La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 14 - 15 maggio 1923

sociale la prevalenza degli elementi autonomi e delle energie reali rinunciando alla inerzia di quelle• ideologie che si accontentano di avere fiducia in una serie di entità metafisiche come la giustizia, il diritto naturnle, la fratellanza dei popoli. Il processo di genesi dell'élite è nettamente demoeratico: il popolo, anzi le varie classi, offrono nelle aristocrazie che le rappresentano In. misura della loro forza e della loro originalità. Lo Stato che ne deriva non è tirannico se vi hanno contribuito i liberi sforzi dei cittadini divenuti per l'occasione combattenti. Il regime parlamentare, nonchè contrastare a questa legge storica della successione dei ceti e delle minoranze dominanti non è che lo strumento più squisito per lo sfruttamento di tutte le energie partecipanti e per la scelta più pronta. Invano la scienza dominante anche dei sedicenti liberali si appagò di uno sterile sogno di unità sociale e noh volle riconoscere altri termini fuori della gretta religione della patria e dell'interesse generale. Questa •dottrina di indifferenza politica confondeva addirittura il liberalismo di governo col liberalismo come forza politica e iniziativa di popolo. La conclusione più rigorosa di queste premesse si possono leggere nel celebre saggio di Benedetto Croce sul Par6to come giudizio e come pregiudizio. Nel quale, a dire il vero, la scoperta più arguta era la barzelletta d'apertura dei partiti politici come generi letterari. Il Croce ubbidiva a una logica conservatrice e prescindeva da ogni esperienza della vita politica. Infatti il partito può definirsi un genere della casistica, un'astrazione programmatica soltanto se lo si intende ·secondo una funzione meramente conoscitiva dei problemi pratici. l\Ia rispetto alla conoscenza tecnica della realtà sociale il partito rappresenta un momento di ulteriore mediazione e sintesi effettuata appunto in un'azione: basta richiamarsi alla distinzione crociana di teoria e pratica per dimostrare la natura illuministica della critica del Croce ai pregiudizi del partito. Si dovrà notare lo stesso errore quando il Croce parla della lotta di classe come di un « concetto logicamente assurdo, perchè formato mercè l'indebito trasferimento della dialettica hegeliana dei concetti puri alle classificazioni empiriche; e praticamente pernicioso, perchè distrutt.ivo della coscienza dell'unità sociale"· Questa critica sarà valida contro la filosofia della storia di Marx e contro l'illusione messianica, di natura mistica e hegeliana, di una abolizione finale delle classi. In realtà la praxis ci addita ogni giorno in seno all'unità so-! ciale il formarsi di classi distinte, che per legge naturale si ipostatizzano, si associano,, combattono per interessi presenti e idealità future. A queste classi che si sentono unite, e che hanno foggialo i loro costumi e le loro aspirazioni attraverso una lotta reale nella storia, il filosofo non potrebbe senza palese ingenuità predicare l' unità sociale e spiegare la natura gnoseologica delle loro illusioni, perchè queste illusioni non sono un artificioso schema come i generi letterari, ma la necessità più intima della loro vita, le loro speranze e le loro soff.erenze. Nè la logica dell'astratto nè la logica dell'atto puro possono spiegare l'imperativo di lotta da cui scaturisce il partito politico che soltanto gli ideologi sono tratti a veder esaurito nelle soluzioni che esso presenta per varie questioni economiche e tecniche. Se la realtà consistesse soltanto di questioni obbiettive se ne _potrebbe dare un concetto razionalistico e il problema sociale consisterebbe semplicemente nel trovare una serie di specifici sui quali a dimostrazione data, non dovrebbe sussistere più alcun dubbio: ma questa è la logica della Chiesa e del Sillabo, non la logica della politica. L'ideale di un partito unico resterà sempre il sogno mediocre dei regimi teocratici e corruttori /ne vedemmo infatti il risorgere nelle ideologie fasciste). La politica dei partiti, quando studia le questioni obbiettive, le prospetta secondo gli interessi e le forze del popolo: per essa la realtà viene trasfigurata secondo la misura dei sentimenti e delle psicologie. La mente del capo-partito manifesta la sua originalità nel momento in cui le v~lontà individuali esprimono non già la maturità delle loro conoscenze, ma la loro logica politica. All'uomo di governo spetta un compito di secondo grado, ossia il dialettizzare le forze esprimendone una legge che è d'interesse generale solo in quanto è il risultato di atteggiamenti contrastanti che per il partito è tutt'al più un elemento di calcolo o di previsione: mentre il capo-partito è in un senso preciso è ristretto il tribuno, l'uomo di governo è il diplomatico. Queste osservazioni spiegano senza equivoco le ragioni per cui noi riteniamo inconcludente la nota polemica liberale del Gentile e del Missiroli. L'uno e l'altro infatti per una comune passione dialettica e metafisica non tenevano conto del terreno storico nel quale un'indagine sui caratlPr·i L A R I V O L U Z 1 O N E L I n E R .\ L E e i limiti dei partiti dev'essere impostat-a. Pure la stessa. abitudine di giudicare fatti Per il Missiroli liberalismo è la stessa complessi di sfumature e di psicologie colla essenza della storia moderna, attivistica e sola scorta di una scienza « esatta,, e « maimmanentista. Il liberale più _phe a una tematica,, faceva tornare naturalmente il posizione precisa di giudizio e di fede deve pregiudizio che la sola logica bastasse a attenersi a un metodo dinamico e in certo giudicare e agire in politica e conduceva senso opportunista. La sua azione tende a a svalutare ancora come illusorie le clistincoordinare gli sforzi vivi della storia mo- zioni di partiti. derna e sta giorno per giorno dalla parte Insomma la parola d'ordine dei liberali dei più illuminati. La tesi pratica che il in Italia a partire dal secolo scorso fu: Missiroli derivava da queste premesse de- « tutti liberali"· finendo liberale l'opera dei socialisti in Ila- ~ La nuova critica liberale deve differenlia era assai brillante e seducente nel cam- , iare i metodi, negare che il libern.lismo po storico: mentre in sede teorica il me- appresenti gli interessi generali, identifitodo missiroliano fa rivivere un pensiero ge- , arlo con la lotta per la conquista della li- :-:nericamente progressista, che ripete l'impo- bertà, e con l'azione storica dei ceti che vi lenza degli illuministi nel tentativo di de- _ sono interessati. In Italia, dove le condifinire il progresso, ossia in sostanza non zioni sia economiche che politiche sono sinsa dirci come la teoria professata debba in- golarmente immature le classi e gli uomini carnarsi in azione politica. interessati a una pratica liberale devono - Il Gentile alla sua volta confondeva libe- accontentarsi di essere una minoranza e di ralismo con arte di governo. Privo del sen- preparare al paese un avvenire migliore con so delle distinzioni e delle lotte pratiche egli un'opposizione organizzata e combattiva. si riduceva a un concetto del liberalismo Bisogna convincersi che non erano e non come risultante d1 forze opposte, come con- potevano essere, come non sono, liberali i servazione che è anche innovazione, ossia nazionalisti e i siderurgici, interessati a un al vecchio pensiero moderato che non vuole parassitismo dei padroni, nè i riformisti che andare nè a destra nè a sinistra e pretende combattevano per il parassitismo dei sen;, di mascherare i propri interessi conservato- ne i contadini latifondisti che vogliono il ri gabellandoli per interessi generali. Del dazio sul grano per speculare su una culturesto in tutta l'equivoca concezione del Gen- ra estensiva di rapina, nè i socialisti prontile che vanamente si appella a Mazzini e ti a sacrificare la libertà dell'opposizione alle a Cavour, si scorge l'assenza più desolante classi dominanti per un sussidio dato alle di ogni generosa passione per la libertà. loro cooperative. Poichè il liberalismo non è Per il Gentile la politica liberale si fa dal- indifferenza nè astensione ci aspettiamo che l'alto: ~alo il ministro può chiamarsi li- per il futuro i liberali, individuati i loro berale. Un partito di governo inteso a que- nemici eterni, si apprestino a combatterli sta funzione di moderato illuminismo con- implacabilmente. servatore è evidentemente inconcepibile, sicchè il problema che il Gentile voleva risolvere viene da lui stesso negato nei suoi termini. L'esemplificazione politica delle tesi gentiliane, offerta dal ministro della pubblica istruzione di Mussolini conferma il significato reazionario che Missiroli scorse nelle prime enunciazioni: la giustificazione e la interpretazione date dal Gentile del suo liberalismo coincidono con la morale della tirannide e il problema della libertà viene dimenticato, per un artificio dialettico nella preoccupazione, coltivata da tutti i despoti, dell'autorità. Le origini di questa arbitraria interpretazione filosofica del liberalismo risalgono in Italia a più di un cinquantennio addie~ro e si confondono coi primi tentativi della Destra di dare una teoria dello Stato etico. Silvio Spaventa ha le sue responsabilità per l'equivoco derivato dal trasportare le· 'tesi hegeliane in sede pratica. Poichè se lo Stato ha di fronte alla storia, attraverso le vicende, diciamo cosi, metafisiche dell'umanità, una funzione etica in quanto rispecchia il processo per cui l'individuo è tratto perpetuamente a esplicare volente o no una funzione sociale, è assolutamente erroneo attribuire allo Stato-pubblica amministrazione che vive dei contrasti politici e interviene nelle vicende quotidiane, una funzione metafisica, coi diritti pratici che se ne vogliono derivare. In politica checchè ne sembri ai filosofi, lo Stato è etico in quanto non proiessa nessuna etica e nessuna teoria: questa posizione di equilibrio è la sola che non ci ponga di fronte all'insolubile problema di fissare quali siano gli organi di questapretesamoralestatale;e ci garantisce la possibilità che ogni etica, come ogni politica, sia da esso rispettata in quanto si rimette il giudizio della validità sociale di cui ciascuna idea potrà menar vant-0 ai risultati della libera lotta e della storia imprevista. Di fronte alle assurde pretese e alla dogmatica grettezza (qualità per eccellenza anti-liberali) a cui i filosofi sedicenti liberali ci hanno assuefatto, potremo con tranq11illa convinzione di equità cantar le lodi degli onesti scrittori di economia, che se ebbero il torto di non salvare dalle antipatie universali la dottrina di cui erano rimasti modesti depositari, non si stancarono tuttavia di divenirne i predicatori inascoltati. L'equivoco da essi aiutalo della confusione tra liberismo e liberalismo resta tuttavia il meno pericoloso e il meno assurdo di quelli sin qui analizzati. La chiusa setta dei liberisti può ben dire di aver salvato per parecchi decenni la purezza dell'idea e preparata in sede economica la formazione di condizioni psicologiche favorevoli a una 1·inascita liberale. L'educazione inglese se non li salvava da un tono molesto ai più e tuttavia assai spesso finemente ironico, dava ai loro costumi morali e letterari un senso austero di d ignilà, una coscienza severa di ossequio alle leggi e alle libertà, che li assisteva costantemente· nella loro critica e contribuiva a renderli impopolari in una terra di dannunziani e di tribuni che guardava come stranieri le loro figure riservale di persone educate e ammodo. S'intende che il nostro ritratto riguarda i più elPtti della schiera, da Francesco Papafava a Luigi Einaudi, perchè anche il liberismo ebbe i suoi tribuni e retori fanatici. Insufficienza democratica Dopo il '70 il partito liberale, risuliante di tutte le debolezze teoriche ed obbiettive, è svuotato della sua funzione rinnovatrice perchè privo di una dominante passione libertaria e si riduce a un partito di governo, un equilibrismo per iniziati che esercita i suoi compiti tutorii ingannando i governati con le transazioni e gli artifici della politica sociale. La pratica giolittiana fu liberale solo in questò senso conservatore, e la politica collaborazionista non salvava il liberalismo, ma le istituzioni, tenendo conto non del movimento operaio, ma dello spirito piccolo-borghese del partito socialista. La naturale conversione del liberalismo in democrazia demagogica fu studiata nelle pagine precedenti e basterà richiamare la formula missiroliana della Monarchia socialista, e per maggiore evidenza di argomentazione la polemica decennale di Gaetano Salvemini che combatteva in Giolitti e r:al socialismo _cooperatiyista_i due elementi determmanti dell'equ1ltbr10 parassitario. Questo periodo storico non presenta più punti oscuri. La figura di Giolitti sovrasta su tutte le altre, e nella immaturità generale i danni della sua politica diseducatrice e demagogica sono compensati dai vanta!l'gi di dieci anni tli pace. Non si può• dire che sia stato visto dagli altri uomini di stato ciò che sfuggì al calcolo e alle astuzie del domatore. La psicologia giolittiana nell'esame dei due termini liberalismo e democrazia è la psicologia dominante. E' difficile del resto individuare le differenze tra liberali e democratici se non si tien conto degli ambienti che li alimentano, come sarebbe malagevole e retorico distinguere con un rag;onamento metafisico i due concetti storici di eguaglianza e libertà. Se invece l'osservazione storica si trasporta dal '700 all'800 e dall'Europa all'Italia potremo dire che la democrazia ci venne come una forma attenuata di liberalismo fu il riparo cercato dagli italiani all'equiv~co affrontato invano; e la sostituzione del mito egualitario al mito libertario segnerebbe appunto l'inal'idirsi dello spirito di iniziativa e cli lotta di fronte al prevalere dei sogni di palingenesi e di tranquilla utopia. Sonnino e Salandra vittime dei tempi non intendono il liberalismo meglio degli altri e sono democratici come Giolitti, con l'astuzia e l'a1·te di governo in meno. Sonnino ebbe lo spirito del retrivo che si destreggia con la metodologia dell'uomo di buon senso. Le sue esortazioni alla sincerità nascono nell'atmosfera semplicista della impreparnzione politica. In lui la tecnica prevalse sull'arte. Il culto della legge si marnfesta nel chiuso spil'ito d'intolleranza del predicatore. Era inesorabile nelle sue idee fisse con la cocciutaggine di chi crede di averle trovale con il metodo sperimentale. La morale della solidarietà coesisteva in lui con la politica nazionalista. Perciò già nella sua giovinezza, al tempo della Rassegna settimanalr, (opera mirabile di cultura, caratteristica di un'epoca che si sofferma sul limitare della politica) si scorgevano i difetti del rigido uomo di Stato, grettamente calcolatore. Per lui, diplomatico fallito, la diplomazia costituiva il punto centrale della considerazione e del calcolo. Logicamente doveva scaturire da questo cervello un concetto di liberalismo del tutto inadeguato al ritmo della lotta politica. Sonnino auspicava un blocco liberale che comprendesse democratici e repubblicani proponendosi il solo fine dell'interesse generale dello Stato nazionale: anche per lui si trattava di avvincere le classi popolari alai causa della stabilità e della pacifica evoluzione dell'organismo dello Stato con le riforme: la famosa campagna per la pensione dei sei soldi resta caratteristica testimonianza di un metodo social-democratico, di tipo germanico, dal quale Sonnino dedusse con perfetta logica, se pure con poca finezza, la sua politica imperialista. Anche Antonio Salandra non sa vedere nel partito liberale molto più che l'idealità della patria e il sentimento della nazione, anch'egli protesta che il partito liberale non è un partito di classe, salvo a confessare poi che attinge le sue forze dalla classe media: intento al solo problema dell'autorità e del potere, egli non si stanca di rivolgere la sue esortazioni alla borghesia perchè si svegli dalla sua inerzia politica. Confonde il sintomo col problema e non avverte la sostanza della crisi che sta nell'assenza di libertà e di attitudine alla lotta. L'esperimento governativo di Salandra, che •ci ha dato una tirannide demagogica e retorica è la conferma dei suoi vizi mentali. Prima della guerra soltanto pochi episodi di cultura e di esercitazione politica solitari e senza eco potrebbero entrare a buon diritto in una storia analitica del liberalismo. Sono tentativi di eresia, sforzi di concentrare intorno a organi di studio e di ricerca gruppi di giovani disinteressati e a!ie,. ni della speculazione demagogica. I nomi sono di ieri e non hanno bisogno di essere illustrati: SalvemiHi, Prezzolini, Cà1·oncini, Amendola e Slataper, confusi insieme in un compito indifferenziato di illuministi. Accant-0 ad essi, tollerata e quasi gradita, la bolsa magniloquenza di Giovanni Borelli, il più vuoto dei tribuni del militarismo, creduto per vent'anni, quasi leggendariamente, l'ultimo liberale. I risultati sono di cultura, la loro fecondità per l'avvenire consiste nella preparazione di classi dirigenti più mature. Il desiderio dell'azione è coltivato in questi gruppi di eretici quasi nascostamente e si manifesta chiaro soltanto dopo la guerra nel movimento politico dei combattenti: In questo le possibilità inizialmente liberali furono frustrate dalla mancanza di chiarezza nella classe politica che lo guidò e che era stata vittima di una preparazione genericamente romantica. Vi coesistettero liberalismo agrario e demagogia finanziaria, politica estera salveminiana. e imperialismo, spirito anti-burocratico e simpatia per le classi d'impiegati. Romolo Murri, il più bell'esemplare della vanità del profeta fallito, grosso cervello di pedante, in cui l'aridità del prete s'accoppia con la pigrizia mentale dell'attualista dogmatico, riusci a dare il tono a quei tentativi pratici con la scoperta di un sindacalismo apocalittico e confusionario che egli non si fece scrupolo di gabellare poi per fascisla e di farne un omaggio ai vincitori. Tutta i' immaturità del movimento dai combattenti si rivelava nella sua incapacità di sostenere la concorrenza dei popolari come conservatore e dei socialisti come riYoluzionario. Logicamente moriva nel fascismo la confusa ideologia dei guerrieri intellettualisti. Le aspettazioni messianiche generate dalla guerra contrastavano irrimediabilmente con le premesse liberali: la lotta politica doveva fare i conti con i sogni di palingenesi e di unanimità. Il pensiero più maturo in questo momento storico fu quello di Nitti che tuttavia mancò di tatto e di elasticità diplomatica per far prevalere nel momento opportuno propositi che erano di tutti. Conscio della transazione a cui la lotta politica in Italia è condannata, conscio della crisi economica permanente nel paese povero per natura, Nitti è liberale in quanto non vede soluzioni possibili fuori di una politica di emigrazione e di pace. La sua democrazia di compromesso, il suo collaborazionismo aveva il merito di realizzare in Italia ri'. manendo nell'ambito della costituzione~ dei costumi di libertà, le premesse unitarie non ancora compiute. Non si può sapere se sulla via additata: da Nitti si_incamminerà tuttavia per una cunosa 1ron1a del!a storia l'opera del gqverno fascista. Se cos, fosse (ma l'ipotesi ò meramente accademica, quando appena si pensi alla 1mmatur1là delle nuove classi guerriere) Mussolini avrebbe tuttavia il torto di averci dato con la tirannide i risultati eh~ stava per raggiungere l'azione parlamentare. Se dalla negazione fascista il liberalismo fosse tratto a ridiscutere i suoi principi, a difendere i proprii metodi e le proprie istituzioni, a rinnovare quella passione per la libertà da cui nacque primamente forse l'avvenire della nostra patria si p~trnblJe guardare con animo più sicuro. PIERO GOBETTT.

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