La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 18 - 12 giugno 1923

RIVISTI\ STORICf\ SETTll"\f\Nf\LE DI POLITICI\ ESCE CONTO CORRENTE POSTALE .. Diretta da PIEROGOBETTI- Redazionee Amministrazione: TORINO,Via XX Settembre,60 .. Abbonamentoper il 1923(con diritto agli arretrati) L. 20 - Estero L. 30 - SostenitoreL. IOO• Un numero L. 0,50 IL MARTEDÌ Anno II ,, N. 18 - 12 Giugno .1923 BO lI li: ARI O: A. MONTI· p. g.: Ultima polemica snl combattenti. - A. LADRIOLA: Il disgregamento rlform!sta. - G. AN8ALTJO: J,a piccola borgbtsla. - ~- G>.VAI,Lf:Note di pol!tiea fn~rna. _ C. ALVL-<O: Sindacalismo, - N'. PAPA>'AVA: Revisione libernle-111, ULTIMn POLEMICA SUICOMBnTTEHTI A.ugusto Monti conserva il ricordo del movimento di « combattenti,» che egli capitanò ,,. Brescia: movimento di ceti medi-borghe,i n semi-proletari desiderosi di una politica conservatr·ice. Il movimento nazionale dei combattenti fu tutt'altro: fu un indice della immaturità 'f)Oliticaitaliana che sostituiva alla questione sociale una discussione sentimentale di _qratitudine o di recriminazioni; fw un prodollo dell'odio di classi parassitarie e avventuriere contro gli operai; fu la continuazione di una mentalità nazionalista dannunziana e guerriera che speculava sulla disoccupazione invece di accettare l'umile dovere del lavoro; fu il primo esempio di psicologia e di dottrina fascista. Le forze nuove di domani si dovrnnno cercare nella vita produttiva della nazione, non nel dilettantismo degli spo,;tati che vogliono vivere di privilegi e di avventure. Finita la guerra fu della massa dei comLattenti come del fiume che sbocca in mare e le cui acque si mantengono ancora un pezzo, per colore e per sapore, distinte da quelle marine: per un pezzo i combattenti italiani reduci dalla guerra continuarono a formare un tutto assai omogeneo, che non voleva saperne di confondersi così presto con la massa di tutti quegli altri italiani « che non c'erano stàti ». Politicamente pareva quello un movimento assurdo: ma invece, in -un paese come l'Italia, da quel movimento, bene inteso e ben guidat-0, poteva venire alla vita nostra politica, specie nel Mezzodì, un gran bene. Capi naturali di quel movimento erano, evidentemente, i cosidetti « interventisti di sinistra», gente, la maggior parte, che o era, prima della guerra, rimasta fuori dei partiti o era, per la guerra, venuta fuori dal partito socialista. Capo ideale di quel movimento, nella penuria d'uomini che affliggeva e affligge la vita politica italiana, si presentava Benito Mussolini. * *. Ma perché Benito Mussolini potesse bene adempiere al compito di ordinare e guidare le masse dei reduci doveva Benito Mussolini, finita la guerra, finirla an0he lui con il cosidetto «interventismo"· E questo per parecchie ragioni, fra cui principali queste due: primo: il combattente italiano, come moltitudine, non era nè poteva essere interventista: era intervenuto, questo sì; per farne del bene e fargli del bene, bisognava tener presente questa distinzione, accontentarsi della sua qualità e mentalità di ·inter-venuto, e su di questa fondare la sua attività e la sua educazione politica: present&rsi, dopo la guerra, al nostro fante con la prosopopea dell'interventista, voleva dire buttarlo, per forza, in braccio al bolscevismo. secondo: «l'interventismo», necessario p11rtroppo, e quindi utile, nel '15, e per tutta la durata della guerra, continuato dopo la guerra, doveva, fatalmente, sboccacare nel nazionalismo e nel!' imperialismo per la politica estera, nella guerra civile per la politica interna; l'interventismo proseguito nel dopo guerra portava a far la p9litica degli stati maggiori e dei pesceca, ni ; il combattente italiano non era materia prima per codest-0.politica: volerlo adoperare per ciò era, ripeto, un buttarlo al bolscevismo. Benito Mussolini queste cose non le inteso: continuò a far l'interventista anche a guerra finita, anzi allora più che mai, e avvenne quel che doveva accadere: la sua ostinazione a non smobilitàrsi la mente lo portò al nazionalismo nella poliitca estera, ali'« anti-socialismo" in politjca interna; col che ottenne di cattivarsi, è vero, le simpatie e gli aiuti dei generali, dei siderurgici e compagnia brutta, ma ottenne in pari tempo di estraniar da sè profondissimamente le masse dei combattenti e i nuclei di interventisti di sinistra, che qui direm9 « bissolatiani » o meglio «antinazionalisti », o meglio « liberali ». * .. E così si formarono i « fasci di combatt-imento» che furono, sull'inizio, l'organizzazione dei combattenti interventisti-nazionalisti, e l'Associazione Nazionale Combattenti, a cui •aff1uirono i combattenti intervenuti, almeno quelli, ed erano ancora moltissimi, che dalle intemperanze dei nazionalisti e dalle bestialità delle autorità e del governo ancora non erano stati spinti ai partiti estremi. Fra i due movimenti, politici tutti e due, non ci fu mai, nè ci poteva essere, buon sangue. Al congresso del!'Associazione, tenutosi in Roma nel Giugno 1919,Mussolini non c'èra, D'Annunzio, che si era portato là appost-0., non fu invitato a parlare, il cap. Vecchi, che vi volle fare l'ardito, fu cazzottato e defenestrato; il congresso, disordinato e confuso, in una sola cosa riuscì chiaro, nell'antimussolinismo dei combattenti intervenuti. Nelle elezioni del '19 i fascisti fecero da sè, e non risparmiarono nè frecciate nè attacchi ai combattenti dell'Associazione, i quali partecipavano alla lotta politica al fianco di blocchi democratici (per. es.: a Milano) o da soli con programma salveminiano (Bari, Sardegna, Brescia, ecc.). Dopo le elezioni del 'i9 combattenti politici e fascisti mussoliniani rimasero più che mai divisi, sebbene elementi nazionalisti annidati nell'Associazione e nel gruppo parlamentare del Rinnovamento, e smascherntisi man mano dopo le elezioni, lavorassero attivamente per accostare al nazionalfascismo la barca, assai sconquassata allora per vero, dell'Associazione Nazionale Combattenti. Questi tentativi culminarono al congresso di Napoli dell'Agosto del '20, dove nuclei di congressisti nazional-fascisti capeggiati dal Siciliani e sostenuti sotto-sotto da alcuni dirigenti l'Associazione, tentarono la mussa contemporanea di fondere effettivamente l'Associazione col Partito del Rinnovamento e di dare a questo partito un programma nazionalista. Il risultato della mossa nazionalista fu ... lo sfacelo dell'Associazione Nazionale Combattenti. Dal Congresso di Napoli prima vennero via le sezioni del Nord che dicevano di non voler far nessuna p~litica, poi altre del Sud e delle Isole, che dissero di non voler fare la politica dei. .. Siciliani e dei Cuccia e De Martino ; rimasero alcuni amici di. .. Siciliani e di Cuccia... cioè zero. L'Associazione Nazionale Combattenti fu ricostituita nel convegno cli Brescia del Settembre-Ottobre del '20, e fu ricostituita sulla base della apoliticità, salva l'autonomia delle federazioni provinciali. li convegno di Brescia, per quanto non vi si facesse espressamente della politica, non ebbe cert-0 ca- . ruttere nazionalfascista. I combattenti bresciani erano dichiaratamente antifascisti ; molti oratori fecero dichiarazioni nettamente favorevoli al movimento operaio facente capo alla Confederazione Generale de! lavoro ; un tentativo del mutilato Delcroix rl: provocare una dimostrazione pro Dalmazia italiana cadde nel vuoto ; degli eletti.: del direttorio, nessuno aveva, allora, idee o simpatie nazionalfasciste: di quelli che furono poi, e sono, i dirigenti definitivi dell' A.N.C. il solo Arangio-Ruiz era fascista o simpatizzante fascista, gli altri avevano, per quanto io so, tutti idee ben diverse e ben lontane da: quelle del nazional-fascisrno. Si veniva intanto alle elezioni del '21, quelle dei blocchi na.zional-fascisti. L'Associazione Nazionale Combattenti come organismo nazionale, fedele alla sua apoliticità, non vi intervenne ; vi intervennero invece a,\cune federazioni provincia]! (per. es.: Brescia, Genova) ; dappertutto dove i Combattenti fecero, elettoralmente da sè, le ire dei fascisti si volsero dai socialcomunisti contro i combattenti autonomi, il cui movimento, tranne che in Sardegna, uscì du quelle elezioni stroncato. Dalle elezioni del '21 alla marcia su Roma, si fece sempre più evidente il proposito dei fascisti di assorbire essi il movimento dei combattenti ; o per lo meno di controllarlo r '•n \'immissione in massa di loro soci nelle sezioni e con colpi di mano alle elezionj delle cariche: tipico perciò quello che avveniva regolarmente alla sezione di Milano, dove, da q_uando ne aveva assunto la presidenza il Bergmann, reo di un certo o. d. g. approvante il tratt-0.to di Rapallo, ad ogni elezione, e, si può dire, ad ogni seduta, si ripeteva il tentativo fascista di sbalzarlo e di impadronirsi della Sezione. AlI'infu·o1i di questi episodi, che riguardano l'organismo amministrativo dell'Associazione, stanno a dimostrare la tensione che era fra Combattenti e Fàscisti tutti gli atti di violenza perpetrati in quel periodb da fascisti nelle varie parti d'Italia (Sicilia, Sardegna, Puglie, Toscana, Cremonese) contro persone e istituzioni di Combattenti: e chi vive a contatto con reduci di guerra, anche con quelli che sono fuori dalle competizioni dei partiti, ha potuto raccoghere larga messe di documenti che comprovano quanto fosse e sia dal combattente autentico odia.io e malvisto il naziona1fascismo. Dopo la marcia su Roma chi studia i rapporti tra fascismo e combattenti nota quest-0 fatto: da ·un lato il proseguire, anzi l'intensificarsi, delle persecuzioni da parte di fascisti contro combattenti; dall'altro la cura costante dell'on. Mussolini di stabilire buoni rapporti tra il suo Governo, o meglio, tra la sua persona e i Combattenti, o meglio, e l'Associazione Nazionale Combattenti. Benito Mussolini, già pl"ima di salire al governo, ma dopo ancor più, ha avuto vivissime due preoccupaziom: quella di conquistare i Romagnoli e i Combattenti; ccl ha, cocenti, due rammarichi, di non avei' potuto ancora conqui&tare nè gli uni nè gli altri. Per cattivarsi i Combattenti e poter riuscire ad aver il loro crisma di Duce dei combattenti italiani, da quando_ è salito al governo, Benito Mussolini ha fatto di tutto: ha eretto l'Associazione in ente morale, ha distrutto si può dire completamente l'Unione dei Reduci cattolici, ha promesso alla Combattenti l'Opera Nazionale con tutti i suoi milioni; ha pregato l'A. N. C. di fornirgli uomi11ida immettere negli orga.nismi statali; ha fatto insomma di tutto. Ed i dirigenti dell'Associazione Combattenti, poveretti, che cosa dovevan fare? Ora che l'Associazione è apolitica essi dovc.,van curar., gli irueressi degli associati, i soli interessi a cui possa badare una Associazione apolitica, cioè gli interessi materiali, economici, giuridici; e questo han fatto codesti benemeriti dirigenti, present-ando memoriali, avanzando desiderata, accogliendo i benefizi fatLi ai combattenLi, e ringraziando. E in compenso che cosa han dato, finora, a Mussolini? Dei vaghi riconoscimenti delle benemerenze del Governo Nazionale nei riguardi degli interessi dei Combattenti e del paese e delle platoniche e « Sturziane" promesse di collaborazionismo ... a distanza. Mussolini pare che non sa ne accontenti ed ora., per mezzo specialmente del Consigliere !\azionale Arangio-Ruiz, finalmente, è riuscito a combinare un gran convegno di Combattenti dell'Associazione '.\azionale, a Roma, pel 24 giugno, con suo importante discorso in Campidoglio. . *. Che cosa dirà Mussolini ai Combattenti in Campidoglio il 24 giugno? Non so, nè m'interessa straordinariamente. Più m'interesserebbe sapere quel che a lui diranno i Combattenti dell'A. X. C.· e per essi : rl.0ro dirigenti. I quali dirigenti sono troppo intelligenti e troppo probi, personalmente e politicamente, da dimenticare in tale occasione, che essi rappresentano unicamente una Associazione ora.,."llai APOLITIC.\, e che essi quindi dai loro amministrati hanno unicamente il mandato di curare e rappresentare i loro interessi NON POLITICI, cioè i loro interessi giuridici ed economici. Chè se per avventura Benit-0 :vlussolini, come da qualcuno si va dicendo, contasse di attirare nella sua maggiora71za perso71ale, per le prossime elezioni, anche i Combattenti Italiani organizzati dall"A. ~ . C. i dirige1:ti dell'Associazione, sapranno ,me far intendere al Capo del Fascismo 'che il movimento politico dei Combattenti è morto e che essi non possono nè debbono risuscitarlo a favore di chicchessia. I rappresentanti dei Combattenti italiani riuniti nell"A. N. C. sa.pranno bene in ogni modo distinguere, come han sapu.to distinguere i Romagnoli, fra « el nost Benito » e il capo del Fa-~ismo Halic.no: per i Combattenti Italiani, se mai, « et nost Benito,, sarà il caporal dei bersaglieri, decorato, feril-0, mutilato e autore di certo ,11ario, in cui tra l'altro si parla di trincee sanguinose, che saranno i solchi dond.i nascerà la messe di libertà per tutti i popoli; ma per i Combattenti Italiani questo Mussolini è scomparso da quando in luogo di lui è sorto il capo del nazional-fascismo italiano, di quel nazional-fascismo che colmava di vituperi un combattente come Leonida Bissolati, di quel nazional-fascismo che nel 1921 fece i blocchi cont.ro i comba.ttenti puri e con la demo - social - pescecaneria italiana; di quel nazional-fascismo che ancora dopo la marcia su Roma, nel febbraio scorso, con un o. d. g. approvato dal Gran Consiglio, poneva il principio che nessuna differenza si doveva fare tra i soldati italiani morti e mutilati nella grande guerra dei popoli cd i fascisti morti o mutilati nella cosidetta « rivoluzione fascista"· Chè se di fare almeno codesta distinzione si dimenticassero i dirigenti dell'Associazione !\azionale Combattenti, stiano tranquilli essi, stia tranquillo Benito Mussolini, ctie se ne ricorderà - pei· la vita - il vovero fante. A UGCSTO MONTI.

b 74 LA RIVOLUZIONE LIBERALE lh D15EiRE6flMENT□ Rif□RMISTfl Il riformismo contro l'economia Il rifonnismo ha una linea di sviluppo normale fìnchè sia conforme agli interessi deilo stesso capitale industriale. Le assicurazioui sociali liberauo il capitale dalla preoccupazione della sorte personale del lavoratore e dalla necessità cli provvedervi con ·l'assistenza diretta. Le mu• lllcipalizv;i.zioni e le statizzazioni, neutralizzando . l'ambiente economico, impediscono, ad esempio, elle una ditta, a cagione di particelari intese cou una compagnja ferroviaria, ottenga una con• dizione di privilegio sul mercato della concorrenza. L'assorbimento delle forre economiche eh~ il regime del1a riforma sociale attua, disciplina il mercato della forza di lavoro, assesta la società economica, al lontana da essa i pericoli d\!lle avventure. Sostanzialmente il sistema capitalistico non potrebbe vi vere seuza Ulm dose molto larga di riformismo civile; tanto vero che tutte le società capitalistiche molto sviluppate, l'lnCon q,iesto fran1,mento di 111, più a1npi-0 sag, gio su Le due politiche (fascismo e riformismo), Arturo Labriola reca l'a11to,·i./à del/a s·ua rnltu.ra 111-(lrxista lle indagini della. R. L. sulla più rece•ite sto1·ia italiana .. La s11,a analisi del rifor- ;,.ism.o è per noi perfettamente accettabile. Le in.certezze del gi·ud.izio sHlle premesse fasciste invece dipennono da-l fatto che questo st1'd·io fu- scritto p,ima del colpo di Stato, ossia pri111a che il nuovo 111-01Ji11iento rh.1elasse le sue contraddizioni e l}intima stnttt·1tra piccolo-borghese, 1i• forrnista. e pamssitaria. Socialismo di Stato Il riformismo, come sistema di politica sociale, può esse·re racchiuso in due termini: 1° uu complesso di misure atte ad assistere e tutela.re il lavoratore come entità economica e come persona, 2° una politica diretta a modificare la distribuzione naturale della ricchezza, nel senso di sottoporre al controllo dello Stato varie manifestazioni dell'attidtà economica privat:a. - In tale categoria rientrano auche tutte le mi• su.re, che si propongono di attuare municipalizzazioni e statizzazioni delle forme economiche. Altri parla del riformismo come di un metodo, come d'un processo che sostituirebbe la gradualità alla rivoluzionel l'esperimento democratico, cioè consentito, alla imposizione. E certo, dal punto di vista filologico, anche qL,esto può andare. Ma allora il riformismo non è più nulla di specifico uè dell' epoca, nè dei partiti nostri. Ogni ideale lreazionario, conservatore o progressi-ta) darebbe luogo ad una distinzioue di rivoluzionari e di riformisti, perchè ogni ideale (il comuuismo, come lo Stato • dei pochi> predicato dai fascisti) può attuarsi tanto per vie rivoluzionarie, quanto per vie riformiste. Gra• dualismo e riformismo coinciderebbero, ed auche l'on. Graziadei, che è il Leader dei comunisti italiani, sarebbe un riformista! - Non è in questo senso cbe del riformismo si può parlare come di un fenomeno specifico dei tempi nostri. Il riforruismo è invece quel sistema di politica sociale, che altri chiama di Socialismo di Stato, il quale tende ad attuare tutto un sistema di inte.n'enti economici a favore delle classi lavoratrici, per iniziati,·a degli organi dello Stato e sotto la pressione dei partiti politici a ciò disposti. La questione del metodo della realizzazione degli ideali sociali è differente (r). Definito in questa maniera il riformismo, esso ha tre di\·erse e confluenti scaturigini: a) l'in• te.resse clel sistema capitalistico é-taegli stessi imprenditori, b) l'azione delle classi lavoratrici, disorganizzate in tm primo momento, organizzate poi, c) lo Stato, che pure essendo l'espressione della lotta delle classi, assume, ad un certo momento, inclipen<lenza di fronte ad esse, ed avendo bisogni propri, tende a farli valere. Il riformismo e il ceto degli imprenditori Che il riformismo risponda ad un interesse delle stesse classi capitalistiche e del ceto degli imprenditori, l'esperienza e il buon senso sug• geriscono. Ma per comprende.re queste cc.se, con un esempio, è forse utile riferirsi ad una teoda del Yecchio Proudhon. :K el r8,i8 Proudhon diceva che la proprietà essendo stata considerata come responsabile del, la miseria contemporanea, si era creduto di dover propa6andare come soluzione una forma ài comunismo, di:esa da Louis Blanc e da la maggior parte dci repubblicani socialisti. Egli notava: < Invece di prendere la società per la testa come face\·a Louis Blanc, o dalla base, come' fa la proprietà, bisogna attaccarla dal suo ambiente, agire direttamente non sulla fabbrica, sul lavoro, ciò che significa sempre agire sulla libertà, la cosa al mondo che meno soffra che vi si tocchi; ma sulla circolazione e i rapporti dello scambio, di maniera da poter toccare, indirettamente e per via d'influenza, il lavoro e la fab• brica. In uua parola: cambiare }'amb1ente •· (Proudbon, Solution du problbr.e socia!, p. 170182). In altri termini, egli distingueva fra l'organismo (la fabbrica, l'azienda, l'impresa produttiva) e l'ambiente (scambio e circolazione). -- Secondo la sua opinione, le riforme non si possono applicare all'organismo fondamentale, ma all'ambiente in cui vive. Riformare signi• fi,ca agire sull'amb1ente economico. Quali sono queste riforme, delle quali parla il Prnuohon? Egli ne parla nella sua seconda memoria sulla proprietà, e le indica cosi : 1° misure dirette a separare i poteri dello Stato, 2° decentramento, 3,, l'imposta, 4,, regime del <lebi:o (r) !Juesto metod_o, del re~to, ra~somiglia alla tattica nel comb1tt1mento. Esso è imposto dalle circostanze. l.Jn partito semt>re legalitario è una accolta di imbelli; un partito sempre rivolu,ionario è un manicomio di agihlti. Non c'è: partito legalihrio, che in certe <?re!1on div~nti insurre-,donale; e 11011 c'è ~arhto 1_nsu_rrez1wona~e, ch_e in tutte le altre non sia legahtano. l,n n onrnsmo sistematico, nel senso del ]egalitarismo, è la concbnna all'impotenza. Nessun partito ha mosso m1i in ltalia tante fone quanto il socialista turatiano. Il suo organismo le;;alitario lo ha completamente disarmato; ed ora è senza influenza sulla vita pubblica. pubblico, ipotecario e commanditario, 5° banche di circolazione e credito, 6° organizzazione dei servizi pubblici, 7° associazioni iudustriali ed agricol'e, 8° commercio internazionale. - Secondo lui è possibile migliorare queste varie manifestazioni dell'attività sociale, senza punto offende1·e la proprietà dell'azienda fondamentale. In un certo senso, esse migliorano la proprietà plivata, la rendono più eu_ergica ed espansiva, più resistente e più robusta. E perciò Sorel diceva: « réformer, daus la société bouxgeoise, c'est affirme.r la prop1ieté privée •· (G. Sorel. - lntroduction, à l'économie 'i~toderne, Paris, p. n). Se la riforma modifica l'ambiente e rinforza l'organismo, che. vive in esso (la proprietà pri• rnta), si spiega che la stessa classe capitalistica sia favoreYole alle rifonne. La riforma elimina sopravvivenze, parassitismi, sfruttarnenti incom• patibili con la pura esi.;tenza del capitale. Una buona riforma tributaria, trasferendo i tributi sulla proprietà in ragion progressiva, semp1i· fica il calcol·o dei conti di produzione e cousente di comprendere quale sia il reddito effettivo del lavoro e del capitale. La statizzazione di certi servizi pubblici, delle assicura1,ioui, delle ipoteche, ecc., eliniina la concorrenza sn punti ac· cessori, e pone iu esistenza il puro principio capitalistico, come consistente nella trasforma· zione dei beni e nel guadagno che risulta dalla più convenieute trasformazione dei beni. - Inol· tre tutte le pronidenre stabilite per il lavoratore, liberano il capitale dalle noie dell'assistenza; senza dire che gli dànno u11 lavoratore più agile, piìt fort.e, più sicuro di sè, miglior produttore, più redditizio. Le classi lavoratrici l\Ia del pari il riformismo promana dall'interesse del lavoratore a migliorare la sorte propria, ad evitare che oltre la dipendenza del padrone, dall'imprenditore, qualche altra tirannia si eserciti su di esso. La neutraliz1..azione dell 'ambien• te economico gli può portare vantaggi evidenti. Lo sviluppo del regime delle assicurazioni (infortuni, invalidità, vecchiaia, disoccupazione, malattia) lo pone al riparo dell'evento incerto. Per tutte queste ragioni, il sistema del riformismo è incoraggiato e p~trocinato dalle classi lavoratrici, anche se siano rivoluzionarie, cioè se mirino alla trasformazione radicale dei rap• porti di proprietà nell'impresa economica. Il solo punto è questo. Bisogna che esse non confondano i fini riformistici con i fini rivoluzionari, la neutralizzazione dell'ambiente con la trasfor• mazione dell'organo fondamentale; che non ~. sino, cioè, che un accumulo di ri~orme produca la rivoluzione (r). Le due cose non hanno nulla di comune. Lo Stato E poi lo Stato. Per quanto prodotto dalla lotta delle classi e dei conflitti esterni che ne risultano, esso possiede autonomia e fon.a propria. L'esercito dei funzionari comincia presto ad acquistare una psicologia distinta da quella della classe da cui proviene, e della classe i cui in• tenti lo Stato protegge. E poi nello Stato c'è un che di duplice: ci sono le esigenze di classe e le esigenze di civiltà, indipendenti dalle classi, e che spesso prevalgono sulle stesse esigenze ài classe: la cultura, la 'giustizia, la stessa pubblica salute, l'ordine giuridico inteso come polizia, ecc. Il ceto funzjonaristico acquist~ una psicologia indipendente dalle classi economiche da cui prodene, e come tutte le classi si pr0pone fini imperialistici, cioè non si contenta di essere ciò che è; vuol invadere e prevalere, vuole aggregare ai propri i domini e le giurisdizioni delie altre categorie. E' esso che straripa ed in• cita a straripare. Vivendo appunto nell'ambiente della economia (sfera della circolazione economica e de11'ordine giuridico), esso tende ad assorbire 1e svariate sfere che costituiscono questo ambiente economico; e<l è prodigio!=o incitatore di municipalizzazioni, statizzazioni, assicurazio• ni, monopoli e controlli. La sua forza concen• trata i, superiore a quella di qualsiasi altra classe di cittadini, perchè trova una naturale O\J'ani1_,,. ;,,azione nello stesso meccanismo burocratico, ed una capacità cli a;rione, che consiste ne· lo stes-·o organismo dello Stato. L'organo non solo tende a creare la funzione, ma ad estenderla. E lo Stato, diventato anche organo economico, ha fame di territori economici : ed ecco la corsa alle statizzazioni e alle municipalizzazioni, al1e assicurazioni ed ai coutrolli ! (r) « La sostituzione della fabbrica socialista alla fabbrica capitalistica non si . p11ò ~ompiere per gradi, ma d1 colpo ... Questa nvo}uz1onc non è però arbitraria, cioè non può compiersi a disegno, sempre che piaccia . .Suppone rc1lizr.ate due condizioni : 1<> 1'mcapacità del sistema capi• talist.ico a reggere: ulteriormente la produzione; 2° e per opposto la stessa capacità nelle classi lavoratrici>. Arturo Labriola. - Ri/. e riv. sociale, 2• ediz., p. 243. - Sull'equivo-o del valore della parola , rivoluzionarismo,, inte!-o ge• neralme.nte come sinonimo di botte e di spari, /: parso ad alcuno che ci fosse contraddizione fra il mio pensiero di ieri e quello d'oggi. Si può essere ri'ormisti quando s'l! rivoluzionari? Evi• dentement.e ! Come si può essere avvocati e persotJe di buon appetito, italiai,i e filosofi, rivolazionari e Ministri del La•1oro, etc., etc. t ghilterra, la Germania, la Francia, adottano mi complesso sistema d'interventi statali nel processo economico a vantaggio delle classi lavoratrici. Ma il riformismo sociale, diventato iudipen· dente daHe cagioni del suo formarsi, non si contiene automaticamente eutro i limiti dei vantaggi che può prestare sia al lavoro, sia allo Stato, sia al capitale industriale. Esso teude a svilupparsi per couto suo, imponendo sia al lavoro e sia, sopratutto, al capitale du1issime falcidie. Lo stesso Stato uau si sottrae al n1alefico influsso del suo sviluppo anormale, perchè la riforma sociale, con i complicati meccanismi che forma, con la organizzazione di un esercito di funzio• nari propri, instaura uno Stato nello Stato, e indebolisce lo Stato politico ufficiale. Quest'ultimo è nato in servizio di una determinata forma <li società; ma la riforma sociale, creando un esercito burocratico indipendente dalla classe domiuante, svigorisce ed anemizza lo Stato uffi. ciale, da cui il fatto imlisCL1tibile che nei periodi di rifonnismo sociale, lo Stato riveli una sua JY<irticolaredebolezza. E tale debolezza dello Stato ufficiale non giova nemmeno alle classi rivoluzionarie, perchè l 1organismo di funzionari e di istituzioni creato dalla riforma sociale, come fiacca e diminuisce il vigo,.re dello Stato politico, atteuua lo sforzo dei Sindacati di mestiere e degli organismi politici della classe rivoluzionaria Degenerazione capitalistica e degenerazione so• cialistica ... Tuttavia giova rilevare che il riformismo sociale i suoi colpi più vigorosi li vibra proprio al capitale industriale prodttttivo, e per questa guisà agisce in maniera antisociale. Esso attua una distribuzione del capitale fra i vari impieghi, che non è quella corrispondente al principio economico del maggior rendimento. Pigliamo, ad esempio, i1 fe11ome110della cooperazione. Quan• do per ragioni politiche lo Stato si mette ad incoraggiarla, si provoca un passaggio di capitali ad imprese, che non sono as.so1utamente indispètLsabili, ma che prosperano solo per un fine polittco dello Stato. Il capit~le rimasto disponibile è più scarso, rincara, e con esso rincara i1 costo di produzione, cm:.tituenclosi una cagione di inferiorità, 11e1laco11corren1...ainternazionale, per il paese' dove questi espedienti si praticano. Tale inferiorità è risentita più particolarmente dalle classi lavoratrici non impiegate nelle im• prese sottoposte al regime della riforma sociale; onde il riformismo sociale, se opera in 'danno delle classi capitalistiche produttive, agisce non n1euo sfavoreYolmente in danno delle stesse classi lavoratrici. - D'altra parte 1a distribuzione politica del capitale fra i Yari impieghi, agisce a dam10 dello stesso accumulo del capitale, poi• chè un caoitale distratto dai suoi impieghi più procluttid: è anche un capitale che si accumula scarsamente, e che perciò fornisce al la\·oro impiego sempre più scarso. Si ha perciò una con• tinua distruzione di canita]e, che impedisce l'arricchimento ciel paese ~loYe la rifonna sociale si applica su più larga scala, AIla quale distruzione di ricchezza partecipa poi il metodo che il riformismo consiglia nella rimunerazione del lavoro. Consistendo 1a sua giustificazione sociale nel fatto che esso protegga e difenda i larnratori di fronte alla ingordigia del capitale; esso pone la Sua fon.a a disposizione di una tesi del più largo rimuneramento de} lavoratore, anche al cl là del suo prezzo di mercato nom1ale. Ciò si può per un certo tempo, ma a spese dell'accumula• zione capitalistica, cipè dello istesso fonclo dei salari; poichè pagandosi il lavoratore più del valore della sua forza di lavoro, la parte destinata all'accumulazione del capitale è intaccata, e con ciò si raccorcia e diminuisce i\ fondo su cui si j¼\gano i salari. Per il momento il lavora• tore sta bene, ma poi esso sconkrà a caro prezzo la cuccagna d'uu gioi no. La plutocrazia e il capitale produttivo Questa politica troverebbe ostacoli insormontabili nella forza ,li resisten,.a del capitale, se non fosse un fatto che riguarda la stessa composizione di capitale. - Una parte di questo capitale - il cosiclello Finanzlwpital dei tedeschi - vi ve inoperoso, lontano dagli impieghi indust,iali, fondali sulla trasformazione fi~ica dei beni. E' il capitale di intermediazione in un senso molto largo; è quel capitale che alimenta le speculazioni di Borsa, le imprese bancarie, e vive di affari. Ess.o dà origine a quel ceto della . plutocrazia, che è una sottospecie della borghesia, ma non si confonde con essa; ceto -rapacissiwo, senza scrupoli, avventuriero, che specula. su tutto, sulla reazione come sulla rivoluzione. sulle merci come,sulle. coscienze, sulla fabbrica come sul socialismo. A questo ceto capitalistico è indifferente se esso alimenti la cooperazione socialistica, anzicbè l'impresa capitalistica. Vivendo esso cl 'intermediazioni e di speculazio:°1, le municipalizzazioni e le statizzazioni gli convengono, perchè anticipare quattrini agli e11ti pubblici e il trafficare nei loro titoli fu sempre il suo affare particolare. La plntocrazia trova nella riforma sociale (assicurazioni, statizzazioni, monopoli) un largo campo per le proprie imprese, .ed esso l'asseconda. I suoi interessi sono molto diversi da quelli del capitale industriale vero e proprio, ed è questa la ragione perchè essa non provi ripugnanza ad allearsi col socialismo. Solto la pressione combinata della plutocrazia e del socialismo statale, il regime della riforma sociale si sviluppa sempre più. Si hanno leggi sociali della specie più varia. Ne esultano i socialisti, che veggono ridursi il campo dell 'attività economica privata, ma non veggono che intanto il capitale produttivo si accumula sempre più stentatamente e quindi si riduce il fondo dei salari; e nel contempo si rallenta la molla del progresso economico della società, la quale con• siste apptwto nello accurnulo del capitale. Sguazza lh plutocrazia, che si innette territori inattesi per le proprie speculazioni. Essa si dà arie di modernità. Proclama di non teme.re il sociali~mo. La cooperazione le è tanto indifferente quanto .I' impresa capitalistica, e forse la predilige, pe.rchè i coperatori son gente semplice e facilmente ahbindolabile ... Chi ne soffre è la società economica intesa nella sua totalità. - Infatti u1w sviluppo anom1ale del socialismo di Stato può rappresentare un ostacolo insormottabile opposto al progresso della Società (r). Il capitale industria le nou soggiace volentieri al destino che la plutocrazia, cioè il capitale intermediario improduttivo, e il riformismo ~ ciale gli apparecchiano. Ed esso prepara un 'energica riscossa contro quello di essi, che gli sembra il nemico più terribile, cioè il riformismo sociale. La lotta che il capitale produttivo industriale e il capitale improduttivo alleato al riformismo sociale si muovono, assume presto aspetti drammatici. Il capitale produttivo combatte risolutamente il capitale improduttivo, che si cela sotto la maschera della riforma sociale. lu Italia assistiamo ad uno dei più singo1arl episodi di questa lotta, nella guerra cruenta e crudelissima che il fascismo combatte contro il Partito Socialista, da esso scelto ad esponente di quella lotta politica della riforma sociale. Alle apparenre il fascismo combatte il bolsce-- vismo, i cosidetti e eccessi a del socialismo rivoluzionario, il comunismo pratico, e cosl via; nella sostanza il suo vero nemico è la riforma sociale. il riformigmo socialistico, i1 socialismo delle realizzazioni e la cooperazione proletaria. - Gion adesso vedere come ciò sia accaduto nel nostro paese, e quali conseguenre possa avere. Il fascismo contro il riformismo Il Pantaleoni, nonostante l'antico suo liberalismo, diventato il solo teorico serio del fascismo, rivela abbastanza chiaramente che cosa i fascisti chiamano bolscevismo. Sotto la sua penna il concetto di bolscevismo riceYe una estensione indefinila. Bolscevico è il nostro go\·erno. Bolscevico è la nostra burocrazia. Bolscevica è la organizzazione delle assicwazioni ,;oçiali. BolS<:evica è la cooperazione. Bolsceviche sono le re-- strizioni imposte al commercio. Bolscevico è il miglioramento del tenor di vita delle nostre classi lavoratrici. (• Per opera del bolscevismo è anche venuta meno quella mo:lestia nel tenor cli vita che distingue\·a l'italiano•). Il comuni• smo è appena una delle forme del bolscevismo (- • cioè quella tras onnazione giuridica della società, per la quale il socialismo ha modelli ognora cangianti, e di cui uno fra tanti è il modello bolsce,·ico comunista>). Ed infatti anche il modesto disegno di legge sul latifondo è bolscevico. L'on. ~1icheli, proponente, è e un popo· lare e vuole gareggiare in demagogia con I 'on. Miglioli e con i socialisti •· L•aggressione socialista all'ordinamento capitalista attuale prende, secondo il Pantaleoni, due !onne: e la forma clella violenza e I'altra della legiferazione a. Quel• la della violenza si è: vista in Russia ed in Un• gheria su larga scala, e nel Ferrarese, nell 'Emìlia a Milano, Torino e Firenze, su scala più ri• do;ta; ma , quella della legilerazione e della penetrazione nella amminisartziouc e nella buro-- crazia si è veduta <la quaranta anni a questa parte un po1 o,·unqne, ma particolarmente in Italia•· Il gover110 italiano è un governo socialista. , Alle interro~a;~ioni e interpellan7e SO· cialiste risponde il loro (dei sociJlisti) campar.o da r5 anni, il Corradini. Al potere è il medesimo Giolitti, per il quale la occupazione delle fahbriche era una 1. contravYenzione 11; il medesimo Giolitti che ha favorito il socialismo ferroviario, ( r) Tutti i marxisti hanno sempre combattuto il so~ialismo di Stato come incompatibile con la dottnna generale del loro maestro. Vedi: Arturo Labriola. - Il Socialismo contemporaneo, 2• edizione, cap. X, p. 263 e seg. Ma gl'ignoranti (- o i fttrbi? -) delle due parti contin11.ano a cou(oudere marxismo e socialismo di Stato ...

.quello municipale, quello clelle cooperative per parecchi lttstri. Non è certo un governo borghese, il governo d'Italia,. Però non solo Giolit:i è bolscevico {percbè è il padre delle municipalizzazioni, del monopolio delle assicurazioni, delle assicurazioni sociali e del disegno di legge sul controllo delle aziende), ma anche Nitti ed anche Miglioli, e poi Micheli, senza parlare, si capisce, di Turati, di Treves e di ... Labriola. Che cosa significa questo pan-bolscevismo l Significa che bisogna abolire il regime delle assictuaz.ioni sociaii, delle municipalizzazioni, delle statizzazioni, dei monopoli; e ritornare alla proprietà priYata asso!uta, a1la libera concorrenza più sfrenata, all'iudividnalismo cco11omico più schietto. Codesto regime si completava nel concetto degli antichi economisti cou la più ampin Jibertà di opinioni, di associazione e di riunione. Invece i nostri fascisti invocano Josepb De Maistre, cioè la doctri11a dell'assolntismo regio e<l ecclesiastico, la dottrina che nega essenzialmente ·i diritti della persona e della libertà. Glissons. L'on. Mussolini in un discorso ali' Augusteo (8 novembre 1921) dichiarò: « In economia noi siamo decisamente anti-sociafo;ti. Da auni uoi viviamo iu regime soffocante di socialismo, di collettivismo. E' bene dire che, in materia economica, siamo liberi nel senso pi1ì classico della parola. Le ar.iencte non possono essere affidate ad enti collettivi e burocratici; l'esempio della Russia è troppo significatiYo. Se dipendesse da me, restituirei alle aziende private i telefoni, -ì telegrafi e le ferrovie, quel mostruoso organismo insomma che ha reso lo Stato vulnerabile da tutte le parti. Lo Stato deve tornare alle sue fondamentali iunzioni politiche e giudiziarie b. Qnale interpretar.ione dare di queste tendenze e di questi fatti l -- In un paese naturalmente povero come l'Italia, il riforn1ismo sociale che insieme alla plutocrazia rappresenta il lavoro e il capitale improclnttid, distoglie certamente dagli usi industriali masse cospicue di capitali, e proYoca quindi una forte reazione da parte dei capitalisti e degli agricoltori dediti alla materiale trasformazione dei beni. Credo che il momento critico della lotta della borghesia industriale erl agraria contro il riformismo sociale fu il pericolo da essa corso che la Cassa di Ri- .spannio cli Mi1ano, e-on i suoi ingenti capitali, dovesse cadere nelle"'"manidei socialisti. Già l'e• stendersi dell'Istituto nazionale per la Coopera- .zione aveva molto preoccupato il mo1~do industriale italiano. Il governo aveva portato a due- <::entomilioni di lire il capitale di quell'Istituto, i cui affari superavano il miliardo. Che cosa sarebbe acca<luto se anche la Caasa di Risparmio à..i ?ifilano fosse caduta nelle mani del socialismo? La Cassa di Risparmio di Milano, .essendo un ente morale, è amministrata da tre -delegati del comune di Milano, tre della . pr'.'"" vincia di Milano e un delegato della provrncia ,di Pavia, di Mantova, di Novara, di Bergamo e di Como. I tre ·delegati della provincia di Mantova, e quelli del comune-di Mila.no appartengono al pru-tito socialista. Fra poco i socialisti avrebbero avuto la maggioranza nel Consiglio di Amministrazione dell'Ente. La Cassa di Rispar• mio di Milano ha, in Milano, una circolaziom" di 230.487 libretti con un credito di 299.023.493 lire e nelle casse filiali 510.474 libretti con un credito di lire 593.440.735. - I socialisti avevano già presentato il loro solito pian:' di • ~nanziameuto » per le cooperative ... S1 può immaginare che cosa sarebbe accaduto quando avessero poste le mani sopra il miliardo di depositi della Cassa di Rispsnnio cli Milano. E per evitare questo maliuconko dimaui la borghesia industriale oro-anizzò, in nome della patria, le e spedizioni pt~1itrve » contro i comuni so::ialisti e le provincie amministrate dai socialisti in Milano, llanto\'a, Novara e Pavia I (Continua). ARTURO LABRIOLA. O.ARISPOSTA MIGLIORE Roma. 1 1° giugno 1923. Caro Gobetti, il 1niglior modo di protestare wntro le supposizioni della Questura è di mandare cento Lire alla Rivoluzione Liberale: lo faccio con la presente. Tu.o G. P. PIERO EiOBETTI ~ Editore TORINO - Via XX Se!lembre, fiO MARIO VINC!GUERRA Iu FASClSJVlO VI;; YO Of.l UN SOul 1.HRIO L. 5 ;?rimi giudizi: « Esa1;1.ina con. serenità di studioso la forma• zione e gli sviluppi del partito do,ninante dell'Italia d'oggi•· (Genova, Il Lavoro, 19 maggio). a E' un.a 1nonografia che contribuisce alla doci<me;,tazione dei diversi atteggiamenti_ degli spi- -riti italwni in questo fortunoso periodo della .11ostra storia .1. . (Milano, Civitas di F. Meda, g,ugno 1923). , Una descrittiva del Jascis11u1acuta e netta >. . (Bergeret, Napoli, Mezzogiorno, 3 giugno). LA RIVOLUZIONE LIBERALE LA PICCOLA BORGHESIA Da un articolo di Giovanni Ansaldo (Genova, Il Lavoro, 3 giugrw) sul Nazionalfascismo di L. Salvatore/li, togliamo questa analisi della piccola borghesia, in cui il nostro amico riprende e svolge concetti che già aveva accennati nella Rivoluzione Liberale dell'ottobre scorso (n. 30). Per saggiare fin dove la diagnosi del Salvatorelli sia esaL~a, sceglierò due tipi medii dell'Halia moderna. 1° - Sia il primo il figlio di un «galantuomo » pugliese o abruzzese, o anche di un borghese gingillino toscano. I suoi studii si fanno attraverso la trafila dell'inaridilo Liceo di provincia, dove, s'egli ne ha voglia, la pedanteria slorica del professore o del canonico gli decanterà le glorie vuoi dei Vestini, che dei Marrucini e di quante a!Lre popolazioni dal nome di insetti hanno vissuto fra le patrie valli: ovvero farà i suoi primi esperimenti di retorica pura scrivendo qualche dramma patriottico per il teatro dei Rinnovati, degli Avvalorati. o comunque si chiamino i lasciti della pedanteria bellettristica sulle piazze di Toscana o di Umbria. La vita sociale si concreta per lui molto spesso nel « Caffè grande» o nel «Casino di Lettura », detto anche « Stanze civiche» o « Circolo dei signori»: dove si discute di politica, si gioca a biliardo, e si dànno due balli per stagione. Il suo avvenire si riassume nella laurea di avvocato, e nella trafila dei concorsi, ovvero nella Via crucis del praticante, qualora egli voglia dedicarsi alla professione. Poniamo che gli vada bene: il nostro piccolo borghese riesce a quarant'anni ad avere uno studio legale avviatino, sia nel Vicolo delle Animelle dietro San Ferdinando a Napoli, sia altrove: ha il fratello commendatore a Roma, sa star sul- !' avviso delle novità politiche, si tiene al corrente della letteratura leggendo la terza pagina del Giornale d.l talia. 2° - Sia il secondo discendente di un ragionat lombardo, nato a Milano. Il padre lo avvia per tempo alle scuole tecniche, rammaricandosi solo che siano troppo poco tecniche, che diano poche nozioni «pratiche » : tutta la famiglia è sradicata da ogni tradizione che risalga più in là di una generazione: nessuno ha mai avuto una curiosità storica rudimentale, la madre brontola perchè i libri di testo dei figli - gli unici che entrano in casa - « portano tanta polvere"· Il nostro piccolo italiano si forma sui campi di gioco domenicali, sulle piste dei giri d'Italia: e, purchè arranchi la promozione, il ragioniere padre non è malcontento di ciò, perchè si sa, lo sport è una cosa moderna, ed è anche tanta salute. Dopo generazioni di sonetteggiatori, il nostro piccolo italiano non fa neppure poesie: il pimento della sua vita «standardizzata» è costituito dalla esaltazione della «vita strenua», della «civiltà meccanica», della «ebbrezza di felicità », e da altri spunti di americanismo brodoso ammanniti dalla Gazzetta dello Sport. Appena può si impiega in una banca, o in una fabb1ica: per usare la espressione del Salvatorelli, si sforza di « aderire intimamente alla struttura della civiltà capitalista». Il suo orario di lavoro, i suoi divertimenti sono press'a poco quelli di un piccolo borghese di Londra o di Berlino-. Dichiara ùi non occuµarsi di politica, o che la migliore politica è quella che fa il Touring, con le sue carte stradali: nelle arti belle, va pazzo per Fraka, che ha tanto spirito. Ecco i due tipi medii, di cui ciascuno di noi conosce una infinità di rappresentanti. Ora chiedo io: Quale dei due si avvicina di più alla «piccola borghesia umanistica ,, che il Salvatorelli descrive? Certo il primo. Ma quale dei due ha minor senso critico, e maggiore propensione ad essere colpito dalla Schlagwort, dalla parola d'ordine, dalla formula indiscussa e indiscutibile? Chi è più ingenuamente infante dinanzi alle propagande condotte con grandi mezzi o dinanzi alle predicazioni suggestive dei grandi demagoghi? Chi oppone maggiore resistenza alla conquista del proprio cervello, un piccolo borghese umanista meridionale, o un tecnico milanese? Chi, dei due, è più predisposto ad abbandonarsi all'ondata fascista, intieramente, di buona fede, fondendo il suo amor di patria con i suoi entusiasmi sportivi, i suoi sentimenti sportivi con la sua passione di essere ben moderno, il più americano possibile? Certo il secondo. Milano è là, con la sua piccola borghesia che davvero non corrisponde alla descrizione del Salvatorelli. Milano è là che insegna. La città d'Italia che i.a certo una percentuale di capimastri, di ragionieri, di impiegati di industrie, di piazzisti più cospicua e più vicina alla categoria della piccola borghesa tecnica, degli italiani del secondo tipo medio, è quella in cui l'entusiasmo fascista si è manifestato più unanime e perduranle. Nella polemica remota, fra il Popolo d'l talia ancora direti-O da Mussolini, e i fascista emiliani in cui allora era parte cospicua l'on Barbato Gattelli, all'epoca del patl-0 di pacificazione, una curiosa questione si dibatteva in sordina: se il fascismo fosse nato a Bologna o Milano. Nessun dubbio: !'on. Mussolini aveva ben ragione, dal punto di vista storico e tattico, di affermare ch'era nato a Milano. A Milano, in piazza del Duomo, dalle folle degli italiani tecnici, sportivi, pratici, dispregiatori degli avvocati e dei commendatori romani, grandi odiatori - per sentito dire - della burocrazia, e terribilmente adulati da cinquant'anni in qua da quella bella trovata della Capitale morale. Rivendicando la milanesità del fascismo, l'on. Mussolini intuiva che cosa essa volesse dire: apoteosi dello sviluppo industriale del paese, coincidenza con l' entusiasmo giovanile diffusissimo per gli sports, tanto meglio quanl-0 più violenti, liberazione da tutti gli scrupolosi, da tutti i cacadubbi, da tutti gli scettici e da tutti i faziosi sì, ma ragionatori e lungimiranti calcolatori che popolano i «Caffè grandi » e le «Stanze Civiche,, delle provincie del Regno. Il fascismo nato a Milano voleva dire precisamente 1' atteggiamento sportivo, meccanico, futuristico, l'azione su larghi ceti che ostentano di essere anti-umanisti e civettano con un americanismo che non sa andare se non in automobile, e non sa fare della politica se non con recisi apoftegmi. Tutte le infarinature storico-letterarie della piccola borghesia umanistica, che a Milano quasi non esiste, non sarebbero certo bastate a dare al fascismo l'impulso formidabile che lo spinse a Roma. Occorreva, sulla retorica generica e scolastica della piccola borghesia italiana, un innesto di mentalità tecnica, o diciam pure per intenderci, milanese. Questo non è sfuggito all'intuito finissimo dell'on. Mussolini, che da tempo ha reso omaggio alla mentalità milanese con dichiarazioni e con gesti che paiono singolari e bizzarri ai piccoli borghesi umanisti delle città di provincia e di Montecitorio, ma che hanno uri valore politico di captazione e di adulazione. S1 ricordi, per esempio, la esaltazione « dinamica,, del Circuito di Milano nell'estal€ del 1922: rappresentato ·come un avvenimento politico superante di gran lunga tutte le discussioni parlamentari, come una sfida trionfante contro la vecchia Italia retorica, letteraria, •umanista». Sotto la categoria della « mentalità milanese» sono da ricondurre anche le proteste dell'on Mussolini, diventato Presidente del Consiglio, a un intervistatore straniero: « Io, in tutta la mia vita, non sono stato più di due volte in un Museo». E' indubitabile che parecchie centinaia di migliaia di italiani avranno applaudito a questa astensione artistica dell'on. Mussolini, e avranno pensato essere il capo del Governo veramente un uomo tecnico, moderno. Cosl, i progetti e le inaugurazioni delle grandi autostrade M - !ano-Laghi e Firenze-Mare. E' ridicolo fare la critica di queste iniziative come l'hanno fatta taluni socialisti, alla stregua delle necessità del bilancio, ovvero rinfacciando che si costruiscono le strade per i piaceri dei ricchi• che posrnggono un'automobile, e ~i lasciano senza strade i comuni abitati ,,. poveri proletari, ecc. Chi argomenta così, nòn si accorge che le autostrade piacciono assaissimo a larghi strati di piccoli borghesi che non sono ricchi, non possiederanno mai una automobile, ma vanno in visibilio quando si parla ad essi ,del!' « ebbrezza della velocità,,: i ragionamenti poveristici non intaccano la loro mentalità sportiva, tecnicizzante. Così, i voli frequenti dell'on. Mussolini e dei suoi collaboratori, che apparentemente possono sembrare rispondere solo a un gusto personale del Presidente del Consiglio, sono in realtà un ben calcolato omao-o-ioa tutti i numerosi piccoli borghesi i~liani ossessionati di modernità, e soddisfattissimi quindi di essere governati da un Presidente che va in areoplano più spesso e più disinvoltamente di tutti gli uomini di Stato del mondo. Parimenti, i telegrammi di incitamento e di lode al box~ur Spalla rientrano nel novero di queste accorti~sime e sottili arti di governo - tanto sottili che la critica grossolana fatta in nome degli « oppressi da~li scherani del capitalismo» la critica tipo Lazzar1, manco se ne avved~ - dedicate ai piccoli borghesi te~- nici, sportivi, agli italiani che ho cercato di descrivere sotto il secondo tipo med10, e di comprendere sotto la designazione cli mentalità milanese. _ Su tutta la picc,ola borghesia umanistica, su tutti gli italiani del primo tipo medio, 75 questi spedienLi fanno assai minore presa, precisamente perchè nel fondo dei caffè di provincia, nelle cittadine meridionali inchiodate in cima ai monti, si è conservato - contrariamente a quant.o scrive il Salvatorelli - sotto una vernice di retorica scolastica, maggior senso critico. Ciò spiega la natura e le vicende del fascismo nella piccola borghesia meridionale. Ci sono in Italia almeno due fascismi, creati a immagine e somiglianza della piccola borghesia tecnica: c'è il fascismo del Mezzogiorno e il fascismo di Milano. GIOVANNI ANSALDO. ~OTEDIPOltlTIGA I~TE~JA Per essere un fatto politicamente zivoluzionario - e conseguente - la marcia su Roma d<>- veva sboccare nella repubblica, poicbè in origine e nell'essenza il fascismo non è che un movimento repubblicano. Essersi fermata a metà strada ,vuol dire: o aver temuto che il popolo non fosse preparato ad una soluzione di tal fatta; o non aver avuto suiliciente fiducia nelle proprie forze; o avere infine obbedito più che ad un impulso, ad un compromesso. Forse tutte e tre le ragioni sono valide, e l'ultima è la principale. Effettivamente la marcia su Roma, in quanto espressione dell'estetismo dannunziano, ha più l 'appareuza che la concretezza d'un fatto storico; e si riattacca più alle gesta garibaldine, fiu mane e insurrezioniste che non allo spirito profondamente rivoluzionario del liberalismo piemontese; percbè, malgrado possa aver suggerite azzardate quanto anacronistiche speranze dittatoriali-imperialistiche, ha nondimeno lasciata invariata la realtà democratica della vita sindacale e politica italiana. Come la rivoluzione fascista non è stata che una rivoluzione giudiziaria., dovuta all'indisciplina apportata nell'esercito colla spedizione di Fiume; all 'abdicazioue della vecchia classe dirigente e alla incapacità, sostanziale o volontaria, poco importa, della piccola borghesia socialista di sostituirla; e non trova la propria espressione che nella dittatura larvata di un partito, ma effettiva dell'esercito, e il proprio limite che nella generosità dell'<><LMussolini: cosl ciò che di sostanziale ba storicizzato la democrazia trova la propria difesa - e l'imperialismo il proprio limite - nell'equilibrio economico-politico internazionale. Esempi tipici : la prosecuzione della politica estera e rinunciataria •; la ratificazione del trat• tata di Washington. A ben considerare i fatti, il solo problema che meriti seria attenzione oggigiorno è il problema delle riparazioni (più esattamente: l'estrinsecarsi dell'imperialismo francese coll'occupazione della Rubr) : di lronte al quale i singoli problemi nazionali passano in via subordinata, e !"orientarsi delle Nazioni verso la sinistra e la destra non è quasi altro che scegliersi una posizione diplomatica (e strategica) per l'avvenire: il gravitare verso l'uno o l'altro gruppo di Potenze, che oggi sono in contesa, ma che domani potrebbero anch 'essere in guerra, qualora una per litica di moderazione non avesse a prevalere. Che poi la rivoluzione fascista sia stata solamente una superficiale rivoluzione politica lo dimostra il fatto già da noi accennato che il sindacalismo operaio nonostante tut'.o vi~, colla sua ti-pica mentalità conservatrice tendente a creare un'aristocrazia chiusa mediante il monopolio, non rifuggente nemmeno dalla pratica violenta contro la quale s'era tentato di creare un mito, delle occupazioni e degli scioperi. Se nasce legittima la convinzione che tanto il bolscevismo quanto il fascismo sono il portato della lamentata mancanza di una consapevole classe dirigente, il continuo parlar d'impero e scagliarsi contro il Parlamento, potrebbe voler dire che tale mancanza comincia ad essere sentita anche dai fascisti. Una conferma di ciò si può vedere nel discorso dell'on. Mussolini agli studenti universitari padovani; come dimostrazioni delle debilitanti conseguenze del ricordato compromesso, potrebbero essere le polemiche g:ornalistiche sul rimpa.-=-to, suscitate dalla nota intervista della Sta,npa, dal1'abboccamento Mussolini-De Gasperi e dalle parole del Popolo d'Italia. L'inutile verbosità del Presidente del Consiglio non sen1e 1 secondo noi, cbe a confermare la o-ravità del dilemma inevitabile. L~on. Mussolini è troppo intelligente per non capire che il ritorno alla legalità vorrebbe dire }a liquidazione• sua e ~lei fascismo; ma d"altra parte il compromesso ogni giorno p~ù lo sfibra, giustificando lo scetticismo che può sorgere sulla opportunità d'un nuovo tentativo insurrezionista facente capo a lui ed al fascismo. ARMANDO CAV~LLI. "b'ECO DEbbASTAillPA,, il ben noto ufficio di ritagli da giornali e riviste, fondato nei 1901, ha sede ESCLUSIVAMENTE in Milano (12) Corso Porta Nuova, 24. Chiedete opuscoli esplicativi e tariffe con semplice biglietto da visita .

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