccia del partito vincente alle elezioni, il partito vincente - secondo l'altra riforma, quella costituzionale - addormentato in braccio al Capo del Governo, che ha in tasca il voto dell'inizio del1a legislatura, ed ha così assicurato il quieto vivere. Questo è un aspetto, l' aspetto parlamentare, del consenso unanime che !'on. Mussolini domanda, vuole, esige dal paese. L'on. Mussolini - sedicente pessimista -- vuole ad ogni costfJ vedersi attorno visi dolcemente ridenti anche a Montecitorio. L'on. Mussolini ha del• to, nel suCJdiscorso, che « non bisogna mai dormire quando si gove'fna ,, : al contrario ~utta la sua. pratica pare che miri a questo, ad assicurarsi sonni tranauillissimi. La proporzionale è troppo sincera, µorta vicino al governo troppo vivace l'eco del cor.- trasto dei partiti, e perciò via: via perfino lo ,ius murmurandi, questa forma così ba.ssa di lotta politica, concessa pure agli iloti : anche il mormoiio può disturbare il governo che si propone di non dormire mai! .._ Ricoperta <:osì - con un velo illusorio - la lotta di cla~se, soffocata la lotta poli· tica nelle riforme più imbottite, unica forma di attività pubblica consentita al popolo italiano riman'e la « sagra-" : .in cui l'unanimità dei consensi si manifesta sotto il sole ardente di Romagna o di Sicilia, fra lo sventolio delle bandiere, e il suono delle fanfare: dove gli italiani corrono tutti,"'Perchè amano le domeniche imbandierate e i mortaretti ; dove i borghesi si dimenticano perfettamente di essere borghesi, e i socialisti - poveracci ! - si dimenticano di essere socialisti, e ottengono un po' di perdono, partecipando al giubilo universale. E' l'ora di proclamarlo ben forte: mai l'Italia ha avuto un governo così ansioso di popolarità e, in effetti, così confortato da plausi popolari. L'on. Mussolini, in un tratto del suo discorso, pare lusingarsi della speranza che la popolazione italiana soffra in un dolore austero, sotto la politica del Governo « dura, crudele,,: sembra che aspiri, in un nobile sforzo, all'impopolarità. Illusione, illusione, on. Mussolini: voi siete disperalament& popolare, la popolazione italiana è - per dire la frase ingenua di un senatore francese ammiratore del fascismo - « in uno stato di allegria come se tutti avessero guadagnato un terno al lotto ". Sì: l'on. Mussolini, nel suo discorso, ha avuto un co,lpo d'ala. Ha sentito quanto egli sarebbe più grande, se gli italiani gli plaudissero meno e gli resistessero di più: ha intuito tutta la fallacia di un metodo di governo, che togliendo agli italiani i mezzi della lotta politica e sociale, toglie anche a lui l'orgoglio più allo dell'uomo di Sta:to, educatore, non incantatore delle nazioni. Fu questo, a nostro avviso, il solo .momento del discorso, in cui !'on. Mussolini fu grande. No, forse ve n' ha un altro: quando l'applauso finale del Senato si infranse ai suoi piedi, ed egli, !'eternamente applaudito, ebbe un sorriso di disprezzo , per questa unanimità di vecchi, anch'essi ansiosi di adulare, come lungimiranti giovinetti. GIOVANNI ANSALDO.

I il :/ r J' 1 I I bi REVISIONE LIBERALE :Ma il 'liberalismo economico e giuridico è sempre conciliabile con il liberalismo politico? Abbiamo visto come il primo significhi garanzia della libertà e sicurezza della proprietà individuale e come il secondo implichi il diritto ad aspirare al governo purchè si sappia acquistare cou i metodi legali, la fiducia della maggioranza. Ma allora una nuova aristocrazia, che dal puuto d'i- vista liberale sia liuscita a conquistare lega1m~nte il governo e che perciò abbia in mano il potere legislativo, avrà anche il diritto di intaccare profondamente quel diritto di libertà e proprietà individuale che d'altra parte è un caposaldo del credo liberale? Il liberalismo rischia du.nque di negare se stesso con i snoi stessi principi. Per esempio se un giorno mediante regolari elezioni giunge al potere un governo socialista, comuuista che abolisca il diritto di proprietà, il libernle, per restar coerente al principio <li accettare ogni governo che abbia riscosso la fiducia della n1aggioranza, dovrà rassegnarsi a ,eder rinnegato tut principio esseù- ✓.iale della su.a teoria? E peggio aucora se la m?.ggioranza dei cittadini ,oles..<:;einstatu-are un governo dittatorhle per esempio la dittatura de1 proletariato, il liberale dovrebbe accettarlo semplicemente perchè questo è il così detto volere della maggioranza? Cit.o questi esempi estreu1i per porre nel massimo risalto 1a contfaddizione che vi può essere tra i principi della libertà d- ,.,.ile ed economica e le conseguenze dell..1. illimitata ìibertà politica. E da questa contraddizione alcuni 1i~ra1i traggono la conclusione che per salvare la libertàcivile ed economica bisog11a negare o per lo meno li1nitare di mo1t-o la libertà ~tica. Questi appunto sono i liberali assolutisti i quali arri vano ad invocare il goYeruo assoluto come il solo che possa realmente tùtelare la libertà. ~fa anche così si rischia di negare il liberalismo dallo ste...~o punto di vista liberaie. Insomlll2. se si può. essere antiliberali (soc:ialisti, nazionalisti ,ecc.) liberali {che accett:rno il metodo politico liberale) si può essere anche liberali (in economia ed .i,n filosofia) antilibe.rali (rifiutando il metodo politico liberale). Per esempio un go,:erno che per combattere il protezionismo economico proibisce la stampa dei libri e la propaganda di idee protezioniste, sarebbe eeonomicamente liberale (ossia liberista) ma politicamente tirannico. E questa in fondo (: Ja mentalità di quei liberali, che per sal\·are il liberalismo Yorrebbero impiccare tutti i socialisti. nfa a questa mentalità si contrappone quella che ~uole ,·eder attuata la teoria liberale col metodo Jibe:raie. Questi si potrebbero chiama~-e liberali liberali ossia ai quadrato oppure, per antitesi agli assolutisti, liberali democratici. Questi appunto dovranno ammettere la possibilità di una forma legale di opposizione, ossia <lovrallllo attenersi ad un determinato metodo per combattere la loro antitesi pur accettandola. I liberali d.emocratici do-vranno perciò ammettere la legittimità di governi antiliberali. Ma in quali limiti? Prima di tutto i liberali dovranno esigere che non ~.-enga alterato quel metodo lega!e se• condo il quale questi stessi governi sono giunti al pote,e. E poicbè, da un punto di Yista liberale: questo metodo consiste in elezioni mediante le quali gli aspiranti al potere devono saper riscuotere la fiducia della maggioranza dei cittadini, n-e segue che tutti i governi per quanto rappresentino la volontà della maggioranza, non potranno mai negare alle minoranze ed agli individui il diritto di acquistare a loro volta 1::1 fiducia della maggioranza e <li ascendere per questa via al potere sostituendo il governo precedente. Lo Stato liberale, se riconosce la fiducia delta maggioranza come criterio della legittimità dei governi, deve tutelare ad ogni costo j diritti delle minoranze ossia de\·e loro con- .cedere 1a possibilità di spostare a loro favore la fiducia della maggioranza. I diritti delle minoranze sono appunto il primo limite della ,·olontà della maggic,ranza la cui tirannia deve essere assolutamen_te impedita dallo Stato liberale E questo obbligo della tutela delle minoranze implica naturalm<:nte. la tutela e la garanzia delle fondamentali libertà civili ossia della libertà personale, della libertà di pensiero, di stampa e di associazione. Tolte queste libertà cadono le premesse di quella libertà politica ossi.a di quel metodo liberale che abbiamo visto essere fondamento assoluto dello Stato liberale. Tolte que.ste. libertà cadono i cardini di quel me- -t,xlo politico che vuol garantire la possibiliti. della pacifica rutazione delle aristocrazie. Ma se nella difesa di questo metodo e di questa possibilità consiste il compito primo dello Stato liberale, è evidenre che lo Stato liberale non potrà mai ammettere che le libertà civili dell'individu., ~fano lese e perciò dovrà. difenderle sia contro la prepotenza di un individuo, di una minoranz,;..t o di una inaggioranza. Dunqll(c il potere legislativo delle maggjoranze non può E:.ssere assoluto, ma ba il sno limite nei diritti delle minoranze e degli individui; ossia da un punto di vista liberale la libertà di pe-rsona, di pensiero, di stampa e cli associazione, e di voto, non può essere intaccata nt: da Re, nè da aristocrazie, nè da democrazie. E il diritto di proprietà privata fa parte di questi inalienabili diritti, oppure la volontà legislativa della maggioranza dei cii- ., <lini QUÒ toglierlo? O~sia ,i pub ammettere LA RIVOLUZIONE LIBERALE la. legittimità cli un -esperimento social-eomunista qualora esso sia richiesto dalla maggiora11za dei cittadini? Naturalmente resta escluso i1 cliritt.,; al furto collettivo, ossia non si potrà mai ricouo~ scere ad uua maggioranza -il diritto alla appropria1.ioue forzata delle ricchezze di una minorauza. ì\Jla se un governo, espressione legittima ck:lla maggiorauza dei cittadiui vuole tent.:1.re nn esperi111ento di soci.a.lism.o cli Stato, i cittadini, da un puuto di Yista liberale, hanno diritto di. rìcorrere alla ribellione? A me sembra teoricamente cli no. Come un governo che intrapreuda u.na determinata politic.'l estera ha il diritto di costringere le minoranze alla guerra e indistintamente thtti i cittadini volenti o nolenti al servizio militru·e, ossia può chiedere ai cittadini la rinunzia alla stessa libertà di manteuersi in vita, cosl un governo può chiedere ai cittadini gravi riunuzie alla libe1ià economica per attuare una determinata politica economica-sociale; e tanto in politica estera, quanto in politica ecouomica sociale, il più legittimo dei governi può errare pienamente. i\fo è arcinoto che nessnua forma di governo sarebbe possibile se il cittadino si attribuisse il diritto cli disubbidire al governo tutte le volte che ]o ritenesse in errore. Da un punto di vista liberale, il parere e perciò anche il makonteuto dei cittadini non può manifestarsi che con regolari elezioni, ma a parte questo diritto di protesta, l'inàividuo deYe ubbidire e non giudicare lo Stato. Dunque i Ubera1i riterranno i1 socialismo di Stato 'un gravissimo errore, le combatteranno con tutte le armi legali della propaganda e del diritto elettorale, ma qualora la situazione po}ltica portasse al governo una classe òirigente che volesse tentare un esperime11to di socialismo di Stato, essi dovranno rassegnarsi a111ubbiclienza salvo a continuare a combattere il governo con .tutte quelle armi che H diritto costituzionale concede loro. Ed è evidente che in un regime liberale, il socialismo cli St.c1.tonon potrebbe avere che un valore di esperimento sociale, poichè esso sarebbe sottoposto al giudizio della successiva consultazione del paese. E questo ci garantisce anche che l'esperimento socialista non avrebbe per scopo 11 semplice trasferimento della riccllezza da alc1me tasche in altre tasclle, 1na che sarebbe un disinteressato tentativo per una migliore convivenza sociale. Se una classe deruba un'altra classe 11011 lascia poi il diritto alia prima di riprendere i suoi beni i Il socialisino farto è iusomma. sempre accompagnato dalla abolizione delle libertà politiche. Astrattamente il socialismo di Stato non dovrebbe comportare trasferimenti di ricchezza; 1ua soltanto ·una diYersa e presm1ta migliore annniuistrazione de11a ricc:hezzs.. In tal m.aniera se il paese coustaterà che l'amministrazione statale è peggiore della individuale, un futuro governo potrà anzi dovrà restituire ai vecchi intraprenditori arnminis:trati la gestione delle imp-rese statizzate. Un socialismo così inteso, perde tutte le attrattiYe dell'albero della cuccagna, poiehè non consente ad alcuni cittadini di impadronirsi dei beni altrui, ma esperime11la soltanto un diverso (e per il liberale pessimo) metodo di amministrazione. Questo mio ragionamento è puramente astratto perchè so benissimo che questo idilliaco socialismo che si accontenta di fare tlll semplic-..:: esperimento in regime cli perfetta libertà politica è storicamente e psicologicamente quasi as• surdo. La negazione della libertà economica implica con grande facilità l'abolizione della libertà politica e tma vera libertà politica tende a realizzare la libertà economica, ma appunto per questo sostengo che il liberalismo può ammettere che in regime di libertà politica si facciano degli esperimenti di economia non liberale e invece non potrà mai acconsentire che si sopprima il metodo politico liberale. Se questo sarà mantenuto, salvo rare oscillazioni, si avrà anche una relativa libertà economica. In concl11sione anche il liberalismo più liberale limita la libertà per poter mantenere la libertà, perciò non è giusto accusare il 1ibera1ismo di annullarsi con i suoi stessi principi. Il liberalismo propone la concorrenza economica, ma im.pone il metodo politico della libertà. Esso perciò i: dogmatico e appunto per questo è. costituzionale e non anarchico. La costituzione deve essere costituzionalmente riformabile, ma non costituzionalmente negabile, ossia per il liberalismo vi sono alcuni principi giuridici come la libertà individuale, la libertà di pensiero, di parola, di stampa e di insegnamento, la libertà di riunione di associazioni e di voto, i ']ttali, appunto in quanto senza di essi 11011 i:. concepibile la po~- sibilità della tranuilla rotazione delle classi dirigtnti, sono inviolabili, ossia non possono Cssere: legalmente soppressi, uè da maggioranze, nt da mi11oranze, 11(: <la itllUvi<lui. Questi valori souo assoluti ossia trascendono l'arbitrio degli individui singoli e associati e perciò devono essere eustoditi ed imposti da un potere indipendente dalle oscillazioni della volontà popolare-. Forse per questo la classica forma di governo liberale è la monarchia costituzionale. La libertà è garantita dallo Statuto ossia da una legge ehc vincola il Re e i suoi sudditi. Nè l'uno nè gli altri possono infrangerla. 11 Re ba diritto di re, primerc ogni ribellione dei sudditi allo Stato ed i sudditi hanno diritto a ribellarsi ad ogni infrazione dello Statuto da parte del Sovrano. Lo Stato deve rappre~entare l'universalità dei cittadini e grn,·issimo errore {_c. onfo11c1erel'universalità colla maggioranza. Anzi per s~lvare l'universalità del diritto è necessario sottrarre il dititto all'arbitrio della maggioranza. La migliore garanlia della libertà degli individui e delle m.inoranze, consiste iu t111a.salda monarchia che appunto incarni la universalità e la unità del diritto. 11 governo di minoranze che si siano acquistata e meritata la fiducia della maggionmza secondo metodi fissati da una larga costituzione garantita dal giuramento di una fedele e salda monarchia, mi sembra sia l'ideale politico del liberalismo. E quanto più una costituzi011e è largamente liberale, ossia quanto più essa consente a tutte le idealità e a tutti gli interessi politici di realizzare largameute le proprie finalità, tanto più dovrà essere rigida i1el 11011 tollerare iufrazioni. Uno Stato liberale che 110n voglia dissolversi nell' ruiarchia o essere sopraffatto da una tiraunia inclivicluale o cli partito dovrà clifendere con la forza cioè anche col sangue la sua èostituzione. Lo Stato deve rispondere con la violenza alla violenza ed ba anche il cliritto di preYenire le crisi anarchiche impedeudo l'incitamento all'odio e alla lotta di classe Lib'ertà di pensiero sl, ma 1101,1 libertà di pro~ pagare un determinato pensiero con metodi costrittivi o violenti e perciò, a rigor di logica, lo Stato liberale può anche arrivare a proibire la propagazione di idee contrarie al metodo liberale di convivenza sociale. Resta dunque fissato 11 diverso significato della parola liberaHsmo a secondo che essa si riferisce alla filosofia, a11a economia e alla politica. E1 possibile essere liberali in 1111 senso e uon 11ell1altro. E' molto difficile definire qttale debba essere il pensiero filosofico del liberale. A me sémbra che il liberalismo essendo essenzialmente una teoria sociale è teoricamente conciliabile con i principi su-premi delle cliverse grandi teorie filosofiche {idealismo, fenomenismo, realismo 1 dualismo, monismo) ossia non appartiene in particolare a nessuna di esse. Si può invece de.finire la teoria liberale dal punto di vista economico e politico. AncJ1e fra queste teorie vi può essere conflitto. Abbiamo chiamati liberali assolutisti coloro d-1e ritengono necessario di negare il 1ibera"1ismo politico per assicurare il liberaiismo economico e giuridico, coloro invece che ·per attuare il liberalismo economico-giuridico credon0 sia meglio ricon:ere al liberalismo politico e concedono anche ai non liberali il diritto di fare l'esperienza dì governo, li abbiamo definiti liberali democratici. Tanto gli uni quanto gli altri credono nella verità cli alcuni principi economici ·e giuridici e perciò nella falsità dei principi contrari, ma i primi vogriono co111battere « l'errore antiliberale » _ con la repressione e l'esclusione, mentre gli altri ritengono che il· metodo mig1iore per combattere <' l'errore anti1iberale »consista nel concedere entro certi limiti, ai non liberali, il diritto di far 1'esperienza dei loro errori per persuaderli alla couYersione. Il liberalismo integrale ha per scopo essenziale la regolazione del ricambio delle classi dirigenti. Il liberalismo dunque oltre ad essere un programma di goYerno è anche una teoria delle fonne di governo. 11 liberalismo assolutista tende a cÙnfonclere il governo che ségue principi economici liberali cou lo Stato e perciò a considerare ogni dissenso dal governo come delitto contro l'autorità dello Stato, invece il liberalismo integrale, democratico, distingue fra Stato e governo ed appunte per questo ammette che nelPambito dello Stato liberale si succedano governi di puri liberali (in economia e filosofia) e cli partiti non in tutto oppure nou soltanto liberali come i socialisti, i 1Jazionaiisti e i cattolici. Ma però è necessario che questi partiti, filosoficamente ed economicamente Ùon liberali, siano liberali politicamente, ossia che a.ccettiuo lealmente il metodo liberale per la cònvivern,.,a sociale e per la lotta politica. Garante e custode cli questo metodo deve appunto essere lo Stato liberale che, anche secondo la concezione più larga e democratica del liberalismo, deve poter difendere i principi fondamentali della propria liberale costituzione contro tutti e, se è necessario, con qualunque mezzo. Appunto perchè i governi sono mutabili, lo Stato deve essere immutabile. La teoria politica del liberalismo è poco romantica, niente eroìca 1 e piuttosto pessimista. Non crede nelle « lotte feconde", ne·i fatidici cozzi dai quali si sprigionano le faville divine della nuo,·a storia. La storia politica 11011 è un bene, ma una necessità che occorre r-egolare ed attenuare. 11 liberalismo riconosce come un clalo cli fatto il dinamismo storico, ma ha per fine la pace e la qui.etc sociale. Secondo me il liberalismo è anzi la migliore « prassi 'Il del cq1rnervatorismo. E' una specie dì difesa clastica contro tutte le violente ed erompenti novità ed i I perenne spegnitoio cli tutte le rivoluzioni. La dgida resistenza, l'assolutismo conservatore sono i migliori alleali di tutte le rivoluzioni, a11zi sono il momento 11egativo, ma necessario <li ogni rliakttica rivoluzionaria. Legalizzare il nuovo vuol dire inc:luderlo nel pas~ sato, ossia uccidere con }'evoluzione la rivoluzione. Il liberalis1110 l; pessimista appunto perchè non crede alla possibilità <li nessuna paling<:nesi. La lotta di da,;se e di nazione è un fatto, perciò è inutile negarla in nome di una astratta idealità; ma la lotta violenta è un male poiché è inutile, ed è inutile in quanto non porta nessun stabile risultato. Perciò conviene a tutti attenuare e regolare la lotta sociale e tanto i conservatori per difendere il loro passato, quanto gli avveniristi per imporre il loro fttturo, potnu,.- no, anzi dovranno, accettare il legale riformiJ,m. dello Stato libe'r.ale. Come si vede nessuna twria è meno eroica di questa, tu.ttavia ciò non si.- "1ùfica che lo Stato liberale sia imbelle e passivo. Prima di tutto lo Stato liberale presuppon<e i cittadini liberali e perciò lo Stato dovrà attivamente provvedere alla loro eduealione polij::ica e poi, contro chi persiste nel n1etodo rivoluzionario avendo la possibilità di _seguire le vie legali per tendere alla propria finalità, lo Stato liberale deve difendersi colla repressione; alle bombe dei rivoluzionari crouie:i dovrà rispondere colle sue mitragliatrici. Almeno cosl i rivoluzionari potranno fare su] serio la loro rivoluzione. NOVELLO PAPAFAVA. -----~<1>-+-«>------ POS'X'ILLA Eletto discorso degno cli consolante meditazio-- ne ci parvero i pensieri di AleSsandro Levi e di Noveilo Papafava. D11rante il fiorire più intemp(?rante di logica tribunizia e di ideologie iocprovvisate con la fertile insistenza <lei liberti, diventa una. necessità di misura l'impartire lezioni dignitose di costume costituzionale e di austerità politica. I discorsi impassibili di sole11nità gitu·idica che Lufgi Albert.ini ripete in Senato, s-enza tralasciare una sola occasione pet· recare i lumi del suo monotono protestantismo, appartengono a questo stesso nobile g~nere di lamenti sull'ingenerosità dei tempi e sul fanatismo dei politicanti. Intorno a una questione di stile vedemmo, assai facilmente, raCT:'oglier:si i più vari consensi alla nostra polemica: poichè in pieno sovvertimento degli uomini e dei ceti è lecito attribuire importanza più fondamentale alle coincidenze di costumi e cli attitu<lipi diplomatiche, quasi una comune aristocrazia di stile, che alle differenze ideologiche e agli iatenti riformatori. Pi1ì semplicemente, conserva.- tori e rivoluzionari sembrano uniti per istint@ cli fronte all'altra Italia dannunziana e fasòsta. Ma nou bisognerà esaurire in un generico consenso di stile tutta la politica. Il discorso di Novello P2pafava resta la lamentazione clel conservatore; anche se trattisi dt quel conservatorismo, che subito dopo il perio<lc, del Risorgimento, l'aristocrazia agraria italiana da Stefano )acini a Leopoldo Franchetti a Francesco Papafava sentl di dover opporre alla decadenza del parlamentarismo e del socialismo di Statp. Noi potre1umo augurarci un esperimenbl cli conservatorismo siffatto (e perciò riconosciamo nel pa1iito popolare il legittimo succ~ssore <lel fascismo) solo per i benefici effetti che I 'assestamento legale risultante e ìl rispetto degli uomini, delle idee e dei partiti, che ne verrebbe sancito, darebbe nuovo incremento alla lotta. Il metodo ùei liberalismo, Io si consideri nella sua sostanza economica o etica o costituzionale, consiste nel riconoscimento della necessità <lella lotta politica per la vila della società moderna. L'importanza di un'oppoSizione per l'opera de1 governo, la tutela delle minoranze, lo studio dei congegni più raffinati per le elezioni e per l'amministrazione pubblica, le conquiste costituzio~ nali, frutto cli 1ivoluzioni secolari sono il patrimonio comnne della mat11rìtà politica e deYono intendersi come proble1ni di costume -po1-itico propri dei liberali, come dei loro eredi • av,·ersari che no11 siano ingenuamente teneri per gli anacronismi o per le esercitru-.ioni oratorie di filosofia politica. Ma non sembrerebbe leeito che chi crede a questo metodo debba chiamarsi senz'altro liberale, mentre anzi queste considerazioni si direbbero le premesse necess.c1:rie fuori delle quali non si trovano elementi che consentano una discussione feconda. Se concediamo ai conservatori di chiamarsi liberali non saprem1no più che cosa obbiettare ai nuodssimi tiranni che parlano, per demoniache tentazioni cli dialettici fantasmi, della libertà \"era come libe1ià contenuta nei limiti della legge (mentre nel caso specifico ci acconlenterem• di ricordare maliziosamente al Gentile che rarameute i filosofi seppero sottrarsi al fascino dell'autorità per le stesse ragioni per cui le dounicciuole più espansive venerano il bastone). 11 nostro liberalismo, che chiainru11mo rivo1uzionario per evitare ogni equivoco, s'inspiu. a una inesorabile passione libertaria, vede nella realtà un contrasto cli forze, ca.pace cli produrre sempre 1111ovc aristocrazie dirigenti a patto clic nuove classi popolari ravvivino la lotta con la loro disperata volontà cli elevazione, intende l'equilibrio clegli ordinrunenti politici in "funzione delle autonomie economiche, accetta la costihtzione solo con1e una garanzia da ricreare e da rinuovare. Lo Stato è 1'equilibdo iD cui ogni giorno si compongono questi liberi contrasti: il compito della cla..9Sepolitica consiste nel tradtu·- re le eslgenze e gli istinti in armonie storiche e giuricliche. Lo Stato non è. se non è la lotta. Non bi.sogna confon.dei"e l'eticità cli questo liberalismo eon la grossolana filosofia della schiavitù dei pedanti gentiliani: è un sistema di ascesi politica, è la pratica e la preparazione attraverso cui il popolo conquista la sua coscienz.a. sociale. L'educazione popolare non si fa nelle scuole, ma nella vita, e la libertà (del produttore come del cittadino), mentre è il fine eternamente cercato da tutte le rivoluzioni che vengon.• cùi.lbasso, riesce il tirocinio speri.111.enta.l.el,'i:ni~i•- zione laica per la religione della dignità. p. ~-

LA RIVOLUZIONE LIBERALE RIFORMISMO E COOPERATIVE B lato socialmente utile, a.w:i progressivo, del fascismo è in qttesto suo rappresentare il capitale produttivo (agricolo ed industriale} contro il capitale e il lavoro improduttivi sperperati nella burocrazia statale procreata dalle statizz~oni e dalle municipaliz1,azioni, nelle false cooperative n.ùnerarie, metal1w·gicbe e chimiche, negli istituti per il c01nmercio con l'estero, per i lavori pubblici nel Mezwgiorno e<l altre botteghe aperte dal cooperativismo speculatore ed affarista, negli islitttti per i cambi, e per organizza.re forme di assict1razioni sociali non SClJtite dagli stessi lnvoralori, contro le quali, anzi, essi banno fatto lo sciopero per non pag~re le quote che la l<cggeimponeva ad essi, riluttanti, cli pagare, e elle intanto serviva.no solo ad alimentare una sconfinata burocrazia (1), la quale assorbe così trna parte note,·ole del lavoro improduttivo eslst.ente nel paese. Ognuno iulcnde che a questo Sperpero ù•ragionevole ed assurdo <XX:orrevaporre nu argine, se non si volevano essiccare tutte le fonti del lavoro naziou<-1.le. Il fascismo ha rappresentato quest'argine; almeuo ]o ba rappresentato nel primo 1nomento, perchè se esso co11tiuuerà ad ingozzarsi cli leghe esattoriali e impiegatistiche, di bancari e di addetti ai pubblici servizi, di pennaiuoli ed emargiuatori di pratiche di ogni specie e qualità; esso dovrà fare proprio lo stesso che ha· fatto il partito socialista, e diventare auch 'esso una vasta e pericolosa organizzazione del lavoro improduttivo ai danni del capitale e del lavoro produttivi. Se i I socialismo fosse rimasto fedele alle ptUe teorie marxistiche, nelJe ·quali è essenziale la differenza fra lavoro e capitali produttivi e lavoro e capitali improduttivi; se e..c:.so avesse capito dal 1\.Iarx che non ogni lavoro produce ph1svalore 1 ma soltanto que1lo che è addetto a1la trasformazione materiale dei beni; e che qu.incli la organizzazione dei ceti impiegatistici commercia.li, statali, bancari, la creazione di cooperative di consumo e cli imprese parassitarie• (l'Istituto per il .comme1·cio con l'estero, ecc.); lo sviluppo delle assicurazioni sociali in paese iu gran parte artigianesco e <loi:e perciò si addossa al proletario non salariato (artigiano, coltivatore indipendente, ecc.) il mantenimento ed il lusso per il proletariato; se il socialismo italiano lo avesse compreso, anebbe fatto esso la lotta al riformismo sociale, al parassitismo riformistico e plutocratico, ed avrebbe -impedito - almeno per questo verso - il sorgere del fascismo. - Ciò volle essere l'antico socialismo rivoluzionario .Jel1'A11anguardia Socialista di i\Iilano, nucleo dei quale iaceva parte lo stesso .Benito Mus- .;olini; ciò sj_ sforzò di essere il sindacalismo rivoluzionario. La dottrina marxistica contiene una chiara denunz.ia del socialismo di Stato e della riforma sociale (2). Il socialismo italiano si pose su di un'altra strada, e di ventantlo esso il maggiol propulsore di interventi statali di riforme_ destinate ad accresce.re la burocrazia statale e di perturbamenti nella privata produzione dei beni, si assunse esso la responsabilità degli inconvenienti che ùa.l riformismo sociale promanava.no. l'-tfa la verità è che l'interventismo sociale è stato ttna politica praticata da tutti i partiti italiani, liberali, democratici e radicali, dalla Destra co1'n.e dalla Siuistra 1 e fu consigliato, suggerito, -impo.sto da tutti i partiti. L'Italia è il paese deo-li eccessi. Venti, quindici, dieci anni fa il rifor- ~smo sociale era 1 'unico rimedio che i partiti sapevano consigliare per ovv:iare ai mali nascenti dalla cosidetta questione sociale. Contro il so- -cialismo, contro 1'anarchismo 11011Si sapeva <:'Onsigliare altro; e da tutti! Oggi npn si può aprire un giornale, leggere un discorso, senia sentire una denunzia della rifonna socìale, dell'interventismo statale, da cui pare che provengano ttttti i mali dell'umauità in generale, e dell'Italia. in ispecie. Non sarebbe nostro • cet· esprit léger, ce caractère e,ffacé et changeant, stigmate de toutes les -races clegenerées , ? (Gobineau - lnégalité des ,:_aces hwm,., 1884, II, p. 257). Ma perchè poi i socialisti pagarono per tutti? L'indagine merita dj essere fatta. (1) L'unica assicuraz.ione _che il lavoratore capisca è quelJa degli infortttm sul lavoro: Le altre gli sono state imposte da una burocrazia, creata dalle assicurazioni e che il loro cessare avrebbe disoccupata. - Clii si è accorto che gli operai hanno fatto scioperi per non subire Je a_ssicurazioni sociali? - 11 riformismo· è stato nnposto all'Italia. della piccola borghesia delle professioni liberali in cerca d'impiego. (2) Il punto di vista 1iffic-iale clella Democrazia Socia.le (marxistico) sul socialismo cli Stato pttò dirsi contenuto nella deliberazioue che il parti t.o socialist..1. tedesco prese al suo congresso annuale del 1892 (mozione Kauthsky} : e La Democra;z.ia Sociale non ha nulla di comune col cosidetto Socialismo di Stato. - li cosidetto socialismo di Stato, nei linùti in cui mira alle statiz1..azioni a scopi fiscali, vuol porre lo Stato al posto dei privati capitalisti. e darg:li Ja forza rl 'imporre al popolo lavoratore 11dopp10 giogo dell_osfruttamento economico _edell:i schiavitù pohhca. - n cos1det~o _soc1altsmo d1 Stato, in qttanto si occupa del 1;111gl_1~ra.mento deJJa con: òizione delle classi ...lavoratnc1, è un sISte~a. d1 mezze verità (Halbeiten) c)te deve la sua ongrne alla paura della dem0<;ra1,ia sociale •. . Il marxismo è un sistema emrnentemente. ltbemle. Jn un suo antico scntto, Engels _defi~tva jt comunismo : « l'organizzazione della hberta "· Le legislazione sociale dei partiti costituzionali La legislazione sociale in Italia comincia con un nome, col nome di un uomo della Destra il Minghelli. Scrivendo egli dei primi incerti m~vitUenti verso un progresso economico dc1la 11.azione, quale si accennava nel 18701 d.iceva: e Bisogna accelerare questo movimento, siccbè l'Italia, da natura privilegiata di ubc1toso suolo e di ogni qua1ità d'ingegni, diventi uua nazione ricca, potente, prospera : possa gareggiare cou le altre contrade civili e rinnovare il periodo statico nel quale le nostre repubbliche portavano le merci desiderate a tutti i paesi ciel mondo ... Ma questo risveglio e questo moto economico non può aver luogo che ad una condizione, cd è che l'economia pubblica sia sempre subordinata al principio morale, il quale deve essere anche informatore della vita industriale pu.rchè duri vigorosa i in.fine il t,rogresso economico deve andare congi,mto a quello della legislazione sociale .. . il cui intento è rimediare ai mali che dal progresso medesimo scaturiscono e di provvedere alla ttttela e al bene delle classi lavoratrici>. E dalla Estrema Sinistra, per opera di Agostino Berta.ni, veniva la proposta, divenuta poi legge (5 dicembre 1871), di una inchiesta sulle condizioni dei lavoratori delJa terra. Per converso la Destra, per mezw ciel Castagnola, attuava la prima legge sttl divieto del lavoro sotterraneo ai minori degli undici anni, cui seg-u.irono altre disposizioni riguardanti l'età e la giornata di lavoro dei fanciulli (legge 21 dicembre 1873, N. 1733). Rispondevano i mazziniani con il patto di Roma del 1871, nel quale si proclamava , la idea della fratellanza generale, 1iaffermando i diritti della fanùglia e dell'individuo e i didtti della libertà: mirando al miglioramento delle condizioni degli operai, morali ed intellettuali, me<liante la cooperazione e I 'assicurazione e ]a trasformaz.ione dei rapporti tra capitale e lavo• ro, per mezzo di una legislazione difensiva del lavoro, d'un ordinamento che permetta al lavoro di partecipare al governo della società, l'ado7ione delle otto ore, 1'istituzione delle camere di lavoro e di collegi probivirali, le casse pensioni, l'estensione del principio èooperativo a tutti i lavori degli enti pubblici, senza lim_iti di cifre>. - Destra, Sinistra storica, mazziniani - i socialisti, come Partito parlamentare, non erano pera11co nati - tutti si pongono sulla stessa strada: quella delJa riforma sociale. La democrazia è nata come w1 regime politico spontaneamente volto a risolvere i problemi contingenti e marginali deJle classi lavoratrici . Quando nel periodo 1901-J913 essa prese delibe· ratamente la via delle rifonne sociali e delle statizzazioni, essa non adottò nessun principio che le fosse estraneo, che ]e venisse di fuori. E non è nemmeno vero che ciò risU.Ìtasse per una pressione che i socialisti esercitassero, perchè questi si mantennero costantemente all'opposizione. Certo, siccome nulla si opera nella società e nella vita vanamente, l'azione di classe dei socialisti valeva come una messa in guardia alle classi borghesi, come un avverti1nento, come ~uggestione di una materia,' che esse 11011amaM vano in guisa speciale. Ma per quanto riguarda la responsabilità politica della politica sociale seguita dai governi d'Italia, essa resta su tutti i partiti costituziouali della Camera che omogeneamente la sostennero. Essi la consideravano un loro titolo d'onore, e la rivendicavano volentieri, ge·nte cli Destra e gente di Sinistra, come documento del lor ben formato cuore, di contro ai socialisti. Di av~r seguito le grandi iniziative dell'on. Giolitti - che la volle con ani,1110eonsapevole e risoluto, e la impose ai conservatori riluttanti - si facevano un chiariss-imo merito. E quando !'on. Giolitti, per un disegno di 1tomo di Stato, giunse sino alla formulazione del controlJo dei dipendenti sulle azie.n- ~le (- idea che rendeva me, socialista, componente del suo gabinetto, molto perplesso -} non una voce di dissenso si levò nelle man<lre costituzionali, che dopo la rivoluzione fascista si sono messe a dichiarare ttttti i peccati d'israello della legislazione sociale, prova se ce ne ht mai altra della viltà, della bassezza, dell'incoerenza e della miseria dei partiti costituzionali italiani, delJa loro abitudine a seguir la fortttna, della loro assenza cli criterio, della mancanza di ogni loro coscienza politica. Il riformismo dei ceti medi Un paese come l'Italia, dove il capitalismo è cosi poco sviluppato da non poter assorbire tutte le forze di lavoro esistenti, che fluiscono all'estero per le vie dell'emigrazione, questo paese deve fare una legislazione sociale molto larga e molto audace, per un triplice ordine di considerazioni : 1° per difendere la specie, che sarebbe attaccata dai bassi salati, i quali seguirebbero ad una intensa concorrenza fra gli operai, non tutti occupabili. Si opererebbe antiitalianamente abbandonando i lavoratori a sè stessi,. facendo precipitare il· loro tenor di vita. 2° In paese cli scarse- iniziative capitalistiche, una legisla-- zione diretta a favorire la cooperazione è strettamente necessaria percbè essa rende possibile utilizzare capitali e forze economiche, le qua.li altrimenti andrebbero disperse. Non c'è nessun dub· bio che la cooperazione funzioni in molti casi come rispimnio coatto e coatta trasfonn.azione di risparmio in capitale, vale a dire come un me-ao di arricchimento del paese. 3° Inoltre la legislazione sociale, col suo parassitario sviluppo della burocrazia statale e mttnicipale, offre ai ceti cospicui delle classi medie e della piccola borghesia, avviati alle professioni liberali, ma non atte a trovare in esse un pane, un mezw dì occupa,Jone e di sostentamento, che non ~ da trascurare. Io cred-0 che se i piani del fascismo e del nazionalismo, avversi alla legislaziouc sociale e alla burocrazia statale e locale, avessero successo, ne seguirebbe una pericolosa. disoccttpaxione dei ceti colti della borghesia, col sicuro risultato di buttarli all'opposizione rivoluzionaria. Fascisti e nazionalisti cbe parlano con tanta leggerezza delle statizzazioni, della cooperazione incoraggiata ed alimentata dallo Stato, della politica sociale della democrazia, mostrano semplicemente d'ignorare - quando sono sinceri - la delicatissima strutttUa dell'Italia, paese densissimamente abitato (126 abitanti per chilometro quadrato, ma se si tien conto del territorio inabitabile, 1g6 per chilometro quadrato!), povero, con w1a popolazione non tutta occupabile, tanto che una parte di essa è soggetta alla condanna dell'espatrio, con un grossissimo proletariato intellettuale, che uon può fare il meilico, nè I 'avvocato, nè l'ingegnere e spesso nemmeno il copista ,ma che pane deve pure mangiarne in qualche modo. In questo paese la < politica sociale > che è un mezw per agire artificialmente sulla distribuzione della ricchezza, cioè per dar da mangiare anche a chi notmalmente non ne troverebbe, è una stretta ed assoluta necessità; e se no un uomo come Giolitti, che non ha fisime dottrinali per la testa, ma è essenzialmen~e un empirico, un politico pratico, un tattico della politica, uno stratega dell'arte di governo, non ci si sru·ebbe posto. A lui importa un fico secco delJo Stato etico ed altre stupidità simili. Ed io stesso, che sono un marxista, ed in teoria sono nemico della e rifonna sociale ,,, come uomo politico, come uomo di governo, ho fatto e faccio del volgare riformismo! Il cooperativismo Se però i socialisti erano limasti all'opposizio- "ne, clw·ante qnel periodo 1901-1913, in cui la democrazia italiana, auspice 'Giolitti, fece i suoi grandi esperimenti ili politica sociale, e perciò non ne portano ttna responsabilità diretta (- del resto le loro forze parlamentari, che non superavano i quaranta deputati, non permettevano ad essi di esercitare un 'influenza decisiva o preponderante sulla legislazione -} ; la tempesta che si è scatenata su di loro ha le sue scafurigini in un fatto connesso allo sviluppo della politica sociale: nella parté che essi presero ali 'incremento e al 1igoglio della cooperazione. - Bisogna infatti tener presente che l'offensiva fascista contro il partito socialista si è accanita specialmente contro le cooperative, che essa ha inesorabi1ment~ schiantate. L'Italia è stata, per varle ragioni connesse alla povera iniziativa capitalistica della nostra borghesia, una terra fertilissima per gli esperimenti cooperativi. Una v~cl.iia_ statistica del Ministero di Agricolttu-a accertava, ai 31 dicembre 1910, ben 5005 cooperative, così ripartite: di consumo 1704 agricole 925 di produzioue alimentare 87 di pescatori 31 di lavoro 1017 di produzioni varie 564 edilizie 375 miste 297 Ma oggi (- mancano le statistiche -) le cooperative - rosse, bianche, gialle e tricolori - non sono meno cli ventimila, numero enonne 1 che, di passaggio, rivela insieme l'artificiosità e un qualche vizio di sistema. La maggior parte di queste cooperative, e, bisogna anche a·ggitmgere, le più serie, diperÌ<lono strettamente dal partito socialista; o, per dir meglio, ne ilipendevano prima della offensiva fascista. La cooperazione è essa uno stnrmento di politica capitalistica o di politica socialista? L'una e l'altra tesi è stata sostenuta (1), e sono entran1be vere. Il critetio col quale risolvere il quesito è' questo. Le cooperative hanno bisogno di capitale. Esse se lo possono procura.re in tre maniere, e ciascuna di esse dà luogo a<l un carattere delle cooperative, le quali appttnto possono essere: n} nentre, b) capitalistiche, e) so· cialistiche. Qttando le cooperative raccolgono il capitale dai risparmi dei propri soci, e sono le vere cooperative, esse non sono nè capitalistiche, nè socialistiche: sono associazioni di capitale e lavoro, i ctù effetti ricadono solo sugli associati. Se fanno buoni affarì 1 prosperano i soci; e se cattivi, sono i soci che vanno in malora. - Quando le cooperative raccolgono il capitale dn estranei (banche o privati), esse hauno 11110 spiccato carattere capitalistico, perchè il frutto dei loro affrui (interesse del capitale} è pagato ad (1) Marx ha sostenuto successivamente le du'e tesi. Nel 1t 18 Brumaio » ne parla come di un fatto che contrassegna la volontà delle classi lavoratrici di rinunziare a rovesciare « d.ie alte Welt ,. (1• eclizione, p. 8). - Nella refutazione di Eccaritts alla Economia di St. Mili, che, iu quèsta parte, fn scritta da lui, attribuisce alle cooperative il còmp-ito di precorrere il comunismo (p. 73). • 79 estranei; e più si sviluppano, e più si sviluppa il mutuo ad interesse, e più si consolida. il regime capitalistico, fondato sulla percezione di nn interesse noo connesso ad un'attività personale, Queste cooperati ve - anche se siano nominalmente sotto la direzione del partito socialista - sono organi della società capitalistica, in quanto la conserva,,Jone dell'interesse puro del capitale è favorito dal loro stesso sviluppo. Crescendo il loro numero, cresce l'appello a.1 capitale privalo, ed il pagamento normale dello interesse assicura la durata e la conservazione del capitalismo. Io ero ministro del Lavoro all'e• poca deila occupazione delle fabbriche. Quanti industriali non vennero a propormi di cedere lt loro aziende ai dipendenti, ptUcbè questi si impegnassero a pagare gl'interessi del capitale e nn tenne ammortamento? Sarebbe stata la perpetuazione del capitalismo e I 'oz.io assicwato " capitalisti ! Vi è ttn terw modo di raccogliere il capitale per le coopErative: mercè anticipi fatti con • fondi pubblici e raccolti dallo Stato. Che C06a accade? Lo Stato adotta una legislazione fina11ziaria, indirizzata a far pagare i tributi soltant,, alla classe capitalistica. Con i mew1 raccolti dall .. classe ricca, anticipa i fondi alle coopErative. La classe capitalistica anticipa i suoi capitali come tributi. Lo Stato ne riversa una parte alle cooperative. fu altri termini, la classe capitalisti,;,, fornisce i capitali alle cooperative non solo senza interessi_, ma senza promessa di restituzione. Lo sviluppo graduale. di questo sistema avrebbe due risultati: 1° tutta l'attività economica passerebbt gradualmente alle cooperative, 2° tutto il capitale della classe capitalistica passerebbe grarlualmente alla classe lavoratrice. - Questo è il sistema della cooperazione statale proposto cl,-J Lassalle e dal Marx, e di cui si trova una traccia nel programma di governo delJ'on. Giolitti del giugno 1920; ed è p~ecisamente quel sistema r cooperazione elle io chiamo e socialistico •· La cooperazione sostenuta con i mezzi dello Stato si è largamente diffusa in Italia. Nell'Italia centrale essa ha completamente soppressa la classe degli appaltatoti di opere pubbliche. La questione se questa forma di cooperazione sia stata più economica dell'appalto privato, pende. I socialisti dicono di sì, ma si può dubitarne. La cooperazione agricola, quella per l'as.5unzione e: opere pubbliche hanno esasperato le classi censitarie dell'Italia centrale e settentrionale, pi· con l'immaginazione del loro futtUo sviluppo che per il danno attuale inflitto ai patrimoni privati. Ma quando sotto l'influsso di altre circostanze si formò un moto di violenta reazione al partito socialista {- movimento che alle origini e nelle cagioni fu indipendente dallo stato d'irrita?Jone antisocialista delle classi ricche -), la borghesia dell'Italia centrale e settentrionale ci si buttò denh:o con veemenza e con astio. Il fascismo era nato da una reazione del sentimento nazionale offeso. La borghesia minacciata dallo sviluppo di una cooperazione, che erroneamente i socialisti chiamano di classe, e che più esattamente deve dirsi statale, e che col passaggio ad un'amministraz.ione socialista della Cassa di Risparmio di ri.Iilano, ormai indeprecabile, per i continui successi elettorali dei socialisti nelle finitime provincie di :Milano, Mantova, Bergamo e Novara, avrebbe ricevuto un potentissimo impulso, trascinando nel movimento anche le altre banche ( -la plutocrazia bancaria ba una psicologia cosl prossima a quella del socialismo! -} ; si buttò ardentemente nel fascismo. E' così dolce credersi pattioti quando non si è che egoisti! La confluenza del fascismo, nato pariottico e che fu ad Oli pelo per diventar. socialista, con la rio.cita borghese contro il socialismo cooperazionistico e riformista spiega le forme cbe ba assunto i..u Italia la lotta delle classi in questi due ultimi anni. Il nemico apparepte era if bolscevismo e la dittatura; quello reale il riformismo social~ e il cooperativismo. Non si trattava di espugnare la rossa bandiera dei Soviet, ma il cacio e le bonifiche dei socialisti più borghesi ... Lo sviluppo parallelo di una legislazione tributaria anticensitaria e della cooperazione statalista avrebbe avuto per fatale corollario l'essiccamento del cap.itale nazionale destinato allo imprese private, Je sole che possono intendere adesso al vasto còmpito ili approvvigionare e nuttire la naz.ione (1). Se oggi il proletariato non è capace di gestire la produzione; tutto ciò che paralizza il processo normale cli arricchimento nella nazione, è conh-ario agli stessi interessi delle classi lavoratrici e del socialismo. Appoggiati a questa verità, i fascisti hanno potuto stroncare e sconvolgere ii partito socialista, quasi come esecutori di una volontà nazionale, quasi come interpreti di una sentenza del progresso stodco. Ma il vero problema è questo: banno essi soppresso il terreno da cui germina il riformismo sociale1 che è il lorò vero nemico, e non il bolscevismo; hanno essi intaccato il valido stnrmento ché da quel ten·eno raccoglie la messe delle riforme, cioè la democrazia politica? - Ed io anticipo con un no, la risposta che dar4 al quesito nel corso di questo saggio. • ARTURO LABRIOLA. (1) Nel mio Nfanuale di Economia politica (2• edizione - A. Morano, editori, Napoli - - cap. XII} bo dimostrato che la cooperazione di lavoro non può riuscire se non nei casi di produzione molto semplici e tipizzabili. Evidentemente tutto il resto deve essere fatto dalJ'impresa privata!

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