La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 15 - 22 maggio 1923

CONTO CORRENTE POSTALE RIVISTI\ STORICI\ SETTIMI\ N/\ LE DI POLITICI\ ESCE Diretta da PIEROGOBETTI- Redazione e Amministrazione: TORINO,Via XX Settembre, 60 Abbonamentoper il 1923(con diritto agli arretrati) L. 20. Estero L. 30 - Sostenitore L. 100- Un numero L. 0,50 IL MARTEDÌ Anno II ~ N. 15 - 22 Maggio 1923 8 O}[ li .A.RIO: A. llONTl, p. g.: Congiure e opposhione. - T1MON: Per una heoUllcazione. - l l'isultRtl dell'inchiesta agraria. - P. Gmmrn: }[otlvl di rtorla italiana - YI. S.ciall.,mo di Stato. I!. PAPAPAVA: RMlslone liberalo. - O. LuzzA'M'O: Ottimismo flnAnziarlo. - Uno di ieri l'altro: :Mea culpa mea culpn. - A. d. F.: Delizie lnéllgene. CONGIURE E OPPOSIZIONE Intendiamoc:i: se parlo qui, ora, di congiure, .aon intendo assolutamente alludere al e complotto, di comunisti e affini che fu e sventato, <lai governo fascista circa il principio del febbnùo scorso; e neanche della setta delle e Cappe Nere a, di cui si fece gran parlare ]'anno scorso a Milano; e neanche del Partito sindacalista di a:z.ione universale (L'uomo è Dio - Per il proletariato : silenzio o morte! - Giubba nera, cinturone, casco nero, ecc.), con centro ancora a Milano, e èi cu.i un vice-commissario di P .S. per nome Tamburro ebbe a riferire il mese scorso a un cronista. del Corriere; no, io qui non intendo parlare del fatto di una o di parecchie congiure, ma intendo parlare di una -volontà di congiura, cioè tli uno sfato d'animo, assai diffuso ora in Italia, per cni da molte pa1ti si pensa con indulgenza, e quasi direi, con nostalgia, ai tempi in cui in Italia l'unica arma possibile nella lotta politica per gli spiriti insofferenti di schiavitù era quella della setta e della congiura. E mi spiego. Quando avvenne, con _]a marcia su Roma, il colpo di stato fascista, ci furono italiani che, trovandosi, per caso, ali 'estero, pensarono se vi dovevano rimanere come esuli, per provYedere così alla loro sicurezza personale e per eventualmente meglio ajutare di là gli amici perseguitati in Italia; gente, vi fu che dall'Italia pensò di andare volontariamente all'estero in esiglio, per le stesse ragioni di quegli altri; gente vi fu, che, rimanendo in Italia, pensò ad inchiostri simpatici, a linguaggi convenzionali, e si ristudiò la storia dell'Italia del periodo 1821-1853; e molti giovanetti si esaltarono discorrendo fra Joro di queste cose, come si erano esaltati i loro bisnonni, nelle stesse regioni, appunto un secolo fa. Ora, badate bene, io non voglio mica negare che, se le cose fossero continuate ad andare come erano anelate, pressapoco, fino al congresso dei Popolari a Torino, si sarebbe dovuto tornare a rappresentare, fuor del teatro, al natura1e, Ro3 manticismo del Rovetta, e neanche non escludo mka che ancora si possa, fatalmente, in Italia tornare alle sette, alle congiure, agli esigli, e all'appello agli stranieri; no, di tutto questo )O non nego e non escludo niente; solamente io dico- che oggi, in Italia, quanti hanno coscienza che il 1923 non è il 1823, e quanti hanno, per ciò solo, desiderio e interesse a che questo secolo in Italia non sia passato per nulla, devono con ogni loro mezzo evitare che fra gli elementi giovani, generosi e irrequieti e « liberali » si vada creando e diffondendo quello stato d'animo, tra romantico e mistico, che porta questi elementi a sognare, a desiderare quasi che tornino i tempi di Silvio Pellico, o di Fortunato Calvi. Io dico insomma che tutti noi, che abbiamo o sentiamo responsabilità •di educatori politici, in questo 1empo dobbiamo far ogni sforzo per contenere il malcontento dilagante contro la tirannide fascista, e " convogliarlo 11 nelle vie e liberali •, cioè nelle vie della lotta politica pubblica e aperta, cioè nelle vi~ della opposizione politica. Il motto nostro insomma deve essere: e Non. congiure 1na opposizione! >. Voi mi direte: non dipende da noi : soppressa la libertà, torna, fatalmente, la cospirazione; per sopprimere la cospirazione occorre restaurare la libertà; questo, ora, diciamo, non dipende da 1101. Al che_ io rispondo: nella guerra l'Italia ha ,,iuto umcamente perchè vi fu in Italia della gente che non ammise mai, neanche per un momento, nè la realtà nè la possibilità della sconfitta; in quest'altra guerra (che è ancora quella guerra) uoi liberali vinceremo solamente se ci sarà fra noi elfi non ammetterà mai, neanche per un momento, nè la realtà nè la possibilità della soppressione della libertà! Noi, Hberali di marca, non dobbiamo anunettere neanche per ridere, che in Italia, cento anni dopo lo Spielberg, cinque anni dopo il Piave, possa mancare la libertà nella sua estrinsecazione pratica cli libera lotta politica e di guarentigie costituzionali, e dobbiamo noi, prima di b1b iot ca· 1r a lutti e ad esempio di tutti, parlare, scrivere, agire come se codesta libertà esistesse di fatto; sino al momento 1 si capisce, in cui una Yiolenza matel'iale ci mettesse, o ci rimettesse, fuori combattimento. Insomma: vota1·c i monumenti a Battisti in Trento a Sauro in Trieste all'indomani di Caporetto. Le vittorie si ottengono cosi. E finora noi di R. L. per questo, la coscienza ce l'abbiamo a posto ; per noi Caporetto non è mai avYcnnto; noi siamo stati, dopo la marcia su Roma, quello che eravamo prima: il numero cli R. L. che giunse ai lettori durante il « colpo " recaYa il motto < Difendere la libertà, : nessuno di noi ha tradito la consegna: e tutti ci siam comportati dopo come se il sacro territorio della libertà non fosse mai stato invaso Ed io credo che il nostro esempio sia valso a incoraggiare altre resistenze, e, cosa più preziosa ancora, a chiamare alla luce, all'arringo, altre opposizioni, che, forse, seuza l'esempio di :&. L. sarebbero scese anch'esse... nei sotterranei di Piazza del Duomo. E perciò, io credo che codesto nostro amatissimo « giornaletto clandestino , abbia bene meritato dell'Italia nostra. Ma quello che si è fatto non basta: occorre far di più: occorr'e - mn. per questo non <lob1 biamo esser noi soli - organizzare in Italia, una buona volta, la opposiz1011e politica, e, più precisamente, un partito di opposizione. l\Ia non c'è il socialismo, anzi i socialismi, Giu-St-izia. A'i.Janti, ecc.? ì\:fa io dico opposizione costitu::ionale, non op• posi=ione ri'!wluzionaria : questa da noi non conta, e non ha mai contato, niente. Non conta niente ora, perchè è sfiduciata, scalcinata, svalutata in mille modi: non contava nieute prima, percbè era sistematica, aprioristica, e quindi non si capl\'a mai se era buona o no, se era sincera o meno; poi perchè era irresponsabile; e poi perchè non era nè opposizione nè rivoluzione, ma era riformismo e collaborazionismo. Una. vera opposizione politica, in Jtalia, non può e non deve essere che costitnziouale. Solamente col porsi sul terreno èostituzionale (pat1ia, libertà, respousabilità di governo) la opposiiz.ione può essere efficace : prima perchè non lascia agli avversari il monopolio di quelle ideemito che sono la nazione e la libertà; secondo, perchè non può esser ridotta al silenzio con l'argomento, invincibile contro dei sedicenti rivoluzionari, clel « pro1.1ate-:.1i.1oi »; .in terzo luogo perchè tog1ie alle opposizioni sovversive il privilegio di criticare il governo e i dirigenti, critica indispensabile a_ ogni partito per mantenere o riprendere il contatto con le masse. E di più : solamente una opposizione costitu• zion.ale in Italia può essere veramente ri1.1oluzio• nari.a, perchè appunto l'ingresso di una vera opposizione costituzionale nella vita politica .italiana, costituirebbe uno dei più grandi fatti rivoluzionari della storia della terza Italia, anzi segnerebbe esso l'inizio, veramente, del1a nostra rivoluzione liberale. Abbiamo detto più volte che la storia della terza Italia non è la storia di uno stato liberale ma è la storia di una dittatura burocratica: una delle prove di questa verità è nel fatto della mancanza quasi assoluta di un 'opposizione costitu1Jonale nel nostro Parlamento; come una delle prove dell 'illiberalismo essenziale dei 11ostri maggiori uomini di stato da Crispi a Giolitti fu la loro intolleranza di ogni bcnchè minim,o tentativo di opposizione costituzionale; se domani, nel nostro paese, riesce a formarsi e a funzionare codesta opposizione che io clico, con ciò solo si inizierà 11 vero, effettivo, sano funzionamento dei nostri istituti parlam.entari 1 e con ciò solo si sarà iniziata, come io dicevo, la nostra ri voluzionc liberale. Ma un altro beneficio di incommensurabile pregio recherebbe, al giorno di oggi, la comparsa cli una opposizione costitu1.ionale nel campo della politica italiana: questo, che per essa troverebbe sfogo e corso il Yasto malcontento antifascista il quale in mancanza di questo sbocco, e per i•intasam.:Oto- attuale degli sfiatatoi delJ 'emigrazione e del sovversivismo, sarebbe per fon ... , indotto 11ci meauLlri sotterranei e anacro- , CO ni&tici della setta, della congiura e dell'attentalo . .ll compito e l'onore di creare e far agire questa opposizione in Italia spetterebbe oggi al parti[,> libe,·ale. Questa è la sua ora. Come la passione della guerra per la difesa e per la riconquista della patria ha ,.favorito la germinazione e la vegetazione di partiti nazionalisti, cosi ora ht passione della lotta per la difesa e la riconquista della libertà pone le coudizioni necessarie e sufficienti per il sorgere cd il vigoreggiare di un vero partito liberale. Ma questo partito potrà sorgere vi ta}e e vivacemente affermarsi solo se, fedele al suo nome e alle sue tradizioni, si affermerà subito come intransigente difensore di ogni libertà contro i movimenti politici, che <li queste libertà han fatto e stan facendo scempio. La chiamano la questione della collaborazione, ma ognuno intende che questa è la questione deil'opposizione al fascismo. E' la questione che è ll, imminente, tutte le volte cbe codesti liberali si adunano: al congresso <li Bologna si chiamò e la questione del nome ,, : • partito liberale o pa1tito liberale-democratico? • ; ma, sotto, ci era quell'altro dilemma: e filofascismo o antifascismo? » ; e al Consiglio di Milano, recentissimamente, il pretesto era un altro: " gruppo unko o perno a destra? », ma., sotto, la questione urgente, assillante, esasperante era ancora e sempre quella : a col1aborazione od opposizione? li. E anche Luigi Albe1tini, uno dei pochi liberali che rimangano nel liberalismo italiano, quando Jil.atte sul suo chiodo: • fissiamo il programma, puntiamo sulla 1ibertà <log-ana)e », anche lui dice « programma, liberismo, dogane », ma anche lui intende e antifascismo li ; perchè egli intende benissimo che, come alla pietra di paragone della· libertà scolastica si sono saggiati nella democrazia i massoni e i non massoni, così sulla questione della libertà doganale si scinderanno, più che i liberali dai conservatori, i liberali dai nazional-fascisti. E se questo è il tmvaglio del panzameuto del partito liberale, perchè non si abbandonano le etichette, i pretesti, i giri di parole e gli. eufemismi, perchè non si pone chiaro nudo crudo il problema, non del nome, o del gruppo, ma del1' opposizione al nazional-fascismo stroncatore della libertà ? Molto tempo prezioso si è perduto, ma il mo1nento buono non è ancora passato; certo bisogna sbrigarsi, bisogna - decidersi, bisog11a far altro che presentar piati a Mussolini per le sgarberie dei fascisti no\·aresi; e sopratutto bisogna più pensare alla libertà e al liberalismo e meno alle elezioni, alle commende, alle « posizioni"· Il momento è buono, e a dimostrare chiara e lampante la verità di quel che veniamo dicendo vi è, fresco, fresco, l'esempio del Partito Popolare. A Torino, allo Sc.ribe, in platea, io so che dei liberali ce n'erano ad assistere: avranno sentito là, iu sè e attorno a sè, che forza abbia ora in Italia e che ripercussione l'idea della opposizione « costituzionale a, « liberale li al governo fascista; sappiano intendere la lezione e la mettano a profitto. Il P. P. I. h. opposh•joue 110n la può fare : con tutta la buona volontà di D. Sturzo e di Donati, il P. P. I. è legato, pena la morte, alla collaborazione, perchè la sua opposizione a oltranza vorrebbe dire, o prima o poi, reazione anticlericale. Il partito liberale italiano non ha di queste paure; il partito liberale italiano, come partito, è 11uovo1 è giovane, con l'opposizione non ha nulla cla perdere, con l'intransigenza ha , tutto da guadagnare. I liberali si àec1da110. Per non essersi decisi a ottobre, quando pure alcuni di essi la decisfone la volevano, han visto che razza di pasticcio ne è venuto fuori : nna seconda indecisione ora, la non creazione di una opposizione costituziouale, vorrebbe dire spingere i veri liberali italiani, pa.ite nelle • Cappe nere 11, parte nel socialismÒ, e parte,.. ne1l 1Accademia o nell'Area dia. 13 maggio 1923. AUGUSTO MONTI. POSr.rILLA Opposizione non congiure: se il problema ioSSe di metodo e di forma, potrem!IIO l.ascmre il motto com.e nostro simbolo. Ma il vero problema vie-ne quan,k, si tratti di dare un contenuto al metodo, di definire l'opposizione. Il partito liberale non sarà il partito <li opposizione. Il partito liberale ha le sue dientele e i suoi pri\'ilegi da difendere. Si muove, si agii.a, discute pc-r collaborare. La voce di Aibertini risuona senza eco. La Starnpa non può parlare di partito liberale del lavoro quando le organiz7..3. 7..ionioperaie sono stroncate. Perchè sorga un'opposizione costituzionale bisogna che una costituzione vi sia. In Italia ritornare allo Statuto significherebbe soffocare e im- ]>"...direla formazione dei partiti. Le parole di Monti suonano come un anacronismo, perchè in Italia tutte le opposizioni hanno dovuto ignorare lo Statuto : anzi governo e }fonarehia per primi non sono stati costituzionali. ---. Le chiarificazioni che abbiamo proposte altra rnlta al pensiero e alla tattica di un partito liberale non pessono riferirsi {nè sarebbero intesi) agli uomini del liberalismo che ebbe e Ì12 vigore in Italia. Questi non hanno idee alle quali debbano conservarsi fedeli ed esauriranno le loro attitudini di politicanti neli'a<lesione al fascismo, che ha ereditato g1i stessi sistemi arri,-istici e confusionari. Questa t l'ispirazione nascosta in tutte le recenti mene della Direzione del Partito• la 1ealtà mostrerà presto come il <liYerso g:uclizio di Monti e di Albertini si fondi su u.nz illusione e su una speranza. Sembrò che il Partito potesse trornre la sua fisionomia (e sarebbe stato un p8"--tito eonse.---rntorc) nell'antifesi Fascisr.w-_iiJcr.unchia. Xoi non accarezziamo queste illusioni st:2.tutarle. Comunque anche se Mussolini Yorrà diventare imperatore non a\-rem.o una rivoluzione di principi. Il Presidente viene ri\·elan<lo le sue più sconcertanti attitudini di attore e di tribuno nella conoscenza che ha, perfetta, dei costumi italiani plateali, e nella capacità di piegare i ca,·atteri di liberali e sociald.emocratfci coi sistemi, rimessi a nuoYo, degli ambasciatori di Giugurta. Egli ha imparato il trasformismo da Giolitti e ce ne da un 'eclizione romagnola, senza stile dannunziano, i11 cui, al posto della diplo::naria e di certa austerità piemontese, prevale il gesto dell'italiano. Comunque si svolgano in Italia le cose del regime e del fascismo, il tema più accentuato per il periodo presente sarà : Mussolini domatore e d.iseducatore, pronto a stroncare le opposizioni e a darci l'Italia pacificata della retorica piccolo-borghese guerraiola. Invocando la costituzione contro quest'uomo faremo il suo giu°'-.'"'O;lo fortific-heremo nella sua popolarità teatrale: un Mussolini legalitario sarebbe purtroppo la palingenesi definitiva di questa nostra patria, stanca di lotta politica e di serietà, non desiderosa che di cortigianeria. Gli uomini del partito liberale oggi non aspirano che a proclamarlo il loro capo, a mercanteggiare il loro consenso alla sua for,a sulla base di compensi personali. Percbè Mussolini ii manga prigioniero di se stesso e del fascismo 1 perchè sia costretto ad assumere le sue responsabilità (e a cadere con esse: altrimenti la situazione non verrà liquidat..,'t e dovremo -cercare il prodittatore) non bisogna offrirgli nè l'aiuto delle congiure romantiche e sterili nè 1a garan.z:ia di un 'opposizione costituzionale. E questi iliscorsi sono troppo vaghi e programmatici : il nostro compito è di restar ad elaborare le nostre idee e le nostre antitesi; le forme dell'opposizione liberale le discuteremo quando interverrà l'elemento risolutore e ma.turo della situazione, quando il n10\-;mento operaio, superata la crisi della disoccupazione si schiererà per la battaglia, armato della sua intransigenza e della sua forza irresistibile. p. g.

b PEijU~llBEATllCf JlZIO~E Agli arcadi impenitenti ed agli imperterriti sognatori di U11apatria idilliaca, a tutti i buoni italiani nei quali le professioni di fede dell 'onorevole MussoliJ!i hanno ridestato sopit~ nostal- ~ie e, chissà, qualche rimorso1 proponiamo come tema da meditare la beatificazione del cardinale Roberto Bellannino, della Compagnia di Gestì, celebrata solennemente domenica scorsa nella Ba- •ilica Vaticana. Non è il caso di fare delle induzioni sul significato che la Curia Romana, i cui atti non souo facilmente fortuiti., abbia Yoluto attribuire a questa cerimonia. Intanto, essa pòtrebbe servire a far riflettere un poco - se tant'è che ne fossero capaci - certe soavi anime di hegeliani da strapazzo che pullulano: oggi, come • funghi da un suolo fecondo. A molti laici ·potrebbe servire come un invito ad approfondire il problema dell'idea politica cattolica, a molti ingenui a mostrare che la Chiesa Cattolica non è nè un sindacato, nè una camera del lavoro che ;J cipiglio dell'on. Mussolini basti a scuotere dalIe fondamenta; infine ai molti miopi - e sono i più - ai quali un prepotente senso della nazionalità, gloria di moderni tempi, ha soffocato del tutto il senso della vastità del moudo, -e che riducono il problema politico-ecclesiastico ad una questione puramente nazionale, il beato Cardinale può insegnare che, per ùna chiesa C~ttolica, il problema è, innanzi e sopratutto, universale. Che più? Tanto poco è nuoYa la Chiesa a questo problema (mentre nuova a questo cimento e inesperta è questa quarta Italia dalle giovanili baldanze), che da tre secoli, da quando, fallito il sogno medioevale, le grandi linee del mondo moderno hanno cominciato ad emergere, essa l'ha risolto, e, con due grandi gesuiti, ci ha dato pe...-fettamente elaborata, l'unica soluzione possibile dal suo punto di vista: come d'altro canto la Riforma ci dava qùell 'altra soluzione, cui ha arriso, per le ragioni che sappiamo, la vittoria. L'una all'altra opposta irrimediabilmente, come opposta è la visione della vita da cui procedono (noi viviamo nel compromesso), lo spirito delle due civilizzazioni che rappresentano: opposizione che, non senza ragione, taluno - e proprio su queste colonne - ha voluto drammatizzare. Per noi, non arrossiamo di confessare che l'esperienza quotidiana dello stato divino (non è tutto qui il travaglio del liberalismo, evitare le estreme conseguenze statolatre, logicamente fatali?), ci fa toccare per mano i pericoli' di un troppo esaltato immanentismo, e ci fa decisamente rimpiangere le dottrine che dell 'attrihuto della divinità facevano un privilegio esclusivo della Chiesa, la quale senza alcun dubbio, per 1a missione che si propone, vi ha un inoppugnabile diritto. Ma s'era promesso di lasciare in pace il significato della cerimonia di domenica, bastandoci di assaporarne I:ironia. La lezioncina davvero è bnona, e la contrapposizione non potrebbe essere più felice. Alle parole dolci, alle proteste di devozione dei suoi nuovi non disinteressati amici, alla retorica di gente usa a ridurre tutto quanto a una questione di retorica, la Santa S,,..de risponde rifacendosi a delle solide idee, a un eimbolo chiaro. Al cattivo gusto insanabile degli italiani rinnovati, che per intanto non che 1a loro anima, non hanno saputo rinnovare neppure il vecchio scenario convenzionale di tutte le manifestazioni patriottiche dal '70 in qua, e ,;i sono affrettati di accettare, se non a parole coi fatti, senza beneficio di inventario la preziosa eredità di tutti i ferravecchi della terza Italia massonica, nume tutelare Carducci tonante poeta della romanità (e ci hanno regalato anche il Natale di Roma festa nazionale), all'Italia oggi fa. scista che, cinta la testa dell'elmo di Scipio s 'asciuga una furtiva lag~imetta cattolica - la chiesa cattolica risponde ritirandosi in mezzo ai vestigi del suo gran secolo, e celebra ieri Filippo :Neri, oggi Roberto Bellarmino. Cosi Roma barocca rimane tutta al Pontefice : le chiese della Controriforma sovraccariche di ori e di marmi, dove ti vien fatto d'immaginare folle multicolori ed esotiche e ti par d'udire l'eco delle solenni liturgie e delle prediche infiammate; le cappelle dalle architetture inquietanti e prodigiose, fatte, sembra, per rispondere all'angoscia di chi, perduto, pensa talvolta che nella loro penombra potrebbe, anche oggi, rinnovare l'esperienza di S. Ignazio; le statue campate in aria dai gesti drammatici e violenti, sconvolte non sai se da nn perpetuo vento o da nn tremito interiore; nn mondo di pietra creato, si direbbe, da un bisogno insaziabile di dire, di esprimere, di realizzare una concezione superba ed impossibile - eil infine la gloria della Cattolicità trionfante: San Pietro. rtalia anche questa, profondamente italiana, che vuole sfuggire al monopolio e non si piega a salire le scalee dell'Altar della Patria: e quando non ci si rassegni agli schemi ed ai luoghi ~omnni, e non si vuol saltar a piè pari due secoli di tradizione italiana appiccicandovi sopra l'etichetta di età nera e di età barbara, è in questa Italia che ci s'imbatte. Un'Italia aristocratica che, se oggi si è chiusa in disinteressato silenzio, non vuol saperne di essere liquidata, e, di tempo in tempo, sa rompere il mutismo per impartire una lezioncina di storia. La lezione fa onore al maestro: i rinnovatori d'Italia farebbero bene, infatuati di aristocrazia, a meditarla, e a riconoL A R I V O -L U Z I O N E L I 111 ·E R A L E sccrsi dei poveri scolaretti di fronte a un simile -maestro. Dovrebbero anche riflettere alla china su etti si sono messi : chè, a solleticare cosl l 'esteti!;mo innato degli italiani (sembca che ,u di e::,~o,come sull'amore per la teatr::uità e. la coreagrafia, facciano più che su ogni cosa affidamento.), potrebbe darsi che questi antichi dilet· tanti si raffinassero in breve tanto da non contentami più delle feste che i padroni attuali loro provve<louo quotidianamente, spettacoli dozzinali e un poco barbati : quel giorno non sarebbero ca· paci - anche soltanto per puro estetismo - cli invaghirsi d'un tratto di quell'autorità ieri deprecata, che ha saputo, e non è il merito suo mino~ re, salvare il buon gusto d'altri tempi, e mantenere in me~w a mondane vicende, una linea impeccabile, quello che veramente a noi piace chia1nare uno stile? , TrMm<. Questo saggio di un catto/-ico, amico di R. L., ci sembm felicissimo e pe,fettarmmte concorde con la nostra critica fin do-ue le considerazioni rig,tardarto lo si.ile e le psicologie : ma c'è implicita u.na riserva ,n.eçafisica che noi non. consentiamo di accettare per motivi che i nostri. letto1'i conoscono. Teniamo valido tuttavia il parallelo tra Fa• scisnw e Chùsa. nella. sua sostanza artistica ed i-ron:ica. (N. d. R.). I RISULTflTI DELL'INCHIESTfl flfiRflRlfl \ Riassurnendo i 1·is1<l.tati dell'inchiesta agraria di Stefano ]acini intendiamo proporre implicita• ·mente un prog1·amma d.i lavoro ai nostri amici , delle varie regioni. Si tratta di riprendere la vec· chia: inchiesta, di confrontarla con. le più recenti indagini e di offrire per ogni regione un quadro sintetico dei risu,ltaU. • Nella conoscenza tecnica dei problemi che /01·• mano la pa,·te obbiettiva della realtà politica cre.- dimn.o che non si debbano trascu,rare i contributi che ci vengano dal passato. L'Italia agricola e il Risorgimento Prima del Risorgimento i motivi comuni del1 'osservatore riguardo all'Italia agricola erano la ammirazione per la ricca spontaueità produttiva e il lamento per la trascuranza in cui la lasciavano la pigrizia e l'ignoranza degli abitanti. • Non si può dire che questo giudizio sulla ricchezza naturale dell'agricoltura italiana fosse errato : ma ha le sue ragioni, nei tempi ~ossia sussisteva iu relazione con la minore ricchezza e capacjtà produttiva degli altri paesi. In soli trent'anni l'equilibrio è mutato perchè l'economia agricola italiana non si è sviluppata nella stessa misura delle economie concorrenti. Il problema del disagio delle plebi rurali alla sua volta che nel frattempo è veuulo a complicare la situazione non deriva da un capovoigimento <li condizioni obbiettive, ma dal n_tigliorameuto generale delle condizioni spirituali promosso dalle nuove esperienze politiche a cui il -popolo si trovò ad assistere. Le classi povere raggiunsero cosl una chiara consapevolezza della loro inferiorità economica. Tali considerazioni spiegano e criticano if_.sòverchio pessimismo che andò prevalendo in Jtalia dopo il '70, quasi la costituzione dello Stato unitario si fosse risolta in un danno economico. In realtà negli anni del Risorgimento il progresso agricolo non fu trascurabile: basti ricordare il grande vantaggio della eliminazione delle barriere doganali tra regione e regione, e Io spirito d'intrapresa manifestatosi nell'esecuzione di Opere come il canale Cavour, il canale Villoresi, le grandi bonifiche ferraresi e veronesi, l'impresa Cirio. Il probl~ma è di continuare nella stessa misura in cui lo sforzo di miglioramento è compiuto nelle nuove terre che partecipano ai mercati mondiali con i] vigore che viene dalla loro giovinezza. E anche il malcontento popolare 11011 sarà pericoloso se indica l'aspirazione a un riqnovamento economico ~nalogo alla profonda trasformazione politica avvenuta in qt1esti anni in Italia. L'Italia nel nnovo f>quilibrio europeo Mentre l'Italia doveva superare le difficoltà e i disordini connessi con la sua rivoluzione politica, l'Europa godeva di una relativa tranquillità generata dalla profonda pace e accompagnata da prosperità materiale, sviluppo delle scienze spe· rimentali e riforme economiche interne. Ne dc~ rivò un'esuberanza di capitali che in pochi anni, dedicandosi all'agricoltura, la ridussero in grru1 parte a cultura intensi va. In Italia invece, alle ripercussioni economiche delle guerre cli indipendenza si unirono alcune gravissime difficoltà obbiettive: il brigantaggio mise in forse le condizioni di sicurezza pubblica che sono indispensabili per lo sviluppo dell'agricoltura; la vendita dei beni demaniali sviò i capitali dai miglioramenti dei beni rurali suscettibili di cultura intensi va, assorbendoli in nuove culture estensive; infine tre malattie decimarono le fonti principali della nostra ricchezza agraria: l'atrofia dei bachi da seta, la crittogama della vite e la gomma degli agrumi. Proprio mentre queste ragioni accennavano a scomparire si ebbe la grave crisi del deprezza,. mento dei prodotti agrari, provocata dalla concorren1.a delle produzioni di altri paesi sui mercati esteri dove regna va un giorno quasi sola la produzione italiana, la surrogazione industriale (ossia la miscela di alcuni prodotti italiani superlativi che erano ritenuti insostituibili con prodotti esteri di minor costo), infine dall'abolizione del corso forzoso, provvedimento cbe si deve giudicare ottimo in sede di finam.a ma che aumentando il valore reale dei salari e quello dei prezzi non nella stessa misura diminuiva l'utile sulle vendite e si risolveva in un danno per i proprietari. L'enormità delle imposte prediali che il nuovo Stato dovette applicare si risolveva in un altro ostacolo pennanente per la nostra economia agraria. Rimedi Tre scuole diverse propongono ai mali dell'organismo rurale del nostro paese diverse soluzioni. Per la prima il problema è sopratutto un problema tecnico di coltivazione, per la seconda si tratta di instaurare una legislazione speciale del lavoro agn,rio, per la terza, che è la scuola pro- . tezionista, l'esigenza è di proteggere la produ· zione agraria nazionale. L'aspetto agronomico dèl problema è il¼ realtà dominante.: alla povertà dell'agricoltura gioverebbe invero una migli~re conoscenza deJla tecnica agraria, 1'istituziolle di scuole, la propaganda della stampa. Sènonchè la povertà del! 'agricoltura non è un effetto, ma una causa. L'istituzione agraria potrebbe essere efficace soltanto quando fosse superata la deficienza dei capitali applicati all'agricoltura; e si abbandonassero i pregiudizi e le idee storte non solo di indole agronomica, ma altresi di indole politica per i quali certo non basterebbe una scuola tecnica di a9ricoltun,,. La legislazione sociale Anche la povertà dei coltivatori è una grave piaga, ma 1a legislazione sociale nasconde peri• coli assai gravi. Intanto giova notare che il gros· so proprietario rurale in Italia è un 'eccezione e il numero dei proprietari è calcolato a quasi cinque milioni; tra questi proprietari, predominantemente piccoli e medi, ve ne sono molti in condizi01:1ipeggiori dei coltivatori non proprietari. Uu intervento statale in regime di contratti incontrerebbe. difficolt.à che la burocrazia non saprebbe superare e produrrebbe conseguenze assai diverse dai propositi. .1n Italia sono applicati tutti i tipi possibili di contratti agrari in relazione con le diverse condiw zioni di suolo, di clima, ecc. Una mutazione di coltivazione vuole che cambi il contratto oppure si va incontro a danni non indifferenti. I tre tipi predominanti di contratto sono la mezzadria, l'affitto e il salariato: ma ciascuno di essi è ricco di un1infinità di varianti. E' lecito chiedersi, prima di dedicarsi a pericolosi esperimenti, quali criteri seguirebbe una legislazione sociale promossa per opera del governo. Per esempio, intorno alla mezzadria sono state ... proposte infinite questioni. I sostenitori di questo sistema affermano che se ne ottiene una produzione agraria modesta ma costante e ne risulta il vantaggio cli una popolazione campagnuola tranquilla: citano a conforto gli esempi della tranquillità politica della Toscana e delle Marche. Risponclono i detrattori essere la mezzadria soltanto compatibile con la cultura promiscua, che è cultura antiquata; e costituire un perpetuo ostacolo alla specialiZ?.azione della cultura sia per la impossibilità delle spese di impianto, sia per il maggior rischio che ne verrebbe al contadino il quale non vuole assoggettarvisi. Che cosa dovrebbe fare il governo cli fronte a queste opinioni contrastanti? favorire o combattere la mezzadria? Questa domanda 11011 sussiste per chi si renda conto delle condizioni reali del problema agrario. La mezzadria ha i suoi pregi e tra questi non bisogna dimenticare il beneficio di far sorgere le abitazioni coloniche che oggi \11a11cano;in certi casi per l'intelligenza dei proprietari e la diligenza dei coloni è riuscita a promuovere note-- voli miglioramenti terreni, ma per dare i suoi frutti 11011 può essere imposta per legge; va applicata liberamente secondo contratti di volta in volta adattati alle realtà e segt1endo l'utile degli interessati. Non si potrà mai imporre la mezzadria ai fondi irrigui a coltivazione intensiva perfezionata. Cosi delle varie forme di affitto è certo deplorevole l'affitto-appalto che si risolve in una speculazione, ma questo sistema è pure il solo, data l'inerzia di certi proprietari, per non aumentare la superficie dei terreni incolti. Utilissimo sarà in certi casi l'affitto che ha carattere industriale e che consiste nel far valere il fondo altrui con capitali propri. Il piccolo affitto poi adatto alla I .. coltivazione specializzaUb_d'!_v'essere regolato pnl· dentemente nella sua durata e questo mal sarebbe provveduto dalla legge. Lo stesso si dica del salario : se fosse stabilito un minimo molti proprietari si troverebbero a non poter più far coltivare. Le condizioni dei coltivatori miglioreranno col migliorare della produzione. L'opera del governo sarà provvida se si limiterà a parificare effettivamente il popolo del.la campagna al popolo della ciltà facendo rispettare i provvedimenti generali di igiene e di sicurezza pubblica, per questo fine, anche col! aiuti •finanziari. Protezionismo La tenden,.a protézionista è stata favorita ~- cialmeute dal crescere della produzione e della esportazione americana e russa, e dal fatto clae queste nazioni hanno incominciato a instaura.re un regime protettivo. Bisogna avvertire che tale giustificazione è aG· solutamente illusoria. In paesi di enorme gra.adezza co~e gli Stati Uniti e la Russia il sistema protettivo è assai meno esclusivo: è CODI.e un carcere ,costituito da un'intera ptpvincia i»- vece che da una cella. Il protezionismo non può difendersi in Italia: esso sarà osfacolato dall'esercito innumerevole della democrazia operaia e la nazione potrà ugualmente difendersi dalla concorrenza americana perchè essa è esportatrice più che importatrice di prodotti agrari e anzi per l'appunto dt prodotti come sete, oli, agrurtli, canapa, vill.G-, bestiame bovino che difficilmente potranno C!r sere sostituiti dalle produzioni di altri paesi. Il pericolo è soltanto per la produzione dei cereaJ,i, ma è un pericolo che finisce col giovarci. Nella nostra penisola infatti la coltivazione dei cereali è praticata su terreni troppo estesi e talvolta non adatti e bisognerebbe limitarla medill.ttte la sostituzione di altre culture più redditizie. In. tutti i casi non bisogna con l'espediente, del protezionismo rifiutarsi alla lotta: se ci si vu.lc garantire per il futuro bisogna che la llO&Ull agricoltura migliori i propri sistemi. (Contin1<1l). PIER□ Ei□BETTI N Editore TOl:mm - Via XX Settembri!!,BO SONO USCITI: LUIGI SALVATORELLI NAZIONALFASCISMO L. 7,50 SOUMAIUO: Introduzione - L'incubazione fascista _ :C.ineamenti del Nazionalfascismo - La marcia su Roma - Il fascismo al potere Nazionalismo e fascismo so1{0il prodotto di una psicologia precapitalistica: intorno a questa tesi il Salvatorelli elabora una critica organica dell'immaturità dei conservatori e dei socialisti nella storia ) del dopo-guerra MARIO VINCIGUERRA Ili FASCISJV1O VISTO 0A Or,1 S01.JITA~IO L, 5 SoMMAnro: Uu po' di luce sul fascismo - Il fascismo attraverso le elezioni - Parentesi dottrinaria _ It Mito della Destra storica - Come siamo arrivati alla rivoluzione fascista - Il fascismo e la minestra di lenti. In questo libro si cerca dì individuare alcuni momenti caratteristici della storia del fascismo e di valutarli entro il quadro della nostra storia nazionale. Chi scrive è un solitario senza cipigli, per salutare abitudine di studioso; non si diletta in ruggiti leonini nè in apocalìttismo, ma guarda la realtà politica coa occhi suoi, con animo scaltrito all'esame dei fenomeni storici

LA RIVOLUZIONE LIBE!tALE MOTIVI DI STORIA ITALIANA VI. Socialismo di Stato Dei risultati liberali raggiunti dalla rivoluzione unitaria soltanto Cavour tra gli uomin1 del suo tempo aveva avuto completa coscienza. Morto il ministro piemontese restava viva una situazione storica, ma la rivoluzione veniva a trovarsi senza contenuto e senza guida. Il problema di Cattaneo ridiventava dominante. Le iniziative regionali 1100 alimentarono una sen.~ tita libertà. Le nuove avventure di politica estera s'imponevano alla nazione seuz.a che il ritmo dell" vita economica vi corrispondesse. Le classi medie avevano c,mqnistato il governo senza istituire rapporti di comunicazione con le altre classi. Dopo il '70 su 27 milioni di abitanti erano iscritti alle liste elettorali meno di mezzo milione di cittadini. La povertà dell'econoroin geuerale determinava una situazione di parassitismo: il regime dominante si poteva considerare come una casta di impiegati i quali per conservare i loro privilegi tendevano a trasfor- -marsi in una oligarchia contrastando ogni partecipazione popolare. L'eredità del Regno di Napoli pesaYa sul nuovo Stato, aumentando la corruzione e creando contro la vita agricola naturale nna superstruttura di parassitismo burocratico ed elettorale. Non ci stupiremo che la lotta politka si confondesse in una caccia all' im~ piego. Per tali premesse il governo italiano doveva naturalmente essere uu socialismo di Stato. Come Lassalle per un calcolo di contingenze realistiche conduce a Marx, Rattazzi conduce a Mazzini. Mazzini e Marx (ove si prescinda dalle espres~ioni sentimentali che trovano i loro miti e dall'antitesi di stile e di psicologia che li separa: Mazzini, romantico, vaporoso, impre- <:iso; 11arx chiaro, inesorabile, realista) pougouo in due ambienti diversi le premesse rivoluzionarie della nuova società e, attraverso i concetti di missione nazionale e di lotta di classe, afferma.no un principio volontaristico che riconduce la funzione dello Stato alle libere attività popolari risultanti da un processo di individuale differenziazione. In questo senso Mazzini e Marx. so- -no liberali. Tuttavia Marx parla al popolo un linguaggio che può essere inteso perchè si fonda snlle esigenze prime che trasportano alla vita sociale, Mazzini resta in un apostolato generico e retorico, sospeso nel vuoto dell'ideologia perchè non potendo rivolgersi all'uomo dell'industrja e dell'officina parla a un popolo di spostati, di disoccupati, di pubblici ufficiali .. Siffatte condizioni obbietti ve non possono promuovere· un movimento liberale, ma generano q112si per istinto lo sfruttamento utilitario delle etiche solidaristiche e socialistirhe. Perciò dal '50 al '9r4 l'eredità cattolica e la disgregazione sociale, addirittura terribile nel Sud, costringono in Italia il nuovo organismo, statale ad -affermarsi secondo l'astratta funzione di moralità che corrompe i principi liberisti in una concezione democratica di stanca grettezza utilitaria. Il riformismo italiano non è stato inventato dai nostri socialisti, ma si è affaccialo naturalmente con le prime discussioni sulla scuola' popolare per poter dare un senso alla lotta contro ; Gesuiti. Vincenzo Gioberti e Domenico Berti ne sono i padri legittimi. . L'evoluzione sociale dell'Italia dopo il '6o, essendo stato introdotto nella vita della penisola un nuovo elemento di riorganizzazione economica, vien sostituendo al socialismo ai s4to -ehe aveva promosso la legislazione scolastica un più franco riformismo economico. La ricostruzione scolastica tentata come rivolnzione morale aveva potuto creare un embrione di classe dirigente ma si era dimostrala incap.ace di un 'espressione politica che valorizzasse le forze individuali. Il primo momento dell'organizzazione ne11e coscienze popolari doveva es• sere infatti un momento per eccellenza (!LODOinico, affermazione eJementare di autonomia e di libertà. Ma nei costumi della vita italiaua questo tenue risveglio economico doveva confondersi in una caccia al p1ivilegio: le prime aristocrazie operaie, invece di mantenere la loro posizione di intransigenza, invocano borghesemente la prote2done della legislazione sociale, come le timide iniziative industriali chiedono l'appoggio del protezionismo doganale e delle sovvenzioni go• vernati ve. L'opera della sinistra come riformismo economico era dunque il coronamento logico della nostra impotenza rivoluzionaria. Era il risultato dfalettico di dtte forze arretrate incapaci di esplicarsi : la teocrazia si continuava nella democra2ia •e nel riformismo, le tradizioni diplomatiche si riducevano a opportunismo di amministratore. L'istinto della conciliazione trasformava l'equi- ~-oco iniziale di Chiesa e Stato in equivoco di _governo e popolo. L'ideale del governo è nna monarchia paterna dispensatrice di privilegi. Ma per l'eredità della rivoluzione non riuscita il movimento riformi- ~ta italiano, come poi il partito socialista, non può crescere nei quadri di uno Stato a cui il popolo non crede perchè non l'ha creato con il suo sangue. Il socialismo tedesco coincide nel suo valore etico di liberazione popolare con il significato dello Stato, rappresenta la continuazione dello spirito di solidarietà della Riforma, è figlio dell'ascesi religiosa, e si misura secondo il realiz,,.arsi dell'idea statale nella coscienza dei citta<lini. La lotta pratica s'è ridotta nei terminì dell'economia perchè un principio comune è coessenziale agli spiriti e dal processo economico trae esso stesso sviluppo: la rivoluzione unitaria iu Germania è stata popolare. In Italia una tradizione che non è coscientemente liberale, ma istintivamente individualista si oppone alla vitalità di ogni sistema che ignori la libera ini,.iali\'a e attribuisca allo Stato nn'attivilà distinta dall'attivìtà dei cittadini. Il socialismo di Stato si rivela dunque come un momento effimero, come una transazione che bisogna superare. Una volta venuti sul terrepo della legislazione sociale la politica diventa un perpetuo ricatto in cui a eterne concessioni fanno eco eterne richieste senza che s'introduca nella lotta politica un principio di responsabilità. Lo Stato vieue corroso dal dissidio tra governo e popolo: un governo senw autorità e senza autonomia perchè astratto dalle condizioni ecouomiche effettive e fondato sul compromesso; uu popolo educato al materialismo, in perenne atteggiamento anarchico di fronte all 'organiz1.azione sociale. Nè la Destra nè la Sinistra riuscirono a sottrarsi a questa necessità di protezionismo demagogico : Sella che seguì costumi cavouriani senza averne le attitudini diplomatiche fu l'uomo più impopolare nel paese. Il nuovo Stato, impegnato sino al '70 in una politica estera prefissa, si trovava privo di risorse finanziarie, con tllla generazione di patrioti da compensare con la beneficenza pubblica e cou gli impieghi, con uno spirito inconcludente di irrequietismo garibaldinò da fronteggiare. Parve che ogui fortuna avvenire sarebbe stata co1npromessa se non si tenesse vivo lo stato d'animo di tensione e di, aspettazione in cui sì prolungava l'entusiasmo degli anni precedenti: e si nascosero le verità della politica finanziaria, si ostentò uno sfarzo, pur necessario, di opere pubbliche. La Destra, demagogica e anticonservatrice come la Sinistra, partecipe delle stesse illusioni radicali, divenne una consorteria. Allora il trasformismo di Depretis fu l'espressione più evidente di un 'Italia che si pasceva di conciliazioni e di unanimità e non riusciva ad affrontare i terribili doveri della fondazione dello Stato. La Sinistra si rendeva anche eco cli uua caratteristica situazione meridionale : per essa il problema dell'unità veniva posto per la prima volta nei suoi termini sconfortanti di politica. tributaria e di opere pubbliche. Solo una pronta risoluzione del problema elettorale e del problema burocratico avrebbe potuto porre rimedio a questa situazione parassitaria: ma non si osava discorrere di autonomie regionali per non compromettere l'unità e si voleva mantenere il diritto elettorale '! una ristretta oligarchia quasi per premiare la minoranza che aveva preparata l'unità e non complicare i) problema dello Stato con l'intervento di nuove masse popolari, sinora neglette e ignoranti. Cosi non si riusciva a consolidare una situazione intelligentemente conservatrice che desse il suo tono alla vita nazionale e disciplinasse il sorgere delle nuove ideologie rivoluzionarie che avrebbero affrontato le responsabilità future. Sonnino e Franchetti invocarono invano l'allargamento del suffragio; Stefano Jacìni, la mente più lucida della politica italiana dopo Cavour e Sella, veniva accusato di clericalismo quando proclamava questa esigenza di un partito conservatore e ne tracciava il programma con una precisione critica esemplare. Quando gli italiani furono stanchi delle astuzie e delJe lusinghe di Depretis si abbandonarono alle facili seduzioni della megalomania di Crispi, e nel fallimento africano tutta la uazione fu compromessa. Comunque suonino le tardive riabilitazioni, Adua segna l'estrema condanna di una facile mentalità romantica e rappresenta la critica preventiva di ogni ideologia nazionalista, destinata a sorgere in Italia con la mentalità dell'avventura. e la preparazione spirituale parassitaria della piccola borgbesia: l'imperialismo è un'ingenuità quando restano da risolvere i problemi elementari dell'esistenza. Al principio del secolo XX la politica italiana deve culminare necessariamente nel giolittismo, dopo una parentesi reazionaria che basta per corrompere il programma e lo spirito del nascente partito socialista e a dimostrare i pericoli a cui la libertà in Italia si trova continuamente esposta. Con Giolitti la ripresa dei metodi di Depretis ha una serietà nuova. L'intuizione storica con cui si apre l'azione del piemontese è addirittura geniale per la sua aderenza alla precisa situazione del paese : l'uomo di Stato riconosce il suo compito nel creare una situazione di tolleranza nei conflitti sociali che si annunciano, in modo da nou compromettere la lenta formazione di ricchezza e di mentalità economica moderna, attraverso cui il popolo italiano s'appresta a riparare alla sua inferiorità storica. L'Italia deve a Giolitti dieci anni di pace sociale e di onesta amm.inistra.7Jo12e; se anche egli sbagliò la misura nell'indulgenza alla demagogia, nelle pose dittatorie e nell'incostanza della schermaglia parlamentare, se fu inferiore a se stesso nell'avventura libica e di fronte alla guerra europea, resta 1'uomo più caratteristico della situazione. La guerra europea ci coglie in piena crisi nnitaria e interrompe l'ascesi di ordinaria amministrazione e di serietà economica a cui il giolittismo ci aveva iniziati .E' la prova di maturità che l'Italia deve superare in contatto con l'Europa. Lo spirito della guerra fu infatti popolare e severo, segnò per i contadini del Mezzogiorno la prima prova di vita unitaria; il sacrificio fn tanto più eroico quanto più parve umile ed anonimo. Senonchè s'inseriva nella guerra a limitarla e a deformarla nei suoi effetti educativi, lo spirito dell'interventismo che risuscitava la retorica garibaldina senw farne rinascere la generosità. La guerra nazionalista combattuta con lo spirito delle Leghe d'azione antitedesca e dei Comitati di salute pubblica era la guerra impopolare ed oligarchica che tornò a separare il paese tra una minoranza plutocratica e avventuriera e una massa di lavoratori non ancora differenziata. La crisi economica che ne consegni e le disparità psicologiche generate dal privilegio appaiono allo storico come la spiegazione preventiva del fascismo il quale rappresenta l'ultima rivincita deJl 'oligarchia patriottica, cortigiana e piccolo-borghese che ha governato 1'Italia da parecchi secoli, soffocando ogni iniziativa popolare. PIERO GoBKTrr. PIERO Ei□BETTI - Editare TORINO - U!a XX Settembre, 60 :Jn corso di stampa TOMMASO FIORE EROE SVEGLIATO ASCETA PERFETTO L. 5 Un documento singolarissimo di arte e di vita, CQnnesso con l'esaltazione degli spiriti prodotta dalla guerra ENRICO PEA ROSA DI SION Seconda Edizione L. 5 Una delle opere pm originali del nuovo teatro italiano. FELICE OASORATI - PITTORE L. 30 50 opere con introduzione critica. Edizione rilegata. llsclranno ne/l'autunno LUIGI EINAUDI IL MOVIMENTO OPERAIO ADRIANO TILGHER GOLDONI CARLO CARRA' E PIERO GOBETTI ANTOLOGIA DEI PITTORI ITALIANI MODERNI N. PAP.'I.FAVA LAMENTAZIONI DI UN POVERO LIBERALE A. D'ENTREVES IL FONDAMENTO DELLA FILOSOFIA GIURIDICA DI HEGEL G. ZADEI LAMENN A.IS S. JACINI IL PENSIERO DI UN OONSERV ATORE REVISIONE LIBERALE I. il trionfo del fascismo ed il rifiuto dei fa.sci9ti a chiamarsi liberali, costringe i liberali a precisare il proprio atteggiamento politico erl a definire i principi fondamentali della propria dottrina. A me pare che questo dipenda sopratutto dal fatto che non si distingu.e abbastanza Ira il liberalismo wme credo etico, come teoria economica e come metodo politico. Lo stesso termine < liberalismo•, e liberale>, viene ngualmente usato in qu.este tre diverse categorie; da ciò la confusione delle lingue che mina la torre di babele dei partiti liberal i. Il disaccordo fn liberali è minore sulla teoria economica, maggiore in filosofia ed etica, massimo sul metode politico. A me sembra cbe la teoria economica liberllk abbia per base questi principi: r.) Il lavoro (materiale e d'impresa) e il risparmio {trasformazione di beni di conswno in beni di produzione) sono gli istrumenti indispensabili della produzione della ricchezza. 2.) La produzione e l'uso della ricchezza d.e,- vono essere lasciate il più possibile alla iniziativa privata ed individuale. 3.) La libera concorrenza è il miglior regime economico in quanto conduce alla eliminazione degli inetti ed al trionfo dei capaci ; il successo in regime cli libera concorrenza di una impresa economica è il miglior vaglio della sua intri».- seca bontà. Da questi principi (che naturalmente vanne intesi come ideali-limite) deriva : r.) che il governo deve mantenere 12 maggiore imparzialità fra lavoratori, intraprendit.ori e risparmiatori in quanto il migliore equilibrie economico sarà appunto quello che si stabiliz1..eràa seconda del giuoco di domanda-offerta di _questi tre elementi; 2.) che il governo deve tendere a limitare il più possibile da una parte la richiesta di tasse ai cittadini e dall'altra il raggio della sua attività economica e che, per stimolare al massi010 le capacità di lavoro e di risparmio degli individui, il governo deve concedere loro il più largo uso della ricchezw acquistata compreso quello di lasciarla in eredità; 3.) che il governo non deve concedere nè protezioni o sussidi a capitalisti e a lavoratori, nè monopoli che condurrebbero ad una economia. dannosa perchè artificiale ; il governo come intraprenditore economico deve accettare la libera concorrenza. Insomma, i liberali devono essere contro ogni forma di privilegio economico e perciò tanto contro le protezioni doganali di industrie quanto contro la concessione di sussidi a cooperative e sindacati. La formazione di cooperative o sindacati come n2.turale risultato di solidarietà di interessi e di classe non deve essere ostacolata dai liberali, purchè tali aggregati economici sottostiano alla legge del1a libera concorrenza e non impediscano con la violenza la formazione di altri aggregati. Facoltà di organizzazione, ma anche libertà di organizzazione; sindacati liberi e non sindacati obbligatori. E ciò vale anche per i) diritto di sciopero; ci si può astenere da un determinato lavoro, ma non si può impedire che altri lo assumano. Il liberale non critica le coer perative perchè sono cooperative, i sindacati per-- chè sono sindacati; egli critica queste istitu• zioni perchè osserva che in regime dì libe'la con• correnz.a generalmente falliscono; tanto è vero che per evitare il disastro esse invocano protezioni, tentano di acaparrarsi privilegi, ricorrono alla violenza e questo il liberale non lo può ammettere; se invece una società tende ad aggrupparsi in aggregati capaci di vivere in regime di libertà che persuadono e non costringono gli individui a farne parte, il liberalismo non ha niente da protestare. Il liberale è individualista in quanto tutela il diritto dell'individuo a dispo1Te liberamente di se, ma uon può certo impedire ali 'individuo di essere solidale con un aggregato di suoi simili, sia esso la famiglia, il sindacato, la classe. A rigor di logica tale concetto va esteso anche al diritto testamentario ossia non si può negare al- •1•individuo il diritto di lasciare anche tutti i suoi beni ad una cooperativa, ad un sindacato, piuttosto che alla sua famiglia (salvo il diritto di tutela dei figli). Insomma se gli uomini spontaneamente si sentiranuo attratti a forme diverse di solidarietà che non sia quella che tende a mantenere (anche economicamente) l'aggregate, famiglia, e creeranno cosi una qualsiasi altra forma di solidarietà, nessuno deve impedirlo. In questo senso la teoria· liberale ammette anche il socialismo, purchè le comunità si formino per spontanea adesione degli individui e sappiano mantenersi in regime di libera concorrenza sia in confronto di altre comunità che di singoli individui. Come teoria economica il liberalismo ha un ideale _limite abbastanza definito (r). (Continua). NoY1lLLO PAPAFAVA. (r) Discuteremo il pensiero del nostro PaJ>l'- fava alla fiue della sua revisione. (N. d. R.).

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