La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 15 - 22 maggio 1923

LA RIVOLUZIONE LIBE!tALE MOTIVI DI STORIA ITALIANA VI. Socialismo di Stato Dei risultati liberali raggiunti dalla rivoluzione unitaria soltanto Cavour tra gli uomin1 del suo tempo aveva avuto completa coscienza. Morto il ministro piemontese restava viva una situazione storica, ma la rivoluzione veniva a trovarsi senza contenuto e senza guida. Il problema di Cattaneo ridiventava dominante. Le iniziative regionali 1100 alimentarono una sen.~ tita libertà. Le nuove avventure di politica estera s'imponevano alla nazione seuz.a che il ritmo dell" vita economica vi corrispondesse. Le classi medie avevano c,mqnistato il governo senza istituire rapporti di comunicazione con le altre classi. Dopo il '70 su 27 milioni di abitanti erano iscritti alle liste elettorali meno di mezzo milione di cittadini. La povertà dell'econoroin geuerale determinava una situazione di parassitismo: il regime dominante si poteva considerare come una casta di impiegati i quali per conservare i loro privilegi tendevano a trasfor- -marsi in una oligarchia contrastando ogni partecipazione popolare. L'eredità del Regno di Napoli pesaYa sul nuovo Stato, aumentando la corruzione e creando contro la vita agricola naturale nna superstruttura di parassitismo burocratico ed elettorale. Non ci stupiremo che la lotta politka si confondesse in una caccia all' im~ piego. Per tali premesse il governo italiano doveva naturalmente essere uu socialismo di Stato. Come Lassalle per un calcolo di contingenze realistiche conduce a Marx, Rattazzi conduce a Mazzini. Mazzini e Marx (ove si prescinda dalle espres~ioni sentimentali che trovano i loro miti e dall'antitesi di stile e di psicologia che li separa: Mazzini, romantico, vaporoso, impre- <:iso; 11arx chiaro, inesorabile, realista) pougouo in due ambienti diversi le premesse rivoluzionarie della nuova società e, attraverso i concetti di missione nazionale e di lotta di classe, afferma.no un principio volontaristico che riconduce la funzione dello Stato alle libere attività popolari risultanti da un processo di individuale differenziazione. In questo senso Mazzini e Marx. so- -no liberali. Tuttavia Marx parla al popolo un linguaggio che può essere inteso perchè si fonda snlle esigenze prime che trasportano alla vita sociale, Mazzini resta in un apostolato generico e retorico, sospeso nel vuoto dell'ideologia perchè non potendo rivolgersi all'uomo dell'industrja e dell'officina parla a un popolo di spostati, di disoccupati, di pubblici ufficiali .. Siffatte condizioni obbietti ve non possono promuovere· un movimento liberale, ma generano q112si per istinto lo sfruttamento utilitario delle etiche solidaristiche e socialistirhe. Perciò dal '50 al '9r4 l'eredità cattolica e la disgregazione sociale, addirittura terribile nel Sud, costringono in Italia il nuovo organismo, statale ad -affermarsi secondo l'astratta funzione di moralità che corrompe i principi liberisti in una concezione democratica di stanca grettezza utilitaria. Il riformismo italiano non è stato inventato dai nostri socialisti, ma si è affaccialo naturalmente con le prime discussioni sulla scuola' popolare per poter dare un senso alla lotta contro ; Gesuiti. Vincenzo Gioberti e Domenico Berti ne sono i padri legittimi. . L'evoluzione sociale dell'Italia dopo il '6o, essendo stato introdotto nella vita della penisola un nuovo elemento di riorganizzazione economica, vien sostituendo al socialismo ai s4to -ehe aveva promosso la legislazione scolastica un più franco riformismo economico. La ricostruzione scolastica tentata come rivolnzione morale aveva potuto creare un embrione di classe dirigente ma si era dimostrala incap.ace di un 'espressione politica che valorizzasse le forze individuali. Il primo momento dell'organizzazione ne11e coscienze popolari doveva es• sere infatti un momento per eccellenza (!LODOinico, affermazione eJementare di autonomia e di libertà. Ma nei costumi della vita italiaua questo tenue risveglio economico doveva confondersi in una caccia al p1ivilegio: le prime aristocrazie operaie, invece di mantenere la loro posizione di intransigenza, invocano borghesemente la prote2done della legislazione sociale, come le timide iniziative industriali chiedono l'appoggio del protezionismo doganale e delle sovvenzioni go• vernati ve. L'opera della sinistra come riformismo economico era dunque il coronamento logico della nostra impotenza rivoluzionaria. Era il risultato dfalettico di dtte forze arretrate incapaci di esplicarsi : la teocrazia si continuava nella democra2ia •e nel riformismo, le tradizioni diplomatiche si riducevano a opportunismo di amministratore. L'istinto della conciliazione trasformava l'equi- ~-oco iniziale di Chiesa e Stato in equivoco di _governo e popolo. L'ideale del governo è nna monarchia paterna dispensatrice di privilegi. Ma per l'eredità della rivoluzione non riuscita il movimento riformi- ~ta italiano, come poi il partito socialista, non può crescere nei quadri di uno Stato a cui il popolo non crede perchè non l'ha creato con il suo sangue. Il socialismo tedesco coincide nel suo valore etico di liberazione popolare con il significato dello Stato, rappresenta la continuazione dello spirito di solidarietà della Riforma, è figlio dell'ascesi religiosa, e si misura secondo il realiz,,.arsi dell'idea statale nella coscienza dei citta<lini. La lotta pratica s'è ridotta nei terminì dell'economia perchè un principio comune è coessenziale agli spiriti e dal processo economico trae esso stesso sviluppo: la rivoluzione unitaria iu Germania è stata popolare. In Italia una tradizione che non è coscientemente liberale, ma istintivamente individualista si oppone alla vitalità di ogni sistema che ignori la libera ini,.iali\'a e attribuisca allo Stato nn'attivilà distinta dall'attivìtà dei cittadini. Il socialismo di Stato si rivela dunque come un momento effimero, come una transazione che bisogna superare. Una volta venuti sul terrepo della legislazione sociale la politica diventa un perpetuo ricatto in cui a eterne concessioni fanno eco eterne richieste senza che s'introduca nella lotta politica un principio di responsabilità. Lo Stato vieue corroso dal dissidio tra governo e popolo: un governo senw autorità e senza autonomia perchè astratto dalle condizioni ecouomiche effettive e fondato sul compromesso; uu popolo educato al materialismo, in perenne atteggiamento anarchico di fronte all 'organiz1.azione sociale. Nè la Destra nè la Sinistra riuscirono a sottrarsi a questa necessità di protezionismo demagogico : Sella che seguì costumi cavouriani senza averne le attitudini diplomatiche fu l'uomo più impopolare nel paese. Il nuovo Stato, impegnato sino al '70 in una politica estera prefissa, si trovava privo di risorse finanziarie, con tllla generazione di patrioti da compensare con la beneficenza pubblica e cou gli impieghi, con uno spirito inconcludente di irrequietismo garibaldinò da fronteggiare. Parve che ogui fortuna avvenire sarebbe stata co1npromessa se non si tenesse vivo lo stato d'animo di tensione e di, aspettazione in cui sì prolungava l'entusiasmo degli anni precedenti: e si nascosero le verità della politica finanziaria, si ostentò uno sfarzo, pur necessario, di opere pubbliche. La Destra, demagogica e anticonservatrice come la Sinistra, partecipe delle stesse illusioni radicali, divenne una consorteria. Allora il trasformismo di Depretis fu l'espressione più evidente di un 'Italia che si pasceva di conciliazioni e di unanimità e non riusciva ad affrontare i terribili doveri della fondazione dello Stato. La Sinistra si rendeva anche eco cli uua caratteristica situazione meridionale : per essa il problema dell'unità veniva posto per la prima volta nei suoi termini sconfortanti di politica. tributaria e di opere pubbliche. Solo una pronta risoluzione del problema elettorale e del problema burocratico avrebbe potuto porre rimedio a questa situazione parassitaria: ma non si osava discorrere di autonomie regionali per non compromettere l'unità e si voleva mantenere il diritto elettorale '! una ristretta oligarchia quasi per premiare la minoranza che aveva preparata l'unità e non complicare i) problema dello Stato con l'intervento di nuove masse popolari, sinora neglette e ignoranti. Cosi non si riusciva a consolidare una situazione intelligentemente conservatrice che desse il suo tono alla vita nazionale e disciplinasse il sorgere delle nuove ideologie rivoluzionarie che avrebbero affrontato le responsabilità future. Sonnino e Franchetti invocarono invano l'allargamento del suffragio; Stefano Jacìni, la mente più lucida della politica italiana dopo Cavour e Sella, veniva accusato di clericalismo quando proclamava questa esigenza di un partito conservatore e ne tracciava il programma con una precisione critica esemplare. Quando gli italiani furono stanchi delle astuzie e delJe lusinghe di Depretis si abbandonarono alle facili seduzioni della megalomania di Crispi, e nel fallimento africano tutta la uazione fu compromessa. Comunque suonino le tardive riabilitazioni, Adua segna l'estrema condanna di una facile mentalità romantica e rappresenta la critica preventiva di ogni ideologia nazionalista, destinata a sorgere in Italia con la mentalità dell'avventura. e la preparazione spirituale parassitaria della piccola borgbesia: l'imperialismo è un'ingenuità quando restano da risolvere i problemi elementari dell'esistenza. Al principio del secolo XX la politica italiana deve culminare necessariamente nel giolittismo, dopo una parentesi reazionaria che basta per corrompere il programma e lo spirito del nascente partito socialista e a dimostrare i pericoli a cui la libertà in Italia si trova continuamente esposta. Con Giolitti la ripresa dei metodi di Depretis ha una serietà nuova. L'intuizione storica con cui si apre l'azione del piemontese è addirittura geniale per la sua aderenza alla precisa situazione del paese : l'uomo di Stato riconosce il suo compito nel creare una situazione di tolleranza nei conflitti sociali che si annunciano, in modo da nou compromettere la lenta formazione di ricchezza e di mentalità economica moderna, attraverso cui il popolo italiano s'appresta a riparare alla sua inferiorità storica. L'Italia deve a Giolitti dieci anni di pace sociale e di onesta amm.inistra.7Jo12e; se anche egli sbagliò la misura nell'indulgenza alla demagogia, nelle pose dittatorie e nell'incostanza della schermaglia parlamentare, se fu inferiore a se stesso nell'avventura libica e di fronte alla guerra europea, resta 1'uomo più caratteristico della situazione. La guerra europea ci coglie in piena crisi nnitaria e interrompe l'ascesi di ordinaria amministrazione e di serietà economica a cui il giolittismo ci aveva iniziati .E' la prova di maturità che l'Italia deve superare in contatto con l'Europa. Lo spirito della guerra fu infatti popolare e severo, segnò per i contadini del Mezzogiorno la prima prova di vita unitaria; il sacrificio fn tanto più eroico quanto più parve umile ed anonimo. Senonchè s'inseriva nella guerra a limitarla e a deformarla nei suoi effetti educativi, lo spirito dell'interventismo che risuscitava la retorica garibaldina senw farne rinascere la generosità. La guerra nazionalista combattuta con lo spirito delle Leghe d'azione antitedesca e dei Comitati di salute pubblica era la guerra impopolare ed oligarchica che tornò a separare il paese tra una minoranza plutocratica e avventuriera e una massa di lavoratori non ancora differenziata. La crisi economica che ne consegni e le disparità psicologiche generate dal privilegio appaiono allo storico come la spiegazione preventiva del fascismo il quale rappresenta l'ultima rivincita deJl 'oligarchia patriottica, cortigiana e piccolo-borghese che ha governato 1'Italia da parecchi secoli, soffocando ogni iniziativa popolare. PIERO GoBKTrr. PIERO Ei□BETTI - Editare TORINO - U!a XX Settembre, 60 :Jn corso di stampa TOMMASO FIORE EROE SVEGLIATO ASCETA PERFETTO L. 5 Un documento singolarissimo di arte e di vita, CQnnesso con l'esaltazione degli spiriti prodotta dalla guerra ENRICO PEA ROSA DI SION Seconda Edizione L. 5 Una delle opere pm originali del nuovo teatro italiano. FELICE OASORATI - PITTORE L. 30 50 opere con introduzione critica. Edizione rilegata. llsclranno ne/l'autunno LUIGI EINAUDI IL MOVIMENTO OPERAIO ADRIANO TILGHER GOLDONI CARLO CARRA' E PIERO GOBETTI ANTOLOGIA DEI PITTORI ITALIANI MODERNI N. PAP.'I.FAVA LAMENTAZIONI DI UN POVERO LIBERALE A. D'ENTREVES IL FONDAMENTO DELLA FILOSOFIA GIURIDICA DI HEGEL G. ZADEI LAMENN A.IS S. JACINI IL PENSIERO DI UN OONSERV ATORE REVISIONE LIBERALE I. il trionfo del fascismo ed il rifiuto dei fa.sci9ti a chiamarsi liberali, costringe i liberali a precisare il proprio atteggiamento politico erl a definire i principi fondamentali della propria dottrina. A me pare che questo dipenda sopratutto dal fatto che non si distingu.e abbastanza Ira il liberalismo wme credo etico, come teoria economica e come metodo politico. Lo stesso termine < liberalismo•, e liberale>, viene ngualmente usato in qu.este tre diverse categorie; da ciò la confusione delle lingue che mina la torre di babele dei partiti liberal i. Il disaccordo fn liberali è minore sulla teoria economica, maggiore in filosofia ed etica, massimo sul metode politico. A me sembra cbe la teoria economica liberllk abbia per base questi principi: r.) Il lavoro (materiale e d'impresa) e il risparmio {trasformazione di beni di conswno in beni di produzione) sono gli istrumenti indispensabili della produzione della ricchezza. 2.) La produzione e l'uso della ricchezza d.e,- vono essere lasciate il più possibile alla iniziativa privata ed individuale. 3.) La libera concorrenza è il miglior regime economico in quanto conduce alla eliminazione degli inetti ed al trionfo dei capaci ; il successo in regime cli libera concorrenza di una impresa economica è il miglior vaglio della sua intri».- seca bontà. Da questi principi (che naturalmente vanne intesi come ideali-limite) deriva : r.) che il governo deve mantenere 12 maggiore imparzialità fra lavoratori, intraprendit.ori e risparmiatori in quanto il migliore equilibrie economico sarà appunto quello che si stabiliz1..eràa seconda del giuoco di domanda-offerta di _questi tre elementi; 2.) che il governo deve tendere a limitare il più possibile da una parte la richiesta di tasse ai cittadini e dall'altra il raggio della sua attività economica e che, per stimolare al massi010 le capacità di lavoro e di risparmio degli individui, il governo deve concedere loro il più largo uso della ricchezw acquistata compreso quello di lasciarla in eredità; 3.) che il governo non deve concedere nè protezioni o sussidi a capitalisti e a lavoratori, nè monopoli che condurrebbero ad una economia. dannosa perchè artificiale ; il governo come intraprenditore economico deve accettare la libera concorrenza. Insomma, i liberali devono essere contro ogni forma di privilegio economico e perciò tanto contro le protezioni doganali di industrie quanto contro la concessione di sussidi a cooperative e sindacati. La formazione di cooperative o sindacati come n2.turale risultato di solidarietà di interessi e di classe non deve essere ostacolata dai liberali, purchè tali aggregati economici sottostiano alla legge del1a libera concorrenza e non impediscano con la violenza la formazione di altri aggregati. Facoltà di organizzazione, ma anche libertà di organizzazione; sindacati liberi e non sindacati obbligatori. E ciò vale anche per i) diritto di sciopero; ci si può astenere da un determinato lavoro, ma non si può impedire che altri lo assumano. Il liberale non critica le coer perative perchè sono cooperative, i sindacati per-- chè sono sindacati; egli critica queste istitu• zioni perchè osserva che in regime dì libe'la con• correnz.a generalmente falliscono; tanto è vero che per evitare il disastro esse invocano protezioni, tentano di acaparrarsi privilegi, ricorrono alla violenza e questo il liberale non lo può ammettere; se invece una società tende ad aggrupparsi in aggregati capaci di vivere in regime di libertà che persuadono e non costringono gli individui a farne parte, il liberalismo non ha niente da protestare. Il liberale è individualista in quanto tutela il diritto dell'individuo a dispo1Te liberamente di se, ma uon può certo impedire ali 'individuo di essere solidale con un aggregato di suoi simili, sia esso la famiglia, il sindacato, la classe. A rigor di logica tale concetto va esteso anche al diritto testamentario ossia non si può negare al- •1•individuo il diritto di lasciare anche tutti i suoi beni ad una cooperativa, ad un sindacato, piuttosto che alla sua famiglia (salvo il diritto di tutela dei figli). Insomma se gli uomini spontaneamente si sentiranuo attratti a forme diverse di solidarietà che non sia quella che tende a mantenere (anche economicamente) l'aggregate, famiglia, e creeranno cosi una qualsiasi altra forma di solidarietà, nessuno deve impedirlo. In questo senso la teoria· liberale ammette anche il socialismo, purchè le comunità si formino per spontanea adesione degli individui e sappiano mantenersi in regime di libera concorrenza sia in confronto di altre comunità che di singoli individui. Come teoria economica il liberalismo ha un ideale _limite abbastanza definito (r). (Continua). NoY1lLLO PAPAFAVA. (r) Discuteremo il pensiero del nostro PaJ>l'- fava alla fiue della sua revisione. (N. d. R.).

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