La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 23 - 30 luglio 1922

~ivista Storica Settima:nale di I?olitica -=========='"""=========7,;-""'--=-~-,....,,., __ =-,_~_ ....,,_..,._.=--=--=-=-"""·======================== Anno I. - N. 23 - 30 Luglio 1922 -------- Edita dallci --- ftDDnNnM~NJf, Por il 1922: L. 20 (pagabile in due quote HllllUJILHJI , di L. !O) - Sostenitore L. 100 • Estaro L. 30. Casa Editrice Energie Nuove IL BARETTI SUPPLEMENTO L T ERARIO MENSILE Non sl vende separatamente fondata e diretta da PIERO GOBETTI TORINO • Via Venti Settembre, Il, 60 • TORINO UN NUJM:ERO LIRE (Conto C01·1·ente Po.,tole) SOMMAR I O: E. CORBINO, l'. GOBETTI: Fallimento o Rivoluzione? - S, CARAMELLA: L'idea liberale. - E. CORDINO: Note di economia. - C. E. SUCKF-RT: Gli eroi capovolti. - .L. EMERY: Postille. - p. C'•: Note di politica interna. F~LLIMENTO ORIVOLUZIONE? I. Ho l'impressione che pochi nel nostro Paese si rendano conto della gravità della nostra situazione finanziaria e degli sviluppi politici che ne possono derivare. Il problema di riassettare il bilancio della Stato e degli Enti locali viene tacitamente lasciato a dormire : si discute di collaborazionismo e di riforma della scuola, del progetto sul latifondo e delle" costruzioni navali, della riforma burocratica e del disservizio nelle aziende industriali, ma in fondo nessuno di coloro che fanno la pioggia ed il bel tempo nel nostro movimento politico, ad eccezione di alcuni studiosi, si sono posti il quesito: dato che si va tranqui,llamente avanti con un disavanzo crescente; come andremo a finire, presto o tardi? Con un'alzatina di spalle che somiglia moltissimo al famoso: Après mai le déluge ! il problema viene posato lì e chi s'è visto s'è visti:>. Vogliamo, invece, fermarci un momento su questo problema che è il più grave fra i tantì che incombono sulla nostra vita polititica perchè tutti li involge e supera? Nel farlo devo andare avanti con delle affermazioni, ognuna delle quali, naturalmente, può esse;e discussa e non condivisa. Ma se mai alla discussione ci verremo un'altra volta. Esaminiamo dunque la situazio.ne attuale. 1' - Il disavanzo delle Aziende pubbliche è quello che è - e cioè circa 6 miliardi per lo Stato, qualche miliardo per gli Enti locali. - In esso le spese residuali della guerra hanno un'importanza piccola; per lo Stato arriveranno a qualche miliardo che prima o dopo scomparirà. Ma contemporaneamente scomparirà il provento della imposta sui sovra-prnfitti di guerra e la situazione muterà di ben poco. 2° - La facoltà di sopportare nuove imposte da parte del tanto ;-antato contribuente italiano è quasi esaurita. Qualche categoria pagherà meno di quello· che dovrebbe, ma talune pa;€:"anotroppo. Si'.potrà creare una maggiore perequazione tributaria ma il gettito complessivo non può porta1·si alla cifra ri• chiesta dall'a=ontare della spesa. Il carico tributario è oggi in lire carta 3-4 volte più alto "di quello· ante-bellico; non mi pare facile aumentarlo del 50 % di quanto, cioè, sarebbe .necessario per ottenere il pareggio. 3° - Il; Parlamento ha dimostrato e dimostra quotidianamente la sua incapacità tecuica e la sua impossibilità politica di arginare le spese : votò una legge per la rifonna burocratica e dovrà presto consentire un aumento di spese; in ogni seduta, di sorpresa o consenziente quella testa di ture◊ che, cost1tuz1onalmente, è il Mi.nistro del Tesoro, approva leggi, leggine, ordini del giorno, emendamenti. e_via di seguito che costano fior d1 quattnm. Nessuno vuol rinunziare a qualche cosa di quello che ha e tutti desiderano avere quello che non hanno• la Came- rn, emanazione del suffragio univ~rsale, cioè d1 coloro <;he non pagano ma vivono a spese dello St~to, n.on può frenare le spese per ragiom denvantl dalle sue stesse orio-ini. Il Senato impedisce che si faccia peg;o ma non ha la forza politica per impedire il ~1ale che si fa. , IJ Governo cerca di frenare le pretese della Camera, ma poi finisce col cedere anche i1ui : così, anche se per naturale incremento tlovesse accrescersi il gettito delle entrate, aumento non basterebbe per far fronte alle nuove opere. Il disavanzo resta. ' \ 4' - Un Paese non può andar avanti facendo mezzo miliardo di debiti al mese. E non può perchè: a) nuocerebbe seriamente all'economia na• zionale assorbendo tutti i risparmi che alcune categorie di produttori fanno per mantenere un gruppo di parassiti (impiegati, cooperative, siderurgici, costruttori navali, produttori di canapa e zucchero, ecc.) ; b) Lentamente il suo credito va cadendo e le ulteriori emissioni di prestiti devono essere fatte a condizio.ni più onerose. Verrà però un giorno in cui non si troverà più nessuno disposto a dare il proprio denaro ad un debit_ore che non può pagare. e) Le ascens,ioni di debiti annientano il disavanzo dell'onere degli i.nteressi. Sulla base di 6 miliardi all'anno, all'interesse medio del 6 %, lo Stato si carica di mezzo miliardo di nuovo onere annuale· ogni 18 mesi; d) In tutto questo movimento non c'entra per nulla il debito con gli Alleati di cui finora non paghiamo neppure gli interessi, mentre riscuotiamo il capitale del credito verso la Germania .. L'Inghilte1Ta, per citare un esempio di un paese che si vuol salvare, mentre energicamente risana la circolazione cartacea, ha cominciato ad ammortizzare il debito di guerra .. 5° - Lo sbocco di questa situazion<;.,tragica non può essere che: o il fal.l-i-mentodello Stato o una rÌ'o•ol1'zi.one sul tipo di quella che impose a Giova.nni Senza Terra la Magna· Charta. Io credo che la rivoluzione sia. co1n.i.ncia.tae che presto se ne vedranno gli effetti definitivi. Infatti i contJ·ibnenti si agi• tano ed es.si costituiscono oggi 1'-nnica categoria che possa fcire snL scrio la rit.•oli,zione. Gli altri sono rivoluzionari per burla o da operetta : si mettono a posto con uno squadrone di guardie regie o con un sussidio ad tlna cooperativa o con i fondi segreti, ma i contribuenti no: guando tntti o qnasi tutti noa pagheranno, cosa farà lo Stato? Si badi bene : il probiema H0n è riscuote:-e le imposte attuali, 111.<i. d'imporre il di più indispensabile per raggiungere JI JYdreggio. Quali probabiiità di avyerarsi ha un mo- ,·imento cii questo genere? Per ,·alutal'le esattamente basta pensare che s.i tratta di indun-e la. gente a non pagare, ed ognuno vede: che in onesta. direzione è facile incana• lare masse s~mpre più numerose di contri• buenti. I patteggiam.e.nti e la ritirata da parte dello Stato sono già cominciati ; il ,\Iinistro delle Finanze ha dovuto rinnornre ad agosto il pagamento della quota d'imposta straorclin:i.ria che in conto di quella del r923 doveva pagarsi in luglio. Ad agosto saren10 di fronte a nuovi rinv-ij e così assisteremo allo spettacolo di imposte vota.te dal Parlamento e cli nù un _\,finistro sospende l'applicazione! Previsioni nella fase finale ciel movimento è y".Jssibile farne di diyersa nattu"a; ma tutte dovrebbero secondo me fondarsi su un rafforzamento dei diritti dei contribuenti di controllare meglio i'nso 1 di quanto essi dà.nno allo Stato. Ciò che praticamente significn. ritorno al regime di suffragio ristretto o con l'abolizione della Camera attuale o con la crea7.ione di un nuovo organo legislativo, ernanazioo1e dei co-ntribuenti, nelle cui mani praticamente verrebbe a cadere ogni potere. Le vestali delle sacre conquiste del popolo, grideranno e si lamenteranno di questo fatto che ha troppo il sapore di reazjoue; ma non hanno altro da fare che subire le conseguenze inevitabili a cni lentamente li porta la loro JX>liticademagogica. Ecco perchè mi permetto sorri.dere della efficacia delle discussioni del collaborazionismo socialista, della rifonna burocratica e quanti altri problemi oggi ci affaticano; mi fa un po' l'effetto che farebbe la discussione in seno cli una f~glia del vestito che uno di casa ammalato di tubercolosi polmonare potrà indossare quando si alzerà da letto, mentre si ignora o si finge di ignorare che molto probabilmente l'ammalato dal letto passerà al cimitero. Pessimismo esagerato? Sarei ben lieto se quakhuno mi restituisse una maggiore fiducia nell'avve.nire. EPJCARMOCORBl:s'O II. Esiste, comunque la si debba poi valutare, una analogia tra il 1215 inglese e il 1922 italiano? Ossia, precisando la questione, si può trovare in Italia la figura del contribuen ... te distinta ed autonoma rispetto alla figura del cittadino? La rivoluzione hberist.ica annw1ciata dal nostro Corbi.no corrisponde a for7.ee a psicologie reali? e se vi corrisponde, esaurisce davvero le nostre possibilità politiche, può costituire la direzione utile in cui la capacità cli popolo e Stato d-eve validamente cimentarsi? Certo il nostro problema finanziario può essere studiato soltanto tenendo presenti questi ampi orizzonti storici. In questi te.mini il bisogno della nuova. ivlagna. Charta che risolva il problema italiano si arricchisce di un più complesso significato. Tra. ia storia inglese dei secoli XII-XIII e la. storia nostra presente ci sono curiose analogie che non ci devono trarre in errore. La conquista normanna aveva necessariamente unito per i sacrifici della guerra vittoriosa re e vassaili: a'Veva rafforzato l'autorità statale, come la guerra europea la rafforzò in Italia (sebbene tra noi si parli ora di Stato debole). I nobili scomparvero dinanzi al Re, divennero tenentes in capite; come in questi anni la demagogia finanziaria ha reso i.ncerti i diritti di pi:oprietà dei cittadini. Certo lo scutagiurn o l' a.u.xiliunz dovuto dai nobili e dal clero non era di natura diversa dalle imposte che oggi industria, commercio, proprietari e capitalisti pagano per far vivere gli impiegati o per fornire di scuole le classi medie o di pensioni e sussidi (disoccupazione, invalidità, vecchiaia, ecc.) le classi proletarie. E se la situazione si ar,nunciava in Italia già da trent'anni la guerra ne ha radicalmente capovolti gli effetti. Sino a pochi mesi or sono il capitalismo e l'alta banca occupavano, in garanzia delle proprie elargizioni, il governo. Il collaborazionismo sembra an.nnnciare fenomeni completamente nuovi; e industriali e proprietari devono batte.si con tutta la loro abilità per non ridursi nelle condizioni degli ebrei taglieggiati cbi re assoluti. Il commu11e concilÌ1<-mregni (poi Pa:r/iamentttm) nacque in Inghilterra 110n come is-tituto parlamentare, non come teatro di lotte politiche di partiti ma come strumento pratico diretto ad impedire le dilapidazioni a danno dei baroni. Questi si sentivano contribuenti, si sentivano Stato, classe politica, urnto che imposero al re un vero e proprio contratto bilaterale che fu il fu11da·me11tmn libertalis ,l ngliae in quanto consolidò la vita economica ciel paese indipendentemente dalle ingerenze politiche. Il sistema bicamerale ebbe, secondo noi, un senso profondo in Inghilterra perchè la Camera dei Lords do- ,·ette esercitare una specifica funzione finanziaria, che venne poi cede.udo alla Came1·a dei Comuni a mano a mano che la ricchezza affiuiva alle classi medie intraprendenti. I conflitti costituzionali dal Reforri, bill del r832 al Parliammt bill del r9II coincidenào con un progressivo allargamento del su.firagio segnano l'assorbimento della funzione finanziaria nella più ampia funzione politica. In Italia lo Statuto, che era stato un frettoloso espediente piemontese nel '48 e diventava nel '61 un'aberrazio.ne nazionale, non risolse, ma fece appena balenare il problema In Italia ii contribuente non ha mai sentito la sua dignità di partecipe della vita statale: la garanzia del controllo parlamentare sulle imposte non era una esige.nza, ma una vera formalità giuridica : il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. Il Parlamento italiano, derivato, attraverso la Carta fra.ncese (1831) e la costituzione belga (r83r), dal modello inglese esercita il controllo finanziario come esercita ogni altra funzione politica. E' deniagogico, parlamentaristico sin dal suo nascere perchè è nato dalla rettorica, dall'inesperienza, dalla scimmiottatura. Il concetto, maturatosi nel secolo scorso con lo sviluppo economico dei popoli, che la Camera bassa debba rapprese.ntare la totalità dei contribuenti (Treitschke, La Polii•.:ca, III, r65. Bari, Laterza) è fallito in Italia, ove la piccola proprietà fu ammessa al voto insieme coi nullatenenti. Il problema poi di creare una coscienza, inizialmente capitalistica e liberistica, della piccola proprietà fu capito da Don Sturzo, ma non fu. risolto dal P. P. I., che ancora recentemente, per bocca dell'on. Meda ha aderito alla tesi dell'impossibilità di ridurre le spese (Idea Nazionale, 16 luglio) (è il dissidio, i.n seno ai popolari tra un tentati,·o liberale - Sturzo - e la tradizione demagogico-conservatrice - Meda). C'è un tentativo non mai intenotto neìla legislazione italiana per far diYentare la piccola proprietà un fatto universale, per costringere tutti a questa legge (anche ia democrazia sociale ha manifestato propositi di tal genere) : le classi nullatenenti (impiegati) p<3.rtec1panoalla piccola proprietà attraYerso il parassitismo a spese dello Stato. I socialisti italiani hanno aderito a questa politica cercando di ottenere per le ciassi proletarie la legislazione sociale. Giolitti ha avuto l'eroico cinismo di presentare come liberalé: questa politica di saccheggio dello Stato. Sembrò che la guerra tendesse ad abolire !a descritta mentalità dei piccoli proprietari meschini, anarchici e sfruttatori, col farli partecipare largamente anche co.n piccole somme allo sforzo della Nazione a.ttraverso le sott=rizio.ni al prestito. Ma si trattò anche qui della gioia piccolo borghese di carpire allo Stato il grosso interesse. E' natura.le che sia stato proprio Giolitti (il quale non ha mai creduto che l'Italia potesse diventare una Nazione produttrice e l'ha sempre awmi.nistrata con metodi piccoli borghesi) ad annullare i pochi effetti ecooonùci salutari della guerra con la recente politica finanziaria demagogica. Il problema della pubblica nmministrnione era stato risolto in Inghilterra con la creazione di una burocrazia non numerosa ferrea- ;ne.nte sottoposta alla direzione dei lords insigniti cli cariche direttive onorifiche. Iu Italia il problema della burocrazia non è più solubile dal momento che per fare gli Italiani abbiamo dovuto farli impiegati, e abbiamo abolito il brigantaggio soltanto trasportandolo a Roma. La collaborazione socialista-popolare che inco1n.incia a tentare di eliminare 1'i1i0/Jportuno Sturzo realizzerà il ti-ionfo dell'italiano-impiegato. Una rivolll7.ione di c011tribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non. esistono co-11tribuenli. Nel pensiero cli Turati e di Miglioli l'Italia è la nazione proletaria: il popolo poi deve essere educato al parassitismo.

84 I capitalisti veramente contribuenti stanno per trovarsi nelle condizioni di isola.mento in cui si trovarono gli israeliti nel Medio Evo : essi sono forti ma non tanto da poter resistere a viso aperto. Del resto man-· cano, i più, di una coscienza capitalistica e liberistica, e cercheranno di difendersi, di non lasciarsi sopraffare partecipando essi pure all'accordo e facendosi pagare in dazi e sussidi ciò che devono elargire in imposte. L'operaio (e l'agricoltore specialmente) non usa avYedersi di questo ultimo anello della catena per cui il beneficio inizia le torna a ricadere su di lui. Mancando di iniziativa coraggiosa ha bisogno di delegare, anche a proprio danno, allo Stato la funzione cli allontanargli l'imprevisto e il pericolo.• Per questa via la soluzione del problema finanziario, che implica appunto la creazione di classi politiche e cli una mentalità capitalistica, in Italia resta ritardata : la rivoluzione 3uspicata dal Corbino non può scoppiare perchè nessuna rivoLuzione è mai nata per ragioni soltanto finanziarie {la rivoluzione inglese che è la tipica rivoluzione finanzi2ria fu insieme religiosa, autonomistica, nazione.lista, puritana); e attualmente i nostri finanzieri non sono in grado di elaborare integralmente un sogno rivoluzionario. Certo si sta annunciando una lotta fra demagogia parlamentare e parassitismo piccolo borghese da lilla parte e iniziative economiche e rivoluzionarie dall'altra. La lotta tra Giovanni Senz; Terra (lo Stato intervenzionista) e i baroni. Bisogna preparare contro il governo degli impiegati {di Buozzi e di Miglioli) uua triplice aristocrazia : i tecnici e operai guidati da una minoranza rivoluzionaria; i capitani d'industria; i principi mercanti (commercianti ed emigranti) : noi dovTe.mo elaborare di queste aristocrazie la dottrina e la lotta politica. PIERO GoBETT1. LETTURE L'idea liberale CARLO CURCIO. Le origini dell'idea liberale in Halia,. Napoli, JYiorano, 1922 1 pp. 86, 160. - In. L1idea /.iberale, estratto dal 11. L'Idea ll, quaderno mensile di critica idea1i.stica, marzo-aprile 1922, pp. 17j-r92, 201-215. ·n primo di que,-ti studi vorrebbe essere una rapida ricostruzione e rassegna delle premesse storiche da cui parte il secondo : non una storia, che il Curcio si sc~---adi no1.1aver fatto e che pur aYrebbe dovuto stargli presente come esi-- genza lontana delle sue ricerche. Questo dico perchè non è difficile cogliere qua e là affermazioni. inesatte e affrettate; per es. a pag. 14: « Così Verri, sulle tracce di Rousseau, ripete Kant senza conoscere Kant i,! - e a pag. 18: e Il romanticismo politico : ecco lo sdilinquimento di XoYara 11.La prima frase è proprio da pigliar con le molle : ma il Curcio È: scrittore così YiYace e simpatico, che gli si perdona volentieri e si procede Hella lettura. I:n sostanza Ja tesi del volumetto è questa: che la vera e propria fondazione critica dell'idea liberale si trovi soltanto negli Spaventa, mentre in Giobert le manca tuttavia la concretezza deUo spirito e e in Carnur essa è annullata da un astratto costituzior..alismo anglicizzante, che trionfando nella storia della Destra: porta allo sconoscimcnto ciel Yalore religioso dell 'nomo e alla decadenza consecutirn della Destra stessa. ?\el pensiero di Eertrando Spa\·enta viene invece risolta l'antitesi tra l'idrologia 1ousseauvianeggia!lte della libertà e la nuova coscienza storica formatasi nel Risorgimento : antitesi che il neoguelfismo in\·ano aYe,·a cercato di comporre. E il C. nel chiudere la sua frettolosa nota bibliografi.ca dice che gli ultimi libri del Monti, deU'A nzilotti, del Quadrotta non gli pare che in fondo gli diano torto: nè gli darà torto io, perchè una semplifi 0 cazione schematica ciel nostro pensiero dell'Ottocento, come è il suo sguardo storico, difficilmente potern condurre ad altri risultati. Ma se il C. a,·esse prtcisato un po' cli più e considerato più pazientemente il suo probk:ma avrebbe visto che, alla fin dei con.ti, l'ideoiogismo libtltario non cade poi tanto a vuoto, dato che eia Verri e Pagano attraverso il Cusco (il primo dei liberali!) non porta soltanto a Rumagnosi, Cattaneo Ferrari, ma anche a Mazzini : la cui posizione egli trascura, salvo un fuggevole accenno. Mentre in. realtà bfazzini ha una importantissima funzione negativa nd formarsi del nostro liberalismo, e viene da ultimo a piegare le sue esigenze religiose verso la tet1denz.a di Giob<::rti e Spaventa (dr. Dal Concilio a Dio). Co<;\ an· cora, è troppo rigida l'esclusione: del neoguelfismo dal campo della vera idea liherale : e frellolosa tutta l'esegesi del pensiero giobertiano, cb<o parrebbe im·auo aspirare alla soglia del libc:- ralismo, da lui intravveduto soltanto, non com.- prendere Hegcl, detestare Rousseau.. Ma ,ia! Leggete: Gioberti sul serio, come avete letto SpaYenta, caro Curdo: <:: <la cima in fondo. Poi 11;i ~aprde dire: Sé G. detesti Rous.~11 <; :,,i1 t;rnt<J LA RIVOLUZIONE LIBERALE lontano da 1-Iegcl con Jluniversalismo del11l11troduzìone e del Ptirnato: quando già nel 1855 lo Spaventa polemizzando col Tommaseo av,·ertiva i suoi stretti rapporti con l'uuo e con l 'altro. 11 movimento cattolico dal '40 al '60 non aYrebbe, secondo il C. creato se non fanùna libesale : troppo poco, per spiegare come esso giunga ad aderire dopo il '56 alla politica cli Cavour, e come nasc.a da esso il liberalism.o piemontese che vigoreggia proprio quando la Destra finisce per negare sè stessa: ma poh-ete dire che manchi il liberalismo in Rica.soli, a cui per gi~mta io darei il n1erito cli uno storicismo assai più concreto che non avessero i piemontesi? - I due buoni capitoli su la speculazione di Bertranclo e il pensiero pragmatico di Silvio Spaventa, ai quali manca però almeno nn cenno sui minori hegeliani, non bastano dunque a salvare questo saggio, dove fra 1' altro si apprende che la questione religiosa era per Cavour un problema d' oràinaria ammiuistrazione 1 che la separazione della Chiesa dallo Stato era un paradosso in atto, e sim.iF: come se anche solo il buou senso non insegnasse a valuta.re la. storia nel suo momento reale, prima di trascencler1a con il giudizio soggettivo. Perchè il C. ha fatto proprio così, iu tatti gli due gli scritti: costruita una sua concezione del liberalismo 1 ha squadrato con quella tutti i sassi d~Ua storia. Ne L'Idea J.iberalc (il secondo saggio) l'indagine cerca lo sviluppo di questa idea, a grandi linee, e corrian10 da l'latone ed Epicuro a Grozio a Hobbes a Locke a 1'idealismo con uua rapidità che non lascia nemmeno il tempo cli guardarsi attorno per vedere doYe si è arrivati. Scrivere di queste sintesi è certo permesso, ma con le debite precauzioni : e dopo aver ponderato i Iofo fonda .. menti particolari. Qni invece troviamo presentati gli epicurei come i primi negatoti dell'assolutezza dello Stato, qnasi non -fossero esistiti i Sofisti e Protagora non superasse nel11individua1isrno Epicuro; qui si pone l 1iuiziarsi di una teteologia storica con1e contemporanea a Tomaso d'Aquino, quando al contrario t:1.le speculazione sorge dal neo-stoicismo e dalla Patristica, e Tomaso, contrapponendo la fenomenicità del tem.- pu.s all'assoluto de11'ae-v-u·m.e dell'aeternitas 1 nega la storicità della Provvidenza.; si presenta lo Stato cli M.achiavelli come esterno allo spirito, si trascura l' Alth usi o che pure è un cosl diretto precursore di Locke, si ignorano i romantici della ra.ison sociale - che sono il punto di partenza del giovane Gioberti ... E in ultima analisi il Curcio delinea la storia di questo sviluppo come la farebbe non un liberale, ma un liberista : per poi denunziare l'equivoco liberista e a.bo·u.tir al liberalismo. 1VL..'\ che intende egli poi per ·idea liberale? La ~ sintesi di tradizione e coscienza (Gioberti), di autorità e libertà, legge e individuo (Spave;,ta), · nella storia ,riva dello Stato nazionale. « Far scaturire dalla coscienza viva del paese la realtà storica, : ecco lo Stato liberale (Origini, p. 78); « l'opposizione è superata 1 l'individuo e lo Stato, la libertà e l'autorità si producono in una sintesi dialettica sopra lo stesso_ terreno, che è 1a sto-ria nazionale, da un lato, ma pure la storia ideale, fuori del tempo, e cioè spirituale, che si compie senza compiersi mai. Da questo conceao brilla perfetta l'idea liberale, (L'Idea, 2n). Kou direi tanto perfetta, sebbene il Curcio la chiarisca· giustamente con il concetto gentiliano della attualità dello Stato nella coscienza: giacchè in tal maniera noi restiamo pur sempre fissi all'opposizione del singolo e del tutto, dell'individuo e dell'universale che non è da Hegel nè dagli hegeliani conciliata se non in apparenza. li Curcio è troppo bene informato della più recente letteratura filosofi.ca per non sapere quanto ancora affatichi la nostra speculazione il pro• blema dell'Uno e dei molti, che si riflette in quello dello Stato e degli individui; e il problema del liberalismo odierno, come (a parer mio) di ogni corrente critica della politica contemporanea, è proprio questo di porre, tanto sul .terreno speculativo che su quello pragmatico, 1a \·era e vivente unità. In,·ece nell'hegelismo (e nemmeno, per quanti sforzi egli faccia, in Bertrando Spaventa) l'unità fra i singoli è semplicanente postulata come necessità della relazione, a posteriori, e a priori come presupposto: e l'unità fra l'individuo e lo Stato c'è solo in a21:ratto (l'individuo e il diritto come tramite dalla psiche alla storia: ma la storia, come fine, precede al mezzo) o meccanicamente (}'individuo che riconoS<!e sè; stesso nello Stato : sl, ma negandosi come individuo, platonicamente). I dpe termini sembrano pur sempre distruggersi a vi• cenda: se si ammette l'individualità dello Stato nella coscienza, lo Stato liberale pare un'astrazione: ma pure quest'astrazione è reale - e allora? Una. via di soluzione potrebbe essere questa: 1) che il problema dello Stato, ossia della unità e organL<;,111c0o11ettivo della prassi storicosoc·iak:1 ?· nc:l campo cidl'empiric e clclla prassi me:d<:.sima.: pt::r la quAle j ·molli ci sono, cd l· reale la moltcplicith prima clell'unità,o per meglio dire: si passa da unHà minore e più slegala a. unità maggi01·c e più cocn:nte; 2) che in qncSt..'1 cmpirie della singola cosdtnza, che ha di fronte a sè lé altrc:1 il suo «stato" non è ancora lu Sta.to, ma deve entrare in relazione più di1·elt1 ton gli altri , stati , (idee dc:llo Stato) e: limitar:,.l ,, depauperarsi p<:r convenire con lo State, storico (,;,in qui, <: JJOllpiì1 ùllrc i: la verità meramente .fenomenica del contrattualismo) ; 3) che a questo punto il processo si rovescia e lo Stato così raggiunto per astrazione o •depauperamento apparente, si rivela essere il vero Stato, che esisteva e viYeva già prima di questo riconoscimento, come creatura della Storia e fattore degli lnclividtti; 4) dove il riconoscimento si arresta, e appùuto perchè lo Stato concepito nella coscienza compare più ricco e diversamen· te determinato da quello storico 1 sorge la prassi riformatrice o_rivoluzionaria.; 5) la quale si aut· pia, si aggrega ad impulsi affini, cresce e si svi• luppa, fìnchè non rovescia, per essere ormai più viva ricca e co11creta, lo Stato qual 'è (lo Stato qnal 1era non è in questione: i reazionari sono anch'essi, a modo loro1 trasformatori. Mentre il conservatorismo si ferma. solo all'oggi per ragioni meramente utilitarie). Ma in questo processo non si deve cerca.re l'unificazione in uessu• no dei singoli momenti, per sè preso: totalità che è relazione, epperò ci addita l'unità nel diritto, non nella storia come di là o di qua da esso. Punto di arrivo volta per volta cercato e poi superato e negato per una nuova ansiosa ricerca: ma proprio per esso da questa vivace empirie della politica, cosl irrfinitamente divc.rsa1 si trapas..~ n€l campo speculativo di una trascendentale unità. NOTE DI ECONOMIA L'on. Salandra ha presentato una proposta di nomiua di una Com.m.issionissim.a per .la riduzione delle spese stat.a1i. Non ne 1.t7ettiamo :in dubbio le buone intenzioni ma <lobbia.mo nianifesta• re la 110stra sorpresa per 1a inge1rnità della proposta stessa, che viene da uu navigato parlamentare, o per la sua semplicità qualora si pre• tenda abolire di fatto il Parlamento e dare origine ad una forma di governo assoluto, sia pure in via del tutto transitoria. Infatti : o la Commissione si dovrà limitare a fare delle proposte, ed allora l'unico risultato positivo che se ne ca_... verà sarà quello di pagarne le. spese di funzionamento, o dovrà agire direttamente e tagliare seriamente sulle spese, ed allora eliminerà il Parlamento .. Io llon dico che il secondo ,ris1ùtato non sarebbe ottimo; credo però che un Parlamento che non ha la forza d'impedire l'aumento delle spese, difficilmente si spoglierà dei suoi poteri per a·rriYare alla riduzione di quelle attuali. Una tale capitolazione sarà solo possibile quando una forza esterna nuova riuscirà a imporla con un movimento politico di carattere prettamente rivoluzionario, e ciò pur non potendosi del tutto escludere:, sembra però alqnanto prematuro. Peichè l'ou. Salandra ed i suoi aIUici, in luogo di proporre delle Commissioni che non servono a nulla; non iniziano un movimento serio alla Camera dei Deputati imponendo, con tutte le forme possibili ed OCC'Orrendocon un ostruzionismo sisteniatico ed ininterrotto, una politica di economia? Qullle atteggiamento intende egli di assumere dinanzi al vergognoso provvedimento proposto per la ritenuta sugli interessi dei titoli di Consolidato al portatore che rappresenta un.a fonna larvata di fallimento dello Stato? E' indice di quella mania portuaria che sta facendo sprecare centi112.ia di milioni in opere di cui non è dimostrabile nè l'urgenza, uè 1a ne~ cessità, nè la convenienza, e che è uno degl'iufiniti episodi di disgregazione economica del nostro Paese. Anche Roma vuole essere unita al niar-c:. e vuole aYere il suo porto, e come tntte le città italiane non si preoccupa del costo di quello che domanda: eia quando iu qua del resto Roma ha avuto di queste debolezze? C'era una volta da fare un impianto elettrico importanti&- simo e la città -fu in\'ltat:a ad entrare nel Con· sorzio relativo per i bisogni della sua azienda elettrica. La testardaggine di non so chi impedì che Roma entrasse e si oppose a che la concessione. fosse fatta ad una Società: in conclusione l 'impiauto non s.i fece più perchè concessionario Don poteva essere il Comune cli Rom.a. Ora si ,leve costruire il porto cli Ostia perchi: qualche bum1 quirito (la cittadinanza non se ne cnra neppure ed il Mond.o se ne addolora!) vuole sentire l'odore dell'acqua salata r011w11a; che iJ costo delle opere sia assai el~vato nou vuol dire proprio nulla: se111,o non semo romani'! Tanto più che Paulalone paga la metà della spe· sa e pagherà anche l'altra metà pcrchè il Go- \'erao trova f->Cmprc qualche mezzo per sanare il deficit del bilancio della Capitale, e cosi con qualche- cosa di assai viciuo ai 300 milioni di spesa Ro1na avrà il suo porto che assorbirà poi di0:.::iuc ùi milioni di spesa anmk1. cl.i 1nanute11zione ~ 11011 vuole a sua volta c·sse,·c ns.<:.0rbito dalla Rpiagg-ia. /\ I Se11alv si i:. fallo q1wkbè obiezio11c alla opportunità di questa spesa discutibile anche dal punto di \'isi.a t<:cni~o: 1'origine della opp0--c;i1.ione' f,a rivalità degli altri porti, secondo il .Uondo. Co.sl parle;n::hbcro a Roccacanuucda, e Rom~, climenlicanclo di <::S"-C'.ri.: la Capitale parla allo st.c:sso modo. Ma pec il porto òi Roecarannu<'cia trecc:1!lo milioni f_.ono troppi! Abbiamo avuto anche noi uu ribasso nel tasso ufficiale dello sconto: eia! 6 al 5,50 q=le ripercussione di quello avvenuto negli altri mer: ca.ti monetari. L'avveuimento è passato quas1 inosservato ma. merita un conlll)e11to1 ed lW commento sfav~reYole. Ci souo è vero delle ragioni a favore della effettuata riduzione, ma ce ne sono di più forti per cleplora1fa. C'è _sopratutto il bisogno di capitale straniero a CUl bisognereb· be offrire ottime condizioni di impiego e sicurezza nel pagamento dell'interesse. Tasso dello sconto alto, cluuque, e pedate ai vari Ministri delle Finanze che Ct'edono cli potere imporre cli far credito allo Stato come si impone la discussione del progetto sul latifondo. E i biso!!!li delle industrie? dice qualcuno. Io nou so che 0 cosa resti del risparmio che in Italia si accun1ula dopo 1'assorbimento che :tie fa lo Stato col debito fluttuante; ho l'impressione che debba restare ben poco. E' perciò proprio per i bisogni delle industrie che ci vorrebbe un afflusso di capitale straniero. Se costa caro, se ne serviranno solo quelle industrie che rendono, ma qualcuno se ne servirà. Invece cosi non si potrà fare uso del capitale nazionale e non se ne trova di altro. Intanto !'on. Bertene ha presentato un progetto cli legge per favorire l 'impiego di capitali esteri in Italia: non credo che sia utile, ma non ne sarebbe -qe.mmeno utile i1 ritiro. Servirebbe di più il ritiro cli Bertone dal Ministero. EPICA:RMO CORBINO Edlz!onide la " !llìtoluzioneltibe1ale ,, Uscirà 111 agosto : UBALDO r'Olii!IBNTINI COLLABORAZIONI..SlJIO Con questo volume di serena indagine critica La Ri-r,oluzione Liberale rive1a uno dei più forti pensatori dell'Italia contemporanea. Il Yolume sarà messo in vendita a L. 8. Ai preuotatori L. 5. Sono riservate ai prenotatori che ci invieranno L. 20, venti copie di lusso numerate. MODULO DI PRENOTAZIONE sottoscritti s'impegnano di pagare entro it settembre 1922 lire cinque, prezzo di prenotazione del 1JO{u.nie Collaborazionismo d-i UBALDO FonlvrENTINI. 1.. 2. 3. L 5. 6. 7 .. 3. ,... 9.. 10. Ri11\·iare il foglio con finue e indriizzi all'Aruminì;;trazione della Ri1:ol·1t.zione Liberale _ Via XX Settembre, 6o1 Toriuo - Chi ci procu.ra died prenotazioni riceverà gratuitamente il 1JOl1t.111e. Lt somme possono essere manctate siu d'ora. S·i lratta di sape-re ,e il nostro P,rogello rii 1•endita. dirella p,1ò riuscire. Ne a;pende h, vila del nostro organis1110 ediloriale e quindi anche La Rivoluzione Liberale. Se /1,!1 ti i nostri amici ci 111anderaJ1J10s11bit.o l'import.o e ci lruvernnno nll.-e prenotazioni potre,n 0 realizzare il mfracolo cli dare per cii,que lire 1m libro rl,c l'editore coin11,ie farebbe pagare dieci lirr.

LA RIVOLUZIONE LIBERALE Glll EROI CAPOVOù~TI Meglio cominciar dagli eroi, anzi che dalla plebe. Sullo sfondo grigiastro del popolamo ano.nimo, il lampeggiare degli occ!n1 11 luccichio degli elmi e delle corazze, tl gioco e.le: gante e perverso dei rasi tnne sete velluti, 1 grandi gesti, le voci gonfie c_le ombre enormi degli eroi impressionano e 111_v,1tanoQ.uesto corteo cli gente urlante _egestico_laule su] serio malata di genio e di pass10m cowe d1 tumo'ri senza 1;medio, annata di spade vere o avvolta in legittime toghe, mi concilia coi servi di scena, coro ignobile di maschere ladre e infingarde. Spesso, con l'aiuto_ di arti magiche non ignote ai filosofi, 10 m, diletto a faruu sfila.re davanti agli occhi, lungo la parete che mi sene da palcoscenico, tutti i più strani eroi della terra e del tempo, senza temere, quando 1ni pùt.... ~:ia di conversat'~ con lot•J e \ìi accompagnarli per un tratto, mescolandomi al corteo. Fantastica parete, questa che mi sta di faccia, ostacolo opaco fra me e l'oriente: vastissima e d'un colore verde-celeste che ha riflessi d'acqua o di erba, male illuminata e popolata di grandi ritratti enigmatici e di paesaggi sorprendenti, mi sembra che discenda. da settentrione e sci'loli di continuo verso mezzogiorno, solo per caso attraversando la mia camera e prolungandosi poi all'infinito, fatalità implacabile eretta a dividere l'oriente dall'occidente. Per chi la sappia guardare, essa ha u.na varietà di aspetti che direi geografi.ca, tante sono le perso.ne che vi si muovono entro cornici dorate e i paesi che v'ap-- paiono e spariscono, con lor v.alli e mont?gne e ampie distese verdi. Io immagino che viva e sia un aspetto misterioso e cosmico della natura, µesiderosa cli mostrarsi in breve spazio qual'è tutta, nella sua varietà infi.nita. Più cli una volta, al passaggio d'eroi pallidi e febbricitanti o cli filosofi magri e biechi, fratelli di Spinoza, mi sono lasciato vincere dalla mia stessa magia fino a seguirli fuori dell'alto silenzio della mia camera, nel loro viaggio metafisico. Le terre vedute e i cieli scoperti in quei viaggi sono ormai divenuti per me un ricordo di strani sogni e nulla più, uè ora saprei ridire qttanto ho ,-isto o sognato. Ma spesso avviene che le apparizioni abbia.no voce e figura d'uomini vivi, quasi fo...o.sero di carne, e mostrino di avere in dispregio le qualità metafisiche delle ombre. Allora m'è facile riconoscerli per italiani e intrattenerli, risusòtando in loro le antiche passioni col parlar delle cose di casa .nostra. Questi colloqui straordinari mi rimangono nella memoria col peso vivo delle parole, nè mi sarebbe possibile dimenticarli. Poichè la natura degli eroi nosti; è quanto di più umano si possa immaginare, e non ha nulla di comune co.n quella della razza che li ha generati. Sembrano fatti di pietra, in confronto dei consanguinei ; e il passo çli alcuni è pesante e pieno di fatalità come quello della statua del Co=endatore. Li diresti nati da un popolo duro e cupo, nemico d'ogni leggerezza o vanità, iroso e con-ucciato con tutti e con sè medesimo, disgustato di quest'obbligo naturale che noi tutti abbiamo, cli v-Ì·vere, e dominato dal pensiero continuo della morte. &e tu non sapessi che hanno lo stesso sangue delle maschere nostrane. Il che ti meraviglia e t'inorridisce, pensando che la madre di Vico poteva anch'essere quella di Pulcinella. Tanto, che nel tuo amore per gli eroi nazionali finiresti con lo scoprire un principio d'avversione e di disprezzo per il popolo che li ha ge.nerati, cioè per il tuo popolo e per te medesimo, se non ti soccorresse il pensiero che la miseria e indegnità dei molti sono condizione prima e indispensabile per la grandezza e degnità dei pochi ; ciò che per noi italiani sembra essere legge assoluta. In quanto a me, l'essermi trovato, come ho detto, nella possibilità di avvicinare gli eroi nostri e di rngionare con loro, m'ha permesso cli ter,~mi.i lontanissimo da ogni specie d'avversione o di disprezzo per il nostro popolo; I non dall'ira, si badi: ma in questa tutti sanno che l'amore ha gran parte). Poichè ho a:'nto modo, da quegli straordinari colloqui, dt trarre la certezza che la miseria e indegnità nostre ,ono il seguo tragico di una elezione divina, che_ci fa miserabili perchè da noi nascano uomm1 e cos.~grandi. E questa non è una maniera di consolazione, ma di superbia; come si vedrà. Geueralmenk fra noi si ha l'abitudine di {:onsiderare i grandi nomini come la schietta e naturale espressicne della nostra razza, eticamente cl'accordo, non già coutrari, con le virtù e i difetti del sa.ngue comune. Lo stesso avviene per quegli avvenimenti, o imprese nelle anali agisce la volontà determinante degli non;ini, non quella del destino. Dato il r·a.rattere popolaresco e sentimentale di questo odi.nano modo di gindicare, non è mera- ·viglia se in Italia abbondano, più che altroYe, q1'.c~li « eroi " e quegli. "uomini rappresenlattv1 » che Ca.rlyle e EmersoH penarono a introdurre nella mentalità anglo-sassone, purita11a e democratica, la quale è naturalmente avversa a qualunque specie cli prevalenza, anche postuma e filosofica. Però, se nei paesi anglosassoni, paesi senza Dio e senza tragedie dove nessuna forma di mito è accettata o capila, gli «eroi• son tenuti in considerazione di gente fnor dalla legge comune, degna di rispettosa indifferenza ma non d'entusiasmo, da noi godono invece la stima e l'ammirazione di tutti, essendo naturale negli italiani la tendenza a onorare negli altri quelle virtù, e spesso quei vizi, che essi p1.1crceredono cli possedere. fo quest'ammirazi011e ciel popolo nostro per gli eroi nazionali sarebbe vano, perciò, voler trovare qualunque specie di buone ma.niere e cli riguardosa sottomissione, perchè nessun italiano si sente inferiore agli idoli propri e tutti sono d'accordo nel trattarli da persone cli famiglia, nate sotto lo stesso tetto e nutrite alla stessa tavola. C'è molta aria domestica e molta ostentazione di parentela nell'entusiasmo nostro per i grandi concittadini, come v'è molto orgoglio ferito e amore offeso nella nostra matta furia contro di loro: quasi direi che in ogni grande italiano cacciato in esilio o portato in trionfo c'è sempre la stoffa di un figliol prodigo. Il tempo sa poi rimediare a tutto, in questi nostri odii famigliari; ciò che non avviene mai, per esempio, fra gli anglosassoni, i quali non si sanno ancora dar pace di Shakespeare e non si pentiranno mai d'aver lapidato Oscar Wilde. Poichè nel furore popola.re contro certi eroi nostri non v'è mai odio cli razza o di religione, come nel furore puritano contro Wilde, irlandese, ma la passio.ne del sangue, e nell'entusiasmo v'è sempre la compiacenza di chi si crede e si sente «rappresentato». Ma, in realtà, l'ufficio degli eroi è ben diverso e più tragico. Essi non rappresentano le virtù o i difetti di un popolo, ma quei difetti e qu-elle virtù che questo popolo non pos-siede; non afferma.no, ma negano; sono l'esjn·essione contraria di un popolo, eccezione e non regola; essi sono in contradizione, non d'accordo, con la razza dalla quale sono nati. Il compito di « rappresentare • è dato a.i mediocri, non ai geni. Vincenzo Monti è più italiano di Dante o di Leopardi, Boileau più francese di Pascal o di Descartes, Swinburne più inglese di Shakespeare o di Shelley, Hauptmann è ,più tedesco di Goethe o di Waguer. I geni di un popolo sono la prova di ciò che questo popolo non è. Pietro il Grande è la prova dell'incapacità a fare del popolo russo, non perchè egli stesso .non abbia agito, ma appunto perchè ha agito. Napoleone prova che il popolo italiano non ha genialità nè attitudini militari; Pascal, che il francese non è un popolo mistico e tormentato; Spinoza, che gli ebrei hanno nessuna originalità creatrice. Gli esempi di quanto dico abbondano in ogni nazione, nè mi sembra necessario insistervi; tanto più che mi preme restare nel cerchio delle cose nostre, per non correre il rischio di giudicar gli italiani alla stregua dei barba1;. Spesso i così detti «uomini rappresentativi • altro non sono se non una reazione allo .spirito della razza o del secolo; il che appare chiarissimo specialmente fra noi, a cominciare da Dante, il quale è da considerarsi come il primo, implacabile nemico del comune spirito italiano, allora sorgente. Gli altri grandissimi, che vennero dopo lui, non fecero se non continuare e inacerbire il contrasto e l'avversione. Non bisogna dimenticare, come è stato fatto a proposito dell'ultima commemorazione, che Dante reagisce allo spirito nazionale, non lo rapprese.nta : cli fronte allo sgretolamento, al provincialismo, alle manifestazioni più varie e più basse della meschinità e della ristrettezza del secolo, egli riafferma la grandezza e la vastità dei principi eterni, rimette in luce gli eterni valori della vita e, in difesa della continuità tradizio.nale di sè e della sua cultura, rinnega quel che di contingente, cli provvisorio e di incerto è nello spirito del suo tempo. Personaggio importuno, mal compreso e male a posto nel dramma del .suo popo.ìo, Dante si u.rta e si batte con gli altri mimi e, cacciato a furia dal coro, plebe « oppidana » che non ha inquietudini di nazione ma soltanto furori òi sa.ugne, parte pel gran viaggio, alla ricerca del suo dramma e della sua razza. Eroe pieno di aspirn.zioni e di tormenti, disgustato del la stta gente ma. nero della ,ua terra, egli è così il primo personaggio del vero dramma italiano, antico e moderno, che mette gli. eroi senza rnzza a fronte del coro seuz.a patria; contrasto inconciliabile fino a tanto che l'avversione e il disgttsto degli eroi no.n si mutino,. per il popolo, in sofferenza e in sotto11nss10ne. Questo è il dramma, torbido e feroce, che la violeU7,a e la tena.eia delle (Ya.SSionin contrasto fanno continuo e storicissimo, e che l'attenzioue interessata dei barbari aizza e: prolunga. Poichè se si volesse considerare la storia dello spirito italiano come il prodotto cli una conciliazione a'-'Venuta, nell'oscurità del medioevo, tra il popolo e gli eroi o cli nn pacifico pre<lomiuio di questi su quello, se si volesse giudicarla, cioè, secondo il concetto della rappres1mfazionJ e non della reazione, tutte le nostre vicende non avrebbero significato e il tormento cli cui tutti i grandi italiani hanno sofferto e delirato saprebbe di finzione e cli maschera. Se questo fosse il criterio, Dante medesimo, con la sua grandissima ira e il s-uodoloroso amore, apparirebbe ridotto alla statura cli u.n qnaluuque uomo di parte, « florentinu5 natione et moribus », nè si saprebbe vedere dove in lui finisca il fiorentino e cominci l'italiano, o dove il ghibellino diventi cattolico. Ciò che mi sembra indispensabile vedere chiaramente per poter giudicare di Dante e del suo popolo. E non solo di Dante, ma di tutti i condottieri e asceti, navigatori e sommovitori di plebe, poeti e filosofi, scopritori di cieli e donatori cli regni, che hanno seguitato in ogni tempo la lotta intrapresa da lui contro il comune spirito nazio.nale. Troppo lungo sarebbe parlare di ognuno di questi grandi, nei quali l'amore fu pari al disgusto e l'ingegno grande e turbinoso come le passioni. Nè mi sembra necessario addurre esempi m1ovi a riprwa di un fatto chiarissimo, qual'è senza dubbio l'inimicizia, direi quasi di razza, che animava quei grandi contro il popolo dal quale erano nati. Mi basta, prima di soffermarmi su l'ultimo eroe nostro, nemico dello spirito della sua gente e del suo secolo, ricorda.re la simpatia che Machiavelli aveva pel Valentino, da iui creduto unico fra tanti tiranni e appunto per la sua crudeltà senza pari e le sue nefandezze, capace di affrontare la lotta e di combatterla sino in fondo è con tutte le armi, cioè fino alla liberazione e alla sottomissione degli italiani, principi e plebe. Il che dimostra, fra l'altro, come il gran fiorentino, con quell'asciuttezza di cuore e durezza di volontà che in certi toscani dànno a vedere l'origine etrusca, intendesse l'amore dovuto ai consanguinei e come, secondo lui, bisog1;1asse agire verso loro per operare il bene d'Italia. Questo che ho detto di Machiavelli e del Duca non vuol essere un inutile richiamo storico, a riprova di un fatto manifesto ad ognuno, ma vuol sopratutto mostra.re quanto nel trattar delle cose nostre sia facile, anche alle intellige.nze più sperimentate, confondere gli eroi con i tiranni. Poichè tutti i grandi uomini nostri han mol_to che assomiglia al tirannico, specie in quel loro spietato amore per l'Italia che li spinge in guerra contro il comune spirito, sempre insofferente e contrario a ogni forma di vera grandezza nazionale. Ciò prova come il furor popolare agisca saggiamente scagliandosi contro di loro: è questo un istinto di difesa delicatissimo in noi, che d,ei tiranni abbiamo l'insofferenza nel sangue. Tanto più che non di stranieri si tratta, ma di tiranni domestici, con i quali, come ho detto in principio, ogni italiano si sente imparentato e perciò mal disposto a venire a patti, essendo più facile a ttttti noi di sopportare gli insulti degli stranieri che dei famigliari. Questo, si badi, non coutradice al già detto, poichè sa ognuno che noi, pure odiandoli, ammiriamo i tiranni è gli eroi del nostro sangue: c'è molto orgoglio ferito e amore offeso, ripeto, nella nostra matta furia contro cli loro. Qui, dopo aver parlato del primo nemico degli italiani, non mi sembra fuor cli luogo parlare dell'ultimo, e cioè di Garibaldi, sopratutto per mostrare quanto v'è di fatalità in questa nostra ininterrotta tradizione. Che il parlarne sia eccessivamente opportuno non credo, tenuto conto della maniera. romantica oggi in uso fra noi nel giudica.re i grandi dell'uJtimo secolo. Ma senza pretendere di voler precorrere i tempi, nei quali il nostro modo tradizionale di pesare schiettamente i fatti avrà ripreso il sopravvento sul modo r'ftorico di questi -ultimi anni, mi sembra che il mostrare fi.n d'ora semplicità cli giudizio non debba essere riprovevole. Tutto sta in non parlar male di Garibaldi. Del quale è facile riconoscere che tutta la sua v;ta, tutte le sne imprese, tutti gli avvenimenti che su lui s'imoernia □o sono s.tati una continua lotta con.tro gli italiani suoi contemporanei, la co.ntinu::i negazione, nei fatti, dei loro spirito. Ca!::itafimi è 11.[ul rlo, 1\1:entana è un'ingiuria, Caprera è una protesta, l'ultima. Ì\{a. qui rn'è necess::trio andar cauto pe.r nou attribnire al vincitore cli Bezzecca un COiltinnità logica cÌ1'egli non ebbe, e non confonderlo col pallido e srlegnoso Genovese. 85 apostolo della lotta nascosta contro la_maggioranza degli italiani, avversa all'unità e a\l'indipenden:r..a, non della guerra aperta contro i barbari. Poichè uo.n bi.sogna dimenticare che Garibaldi, eroe decadente, è una specie di tiranno romantico e democratico, riguardoso e di cuor debole, col quale la bontà e la pietà, interrompendo la bella tradizione tirannica degli eroi aristocratici, spietati e senza riguardi, italiani fino all'oclio pc.--r gli stessi italiani, entra.no da maestre nella storia delle nostre contese. In maniera che la ragione ciel disprezzo di :Mazzini per Garibaldi e del dissidio nato fra loro, è da ricercarsi sopratutto nella tenace e tradizionale avversione del primo per i con.sanguinei, ch'egli considerava alleati degli stranieri e indegni di compas.,;one, e nella tendenza singolarissima in Garibaldi a lasciarsi impietosire e addomesticare dalla retorica, dagli applausi e dall'entusiasmo del popolo. Questo raffronto è di grandissimo aiuto per capire lo spirito di decadenza del Nizzardo e la ragione delle sue imprese, clel loro successo e degenerazione attuale. Poichè, visti contro luce, Mazzini e Garibaldi perdono molto del loro aspetto di dioscuri : in Castore ti appare cosi il difensore della tradizione aristocratica, il restauratore della legge, nemico dei famigliari piuttosto che degli stranieri e preoccupato sopratutto di svegli.are gli italiani per poter fare la guerra ai barbari, e in Polluce tu vedi il violatore della legge, tirannello de~ocratico che non sa capire e continuare la tradizione, specie di eroe popolaresco avverso a' suoi senza saperlo, preoccupato di far la guerra agli stranieri per poter svegliare gli itali.ani e incapace di vedere nel suo successo la peggiore condanna dello spirito nazionale; <lei quale egli non si credeva nemico, ma < uomo rappresentativo •. T'appaiono, cioè, l'uno contrario all'altro, sebbene fratelli : il che rientra nella tradizione e giustifica storicamente le ire e le ingiurie. Il volerli riconciliare nè allora sarebbe stato nè oggi è possibile, perchè ciò presuppone l'esistenza di uno spirito nazionale imposto dagli eroi e accettato dal popolo, cioè il raggiungimento di un equilibrio ancora lontanissimo. Solta.nto Cavour a,Tebbe potuto rico.nciliarli, non asservendoli però ed eliminandoli in parte, come ha fatto : il che, se.nza dubbio, è ancora ragione di rimpianti a quelli fra noi che vorrebbero il dramma chiuso da tempo e gli eroi finiti, per non vederli u.n giorno o l'altro risorgere. Ma il dramma continua, per fortuna, e minaccia di risuscitare, fra breve, gli stessi morti. Qui, però, mi preme ragionare di quel che è avvenuto e non di quello che a'\-"TVerràb,astandomi per ora l'ufficio di sterico e rimandando a più tardi quello di profeta. Tanto più che non bi.sogna lasciare, a chi l'ha, !'illusione che Garibaldi sia stato un « uomo rappresentativo» e non un nostro nemico. Si badi, dunque, a ciò che egli ha fatto. Quasi solo, seguito da pochi, egli ha agito cont·ro l'Italia fuori delle abitudini quietiste e senza glo1;a degli italiani di allora, (e perchè soltanto di allora, sia detto senza maligna intenzione di raffronto?) vilissimi e malfidi, borbonici e non garibaldini. Se Garibaldi fosse stato un « uomo rappresentativo», che è quanto dire un mediocre, se avesse cioè realmente incarnato 1o spirito del suo popolo e del suo tempo, avrebbe senza dubbio continuato ad essere, dopo le prime disillusioni, un bravo e onesto emigrante fuoruscito per ragioni romantiche (allora la politica, in molti, era soprattutto un riflesso del romanticismo in voga) e a fabbricare candele steariche; sarebbe tutt'al più un bno.n « fazendero » come ve n'erano e ve ne sono a migliaia fra gli italiani del- ]' America Latina. Il suo ritorno in Italia sarebbe stato quello di un emigrante arricchito, non già quel che lo condusse al Vascello, alla Repubblica Romana, alla tragica pineta di Ravenna. « Chi non ha paura di soffrire, mi segua ». Dette a n.u popolo che si dà vanto di non voler soffrire, queste parole sono una dichiarazione d'inimicizia, rimprovero e condanna al tempo stesso; sono un elogio dei pochi, degli sbandati, dei senzafa.miglia, dei magni1ìci pazzi e dei santi avventurieri che lo seguivano da a.uni attraverso tutta l'Italia, laceri e affamati, invincibili e perseguitati, alla ricerca di una ra;r. za e di una patria. Certo, non sono un elogio degli italiani. « Bisognerebbe aiutare gli austriaci a bastonare questa gentaglia», ruggiva Bixio, questo capitano di ventura del cinqµecento, nato in 1;tarclo. Ma Garibaldi, eroe decadente e umanitario, ammalato di retorica e cli compassioni, tirannello demo. cratico figlio del popolo, era incapace d'ira spietata e tirannica e si lasciava addomesticare dagli applausi della folla, che vedeva in lui il buon nemico senza rancori e sentiva di poterlo vincere no.n a bastonate, ma con la coreografia dell'entusiasmo. Questa sua mansuetudine piena d'amore m'ha l'aria di 1ma istintiva riconoscenza. Poichè la. storia del nostro 11_ltimosecolo 11011 ha nulla di più

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