La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 16 - 29 maggio 1923

RIVISTI\ STORICI\ SETTIMf\NftLE DI POLITICI\ ESCE CONTO CORRENTE POSTALE .. Diretta da PIEROGOBETTI- Redazione e Amministrazione: TORINO,Via XX Settembre, 60 .. Abbonamentoper il 1923(con diritto agli arretrati) L. 20 • Estero L. 30 - Sostenitore L. 100- Un numero L. 0,50 IL MARTEDÌ Anno II ~ N. 16 - 29 Maggio 1923 S 8 MM ARI O: L. SALVATORELU: Politica e•tora e 1>0litlcll Interna, - N. PAPM'AVA: Revisione liberale, - G. All8ALDO: L'ultimo diamante. - L. EMERY: La religione e Il enrattere degli Italiani. _ P. Sarpi. - Lo ln<llserezlonl di Candido: Dal tacqui no di Pococarante. - P. G.: I popolari • I risultati dell'Inchiesta agraria. POLITICA ESTERA E POLITICA NTERNA Cesare Balbo, nel primo periodo del Risorgimento - anteriormente al '48 - ebbe a sostenere una gradualità di fini politici naz10na1I, per la quale convenisse mirare innanzi tutto all'indipendenza, mettendo da parte la questione della libertà. Coloro che fra noi sostengono la subordinazione della politica interna a quella estera, subordinazione per cui la prima non sarebbe se non un momento della seconda,· potrebbero fare appello a questa tesi del Balbo, se non disdegnassero per sistema le tradizioni del Risorgimento. Senonché occorre aggiungere subito che la tesi di Cesare Balbo fu smentita dallo svolgimento effettivo della liberazione e unificazione italiane; nel quale - a parte anche il Quarantotto, con i suoi moti per le libertà statutarie procedenti e accompagnanti l'insurrezione contro l'Austria - vediamo la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II e la politica liberale di Cavour fungere da centri dirigenti dell'opera nazionale, appunto in forza della loro costituzionalità e del loro liberalismo; e i plebisciti avvenire sulla base del - l'unione a detta monarchia, in quanto costituzionale. Nazionalità e libertà, nazionalità e democrazia sono, in tutto lo sviluppo dell'Europa moderna, strettamente congiunti. La Nazione nasce su base popolare e democratica; essa è la nuova materia che empie lo Stato-forma del periodo assolutistico, eredità del mondo classico, ed erflpiendolo, ne produce altresì la trasformazione, secondo il detto evangelico che non si può mettere il vino nuovo negli otri vecchi. Tutto lo svolgimento politico moderno consiste nel riempire sempre più la forma statale di contenuto popolare: prima del contenuto-nazione, poi del contenuto-classe; e perciò il socialismo classista è l'erede autentico e diretto del liberalismo nazionale. Nel periodo j 900-910 la lotta di classe ed i movimenti operai costituirono il più vero cçmtenuto della storia nazionale italiana, e ad essi in prima linea è dovuta la resistenza materiale e morale dell'Italia durante la guerra mondiale. (Non si pretende, naturalmente dai nazionalfascisti, e neppure da certi liberali « puri »' che capiscano queste verità elementari; e si permette loro di continuare a dire che quello è stato il periodo più obbrobrioso della storia italiana). . Oggi è di moda 1: • dottrina dello Statoforza, sulla quale si sono gettati, con famelicità di cervelli digiuni e vuoti, molti politicanti italiani. Ma si sa cosa succede agli affamati che improvvisamente si rimpinzano di cibo; non lo digeriscono, e spesso ne muoiono. Lo Stato è forza, va benissimo; ma che cos'è questa forza dello Stato? Non la forza puramente materiale, quella che, secondo )a novissima teoria, « crea i consensi"· Sono, invece, i consensi che costituiscono la vera forza. E pertanto nel processo di creazione, mantenimento e sviluppo della forza statale, rientrano le soluzioni dei maggiori problemi politici e sociali; e lo Stato che meglio risolve, all'intemo, tali problemi, quello altresì è il più forte all'estero. Nella Russia zarista il proletariato era contro lo Stato, e durante la guerra mondiale ne procurò il crollo; nella Germania del suffragio universale, della legislazione operaia, dei sindacati, il proletariato fu una delle più valide forza di guerra, ed ancora oggi, nella Ruhr, è !'·anima della resistenza contro il francese invasore (l'avvocato Poincaré, perfetto tipo di piccolo borghese-nazionalista, crede invece che basti far condannare dai suoi fidi tribunali militari qualche magnate tedesco per vincere qµella resistenza). Sullo stesso orientamento della·. politica estera non può non influire profondamente la politica interna. Siamo d'accordo che il fine supremo dello Stato-nazione è il suo mantenimento, sviluppo e grandezza. Ma queste non sono entità puramente formali; sono valori, la cui determinazione varierà necessariamente secondo le diverse conceziol}i della vita e del mondo. La politica interna, con le sue lotte di partiti, rappresenterebbe, a detta del nazionalismo, l'ideologia universalistico-moralistica; la politica estera, invece, la reallà nazionale. Ma questa realtà nazionale prende essa stessa configurazione e significato proprio dalle pretese, disprezzate «ideologie». Non soltanto i fini della politica nazionale variano sotto la loro influenza, ma lo stesso calcolo delle forze - base di qualunque politica estera - ne dipende. Poichè gli stati in lotta sullo scacchiere internazionale non sono quantità puramente materiali da computare, nè lettere algebriche da collocare in una equaz10ne; sono esseri viventi di cui occorre valutare e prevedere le forze, i comportamenti, le trasformazioni. Occorre una visione dello svolgimento storico, che è quanto dire, occorre una « ideologia». I conservatori e i reazionari d'Italia, anzi di tutto il mondo sono oggi, nel duello franco-tedesco, per ]a Francia, perchè questa risponde meglio ai loro ideali di assolutismo statale e d'immobilità sociale, ideali di cui essi desiderano e i reazionari d'Italia, anzi di tutto il mondo nel valore permanente delle nazionalità' nella vittoria della democrazia, nell'avve'. nire della: società capitalistico-socialista, prevede e si augura la liberazione della Germania dalla stretta francese. La direzione alla politica estera dipende da quésta scelta fra due concezioni, che si applicano contemporaneamente in dl!e diverse, anzi opposte, politiche interne. • • ... Sembrerà che a questo modo di vedere si opponga l'esistenza, generalmente e abitualmente constatata, di postulati fondamentali nella politica estera di ogni Stato. postulati immutabili nel cangiare delle situazioni interne e nel succedersi degli avvenimenti . storici, perchè fondati essenzialmente sulla posizione geografica dello ·stato. L'esistenza di questi postulati è innegabile; seno,nchè la loro effettiva permanenza e immutabilità è dovuta al carattere estremamente generico dei postulati medesimi; tale, cioè, da non poter costituire, per, sè stesso, ,un programma di politica estera. Questo nasce soltanto quando si determinano l'impostazione concreta ed i mezzi d'attuazione del postulato, la quale ed i quali sono, essi, diversi e variabili. Prendiamo il caso dell'Italia. E' innegabile che fine supremo e permanente della politica estera italiana è quello d'impedire che ai suoi due confini terrestri, occidentale ed orientale (o nord orientale) si formi una coalizione pericolosa ed ostile di due o più potenze. Ma per l'attuazione di questo postulato si possono immaginare - e. almeno allo stato d'abbozzo, si sono effettivamente immaginati ed in parte anche tentati in pratica, già in questo breve periodo del dopoguerra - sistemi politici differentissimi. Si può cercare l'amicizia della Grande Potenza occidentale, oggi egemonica. sul continente, secondandola od almeno non opponendosi ai suoi' disegni di politica europea, ed ottenendone in cambio una benevola neutralità od anche un certo appoggio nei contrasti con la. potenza orientale. Si può pensare a mantenere e promuovere nei bacini danubiano e balcanico uno stato di disordine e di conflitti, un bellum omnium contra omnes, una disgregazione politica ed economica, che neutralizzi, inceppi, esaurisca la detta Potenza orientale. Si può, infine, senza politica provocatrice ed ostile nè ad ovest, nè ad est, cercare il contrappeso naturale ai due stati o gruppi di .stati coalizzabili ai nostri danni nell'amicizia inglese, germanica, russa. Nella scelta fra questi sistemi, diversi fino ad essere opposti, rientreranno in gioco quei criteri di cui sopra si è detto: visione politica e storica generale, ideologie, e dunque politica interna. Affrontiamo pure anche il caso della Francia, che sembra particolarmente difficile per le idee qui svolte. Sicura a nord-, ad ovest, a sud, la Francia ha sul confine est una nazione forte e numerosa - sono, ancora oggi, una ventina di milioni di più dei Francesi - con la quale i rapporti e i conflitti costituiscono una tradizione secolare. Nessun dubbio, pertanto, che il problema tedesco sia fondamentale per la politica estera francese. Ma questo problema ha - s'intende, dal punto di vista francese - una soluzione unica? Nemmeno per sogno. C'è la soluzione nazionalista che, basata, in apparenza, sul presupposto della perpetua aggressività germanica, in realtà sulle pretese egemoniche francesi, invoca la perpetua occupazione renana, lo sfasciamento dell'unità tedesca - da essa ritenuta possibile e facile - e insieme la perpetua alleanza antitedesca con la Polonia e la Piccola Intesa, vassalle di Parigi, o anche, con un risorto impero absburghesc. C'è la soluzione democratica, la quale non vede - una volta risolto, sul terreno economico, il problema delle riparazioni, e messa fuori questione l'Alsazia-Lorena - nessuna ragione ·di conflitto insanabile tra Francia e Germania, molle, invece, di collaborazio_ne economica e magari politica; e, ad ogm modo, per contrappeso necessario e prudente tutela contro la strapotenza tedesca, non mira ad un'assurda distruzione dello stato germanico, e non s'ipnotizza neppure nella formazione di artificiosi blocchi orientali o in più artificiose resurrezioni di imperi di~astici crollati per decrepitezza ; rnu. pensa invece ad una amicizia tra ernaJi, della Francia coll'Inghilterra e'coll'I~lia. II problema è il medesimo: le soluzioni antitetiche. E, ancora una volta la scelta fra di esse non può esser data ~enza quei criteri generalI che costituiscono altresì le direttive della politica interna. Si abbia, insomma, riguardo alla formazione, mantenimento e incremento della forza statale, o a.gli scopi a cui questa forza debba essere applicata, la politica interna, anziché apparire un momento della politica estera, ci si presenta sullo stesso piano: esse costituiscono un circolo, con scambio perenne di elementi. E la loro coordinazione, da cui deriva la unità e l'efficacia della politica generale di uno Stato, non può fare a meno di principi generali, universali, e cioè trascendenti la concezione formale dello Stato propria del naz10nalismo. LUIGI SALVATORELLI. Siamo lieti di offrire ai lettori i] primo di una serie di articoli clipolitica estera che L. Salrntorelli scrire per La. Ri:-"0/11.zioneLiberale. REVISIONE LIBERALE ------------- II. filosofia del liberalismo Per esprimermi con la necessaria brevità, comincio col distinguere nel campo filosofico e etico fra liberali realisti e liberali idealisti. Per realismo intendo quell'atteggiamento :filosofico che arilmette nell'universo un elemento oggettivo da conoscersi. Il realista deve riconoscere nella natura, specialmentei ma anche nella storia, la presenza cli leggi (costànzadi rapporti) indipendenti dalla umana volontà e che la mente umana deve tentare di conoscere il meglio possibile per assumere nel loro riguardo un ;adeguato comportamento ed anche per tentare cli correggerle a proprio vantaggio. Il realista ammette insomn1a l'esistenza di una « res » che P a: intellectus • deve cercare cli possedere ed appunto per il realista la verità consiste nella « a.daeq,wti.o inte/.lecbus rei». Non è qtti il caso di distinguere compiutamente le diverse forme di realismo; basta ricordare che queste dipendono specialmente dalla diversità dei mezzi che si ritengono adatti a darci la cono~cenzadella realtà; alcuni riconono alla pura ragione e cosl abbiamo i] realismo metafisico; altri alla rivelazione etico-re]igiosa ed abbiamo il realismo religioso (più coerente di tutti il cattolicismo) altri ancora.alla esperienza ed abbiamo il realismo scientifico. Il realismo sru·à gnostico od agnostico a seconda che si riterrà che la nostra mente possa più o meno cogliere la obbiettiva realtà. Tuttavia il realismo sarà sempre finalistico in quanto chi crede in una obbiettiva realtàl tenderà sempre a raggiungerla per poter appunto attuare quella adeguazione fra mente-SOggetto realtà-oggetto nella quale consiste appunto la verità. Giuridicamente il realismo conduce alla teoria del diritto modello al quale l'umanità deve attenersi se vuole raggiungere la miglior forma della convivenza sociale. Tutto ciò che si avvicina a ta]e tipo è bene, tutto ci'òche se ne allontana è male e di conseguen1..a le epoche st01iche sono buone o cattive, nobili o ignobili a seconda che sono più o .meno lontane dallo schema giuridico che si è dichiarato espressione del diritto naturale. Invece la teoria idealista sostiene che non vi è nesstllla 'l"ealtà, uessnn fatto 1 nessuna legge obbiettiva o trascendente ali 'atto del pensìero che la pensa. Perciò la verità no11 consiste più nel- ]'adeguazione del pensiero ad una realtà data, ma l'atto del pensiero è sempre vero perchè è 1' unica realtà. E la dialettica del pensiero non va intesa. come un che di obbietth·o, cou1e dialettica del pensiero pensatO, ma come c~ialettira del pensiero pe11:;a11te.Da <.iò la iden • tificazione di filosofia e storia ossia, per evitare qualsiasi residuo <li du~lismo obbiettid.stico la st.)ria si ric;olve nel puro atto del pensiero ;ensante. Naturalmente tale filosofiaconduce (o ò. 'rebbe condurre) alla neg-azionetotale del diritto TJatnrale ed impone invece il principio del diritto storico come perenne, libera ed immanentistica creazione dello spirito; ogni finalismo resta escluso. Perciò non ha senso fare il processo delle epoche- storiche, non esiste un bene e un male, perchè la storia è eternamente attuale e come atto è sempre Un bene; soltanto il nulla, il non essere sono.il male. A quali di queste due grandi correnti filosofiche appartiene il liberalismo? Oggi l'idealismo tende al monopolio del liberalismo. Gli idealisti dicono infatti che la vera libertà non consiste nella facoltà di scegliere, ma nella facoltà di creare. Se si ammette una verità trascendènte una Yerità dogmatica, se si ammette che la v;__ rità sia già fatta, la libertà è negata percbè non resterà che riconoscere questa verità. In,1ece la vera libertà consiste nel crearsi la realtà, nel fare la verità 1 ma non si potrà veramente fare la Ye-rltà se si considera la verità come un che di già fatto. Insomma, per gli idealisti, libertà e verità sono due termini assolutamente contradclitori ed essi, per salvare la vera libertà dello spirito, negano assolutamente la verità obbiettiva poichè la identificano e la risolvono nell'atto creatore dello spirito. Ammettere una verità obbiettiva è negare la possibilità della libertà e perciò 1 'idealismo è la sola filosofia del liberalismo. E' innegabile che, se si parte dal presupposto che la sola libertà sia quella assolutamente creatrice, ogni filosofia realista nega o per lo meno limita la libertà. l\1a veramente nel caso nostro non si tratta della libertà metafisica ma solta.uto della libertà sociale. E q_uiappunt;. fioriscono gl~ equivoci. Se una persotra crede per esempio nella assoluta libertà della dialettica e della autoctisi dello spirito, si dichiarerà liberale auche se poi chiede, per esempio, la forca per chi non crede in quellà libertà. Veramente sen1brerebbe che l'idealista dovesse essere liberale anche in politica poichè, se tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale, il male,. l'errore, non esistono nella storia e perciò per l'idealista non dovrebbe aver senso il problema della libertà all'errore, qnestione cbe inyece costituisce per i realisti il punto più delicato del problema della libertà. Se uÒn esiste utla obbiettiva verità giuridica esociale 1 se tutte le teorie come atti dello spiritù

66 sono ugualmente buone, -se inSomma socialismo, comu~is1no, liberalismo, individualismo e nazionalismo non sono che diversi ma altrettanto necessari momenti dialettici della storia, sarà assurdo opporsi a una qualsiasi di queste teorie ed invece sarà logico concedere la più ampia libertà alla loro formazione- ed al loro sviluppo. Se l'errore non esiste., perchè non ammettere la più- ampia libertà? Ma in realtà l'idealismo oscilla politie<1mente fra l'assolutismo e l'anarchia. Infatti, ptu1to oscuro dell'idealismo è il rapporto fra io empirico ed io assoluto. Ossia, l'immanente razionalità risiede nell'ìo empirico o nell'1o assoluto? So benissimo cbe, per un idealista, questa domanda è idiota poichè l'idealista ritiene che io empirico ed io assoluto formino una iu• scindibile unità, in quanto l'i.o empirico è il particolare dell'io assoluto e I 'io assoluto è 1'universale delho empirico. Ma io persisto nella idiozia e domando: la razionalità, la verità è immauente nelle singole persone, nei singoli uomini? L1idealista risponderà che questo sarebbe astratto pluralismo individualista e dirà cbe l'assoluta razionalitài l'uuivers..qle verità è immanente all'io assoluto la cui espressione è lo Stato Etico. Allora si domanderà che cosa sia e che cosa rappresenti questo Stato Etico. Avuta una risposta più o meno precisa se ne dedurrà che l'individuo (re, presidente di ·repubbiica, Lenin, D1 Annunzio, Mussolini, ecc. ecc.) o la classe (fascisti, nazionalisti combattenti, fiumani) cbe rappresentano lo Stato Etico, sono i depo;;itari della assoluta verità e che appunto per questo vanno assolutamente obbediti. ' Ma l'idealista non sarà ancora contento e dirà che questa sarebbe una concezione teocrat~ca, un iniquo residuo di dogmatismo e che il vero Stato Etico deve essere vissuto come intimamente immanente e non come una imposizione trascendente. Ora da queste premesse è molto facile sci- • volare nell'anarchia e nelta tirannia (il tiranno è un anarchico che riesce a legare i suoi simili). Infatti se ciò che è immanente in noi non è una nostra particolare convinzione che tenteremo di far valere in confronto del prossimo, ma è la verità assoluta, ossia l'eticità universale dello Stato, sarà molto facile cbe molte persone, nella ricerca piuttosto difficile della propria vera immanenza, scambino il loro io empirico con l'io assoluto (che non si vuol mai definire per timore di ricadere nella trascendenza) e perciò ritengano di possedere l'assoluta verità, ossia di essere i veri rappresentanti dello Stato Etico. Ora se non si crede più nello Stato, ma si crede solta!lto nel e proprio• Sfato, si cade appunto ne)l'anarchia, e se il proprio Stato è il solo vero Stato si passa alla tirannia. Insomma, è molto difficile con~iderare ali altri come io empirici e se stessi come io assoluti e questa è appunto la filosofia dei tiranni! Vediamo ora il rapporto fra il liberalismo e le filosofie realiste. Il realismo presuppone una realtà, un fine, nel raggiungimento dei quali consiste la Yerità e la felicità. Esempi di realismo sono il cattolicismo, il socialismo, il na· zionalismo. I cattolici ritengono che soltanto nella Chies3 si possa trovare la salute, che la Chiesa sia la sola arca di Noè con la quale ci si possa salvare dai dilud; i socialisti sono convinti che tutti i mali del mondo derivano dai capitalisti, dai risparmiatori; i nazionalisti non vedono la pos· sibilità di salvezza fuori della Kazione, della Patria. Dunque i realisti (per loro fortuna) sanno esattamente che cosa è male e che cosa è bene e perciò, siccome sono anche dei buoni altruisti, tentano di sal,are il loro prossimo dal male e di gettarlo nel bene. In questo appunto consiste il missionarismo, l'apostolato, il proselitismo e naturalmente i realisti di diverse fedi e di diverse certezze si detestano fra loro poichè ritengono infernale ogni dogma contrario o anche soltanto diverso da quello nel quale essi credono. Che atteggiamento deve avere il liberale in confronto delle fedi-filosofie realiste? Il liberale come tale può essere indifferente alle singole verità dogmatiche, egli invece deve badare soltanto al me, todo col quale le teorie realiste dogmatiche tentano di propagarsi. Infatti, sempre [erma restan- '10 ]a djstinzione fra bene e male1 vi sono due metodi differenti per difendere il bene e combattere il male: l'imposizione forzata e la persuasione libera. Credere che il secondo metodo sia migliore del primo significa essere liberali. La logica del dogmatismo assolutista è questa : siccome chi non è nella mia fede è nell'errore e siccome essere nell'errore significa andare verso la rovina, io devo salvare il prossimo dall'errore e perciò con tutti i mezzi, ossia anche colla violenza, devo imporre a] prossimo la mia fede ed bo l'obbligo di impedire, anche colla violenza, il propagarsi di qualsiasi lede che, per essere dt versa dalla vera, (ossia dalla mia). sarà falsa. Insomma, il dogmatismo assolutista si comporta come un medico che per salvare un ammalato grave lo costringe, anche contro la sua stessa volontà, a prendere la medicina salvatrice. Ma si può essere altrettanto dogmatici ossia avere una eguale certezza in una assoluta verità e sostenere che l'imposizione violenta è un cattivo metodo per propagarla. Tnfatti si può credere benissimo che le verità morali e le medicine spirituali siano di ordine diverso delle medicine materiali e che le verità morali non ottengano nessun stabile effetto se non sono accolte con sincera, ossia con libera L A R I V O L U Z I O N E L I B E ·R A L E adesione. Perciò questi dogmatici sosterranno la necessità di propagare, esporre, spiegare la vera fede al prossimo per condurlo alla salvezza, ma escluderanno l'imposizione violenta poichè la riterrru.1110dannosa alla loro stessa causa. Ed escludendo l'imposizione violenta verranno a riconoscere anche alle fedi ritenute errouee il diritto alla materiale esistenza. Insomma tutti i dogmatici devono credere alla esistenr.a di wi bene e , di t)U male e perciò hanno l'obbligo morale di difendere il primo e cli combatter~ il secondo, ma cvide11temente vi può essere un ampio dissenso su quale sia il mezzo ed il metodo migliore per combattere il male. Alcuni crederanno che sia possibile estirpare il male con la violenza, altri credendo che questa sia una pericolosa illusioue, concederanno « al male 11 (pu.rcbè esso uou neghi la libertà « al bene ») una materiale libertà, couvinb di poterlo meglio vincere in 11.na leale e libera lotta ad armi uguali. Se il liberalismo non può accettare i dogmatici assolutisti, può invece benissimo accordarsi con questa seconda forma di dogmatismo. Il liberalismo che, come tale, è indifferente a tutti i dogmi etici, chiede soltanto che ogni fede nel!a lotta contro il suo « male 11 elimini la coercizione e la viole111.a. E siccome ciò che è « male » per una lede è , bene , per la fede contraria, in un regime liberale, non si può eliminare con la violenza il « male 11, ognuuo potrà essere almeno sicuro che nemmeno il « bene , potrà mai essere oppreSso dal «male•· Dunque ogni dogmatico, invece di ,,edere nel liberalismo sociale una difesa. del male; pub veden 1i invece la garan~ zia della difesa del •bene,. Si dirà che il liberalismo si fonda tutto nella promessa che il «bene» debba «naturalmente,. prevalere e che questa concezione ottimista è sbagliata. Ma il liberalismo non significa affatto cieca fede nella bontà innata dell 1uomo natur;le. 11 liberale può benissimo credere che l'uomo lasciato a se stesso possa tendere al male, che gravi su lui il peccato originate e che perciò sia necessaria l 'educazione e la redenzione, ma allo stesso tempo ' crederà che l'uomo abbia la facoltà di riconoscere il bene e che perciò la vera educazione e la vera redenzione consista nel convincerlo e 11011 nel costringerlo al bene. E il liberale ha anche una certa féde nell 1esperie1w..a ossia confida cbe l'esperienza del male sia la miglior via del bene, e che a parità di condizioni di lotta il bene debba prevalere sul male. Concludendo, il liberalismo come semplice teo· ria sociale è indipendente da qualunque scuol::i. filosofica. Può conciliarsi con l'idealismo e col realismo ed è per se stesso indifferente di fronte alle cliverse forme di realismo. Tanto se si concepisce la storia come perenne, attuale1 immanente dialettica, qua11tose si crede in una ultinià perfetta e trascendeute finalità, tanto se si crede che quesla firn11ità consista nel polarizzarsi di tutta l'umanità attorno ad una nazione o ad una classe eletta, quanto se si spera che cou l'affie,·olirsi di ogni seutimentò particolarista si possa giungere ad tÙrn perfetta società di eguali, è possibile essere liberali: basta credere che il miglior metodo sia per lo s,·olgersi cli una dialettica, sia per il raggin11g-i111e11todi una finalità ideale, consista nel rispetto del prossimo e nella libera conversione dell'avversario. Non è vero insomma che il iiberale debba credere che tutto ciò che liberamente si ;ittua sia « bellt :.. Questa sarà convinzione del liberale immanentista per il quale ciò che è reale è rnzio11ale,ma che tende a sostituire alla dialettica della rivalità violenta quella della libera concorrenza (ed appunto in questo è liberale), Ma può essere liberale anche chi crede in una idealità trascenc.leute e perciò ritiene che ciò che vi contrasta sia male anche se avvie11e liberamente. Questi dogmatici saranno anche dei buoni Jiberali se tenteranno di attuare il loro bene in libero confro11to col relativo male. lnsomma si è liberali tanto se si crede che ciò che liberamente avvie11e sia bene (immane11lismo liberale) quanto se si crede che cr il bene:. possa liberamente avvenire (dogmatismo liberale).' Gli anti liberali irriducibili sono invece tanto coloro che ammettono che tutto ciò che avviene nella storia sia bene (immanentismo anarchicb) q11a11tocoloro che ritengono che sia possibile abolire violentemente il male (dogmatici assolutisti). Naturalmente i dogmatici liberali sono conviuti che il bene possa liberamente prevalere sul male, purchè anche il male rinunzi alla coercizione e alla violenza. Contro la violeuza non si può combattere che con la viole111...a.Dunque secondo il mio mo<lesto parere il liberalismo è 'Soltanto una teoria, pn credo che riguar:da il problema della convivenza sociale. Come tale 11011 deve e non può pretendere di affrontare i grandi problemi etici individuali e storici che esso appunto presuppone; questo è invece il compito delle filosofie e delle religioni. Col solo liberalismo non si risolve nulla, ma senza liberalismo forse non si risolve niente. 11 liberalismo vero non ha un suo proprio contenuto etico; esso pretende soltanto di insegnare il miglior metodo perchè un contenuto etico si realizzi stabilmente nella società. E soltanto in questo senso di metodologia sociale il liberalismo è realista; infatti esso sostiene la obbiettiva bontà di un metodo, in confronto di altri, per l'attuazione della dialettica storica sia essa attuale che finalistica. NOVJH,LO l?APAPAVA. Al prossimio numero conclusione e obbiezioni. It'UltT~lYIODllll\IABTE Il • Fiorentino •, il quarto diamante del mondo per grossezza, è ormai l' ultima importante risorsa dell'imperatrice Zita.· (Dai giornali). Fu a Granson, nel fondo del cantone -di Vaud la sera, mentre le nebbie pietose del lago cli Neuf'. chatel si alzavano a ricoprire il campo della battaglia. Uno svizzero del cantone di Uri, rovistando con una sua chiaverina tra {1 . velluto infangato e gli arazzi mel~osi della tenda di Cru·lo il Temerario, sconfitto e fuggito, trovò incastonato il diamante su l'impugnatura di una e: misericordia •· Quello svizzero ave,·a la nostalgia di tornar presto sulla grande alpe, a pascolar le sue mandre : e ,rendette il diamante per un gu/den di Olaucla. La gemma viaggiò, più dell'~omo. Bianca Capello, nelle feste di Poggio a Caiauo, se ne adornava la gola candida - cosi candida, che le mani di Ferdinando dei Medici in un impeto cli crudeltà e di gelosia, brancica~ vano spesso il pugnale, nascosto sotto la porpora cardinalizia. Dallo scrigno di Palazzo Pitti, il diamante ebbe il nome; e quando Francesco Stefano di Lorena lo acquistò per eredHà dall'ultimo dei Medici, }o chiamò « il Fiorentino,. Maria Teresa di Absburgo portò poi, nelle fauste nozze, un Impero come dote: il Lorenese, vigoroso stallone destinato a rinvigorire l'esangue schiatta, portava poco più che la gemma. La guerra per la successione d'Austria pareva aver inghiottito l'impero: alla vedova, il diamante solo restava. Vestita in gramaglie, col primogenito in braccio, l'imperatrice si present,) implorando soccorso alla Dieta dei ribelli Magnati ungheresi, in Pressburg: la d~nna piangeva, e il diamante, incastonato nel diadema, mandava sprazzi nuovi e di versi ad ogni sussulto della testa bionda. Nessuno dirà mai se furono le lacrime di una donna o i riflessi di un diadema a fare inginocchiare i ribel1i vincitori: perchè nesSuno saprà 1nai se sul cuore delPuomo sia più potente la maestà che còmanda, o il dolore che supplica. Ma quando i ribelli si alzarono, sguainarono le spade, e innalzandole al disopra dei dollmann scintillanti, protestarono dì voler morire per Pimperatrice: I'. Vitam e·t sa11.g1tine1npro majestate Vestra. Moriamur pro rege nostro Nlaria Theresia )). E il diamante riposò ancora a lungo, nel tesoro di Schonbrunn. • *. Non vendetelo, signora. Quand'anche la miseria battesse alle porte della vostra casa di esilio, dove voi attendete, con i vostri otto figli, uno almeno degli antichi regni, non vendete il diamante di Maria Teresa. La mistagogia delle pietre preziose, l'ermeneutica di gioielli, coltivate nel medioevo dai monaci che seri vevano dotti commenta rii sulle vesti e sugli adornamenti della madre di Dio attribuiscono concordi al diamante un solo ~ignificato simbolico : quello della costanza nelle avversità, della forza e della pazienza regali. I re banno l'obbligo di credere alla mistagogia e alI 'ermeneuti'ca delle pietre preziose, come a tante altre scienze cui i sudditi non credono più. I terreni, il denaro, le macchine, le pietre preziose, sono categorie del pensiero umano, come lo spazio e il tempo. Il contadino pensa in terreni, riduce tutta la sua vita, i suoi lucri, le sue fatiche, le sue vittorie, sotto questa categoria. L'uomo d'affari pensa in denaro: l'industriale pensa in macchine, il re pensa in oro e in brillanti; l'oro e i brillanti della sua corona. Nelle mani di uno zebedeo americano, il diamante degli Absburgo sarebbe ridotto a segno rappresentativo di un certo numero di banconote : nelle mani di vostro figlio è pegno di un impero. La ricchezza dell'umanità sarebbe diminuita di troo. po, se il diamante passasse dalla mani candide dell'adolescente, in quelle cosparse di cespuglietti pelosi dell'uomo dalle mascelle quadrate. Rileggete in Grillparzer, il poeta della vostra casa, !3 tragedia Ein Bru.derzswist in I-I absburg, una contesa fraterna negli Absburgo. Che cosa rispon~e Rodolfo, l'imperatore malato e misantropo, racchiuso nello Hradschin di Praga a specolar sulle stelle, che cosa risponde a chi gli dice che il mercatante fiorent_ino, venuto a corte, ricbied~ per le sue gemme prezzi troppo alti per poter essere accettati? Una sola parola: e Sciocchezze •· Ai sensali che verranno a cercarvi 1 per rapirvi il diam.ru1tefamoso, e vi offriranno prezzi che al volgo sembreranno troppo alti per poter essere rifiutati, rispondele la stessa parola: « Sciocchezze ». E se la tentazione di vendere, di vendere per essere finalmente al sicuro dalle strettezze crudeli è troppo forte per il \"ostro cuore di donna, rimettetevi al vostro primogenito, quel ragazzo biondo e vergognoso nel vestito modesto alla marinara, che vi portate dietro, a braccetto, sui boule11ards parigini, su per le salate e amare scale delle ambasciate straniere, quando andate a chiedere almeno uno dei vostri latifondi croati, sequestrati dal vincitore. Rimettete la decisione al capo della famiglia, a Francesco Giuseppe di Absburgo-Lorena. Ah, se quegli occhi neri, fissando il diamante alzato contro il sole dell'esilio avranno un lampo più vivido e caldo di quelli freddi e taglienti della pietra sfaccettata; ah, se quegli occhi neri vedranno, nello sfolgorio adamantino, un riflesso di splendori ignorati, e @ant'è dolce il rubino còlto in fondo alle coppe di rosso vin dj Tokai mesciute àlla mensa- dei re, e quant'è casto il turchese, sepolto in fondo a.lle acque azzurre del Danubio, fiume regale: e quant'è immutabilmente paziente il g_iaspide, senza macchia possibile, come l'alta erba della puzsta, che sopp01ta le cavalcate gioiose, e quant'è umile la calcedonia che impallidisce alla luce del sole e brilla uell 'oscurità_ della notte, come i pochi magnati fedeli del_regno, trascurati nei giorni della fortuna, e pur devoti nella sventt:.ra; ah, se negli occhl di vostro figlio vedete che l'ultimo diamante rimasto concentra e irraggia i ba.rbagli di tutti gli scrigni perduti, non vendete, signora, non vendete! Come la te1Ta grassa e nera, fermentante di grano, chiama di sotto la neve il mietitore, come la catena infame, dal fondo dell'ergastolo, chiama il delinquente, cosl )a corona di Sant• Stefano, custodita sulla sacra collina di Buda, chiama un re: vostro figlio. • *. Tutto possono comperare gli uomini dalle ll>ft· scelle qttadrate, nella vecchia Europa. Hanno gravato di ipoteche le foreste e le mi• niere di Russia. Hanno razziato i castelli della nobiltà baltica, ,;:,;idre dei più bei cavalieri del mondo." La repubblica di Austria li ha pregati di accettare i~ pegno gli arazzi della Hofburg, le memorie del principe Eugenio. Ci sono stati degli italiani, che hanno pensato di affittar loro Posillipo e Mergellina, perchè si possano barcheggiare in acque quasi territoriali. I loro stucchevoli settarii, i loro metodisti, i lroebeliani della salvazione delle anime, banno comprato Monte Mario per erigervi un grande albergo diurno ben provveduto di bidets spirituali per sguazzarci-dentro le superstizioni cattoliche. Hanno arruolato per i loro caffè-concerto le odalische del sultano. I troni dei palazzi di Versailles e di Coblenza, ci si seggono sopra con lazzi degni della loro alta valuta. Con l'obolo di S. Pietro, riducono il papa di Milano ad essere una specie di Cappellano delle marchese Travasa di oltreoceano. Se voi .li costringete ad arrestarsi sulla soglia della vostra casa, avete riconquistato il regno a vostro figlio. L'Europa è stanca di re cbe si sforzano di pensare in banconote. E' stanca dei re che portano il cappello a lobbia, fanno_ gli ingressi solenni in automobile, invece che a cavallo, scrivono con uno stile da cartolina illustrata, regalano le loro vi Ile per non dovere mantenere i custodi. Che cosa è il sovversivismo, signora? E' la delusione di tanta povera gente che cerca un re e non lo trova. Il sovversivismo è la protesta dersudditi, che affermano il loro diritto ad essere comandati da un re. Che cosa' chiedono al re? Che esso si rifiuti di ridurre il mondo al comune denominatore della banconota: cbe ~o ami i diamanti più del Jenaro, la dinastia più di se stesso. Le folle ,·ogliono che in questa vecchia Europa ci sia qualcosa che non si può ·comperare, che non si può affittare, cbe non si può liquidare. Solo un re che difenda la propria corona può appagare questo desiderio. Se voi, signora, vi rifiuterete di vendere il Fio• rentino~ sarete nobile come l'operaio che sopporta la fam-e, piuttosto che cedere alle pretese esose di un padrone che vuol et rompere :a uno sciopero. La conquista del pane e la riconquista dei troni sono grondanti di lagrime e di sangue. Ma un giorno voi \·edrete sfolgorare il diamante di Maria Teresa sull'elsa di una spada. La spada di vostro figlio, che entrerà in Budapest a cavallo, per esservi incoronato re. GIOVA.:'lNI ANSALOO. PIEROBOBETTI- Editore TORINO - Via XX Setlembfe, 60 ILPENSIERO DIUNCONSERVAT i volume di pagine 600 circa L. 30 Ai prenotatori L. 20 CONTIENE: I. - La conservazione e l'evoluzione naturale dei partiti in Italia (1879). II. - Relazione finale sui risultati dell'inchieSta agraria (1885Ì. III. - Pensie~i sulla politica italiana (i889). Con mtroduzione e note. Il primo avviso ci ha procurato i più insperati consensi. Bisogna tradurli subito in azione. Noi non possiamo iniziare la stampa di questo volume se non avremo 500 prenotazioni. Chiediamo duuq~e agli amici di mandarci subito la loro prenotaz10ne e di ricercarne attivamente a1tre nuove. Non è necessario che ci spediscano subito il denaro: basta che, se l'edizione potrà farsi ce lo mandino in settembre. '

LA RIVOLUZIONE LIBERALE L-a. rellglon.e e il oa.rattere degli i.ta.lia.n.i PAOLO Della maggior ricchezza d 'informazioni recente.- mente raccolte intorno a F. P. Sarpi, noi andiamo debitori ad un sagace filosofo finlandese, il Rein. Egli, giovandosi segnatamente di corri- ,;pondenze di legati pontifici e veneti e di stranieri protestanti, conservate negli archivi di Venezia, di Roma, di Monaco di Baviera, di Londra e di Parigi, ha raccolta e coordinata, sull'argomento Paolo Sarpi e i Protestanti, tale messe dj documenti che si integrano e si confermano a vicenda, da rendere vana ormai la polemica sul- ] 'autenticità delle lettere del Sarpi, che erano siuòra i soli documenti, sempre sospettati, del suo vero pensiero in fatto di religione. Ma ora1 se anche tutte quelle lettere non esistessero, avremmo di che sostituirle. Venezia Venezia fn la città d'Italia, che più presto e più forte senti l'influenza della riforma protestante. La ragione principale di ciò stava nell'essere essà quel grande centro dei traffid, dove convenivano cittadini di ogni nazione, d'Oriente come d'Occidente; ai quali tutti il Governo della Repubblica, per quanto cattolico, consentiva indistintamente la libera pratica delle rispettive re1igioni : come agli Ebrci ed ai Maomettani, cool evidentemente, tale libertà, non potè non essere ricollosciuta agli stranieri protestanti. I propagandisti protestanti potevauo dunque guardare a Venezia con buone speranze per la propria causa, date soprattutto le circostanze politiche dell'inizio del secolo XVII. Venezia si trovava stretta da più lati da dominii della Casa d'Absburgo o da Stati ligi a questa. Per non restare soffocata da un accerchiamento totale, era perciò inevitabile che essa coltivasse amicizie ed alleanze con le potenze nemiche del blocco cattolico absburghese: con la Francia di Eurico IV e con gli Stati protestanti. Gli intetessi politici coincidenti prevalevano sulle tendenze religiose antagonistiche. Successivamente, tali relazioni con nazioni protestanti o non aliene dal protestantesimo gioveranno a11a propagazione di questo in Venezia, specialmente per mezzo degli ambasciatori, residenti o temporanei, inviati dall'una e dall'altra parte. Quanclo poi, a questi dati dell'indirizzo politico generale, venne ad aggiungersi la posizione di battaglia assunta da Venezia contro Roma ne1la contesa dell 'Interdetto, nuove speranze arrisero ai protestanti nell'azione della Repubblica, anima deIJa quale era il suo grande Consultore. Di qui, un attivo 1avorìo per far progredire lU causa protestante fra ·1a cittadinanza di Venezia. Questo lavorìo trovava il suo fulcro appunto in Fra Paolo Sarpi. Una numerosa serie di emissari protestanti svolge la sua attività in Venezia. Dal 1604, re Giacomo I d'InghiltetTa vi manda un Legato stabile, che fu una notevole figura di diplomatico: sir Henry Wotton. Era il primo diplomatico pro~ testante in Venezia. « Legatus - scrisse l'arguto e letterato· gentiluomo nell'album di un_amico - est vir bonus~ peregre 1nissus ad mentiendirni reipublicae causa». E seppe così bene applicare questa massima, che 11011 solo assicurò alla Re-- pubblica ch'egli non avrebbe fatta opera di propaganda anticattolica; ma al gesuita Possevino, col quale aveva frequenti conversazioni, fece credere addirittura di essere un éattolico, che si celasse sotto spoglie di protestante! Il Wotton organizza \·a in vece la propaganda protestante, in~ troduceva libri protestanti, e cercava di far venire a Venezia Giovanni Diodati, il celebre traduttore della Bibbia in italiano, per fondare una comunità religiosa. Col Wotton, oltre che col suo predicatore protestante, il Bedell, Fra Paolo Sarpi aveva frequenti e lunghi collogui. Poi fu il principe di Anhalt, fondatore del1'Unione Evangelica tra principi luterani e calvinisti (1608) e grande nemico degli Absburgo, che 1na11clòa Venezia un emissario, Cristoforo burgravio di Dohna, per rendersi conto delle possibilità dei protestanti in Venezia e per consigliarsi col Sarpi se fosse il caso di offrire al Go- . vento veneto l'aiuto dei protestanti contro il Papa. Dei colloqui col Sarpi ci rendono conto note scritte del Dohua medesimo, certamente genuine, le quali hanno l'aspetto di rapidi appunti formulati subito dopo la conversazi0ne. In tali collo- .qui, il Sarpi manifestò nel modo più esplicito, le proprie simpatie per il protestantesimo, sl che le note del Dohna sono d1importauza centrale per la conoscenza del pensiero sarpiano a questo proposito. Uno spirito guicciardinia'no Parlando col Dolrna, il Sarpi spiega che nelle prediche era bandita la verità evangelica, senza tuttavia che vi dichiarasse che la Chiesa cattolica professa altre dottrine e seuza opporsi apertamente ad essa. Cosi i prote~tanti intendevano· benissimo lo spirito di tali prediche, e i cattòIici, dal canto loro, 11011 se ne potevano scandalizzare. Tutto ciò è discretamente gesuitico, per un simpatizzante del protestantesimo! Il Sarpi insisteva anche sull'Utilità di avere in Venezia agenti auto1ùzati di Stati protestanti, per aiutare la religione evangelica, con propaganda orale e per mezzo di opuscoli, confessioni di SARPI lede in italiano, e cosl via. Una o due volte al mese, il Sarpi avrebbe anche potuto comporre un breve scrillo di propaganda, da diffondersi per mezzo della stampa, con l'aiuto del Wotton. Quando poi si fossero illustrati al popolo i mali della Chiesa cattolica, allora si sarebbe potuto proclamare come essi tutti procedano dal Papa, e scbierarsi apertamente contro di lui. Ad ogni modo, il Sarpi dichiara preferibili i rne%7.icauti e graduali ad un'azione clamorosa e repentina, tanto più essendo passata ormai l'occasione della lotta col Papa. Una volta poi ottenuto di poter predicare liberamente l 'Evangclo, si sarebbe pensato a formulare una confessione di fede, col consiglio delle Chiese d'Inghilterra, di Svizzera, del Palatinato e di Ginevra. Intanto, bisogna va aver pazienza e sopportare le cerimonie della Chiesa cattolica, cosl come egli - Fra Paolo - si adattava a celebrar la messa, benchè contro le proprie convinzioni! In queste dichiarazioni c'è tutto il Sarpi. Inutile, dop0 di esse addurre passi di lettere sue, od analizzare i rapporti di lui con altri agenti protestanti, quali il Liques, il Bioudi, il calvinista Lenck inviato dell' Anhalt, l'olandese Van der Myle, il Von Hutten inviato del luterano Duca cli Pfalz-Neuburg, cui il Sarpi dichiarò che ravvisava nella Confessione d'Augusta veram et sanctam theologicam simplicilatem. Ma si badi: l'approvazione alla Confessione d'Aug;sta non va intesa come un'adesione a questa sola professione di fede protestante, ad esclusione d'ogni altra : è un 'approvazione generica, data più allo Sf•irito informato.re, che alla precisa lettera cli essa. Infatti in una lettera del Sarpi troviamo lodi anche maggiori alla Confessione boema. Ma con quali argomenti è motivata la sua ammirazione! Essi, se mostrano nel Sarpi un acuto spirito politico e un certo desiderio di conciliazione, non discaro alle nostre menti moderne, lontane dai tempi dell'ardente conflitto della Riforma, sono certamente tali da scontentare ogni appassionato protestante, cosi luterano come calvinista. La Confessione boema - scrive il Sarpi - , è composta da persone molto dotte e molto prudenti, prechè tratta tutti gli articoli in tal maniera, che li Luterani possono dire esser secondo la loro dottrina, e i Calvinisti similmente secondo la loro, con parole, e sensi così bene accomodati che nessuna parte può dire che vi manchi niente della dottrina sua, nè alcuna si può dolere, che l'altra sia avvantaggiata. Io cou,. fesso di non aver visto scrittura cosi disereta e prudente, e veggo che codesti Dormiglioni vi• gilano però nell'importanza: per me gli am• miro. Mi è stato molto caro d'intendere come abbino composto il lor Concistoro di ambe le parti (luterani e calvinisti) ... e concludo che a governar il mondo con quiete sii più ne<:essaria una grossezza mediocre, che soverchia sottilità >. Si sente, in queste parole, come in tanti altri spunti sentenziosi del Sarpi, uno spirito carat~ teristicamente ita1iano1 una cert'aura del nostro Rinascimento, un che di Guicciardiniano, acuto, serio, ma un po' scettico nel fondo. Ben altro era il Sarpi che gli amici protestanti avevan desiderato, che s''erano anche un po' raffigurato a modo loro, e non sapevan rassegnarsi a non iitrovare nel vero e vivo Sarpi ! La II superflua cauzione,, degli Italiani Ebbene, a noi, uomini moderni e osservatori lontani, sarà più agevole non mescolare, come essi fecero, le nostre passioni al giudizio sul Sarpi. Estimatori della coerenza ideale, qualunque sia il contenuto ch-'essa affermi, delle posizioni nettamente assunte, restiamo perplessi noi pure, anche senz'essere nè protestanti nè catto• lici, di fronte a questo eccesso di tolleranza, a questa fiacchezza ideale. No davvero, il Sarpi non fu uno spirito religioso, per il quale la intolleranza è manifestazione deila forza, del calore intimo dell~ fede, e come tale è sacrosanta e ammirevole a\ pari dell'ardore del guerriero. Ben facilmente si comprendono le impazienze, i rimproveri, lo scontento dei suoi amici protestanti che invano lo spingevano all'azione: del Duplessis-Mornay, il , Papa degli Ugonotti», del Diodati e di tanti altri. A tutti costoro, nei quali la volontà prevaleva sull'intelletto, il Sarpi opponeva una forza d'inerzia e una lucidità di giudizio da far disperare. Al Diodati egli protestò, quasi piangendo, di esser costretto dalle circostanze a non prender partito apertamente per il protestantesimo, per non abbandonar Venezia, la quale sarebbe così caduta in mano del partito del Papa e dei Gesuiti. Parve al Diodati che l'intimo convincimento del Sru·pi fosse: non esservi bisogno di una pubblica confessione di fede, perchè Dio considera l'animo e la mente dell'uomo. E il Diodati riassumeva il giudizio, che s'era formato del Sarpi, in questa frase incisiva: je ne juge point qu'il soit janwis pottr donner le coup de pétard ». Ma queste sono valutazioni negative. Quale era, nel fatto, il Sarpi, caro o non caro che tale s_uo caratteré possa riuscirci? Non tempra di apostolo, di riformatore religioso: troppo riflessivo per infiammarsi d1U11a idea sino a perseguir questa contro ogni ostacolo anche insuperabile, egli stesso si conosceva tanto bene, da definire, parlando col Diodati, la propria indole come adatta essenzialmente ad una continua, silenziosa operosità, come quella che poteva svolgere nel suo ufficio di Consultore. Alle esortazioni del De l'Jsle ad agire, egli rispondeva: • La pregherò di considerare, che in considerazione molte cose sono da noi chiamate buone, che n.ell'esecuzioue sono cattive, mancandoci l'opportunità, la quale sola produce la vera bontà nell'azione. Sarebbe molto bene l'adoperarsi in servizio di Dio senza ne.ssun rispetto, se tutte .le circostanzie vi consentissero: ma questo, fatto senza opportunità, non sarà degno di nome di bene; anzi potrebbe esser d'impedimento a quello che n<:i tempi futuri, fatto opportunamente, potesse partorir qualche buon effetto,. E poco dopo: , Quando Dio ci mostra 1 'opportunità, dobbiamo credere esser la sua volontà che ci adoperiamo : quando no, che stiamo aspettando con sik:nzio il tempo del suo beneplacito ,. E' impossibile ritrarre la psicologia di Fra Paolo Sarpi meglio di quanto egli stesso fa con queste parole. C'era ben di che far cadere le braccia ai suoi amici zelatori della fede protestante! Questa quasi fatalistica inattività era il difetto correlativo alle sue qualità di politico : mente d'apostolo e mente di politico sono per eccellenza antitetiche. Mente politica, egli aveva dunque l'occhio al possibile, al praticabile; non alle chimere, per generose e care che potessero essere. « Gli uomini - scriveva al Foscarini - reputano vero quello che de.siderano , ; non egli, s'intende, elle così sentenziava. Era un possibilista, o - come si dfrebbe ai giorni nostri - un attivista. Aveva l'ardire delle azioni necessarie, percbè non era un timido; non lo spirito dell'avventura, il gusto del rischio evitabile; e, personalmente, aveva dato prova, nell 'occasione del! 'attentalo famoso e d 'altre macchinazioni posteriori a suo danno, di una intrepidità che faceva meravigliare e pareva aver persino un po' del fatalismo. La sua prudenza, egli l 'attrib11i va un po' alla propria nazione in generale: e Noi italiani voglia.mo fare le cose nostre tanto sicure, che perciò perdiamo molte buone occasioni, onde fa bisogno accompagnarsi con perEone veementi, che scusano un poco la nostra superflua cauzione,. Così scriveva al De l'Isle, quasi a giustificare se stesso. La tenclen7,a personale prevalente nel Sarpi, sino a che Ja circostnnza dell'Interdetto non venne a dargli una di quelle scosse decisive, che, rivelando capacità nascoste, indirizzano a un determinato scopo impreveduto le energie latenti ,Ji un uomo, fu una tendenza all'osservazione :;cientifi<.:a.Creato Consultore della Repubb1ica vE:uda, il Sarpi fu invece tutto assorbito dalla politica. Questa fu la sua seconda \·o<."a: zione: la più importante, dai frutti ch'essa rlie- •de; quella clte egli, date le circostanze storiche nelle quali si trovò a vivere, considerò come la propria missione. LUIGI EMERY. PIERO Ei □BETTI - Editar~ TORINO - Via XX Settembre, 60 Secondo i precedenti annunci sono puntual. mente usciti i primi nostri volumi che saranno spediti· solleòtamente, franchi di porto, al prezw di copertina sottoindicato Paccaoinoviltiàbrarie Nell'intento di rendere il più agevole possibile ai nostri amici la conoscenza delle nostre opere sped.iiremo a chi 'èi manderà cartolina vaglia di L. _28 invece di L. 38 - il seguente pacco di libri : N. PAPAFAVA: Badoglio a Caporetto U. FoRMENTINI.: Gerarchie sinàacali . L. 4.- . L. 3.- P. GonETTI: Dal bolsce7!ismo al fascismo L. 3.- 'G. STOLl'I : La Basilicata senza scuole L. 6.- P. GQBETTI :La filosofia polit. di V. Alfieri L. 6.- A. Dr STASO: Il Problema _italiano . . . L. 1,50 M. VrncrGUERRA : Il fascismo 1Jisto da im solitario L. SALVATORELLI: Nazionalfascismo L. 5.- L. 7,50 Numero di Energie Nuo7!e sulla Scuola L. 2.- ù. 28 inYeee di ù. 38 Jmminenfi: ENRICO PEA: Rosa di Sian . . . L. 4TOMMASO FIORE: Eroe S7!egliJJto asceta perfetto . . L. s - Felice e_ asorati, Pittore . . L. 30 - 97 0.HitT.HGQOI~O nI POGOGURR~TE Dopo l'articolo mussoliniano della Forza e consenso e del!' • Ordine, gerarchia e disciplina• (fine marzo), che segni> il climax di illusioni dello spirito aggressivo e d'indipendenza del fascismo, fu tutto un fiorire di variazione snI tema : • Il fascismo fa da sè •. La sbornia ha portato ad un tentativo poco felice di boxe col Partito Popolare. I più avveduti cominciano a risentirS<:ne, gli altri dicono che don Sturzo è un jettatore; Mussolini sarebbe portato a dare ragione agli avveduti, ma non sa sbarazzarsi degli altri, precisamente =e avveniva a Treves, Turati ecc. cci • bolscevichi , . Nel momento dionisiaco un giornale di giovani imperialisti dimostrava la necessità storica della dittatura (anticamera imperiale), la quale avrebbe portato i seguenti frutti : • Una dittatura darebbe un orientamento ancor più deciso al Paese, e quindi una maggiore disciplina e una conseguente più fervida laboriosità. La dittatura, infine, permetterebbe quella riforma della Costituzione che si rende necessaria e che servirebbe di modello all'Europa ed al mondo, ammalato di •democrazia,. I giovani imperialisti pensavano con cupidigia ai succosi frutti autunnali; sono venuti, nn po' aciduli, frutti primaverili: r. - I dispiaceri piemontesi dell'on. De Vecchi; 2. - I cocci rotti del fascismo umbro; 3. - Le chiassate romane; 4. - Gli scandali napoletani; 5. - (Omissis) ... Naturalmente, est la Jaute à la démocratie. Patologia L'on. D.é Vecchi mi ricorda un passo del suo famosissimo discorso di Torino dell'aprile scorso (un altro frutto acerbo, mai più digerito) e che merita di passare alla storia insieme col Quo• usque tandem. Merita, perchè se domani accenneremo a memoria a queste cose, non ci crederanno: « Noi - egli disse - ed io... sapremo ancora riprendere le arnù per ripulirci all'interno (del fascismo)... All'esterno assai più facile riesce la bisogna. Hanno tutti paura: basta comparire con lo zucchetto nero e la dmicia nera perchè ovunque si vedano delle schiere prostrate, delle ginocchia a terra e delle mani in atto di resa ,. Speriamo che pochissimi stranieri abbiano lette queste cose tanto ingiuriose ed avvilenti per la fama nostra. Strane aberrazioni! Sono sicuro che, se si andrà a parlare col De Vecchi, egli non permetterà che lo si metta secondo a nessuno in fatto di amor di patria. Chi sa se egli non immagina sè stesso nelle spoglie ili un Armando in stivaloni a :fianco ad una Margherita Gautier, che ha rinunziato a morire e che fa la vi vandiera della Milizia nazionale, onestamente? Anime morte La Stefani 17 aprile: e L'on. Albanese ha conferito oggi col Presidente del Consiglio,- al quale poi, come d'accordo, ba inviato la seguente lettera di spiegazione e di scusa : « Eccellenza, - Come bo scritto nelle mie dichiarazioni lette domenica 15 corr. alla Federazione Istriana del partito, delle quali le mando una copia, faccio ammenda per tutto quanto nel mio discorso al convegno dei sindaci istriani vi può ·essere (adopero due parole sue di stamattina) di insussistente e di insultante per il Governo fascista e per la sua opera. e: Chiedo scusa a Lei ed ai suoi colleghi ..di Gabinetto per la forma poco riguardosa del ~o discorso, dovuta al fatto che non sapevo che c'era la stampa e che le mie parole sarebbero state date alla pubblicità. Prendo atto del suo riconoscimento della vera realtà della situazione de li 'Istria. Devotissimo : Luigi Albane.se , . Se dalle prossime elezioni uscissero eletti trecento Albanese, ci pensa !'on. Mussolini quale nemesi pel fascismo (e lasciamo stare il hell'aifare pel paese)! E dire che l'ipotesi è la più vicina al vero! Il fascismo stesso affretta il passo verso Io stagno dei ranocchi, attraverso manipolazioni della legge elettorale, che puzzano del più stantio giolittismo. Colei che non si dtn-e a111are Dopo il grido scandaloso di • Viva la Libèrtà ! , emesso dal comandante Rossetti, mi hanno detto che un giornale di provincia ha intitolato un articolo: , Abbasso la libertà I>. Quando l'ho sentito, mi è venuto in mente il grido fatidico di noi scolaretti - tra un vetro rotto ed un pugno di questurino alle reni : - « Abbasso Senofonte I,. • Sincerità, Ne1Plnipero, 12 maggio: titolo a sei colonne: « Essere prima nuissolin.iani e poi fascisti è la più alta professione di fascismo,. Meno male. In questa frase finalmente è stata abolita la parola Italia. Pa~·lanientari&?no senza Parlamento L'on. Farinacci in Creniona nuova, 15 ntaggio: « Ha ponderato il Governo, profondamente, le riforme proposte da.I senatore Gentile; meditando ad esempio sull'attuabilità e sulle conseguenze i=ediate e lontane dell'Esame di Stato, di cui - decaduti i patti di collaborazione popolare - veniva meno l'occulta e principal ragione?>. Ahi! C'erano ragioni occulte, in patteggiamenti di partito? Cose inaudite... dal 1° novembre 1922.

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